Coronavirus: Malta, Thailandia e Maldive chiudono all’Italia

Turisti italiani ancora nel mirino dei Paesi stranieri per il rischio Coronavirus: dopo Phuket, in Thailandia, anche Penang, in Malesia, ha negato l’attracco alla nave da crociera Costa Fortuna. La nave con a bordo 173 connazionali, tutti in buona salute, sta facendo ora rotta verso Singapore. Sotto osservazione in particolare 64 passeggeri, quelli che hanno trascorso le ultime due settimane in Italia. “La situazione sanitaria a bordo – precisa Costa in una nota – non presenta alcuna criticità e non ci sono casi sospetti fra gli ospiti italiani o di altre nazionalità. Costa Crociere e’ ovviamente rammaricata per questa decisione inattesa che richiede una ulteriore modifica all’itinerario della nave”. La società sottolinea infine come “in uno scenario in continua evoluzione, la tutela della salute e della sicurezza dei propri ospiti e’ una priorità assoluta”.

Ieri sera, le Maldive, “nell’ambito delle misure adottate per la prevenzione del contagio da Covid-19, hanno annunciato il divieto di ingresso per i viaggiatori provenienti dall’Italia a partire dalla mezzanotte di sabato 7 marzo”. E’ quanto si legge sul sito Viaggiare Sicuri curato dalla Farnesina. Le autorità locali, secondo quanto riferito, “hanno disposto inoltre il divieto di sbarco per le navi da crociera”.

Paura rientrata invece a Napoli dove un’altra motonave, la Majestic della compagnia Gnv, con a bordo 125 persone tra equipaggio e operai, è da un paio di giorni ancorata nel porto del capoluogo partenopeo. A bordo ci sono nove marinai entrati in contatto con un collega tunisino risultato positivo al virus nel corso di un viaggio tra Genova e Tunisi. Le autorità sanitarie li hanno sottoposti a controlli escludendo la presenza di sintomi da Covid 19. Sono stati tuttavia sottoposti in via precauzionale a isolamento per i prossimi dieci giorni.Via libera degli uffici sanitari, invece, per gli oltre cento componenti dell’equipaggio che potranno lasciare la nave. “I nove membri dell’equipaggio della Gnv Majestic stanno bene, non hanno sintomi, sono solo in isolamento precauzionale”, afferma Antonio Salzano, capo dell’ufficio Sanità Marittima di Napoli. “Non hanno sintomi e al momento non gli abbiamo fatto il tampone. Li abbiamo messi in isolamento per precauzione”. Per la nave – si precisa dalla compagnia armatrice, la Gnv con sede a Genova – la sosta a Napoli era già prevista per consentire ordinari lavori di manutenzione. Motivo per cui non si può parlare tecnicamente di blocco.

Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz ha annunciato “controlli sanitari mirati” al confine con l’Italia. Inoltre, saranno interrotti i voli diretti dall’Austria verso gli aeroporti di Milano e Bologna. “La situazione è peggiorata in Iran, in Corea del Sud e in alcune regioni dell’Italia”, ha detto Kurz in una conferenza stampa. I controlli medici per le persone che entrano in Austria saranno effettuati su ordine dell’autorità sanitaria. Saranno stabiliti eventuali contatti con malati covid-19 e sarà rilevata la temperatura corporea. “Se necessario, tali misure saranno attuate dalla polizia con mezzi coercitivi”, in base al regolamento del ministero, scrive l’agenzia Apa.

Alla Costa Mediterranea a cui è stato impedito dal Madagascar lo scalo previsto a Nosy Be, è stato vietato l’attracco anche dalle Seychelles. “Non ci sono casi sospetti tra i passeggeri e i membri dell’equipaggio”. La Thailandia ha imposto restrizioni a causa del coronavirus allo sbarco di italiani che siano stati nel nostro Paese negli ultimi 14 giorni. La nave è ripartita verso la Malesia. In una nota Costa Crociere si dice rammaricata dall’improvviso cambiamento di itinerario e conferma che la sicurezza dei propri ospiti e membri dell’equipaggio è una assoluta priorità.

Le navi si confermano possibili focolai del virus: le autorità egiziane hanno annunciato di aver individuato 12 casi di coronavirus tra le persone (tutti egiziani) a bordo di una delle navi che effettuano crociere sul Nilo.

In Liguria intanto sono iniziate le operazioni di trasferimento dei 65 membri dell’equipaggio della motonave della Gnv Rhapsody che da alcuni giorni sono in isolamento fiduciario obbligatorio a bordo. I marittimi andranno in due strutture genovesi individuate dalla Protezione Civile e dalla Task Force sanitaria per l’emergenza Coronavirus.

Intanto il Governo di Malta ha negato l’attracco a una nave da crociera MSC Opera con a bordo duemila passeggeri. Lo rende noto il Times of Malta. Le autorità maltesi hanno negato l’autorizzazione a seguito di una protesta pubblica sui timori di infezione da coronavirus dopo l’allarme lanciato da un media locale su un ex passeggero austriaco sbarcato nei giorni scorsi e successivamente trovato positivo al Covid-19. Per Mcs, che ha deciso di modificare l’itinerario, “la verifica dei documenti sanitari della nave fatta dalle autorità maltesi” aveva confermato l’assenza di casi a bordo.

