TERRORISMO, AL-SHABAAB: ATTACCATA BASE UNIONE AFRICANA

Red. Esteri

Ceel Cado – Circa 50 i soldati del Kenyani uccisi in un attacco sferrato dai miliziani somali di al-Shabab legati ad al-Qaeda contro una base di peacekeeper dell'Unione Africana (Ua) a Ceel Cado, nel sudovest della Somalia, a circa 550 chilometri da Mogadiscio. Lo hanno reso noto fonti militari locali all'emittente al-Jazeera, spiegando che i miliziani si sono aperti la strada con un'esplosione provocata da un'autobomba guidata da un kamikaze e poi hanno avuto uno scontro a fuoco con i militari kenyoti.

L'aviazione keniana ha lanciato un raid aereo contro le roccaforti degli al Shabaab nella regione sud-occidentale somala del Gedo, come riferisce Shabelle news. "Abbiamo il controllo della base" Secondo quanto riportato dalla Bbc, Al shabaab ha annunciato di "aver preso il totale controllo" della base e di aver ucciso oltre "60 militari" kenyani. Cifra smentita da una dichiarazione della Difesa del Kenya (kdf).

Un testimone raggiunto telefonicamente dalla Bbc ha detto di aver udito un'esplosione intorno alle 5,30 del mattino, seguito da spari: "La base è nelle mani di al Shabaab. Abbiamo visto auto militari in fiamme e dappertutto soldati morti. Non ci sono vittime civili, la maggior parte delle persone ha lasciato la città". Nato nella seconda metà degli anni duemila, il gruppo al-Shabaab, che in arabo significa 'gioventù, dal febbraio 2012 è affiliato ad al-Qaeda. Deposto dal controllo di Mogadiscio a metà 2011, il feroce gruppo terroristico è insediato in vaste aree rurali somale da cui lancia operazioni di guerriglia e attentati kamikaze, sia in Somalia che in Kenya.

In Italia intanto il Ministero della Difesa ha disposto lo schieramento di 4 aerei Amx presso la base di Trapani Birgi. La decisione, fa sapere lo Stato Maggiore, "è maturata a seguito dei recenti sviluppi nell'area dei paesi del Nord Africa e del conseguente deterioramento delle condizioni di sicurezza".
"Nell'ambito delle predisposizioni tese ad assicurare la sicurezza degli interessi nazionali nell'area del Mediterraneo Centrale – indica lo stato Maggiore – è stata incrementata la capacità di sorveglianza e acquisizione informazioni ridislocando, temporaneamente, 4 velivoli AMX del 51/o Stormo di Istrana (Tv) presso la base di Trapani Birgi in Sicilia". Questa misura, viene indicato, "si va ad inserire tra quelle adottate, in precedenza, dal Governo nell'area mediterranea relative all'operazione 'Mare Sicuro' posta in essere a tutela dei molteplici interessi nazionali e per assicurare coerenti livelli di sicurezza".
 




SOMALIA, TERRORISTI ISLAMICI ATTACCANO BASE MILITARE: 50 MORTI

Red. Esteri

Un'autobomba rivendicata dai terroristi islamici al-Shabaab si è scagliata contro una base dell'Unione Africana a Ceel Cado, nel sud della Somalia e, secondo l'esercito somalo, i jihadisti sono riusciti a penetrare dentro le mura della postazione militare. L'esercito somalo non ha fornito alcun bilancio di vittime, ma -secondo l'emittente panaraba al-Jazira- sono morti almeno 50 soldati keniani. La base militare attaccata dagli estremisti al-Shabaab, legati ad al-Qaeda, e' gestita dalle forze di pace kenyane e si trova a circa 550 chilometri da Mogadiscio, vicino al confine con il Kenya. Nato nella seconda meta' degli anni Duemila, il gruppo al-Shabaab, che in arabo significa 'gioventu', dal febbraio 2012 e' affiliato ad al-Qaeda. Deposto dal controllo di Mogadiscio a meta' 2011, il feroce gruppo terroristico e' insediato in vaste aree rurali somale da cui lancia operazioni di guerriglia e attentati kamikaze, sia in
Somalia che in Kenya




TERRORISTI IN AZIONE A GIACARTA, LA POLIZIA: "VOLEVANO IMITARE GLI ATTENTATI DI PARIGI"

di Angelo Barraco
 
Giacarta – Un gruppo formato da 14 uomini armati ha portato paura e terrore del centro di Giacarta, mettendo in atto attacchi terroristici coordinati. Prima ci sono state sei esplosioni nel raggio di 50 metri nel distretto degli uffici dove si trova anche una sede Onu,m in quella zona ci sono anche Hotel di lusso e ambasciate e ore di sparatoria.  Si contano sette morti, tra cui cinque terroristi, due di essi kamikaze, due civili, uno di essi di olandese funzionario delle Nazioni Unite. Gli attacchi sono iniziati alle ore 12:00 (ora locale) e sono finiti intorno alle 15:20 (ora locale).  La Polizia presidia la città, Joklo Widodo, presidente indonesiano, condanna l’attacco terroristico ma invita la cittadinanza a non aver paura. Le esplosioni sono state diverse, una è avvenuta in una postazione della polizia nei pressi del centro commerciale Sarinah, l’altra esplosione è avvenuta all’esterno del palazzo delle nazioni unite. Un’altra esplosione è avvenuta in un caffè della catena Starbucks, nell’esplosione è rimasto ferito un cliente, i dipendenti sono rimasti illesi. Emerge inoltre che ci sarebbe stata un’esplosione nei pressi del bar all’interno del palazzo Skyline. Intanto la catena Starbucks ha chiuso tutti i locali presenti a Giacarta. E’ stato diramato dall’ambasciata americana a Giacarta, un messaggio di emergenza in cui si consiglia ai cittadini di evitare l’area dell’Hotel Sari Pan Pacific e la piazza Sarinah. Le forze dell’ordine del luogo riferiscono che gli assalitori sono stati neutralizzati e che in un cinema che si trova nello stesso edificio di Starbucks c’è stata la sparatoria. Sono stati arrestati 4 sospettati. L’attentato non è stato ancora rivendicato, ma non si esclude che possa essere stato l’Isis poiché lo scorso dicembre lo Stato Islamico aveva preannunciato un’azione contro l’Indonesia. La Polizia fa sapere: “Hanno voluto imitare le azioni terroristiche di Parigi, è' probabile che siano del gruppo (Stato Islamico)”. 