La nave da crociera Grand Princess proveniente dalle Hawaii è bloccata nel porto di San Francisco dopo che alcuni passeggeri e membri dell’equipaggio hanno mostrato sintomi del coronavirus. Le autorità hanno ritardato il rientro nel porto per effettuare i test sulle persone sospettate di avere contratto il virus




Deputato Pettarin: “Tutti s’impegnino per revocare al dittatore jugoslavo l’onorificenza OMRI”

di Alessandro Butticé

«È tristissimo continuare a leggere il nome di Tito ogni volta che, da Gorizia e da Nova Gorica, si volge lo sguardo verso il Monte Sabotino. Il mio è un appello a tutti, comprese le Autorità Democratiche Europee ed in particolare le istituzioni italiane e slovene, affinché si impegnino a far cancellare la scritta “Tito” che campeggia lungo il versante del monte Sabotino, sostanzialmente a cavallo dell’ex confine tra Italia e Slovenia. ». Con questo post su Facebook, Guido Pettarin (FI) deputato eletto a Gorizia e friulano doc, dichiara la sua guerra alla scritta, che descrive anacronistica e contro la storia, che campeggia sul versante sloveno goriziano, inneggiante al leader e tiranno jugoslavo Josip Broz, meglio noto come Maresciallo Tito.

«Non è la prima volta che chiediamo giustizia per la memoria delle vittime di Tito, e già oltre un anno e mezzo fa, insieme al collega De Carlo (FdI) e altri, abbiamo presentato una proposta di legge per revocare le onorificenze a Tito; ma al momento non è stata ancora inserita nel calendario dei lavori di Camera e Senato. Italia e Slovenia, due paesi che si riconoscono nello spirito di pace europeo, devono collaborare affinché al più presto si giunga a rimuovere la scritta dal Sabotino, offensiva per la memoria delle vittime della atroce dittatura Titina », conclude Pettarin il suo appello social.
Abbiamo voluto intervistare Guido Pettarin, appassionato di storia del Friuli, e che, prima di essere eletto alla Camera dei deputati con Forza Italia, è stato un valente giurista ed avvocato, ed anche un ufficiale della Guardia di Finanza.
D. Onorevole Pettarin, perché questa proposta di legge?
R. Perché è intollerabile che Tito, macchiatosi del sangue degli infoibati e della tragedia dell’esodo istriano fiumano e dalmata, possa ancora essere indicato come Cavaliere di gran croce con gran cordone, la massima onorificenza dell’OMRI (ndr, Ordine al Merito della Repubblica Italiana). Il rispetto della storia e dei morti e del dolore di centinaia di migliaia di persone impone questo gesto di giustizia.

D. Dell’appoggio di quali forze politiche potrà contare la sua proposta?
R. Confido sia appoggiata da tutto l’arco costituzionale. La proposta di legge porta la firma di Colleghi di Fratelli d’Italia, che hanno avuto l’iniziativa, e la mia.

D. Quali tempi si prevedono per l’approvazione e quali gli ostacoli da superare?
R. Non sono in grado di prevedere la tempistica. Spero però che la sensibilità di tutti porti ad accelerare i tempi e mi permetto di prefigurare l’obiettivo dell’approvazione entro la fine della legislatura, perché non si debba ricominciare da capo nella legislatura successiva.

D. Come possono le Istituzioni UE, cui lei si è pure rivolto, per aiutare la realizzazione della sua proposta?
R. L’appello è a tutte le Autorità Democratiche Europee, affinché aiutino il progetto non permettendo che i crimini della dittatura Titina siano dimenticati e supportando ogni azione tesa alla conservazione della memoria. Ricordare e raccontare, perché non succeda mai più.

D. Perché solo negli ultimi anni questa pagina della storia italiana é venuta alla ribalta dell’opinione pubblica?
R. La tragedia delle foibe è rimasta nascosta per decenni, sotto ad un velo pernicioso imposto da una malintesa Ragion di Stato. Tito, il dittatore non allineato, veniva blandito. La storia fa però giustizia e, finalmente, dopo la caduta del muro di Berlino e l’abbattimento della barriera di Gorizia la verità è venuta alla luce e, finalmente, possiamo a testa alta ricordare i nostri morti e portare un fiore sugli orrendi abissi in cui vennero precipitati.

D. Non rischia questa proposta di legge di compromettere i rapporti di buon vicinato con la Slovenia?
R. Certo che no. La Slovenia è uno stato moderno europeo e democratico, che non teme la storia e rifugge dagli orrori della dittatura Titina che tanto sangue sloveno ha versato.

D. Perché vorrebbe che venga ritirata la decorazione di Cavaliere di Gran Croce con Gran Cordone concessa a Tito nel 1969?
R. Perché non posso onorare le vittime di Tito e nel contempo tollerare che il Dittatore sia rivestito dalla più alta onorificenza della Repubblica italiana. È una questione di rispetto, di onore e di giustizia.

D. Quali saranno i suoi passi ulteriori?
R. Non cesseremo di richiamare e sollecitate, non smetteremo di ricordare e condannare; saremo la coscienza dolente del nostro Paese sino a che questo atto di somma giustizia non verrà compiuto. L’onorificenza a Tito offende la nostra storia, il nome di Tito sul fianco del Sabotino a Gorizia offende il sangue versato dagli infoibati.




Coronavirus, atterrato a Londra aereo da Wuhan con 8 italiani a bordo

Un aereo proveniente da Wuhan con a bordo 200 persone, fra cui otto italiani, evacuate dalla Cina in seguito alla diffusione del Coronavirus, è atterrato in Inghilterra, presso la base Raf di Brize Norton, nell’Oxfordshire. Tra loro non ci sarà il 17enne studente di Grado che è ancora alle prese con la febbre. I nostri connazionali saranno poi trasferiti in Italia, a Pratica di Mare, con un volo militare.

Salgono a 811 le vittime in Cina del coronavirus, che ha contagiato oltre 37 mila persone.

E’ risultato negativo il test sulla donna in quarantena alla Cecchigola trasferita ieri allo Spallanzani. La donna presentava solo la congiuntivite.

Non si placano invece le polemiche sulla circolare del ministero della Salute per le scuole per i bambini che rientrano dalla Cina. Monitoraggio con “permanenza volontaria a casa” per la “puntuale verifica della febbre e dei sintomi tipici del nuovo coronavirus 2019-nCoV” rivolto a bambini e studenti, di ogni nazionalità, che nei 14 giorni precedenti il loro arrivo in Italia siano stati nelle aree della Cina interessate dall’epidemia. Lo prevede l’aggiornamento da parte del ministero della Salute della circolare per le scuole ispirata “al principio di massima precauzione”. Le assenze sono giustificate. Il ministro dell’istruzione Luciana Azzolina in un’intervista su La Stampa chiarisce che saranno i medici a decidere se gli studenti rientrati dalla Cina debbano restare a casa o tornare in classe. E chiarisce che non saranno presidi o genitori a dover decidere, perché ci sarà un monitoraggio quotidiano degli studenti rientrati fatto dalle Asl di riferimento.

Non cambia intanto la linea che riguarda lo stop ai voli per e dalla Cina. Lo sottolinea dalle colonne del Corriere il ministro della Salute Roberto Speranza: le relazioni diplomatiche sono rilevanti e le questioni economiche fondamentali, spiega, ma il diritto alla salute è più importante ancora. E aggiunge che l’allarmismo è sbagliato, ma si deve tenere una soglia di attenzione molto alta.

Prima vittima straniera del coronavirus. E’ un 60enne americano deceduto in un ospedale di Wuhan. La conferma è arrivata dall’ambasciata statunitense a Pechino. Sempre a Wuhan c’è anche la morte sospetta di un giapponese, potrebbe trattarsi sempre di coronavirus.Il numero delle vittime sale a 725, con i contagiati che sfiorano i 35.000. 5 nuovi casi confermati in Francia, sono cittadini britannici; altri tre casi sulla nave da crociera all’ancora in Giappone, a bordo della quale ci sono anche 35 italiani. “Sta bene” il connazionale ricoverato allo Spallanzani. Hong Kong intanto impone la quarantena per chi entra. Convocata per il 13 febbraio a Bruxelles una riunione dei ministri della Salute Ue.

E’ stata convocata per il 13 febbraio a Bruxelles, su richiesta dell’Italia, la riunione dei ministri della Salute dell’Unione Europea. Lo ha annunciato questa mattina il ministro della Salute, Roberto Speranza, alla task force sul Coronavirus 2019-nCov.

Cinque nuovi casi di persone colpite dal coronavirus sono stati confermati in Francia. Le loro condizioni non sono gravi, ha precisato la ministra della Salute Agnes Buzyn nel dare la notizia. Si tratta di quattro adulti e di un bambino. Salgono così a 11 in casi in Francia. Solo uno di questi pazienti è in condizioni critiche. I cinque nuovi casi sono stati registrati tutti in Savoia, regione ai confini con l’Italia. Lo ha detto la ministra della Salute francese Agnes Buzyn, citata da Guardian, precisando che si tratta di cittadini britannici entrati in contatto con una persona – sempre di nazionalità britannica – che era stata da poco a Singapore. E in Alta Savoia, sono state chiuse due scuole frequentate da un bambino britannico di nove anni che è uno dei cinque nuovi casi di Coronavirus annunciati oggi dalle autorità francesi, per essere sottoposte a test e verifiche.

Un cittadino giapponese è morto per quella che si sospetta essere un’infezione da coronavirus in un ospedale di Wuhan, città cinese epicentro dell’epidemia. Lo rende noto il ministero degli Esteri giapponese. Le autorità sanitarie cinesi, citate da Tokyo, ritengono probabile che si tratti di coronavirus perché l’uomo, sulla sessantina, è stato sopraffatto da una polmonite virale acuta. Tuttavia, fa sapere il governo nipponico, per ora è difficile stabilirlo in modo definitivo”. Il Giappone ha registrato 25 casi d’infezione, oltre ai 64 che erano a bordo della nave da crociera all’ancora a Yokohama e sono ora ricoverati.




Il coronavirus fa crollare le borse cinesi

Le Borse cinesi crollano alla prova dei mercati dopo la lunga pausa del Capodanno lunare, quando la corsa dell’epidemia è ancora sostenuta e i decessi hanno superato quelli della Sars del 2003.

I listini, tra Shanghai e Shenzhen, hanno mandato in fumo 420 miliardi di dollari in termini di capitalizzazione: Shanghai ha perso il 7,72%, Shenzhen il’8,41%.

Ma i mercati europei tengono

Chiusura in rialzo per Piazza Affari. L’indice Ftse Mib ha guadagnato lo 0,96% a 23.460 punti.

Bene anche le altre borse europee. Parigi ha guadagnato lo 0,45% a 5.832 punti, Francoforte lo 0,49% a 13.045 punti e Londra lo 0,55% a 7.326 punti.

Petrolio in forte calo con il coronavirus

Il petrolio crolla a New York, dove il Wti perde il 3,12% e scende sotto i 50 dollari al barile per la prima volta da oltre un anno.
Anche il Brent affonda e segna i minimi degli ultimi 13 mesi, con le quotazioni che perdono il 3,4% a 54,70 dollari al barile.




Londra, attentato terroristico: accoltella passanti in strada. La polizia lo uccide

Un uomo ha accoltellato più perone a Londra prima di essere ucciso dalla polizia che ha parlato di “atto di terrorismo”. L’uomo è stato ucciso dal fuoco di agenti di polizia dopo aver accoltellato e ferito alcune persone, riferisce Scotland Yard, definendo l’episodio un atto di terrorismo. Alcuni testimoni parlano di almeno 3 feriti, ma non ci sono conferme ufficiali.

A differenza di altri attacchi analoghi recenti, l’ultimo da parte di un militante jihadista vicino a London Bridge a fine 2019, questa volta l’episodio è avvenuto in un’area periferica della città, ma comunque affollata. Per l’esattezza nella principale strada dei negozi del quartiere, lungo Streatham High Street.

Indossava qualcosa di simile a un gilet-bomba, forse falso, l’uomo che oggi è tornato a seminare il terrore a Londra accoltellando alcune persone nella zona di Streatham, a sud della capitale britannica. Lo riportano testimoni citati da Sky New. Lo stesso era capitato a fine 2019, quando l’ex detenuto jihadista Usman Khan – indossando un giubbotto esplosivo poi rivelatosi finto – aveva compiuto un attacco nell’area di London Bridge uccidendo due giovani. Anche Khan, come l’aggressore di oggi, era stato poi freddato dal fuoco della polizia.

Circolano già decine di video su Twitter postati da testimoni che hanno assistito all’attacco con coltello a Streatham, nella parte sud di Londra.

Nei video si vedono persone a terra, assistite da altri passanti, e la polizia che apre il fuoco contro l’autore dell’attacco. Nella zona si vede un grande dispiegamento di mezzi della polizia e ambulanze.




Bye bye Europa: la Brexit è realtà

La Gran Bretagna saluta l’Ue e
la Manica torna a essere un confine europeo, fra il continente e l’isola
. E’ bastato lo scoccare di un
secondo, segnato dal countdown sulla facciata di Downing Street e sulle bianche
scogliere di Dover, a chiudere una pagina di storia durata quasi mezzo secolo,
dal ’73 a oggi: quella del matrimonio, d’interesse eppure non privo di frutti,
di Londra con Bruxelles.

La Brexit diventa realtà nella
notte
,
l’Union Jack e la bandiera azzurra con le stelle europee si separano, ammainate
nei rispettivi palazzi del potere, fra i festeggiamenti colorati, a tratti
rabbiosi, e il boato del popolo euroscettico riunito in folla a Londra; e le
recriminazioni, il rammarico, il dolore di chi questo epilogo non avrebbe
voluto: nel Regno come altrove. Il suggello del Brexit Day è arrivato dall’uomo
che in questi mesi è riuscito far saltare il banco e a mettere fine allo
stallo, dopo aver già condotto in prima fila la campagna pro Leave del
referendum del giugno 2016: Boris Johnson, controverso, ma vincente nell’ora
destinata a segnarne l’eredità e in attesa del giudizio dei posteri. In un
messaggio alla nazione il primo ministro Tory ha fatto sfoggio di ottimismo e
richiamato all’unità un Paese profondamente lacerato, anche se in maggioranza
forse sollevato dalla sensazione di aver dato almeno un primo taglio alle
incertezze. Ha definito questo passaggio – comunque epocale – “l’alba di
una nuova era”, che “non segna una fine, ma un inizio”. 

Ha rivendicato l’addio come “una scelta sana e
democratica” sancita “due volte dal giudizio del popolo”, tanto
nel 2016 quanto alle elezioni del dicembre scorso. E ha esaltato le speranze di
un rinnovato slancio all’interno, di un ruolo europeo e globale
“indipendente” del Regno, ma anche di una “cooperazione
amichevole” di buon vicinato con gli ex partner dell’Ue. In un contesto
nel quale ha spronato i compatrioti a “scatenare il potenziale” d’una
nazione che fu impero, a credere nel cambiamento come alla chance di un
“clamoroso successo”. Non senza insistere sulla convinzione che la
direzione intrapresa dal club europeo, pur “con tutte le sue ammirevoli
qualità”, non fosse più adatta al destino britannico. Parole accompagnate
da toni di comprensione verso “il senso di ansia e smarrimento” di
quella metà del Paese che alla Brexit ha guardato come a un errore storico o a
un azzardo. E dall’impegno del governo a cercare la strada per ricondurre ora
il Regno “all’unità” in modo da poter guardare avanti
“insieme”.

Le incognite del
futuro restano d’altronde numerose e tutte da affrontare. A iniziare dal
cruciale negoziato, da chiudere nei soli 11 mesi di transizione che Londra
intende concedersi sino al 31 dicembre 2020 sulle relazioni post divorzio –
commerciali in primis – con i 27; e dalle scommesse sulle parallele intese di
libero scambio auspicate con gli Usa e con altre potenze terze. Senza contare
le promesse sul controllo dell’immigrazione, sugli investimenti in
infrastrutture e servizi, sull’alleggerimento delle disparità a beneficio di
aree depresse come il nord dell’Inghilterra, dove l’esecutivo ha tenuto nel
Brexit Day un consiglio dei ministri simbolico nell’euroscettica Sunderland.
Traguardi da conciliare con le stime affannate del Pil e con non poche
contraddizioni interne. Contraddizioni che oggi si sono riflesse nelle piazze
di Londra e non solo. Dove sono scesi dapprima, fra rimpianti e lacrime,
gruppetti di remainer non pentiti, rappresentanza di una fetta ampia di Paese
che continua a masticare amaro, rispecchiandosi nel “cuore spezzato”
del sindaco laburista della capitale, Sadiq Khan, nonostante l’invito di chi –
come Tony Blair o Gina Miller – li invita a riconoscere la realtà d’una
battaglia perduta per diversi anni a venire. Poi i sostenitori della Brexit,
molti provenienti da fuori Londra, e arringati dalle parole del pioniere Nigel
Farage, radunatisi a decine di migliaia in serata fino a riempire Westminster
Square, in barba alla pioggia, per far sventolare – tra fuochi, brindisi, inni
e comizi – bandiere e simboli nazional-patriottici. E contraddizioni che non
smettono di agitare le nazioni del ‘no’: l’Irlanda del Nord, dove ha rifatto
capolino una linea di frontiera pur invisibile con Dublino; e soprattutto la
Scozia, dove la piazza di Edimburgo ha risposto a quella di Londra e la first
minister indipendentista Nicola Sturgeon è tornata a invocare l’obiettivo di un
secondo referendum secessionista.

Intanto da Bruxelles
e dalle varie capitali continentali, la consapevolezza del momento
“storico” si è unita ad accenti di “tristezza”, talora
d’allarme, nelle voci dei leader: da Giuseppe Conte a Emmanuel Macron, passando
per il presidente dell’Europarlamento, David Sassoli, e per il commissario
Paolo Gentiloni. Mentre Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, ha
tenuto a lasciare aperta la porta al “miglior partenariato possibile”
con il Regno che va via, ma ricordando che nessun accordo potrà mai essere come
“la membership”. E dicendosi certa che non sarà “lo splendido
isolamento” la soluzione ai problemi del domani.




Usa – Cina, è tregua sui dazi: firmato accordo storico

Donald Trump e il vice premier cinese Liu He hanno firmato il mini accordo commerciale fra Stati Uniti, aprendo di una fatto una tregua nella guerra commerciale in atto. La firma è avvenuta nella East Room della Casa Bianca dove, fra gli altri, sono presenti l’ex segretario di stato Henry Kissinger, il consigliere economico del presidente Larry Kudlow, il segretario al Commercio Wilbur Ross, la figlia-consigliere del presidente Ivanka Trump e il marito Jared Kushner.

L’accordo commerciale fra Stati Uniti e Cina prevede che Pechino acquisti ulteriori 200 miliardi di dollari di prodotti e servizi americani. La Cina si impegna anche a non lanciarsi in svalutazioni valutarie e a comunicare regolarmente e a consultarsi sul mercato valutario. In base all’intesa a partire dall’1 aprile la Cina consentirà il pieno controllo da parte di società finanziarie straniere.

Trump esulta, ringrazia il presidente cinese Xi Jinping definendolo un suo “grande amico” e ribadisce che in “un futuro non lontano andrà in Cina”. Fra sorrisi e battute parla di un “accordo storico”, di un “importante passo in avanti” verso una relazione più equilibrata fra i due paesi.

“La Fase 1 è un importante passo in avanti verso scambi commerciali corretti con la Cina”, afferma aprendo al cerimonia per la firma del mini-accordo commerciale fra Stati Uniti e Cina. Trump, definendo la cerimonia “un’occasione straordinaria”, ringrazia il presidente cinese Xi Jinping e dice che andrà in Cina in un futuro non lontano.

I dazi esistenti saranno rimossi se la Fase 2 dell’accordo commerciale con la Cina sarà chiusa, afferma il presidente americano, sottolineando che la Fase 2 inizierà a breve. Secondo Trump, potrebbe non esserci bisogno di una Fase 3 dell’accordo.

L’accordo è buono per la Cina, gli Stati Uniti e il mondo intero, afferma il presidente cinese Xi Jinping in una lettera indirizzata a Donald Trump e letta dal vice premier Liu He nel corso della cerimonia per la firma dell’accordo commerciale fra i due paesi. “E’ un’intesa vantaggiosa per tutti” aggiunge Liu.

Il mini accordo commerciale fra Stati Uniti e Cina è una “vittoria per le nostre aziende tecnologiche e per i lavoratori americani”, sottolinea il segretario al Tesoro americano.




Bruxelles, Ufficio Europeo per la lotta alla Frode: il ricordo del magistrato tedesco Hermann Bruener

Generale Butticè: “Un ‘Grand Monsieur’ dell’Europa della legalità”

A cura del Generale Alessandro Butticè

BRUXELLES – Il 9 gennaio 2020, è stato decimo anniversario della morte di Franz-Hermann Bruener, il magistrato tedesco che è stato per quasi dieci anni, esattamente dal 1° marzo 2000 al 9 gennaio 2010, il primo direttore generale dell’OLAF, l’Ufficio Europeo per la lotta alla Frode.

In buona parte di questi dieci anni, esattamente fino al 16 novembre 2009, ho avuto il privilegio e l’onore di esserne stato il portavoce e il capo dell’Unità Comunicazione, ed essere testimone del suo grande amore per l’Italia, cui, come spiegherò in conclusione, ha fornito un contributo superiore a quello di tanti italiani.

È stato quindi sempre con una certa emozione che ogni anno, in occasione della consegna del Premio Argil “Uomo Europeo”, aderivo alla richiesta del presidente del Premio, Gino Falleri (storico vicepresidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio e icona del giornalismo italiano, scomparso lo scorso anno), di ricordare chi era Franz-Hermann Bruener, alla cui memoria era dedicata la sezione “Comunicare l’Europa” del Premio “Argil: uomo europeo”.

Commozione particolare nel ricordare, nel decennale della sua scomparsa, un uomo che, chi ha avuto la fortuna di conoscere veramente, penetrando la coltre di riservatezza e di discrezione che spesso lo avvolgeva e dalla quale pensava di difendersi, non poteva che stimare da vivo e rimpiangere da morto.

Franz-Hermann era, innanzitutto, un uomo europeo. Era poi un tedesco nato nel 1944 e quindi cresciuto e formatosi in piena rinascita della Germania, uscita distrutta dalla Seconda Guerra Mondiale, prima di diventare la locomotiva economica dell’Unione Europea. Diplomatosi presso una delle più prestigiose scuole tedesche, prestò il suo servizio militare in un reggimento di artiglieria da montagna. Servizio militare che gli fu prolungato a seguito dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia.

Nel 1968 iniziò una carriera nel campo commerciale, prima di completare i suoi studi universitari in Diritto, Economia e Scienze Politiche nel 1976, presso l’Università di Monaco di Baviera.

Da lì l’inizio della sua carriera giudiziaria, prima come giudice istruttore, poi giudice, successivamente come pubblico ministero, prima di divenire procuratore capo a Berlino, dove, dopo la caduta del Muro, svolse anche la funzione di Pubblico Ministero nei processi contro figure di primo piano dell’ex DDR, tra i quali lo stesso leader della Germania Est, Erich Honecker.

Franz-Hermann Bruener dimostrò sempre una spiccata attitudine per le indagini contro la criminalità finanziaria ed economica e nel 1998 assunse l’incarico di Capo dell’Unità Antifrode dell’Alta Rappresentanza delle Nazioni Unite per la Bosnia and Erzegovina.

Nel marzo del 2000 giunse a Bruxelles, quale primo direttore generale dell’OLAF. Con la sua nomina, la stampa europea non mancò di sottolineare la sua indipendenza di magistrato equilibrato, dai modi sempre affabili e gentili, ma irremovibile, quando necessario, e di uomo della legalità.

Avviando l’attività dell’OLAF in un delicatissimo periodo istituzionale, che seguiva le prime dimissioni della Commissione Europea, per sospette irregolarità, dispensò ogni sua energia nella definizione della struttura organizzativa e della strategia investigativa dell’OLAF.

Non fu immune anche da difficoltà, che affrontò sempre con grande determinazione, ma con la forza della calma e del rigore della sua indipendenza e della sua grande onestà e integrità.

A seguito dei successi ottenuti nel suo primo mandato quinquennale ottenne, nel febbraio del 2006, la conferma per un secondo mandato da parte della Commissione, del Parlamento e del Consiglio europei. Mandato che non riuscì però a terminare, perché stroncato da un’incurabile malattia, che non gli evitò però di dedicarsi sino alle ultime ore della sua vita – e io ne sono stato testimone diretto – al mandato che aveva ricevuto. Pur consumato dalla malattia, che trattava con distacco e noncuranza, così come aveva trattato alcuni suoi collaboratori non sempre leali, qualche settimana prima di morire aveva presieduto una indimenticabile celebrazione solenne del decennale dell’OLAF, alla quale aveva avuto la squisitezza di invitare tutti i vecchi funzionari dal momento della sua creazione. E fece un discorso sui prossimi dieci anni dell’Ufficio, come se fosse stato certo, incurante della malattia che lo stava consumando, che lui sarebbe ancora stato lì, con i suoi investigatori.

I principali risultati che sono stati unanimemente riconosciuti a Franz Hermann Bruener – soprattutto alla luce degli anni che sono seguiti alla sua direzione – sono quelli d’avere reso l’OLAF, seppure allora giovane servizio investigativo europeo, conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo. Non è un caso che la sala magna dell’Accademia Anticorruzione Europea di Vienna sia stata dedicata alla sua memoria. Come non è un caso che Franz Hermann Bruener sia considerato e ancora ricordato come un “Grand Monsieur” e non solo a Bruxelles, ma anche a New York e Washington, sedi delle Nazioni Unite e della Banca Mondiale, e nelle maggiori capitali del mondo.

Dalla Cina al Sud Africa, dall’Atlantico al Mediterraneo, il suo nome è stato sinonimo di Europa della legalità contro l’internazionale del crimine.

Franz Hermann Bruener è stato anche un maestro della trasparenza e dei rapporti con i media nel rispetto della legalità. I rapporti con la stampa dell’OLAF, sotto la sua guida, sono stati di grande apertura, sempre limitati però dall’assoluto rispetto della legge, compreso quello del segreto investigativo e dei diritti di tutti: tra i primi quelli delle persone soggette a indagini.

La sua politica di comunicazione e dei rapporti con la stampa – della quale chi scrive, quale suo portavoce, è stato il principale esecutore – era quella della trasparenza, ma nella legalità assoluta. Per un uomo di legge ed un Magistrato con la M maiuscola come Franz Hermann Brüner, il fine non giustificava mai i mezzi. I mezzi dovevano sempre essere quelli consentiti dalla legge e nel rispetto dei diritti fondamentali di tutti i cittadini. In questa politica non c’era spazio per le fughe di notizie, che Bruener ha combattuto duramente, e per un rapporto di complicità tra investigatori e giornalisti. C’era invece lo spazio per la creazione di una nuova politica di mutuo rispetto tra giornalisti e investigatori. Con Franz Hermann Bruener l’OLAF ha inaugurato un’inedita politica di comunicazione e informazione come strumenti di lotta alla frode, coinvolgendo i servizi investigativi di tutti gli Stati Membri dell’Unione Europea e le associazioni nazionali della stampa, oltre la Federazione Internazionale dei Giornalisti. Da questa nuova politica è nata una tavola di discussione, prima al mondo, tra giornalisti e investigatori europei, che è spesso stata presa ad esempio dalle Nazioni Unite e da diversi Paesi oltre Europa, dagli Emirati Arabi ad Honk Kong, dall’Algeria al Qatar.

Non posso concludere il ricordo di Franz-Hermann Bruener senza rammentare che è stato anche un grande estimatore dell’Italia e della Guardia di Finanza, in particolare, sostenendo più volte pubblicamente che la reputazione di capitale della frode che l’Italia ha avuto per anni (e grazie a lui, oggi non è più così) non rende giustizia né alla realtà delle cose né agli sforzi, davvero esemplari, che l’Italia, anche e soprattutto grazie alla Guardia di Finanza, che gli ho fatto scoprire ed amare non meno di un vero finanziere, ha compiuto e continua a compiere nella lotta alle frodi ai danni degli interessi finanziari dell’Unione Europea.

In un’intervista ad un organo di stampa italiano, qualche mese prima della sua scomparsa, ricordava come l’Italia sia uno dei Paesi in cui si scopre annualmente un numero molto elevato di frodi e irregolarità. “Non bisogna però dimenticare – sottolineava all’intervistatore – che è anche il Paese che dispone degli arsenali di protezione penale e investigativa tra i più avanzati a livello europeo. E per noi è molto più facile indagare in Italia che in altri Paesi. Gli strumenti d’indagine utilizzati in Italia sono tra i più avanzati al mondo. Nella lotta alle frodi comunitarie si usano strumenti d’indagine avanzatissimi: si pensi alle intercettazioni telefoniche e ambientali. Strumenti raramente utilizzati nella maggior parte degli altri Paesi per tali tipi di illeciti. Le forze di polizia e la magistratura italiane dispongono di strumenti che spesso vengono invidiati dai colleghi di altri Paesi. È quindi abbastanza naturale che i casi scoperti siano superiori”.

È anche per questo che Franz-Hermann Bruener, un gentiluomo dai tratti affabili e dai modi sempre gentili e rispettosi del prossimo, è rimpianto da chi l’ha veramente conosciuto e sarà ricordato, nella storia della costruzione europea, come un “Grand Monsieur” dell’Europa della legalità. (alessandro butticè per OsservatoreItalia)




Libia, fallito l’incontro tra Al Serraj e Haftar. Salvini: “Conte bidonato”

Il premier Giuseppe Conte ha visto a Palazzo Chigi il generale Haftar, mentre salta all’ultimo momento l’incontro con il premier Sarraj, che a Bruxelles ha incontrato il presidente del Pe Sassoli e l’Alto rappresentante Ue Borrell. Al Cairo, l’Italia non firma il documento finale del vertice sulla Libia.

Alla riunione ministeriale del Cairo sulla Libia, l’Italia non ha firmato la dichiarazione conclusiva giudicandola troppo sbilanciata e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha invitato alla moderazione al fine di non spaccare l’Ue. Lo si è appreso a margine della riunione, durante la quale Di Maio “si è battuto per smussare la dura posizione degli altri Paesi nei confronti della Turchia e di Sarraj”. “Il processo di Berlino – ha sintetizzato il titolare della Farnesina – non ci deve vedere sbilanciati da una sola parte”.

I presidenti di Turchia e Russia Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin lanciano un appello alle parti in conflitto per un cessate il fuoco in Libia a partire da domenica prossima. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu.

“Il premier libico bidona Conte e se ne torna a casa? Pazzesco, Conte è davvero un pericoloso incapace: per una semplice questione di protocollo, prima ancora che di politica, prima si riceve un capo di governo riconosciuto, dopo un generale. Dilettanti allo sbaraglio!”. Lo afferma il leader della Lega Matteo Salvini.

“La
situazione in Libia è molto pericolosa”. “Stiamo aspettando la visita
del primo ministro libico Al-Sarraj e incontreremo a Bruxelles o a Roma altri
leader libici per analizzare con loro la situazione”. Così l’Alto
rappresentante dell’Ue,
Josep Borrell
, a margine della riunione del Collegio dei
commissari che ha discusso delle crisi in Libia, Iran e Iraq.

“L’uso
delle armi deve essere fermato ora per lasciare spazio al dialogo”. Così
la presidente della Commissione Ue,
Ursula von der Leyen
, a margine della riunione del Collegio dei
commissari che ha discusso delle crisi in Iraq, Iran e Libia.

“I
recenti sviluppi della situazione in Iran, Iraq e in tutta la regione sono
estremamente preoccupanti. Una cosa è chiara: l’attuale situazione mette a
rischio gli sforzi del passato e ha anche implicazione per l’importante lavoro
della coalizione anti-Daesh”. Così
l’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell
, a margine della
riunione del Collegio dei commissari che ha discusso delle crisi in Iran, Iraq
e Libia. “Non c’è alcun interesse ad aumentare questa spirale di
violenza”.

L’incontro  con i ministri
di Francia, Germania, Italia e Regno Unito “è stata una buona opportunità
per esprimere un forte sostegno al processo di Berlino e sottolineare le nostre
preoccupazioni sulla Libia. Chiediamo uno stop immediato a ulteriori escalation
e alle interferenze esterne negli ultimi giorni”. Così l’Alto
rappresentante Ue Josep Borrell
. “La situazione peggiora di giorno in giorno e la soluzione
è solo politica – ha aggiunto -. Si fermino i combattimenti a Tripoli e serve
una immediata cessazione delle ostilità”. “Abbiamo chiesto un cessate il fuoco ma anche
di fermare l’escalation e le interferenze esterne che sono aumentate negli
ultimi giorni ed è ovvio che si fa riferimento alla decisione turca di
intervenire in Libia che noi rigettiamo e che fa aumentare le nostre
preoccupazione
“, ha detto ancora Borrell al termine del
minivertice a Bruxelles con i ministri degli Esteri di Italia, Francia,
Germania e Regno Unito.

Nel corso della
riunione sulla Libia “abbiamo sottolineato la necessità di evitare azioni
unilaterali come la firma di accordi che aggravano ulteriormente il conflitto,
o azioni che creano un pretesto per interferenze esterne contrarie agli
interessi del popolo libico, nonché agli interessi europei”, hanno
spiegato in una dichiarazione congiunta dell’Alto rappresentante dell’Unione europea
e dei ministri degli affari esteri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito.

In Libia devono “cessare
tutte le interferenze”, ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio
a Bruxelles, prima di volare
in Turchia.

Sono “più di 50
mila” le famiglia ora registrate come “sfollate” a causa degli
scontri attorno a Tripoli. La cifra, in linea con quella di 146 mila persone
diffusa di recente sempre dall’Onu, viene segnala in un tweet dell’Unsmil, la
missione di Supporto delle Nazioni Unite per la Libia. Il tweet dà conto di una
visita a Tripoli di Yacoub el Hillo, vice rappresentante speciale dell’Onu per
la Libia. Il diplomatico sudanese ha incontrato Ahmed Maitig, numero due del
Consiglio presidenziale libico guidato dal premier Fayez al-Sarraj e presidente
dell’Alto comitato nazionale sugli sfollati.

La Libia precipita sempre più
velocemente nel caos e anche se Sirte non appare del tutto sotto il controllo
del generale Khalifa Haftar
, l’uomo forte della Cirenaica ha fatto annunciare una nuova
svolta nel conflitto libico: l’avanzata delle sue milizie verso Misurata, la
potenza militare che è al fianco di Fayez al-Sarraj, il premier assediato in
un’enclave che va restringendosi attorno a Tripoli. Lunedì il portavoce di
Haftar ha dichiarato la presa di Sirte, l’importante città portuale
sull’omonimo golfo e patria del defunto dittatore Muammar Gheddafi. Un’azione
incruenta che fonti dei governativi e alcuni analisti spiegano come una
ritirata strategica dopo che una brigata salafita-madkhalita, la 604, avrebbe
cambiato schieramento, passando dalla parte del generale. E nelle ultime ore il
suo capo di Stato maggiore, Faraj Mahdawi, ha annunciato l’inizio dell’avanzata
verso Misurata, la città 210 km a est di Tripoli detta ‘la Sparta di Libia’ per
la forza delle sue milizie.




Harry e Meghan si sfilano dagli obblighi della famiglia reale

I due rinunciano al loro status per avere più autonomia finanziaria

Harry e Meghan hanno deciso di rinunciare al loro “ruolo senior” di membri della famiglia reale britannica per avere maggiore “autonomia finanziaria” nelle loro attività pubbliche e di beneficenza. Lo rende noto Buckingham Palace confermando le anticipazioni del Sun anche sull’intenzione dei duchi di Sussex di dividere nel prossimo futuro il loro tempo “fra il Regno Unito e il Nord America”. La decisione è stata ufficialmente approvata dalla regina.

«Dopo molti mesi di riflessione e discussioni interne, abbiamo scelto di fare una transizione quest’anno, iniziando a ritagliarsi un nuovo ruolo progressivo all’interno di questa istituzione. Intendiamo fare un passo indietro come membri “senior” della famiglia reale e lavorare per diventare finanziariamente indipendenti, pur continuando a sostenere pienamente Sua Maestà la Regina», scrivono in una nota alla famiglia reale Harry e Meghan. E ancora: «Ora abbiamo in programma di bilanciare il nostro tempo tra il Regno Unito e il Nord America, continuando a onorare il nostro dovere nei confronti della Regina, del Commonwealth e dei nostri mecenati.




Libia, escalation pericolosissima: Erdogan manda le truppe a Tripoli

Tre giorni dopo il voto del parlamento di Ankara, che gli dava carta bianca, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha deciso: i soldati turchi sono già in viaggio verso Tripoli, per fornire aiuto militare al governo del premier Fayez al-Sarraj contro le truppe del generale Khalifa Haftar, che da mesi tenta di conquistare la capitale.

E la Libia accelera a grandi passi verso l’abisso della guerra

Un annuncio, quello di Erdogan, arrivato in serata a sorpresa, quando sembrava che potesse ancora prevalere la carta della diplomazia e che l’annuncio del possibile intervento militare servisse solo come deterrente nei confronti di Haftar. Non è escluso che a pesare nelle valutazioni di Erdogan possa essere stato l’attacco al collegio militare di Hadaba, a sud di Tripoli, un’esplosione – apparentemente provocata da un missile, a giudicare da un video delle telecamere di sicurezza – che sabato sera ha provocato decine di morti e di feriti. Cadetti di polizia, ufficialmente.

Miliziani pro-Sarraj, secondo voci alimentate dagli ambienti legati ad Haftar. In un’incrociarsi di dichiarazioni e smentite, le forze del generale di Bengasi si sono prima attribuite la responsabilità dell’attacco salvo poi negare in un secondo momento un coinvolgimento nel raid, sostenendo che si sia trattato invece di opera dei terroristi di Isis o di Al Qaeda. Dai quali tuttavia non è arrivata alcuna forma di rivendicazione.

Il governo di Sarraj, che ha ricevuto anche una telefonata di condoglianze da Di Maio, ha continuato invece a ritenere che l’autore dell’attacco sia stata l’aviazione del generale Haftar sostenuta dagli Emirati Arabi, tanto che Tripoli ha chiesto anche una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu per discutere delle “atrocità e dei crimini di guerra di Haftar”.

Una situazione, insomma sempre più confusa e pericolosa, per la quale Di Maio parla di “escalation pericolosissima” e che pone ora una serissima ipoteca sulle sorti della missione diplomatica europea che nei prossimi giorni – si era parlato del 7 gennaio come data plausibile ma non confermata – avrebbe dovuto approdare nel Paese nordafricano per tentare di ottenere un cessate il fuoco e la ripresa dei colloqui tra le due fazioni in conflitto.