TRAGEDIA A BELLECOMBE: VALANGA TRAVOLGE STUDENTI NELLE ALPI FRANCESI

Redazione

Francia – Tragedia sulle Alpi francesi dove una una valanga ha travolto un gruppo di una decina di studenti francesi sulla pista di Bellecombe. La gendarmeria parla di almeno un morto e tre feriti gravi. I soccorritori hanno estratto cinque persone gravemente ferite: quattro liceali, tutti trovati in arresto cardiorespiratorio, e il professore, che ha numerose fratture ed è in corso di trasporto all'ospedale di Grenoble, riferisce il quotidiano locale Le Dauphiné Liberé.

La pista di Bellecombe, sulle Alpi francesi, dove è caduta la valanga, "era chiusa": lo ha detto Pierre Balme, il sindaco di Venos, uno dei due comuni della stazione Deux Alpes, nei pressi del sito in cui è caduta la valanga.




MARO': LATORRE RIMARRA' IN ITALIA FINO AL 30 APRILE, LO HA DECISO LA CORTE SUPREMA INDIANA

di Angelo Barraco
 
New Delhi Massimo Latorre rimarrà in Italia fino al 30 aprile, lo ha deciso la Corte Suprema indiana che ha esteso la sua permanenza. Il governatore dello Stato meridionale del Kerala, Oommen Chandy, aveva riferito: “Chiederemo oggi al primo ministro Narendra Modi di far tornare in India il fuciliere di Marina Massimiliano Latorre nei tempi previsti dalla sua licenza”. Chandy aveva sottolineato che Modi deve intervenire in modo deciso e che “I marò italiani  hanno commesso un crimine in territorio indiano e quindi devono rispondere alle leggi indiane. Oggi stesso il Kerala chiederà al premier Modi di riportare il militare italiano in India”.Lo scorso agosto i procedimenti per i due Marò erano stati sospesi a seguito di un’ordinanza del Tribunale per la legge del mare di Amburgo e la loro situazione/posizione era stata congelata. Girone era rimasto in libertà provvisoria con l’obbligo di restare a Delhi e Latorre in convalescenza in Italia dopo l’ictus, in attesa di un nuovo ordine. Le posizioni sul ritorno si Latorre in India sono contrastanti; il presidente della Commissione Difesa del Senato Nicola Latorre (nessuna parentela), ritiene che il fuciliere non deve tornare in India. Non è però la posizione del governo italiano, il quale ritiene che il congelamento della situazione porta ad un allungamento della situazione attuale e fino a quando il collegio arbitrale non deciderà dove tenere il processo, Latorre rimarrà in Italia. Intanto venerdì 15 gennaio scade il permesso che Delhi ha concesso a Latorre e la politica italiana alza la voce: “E' inaccettabile e improponibile anche solo ipotizzare che Latorre possa tornare in India”, riferisce il capogruppo di Forza Italia. Per Salvatore Girone invece il governo italiano ha avanzato, nelle scorse settimane, la richiesta di “misure urgenti” per il rientro in Italia per tutta la durata della procedura. 
 
La vicenda. La storia di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ha inizio il 15 febbraio 2012, quando due pescatori indiani, Valentie Jalstine e Ajesh Binki vengono uccisi da colpi di arma da fuoco, a bordo della loro barca, a largo delle coste del Kerala. I principali accusati per la loro morte sono Massimiliano Latorre e Salvatore Girone che prestavano servizio anti pirateria sulla petroliera Enrica Lexie. I due Marò sostengono di aver sparato in aria come avvertimento. Il fatto sarebbe avvenuto in acque internazionali a sud dell’India. Il 19 febbraio 2012 ai due marò scatta il fermo, per il governo indiano non vi è dubbio alcuno che, trattandosi di un peschereccio indiano e di due vittime indiane, si debba attuare la legge territoriale. Per l’ambasciatore Giacomo Sanfelice, l’episodio era avvenuto su una nave battente bandiera italiana, oltretutto l’episodio era avvenuto in acque internazionali. Il 20 febbraio 2012 il villaggio di Kollam, nel cuore dell’India del Kerala, diventa un’area piena di una folla inferocita e di militanti politici che inveiscono contro i Marò che giungono in quel villaggio per l’avvio del procedimento giudiziario. I militanti politici gridano “Italiani mascalzoni, dateci i colpevoli, giustizia per i nostri pescatori, massima pena per i marines”. Il 24 marzo 2012, la Corte del Kerala afferma che l’atto compiuto dai Marò “E’ stato un atto di terrorismo”, e tale affermazione accende la tensione tra Italia ed India. Il 10 aprile 2012, dall’India arriva la notizia che la perizia balistica andrebbe a sfavore di Latorre e Girone. Un responsabile del laboratorio di Trivandrum conferma che i proiettili sono compatibili con i mitragliatori usati da Latorre e Girone. Il 5 maggio 2012, dopo 80 giorni di sosta forzata presso il porto di Kochi, nel sud dell’India, la petroliera Enrica Lexie salpa dopo aver ottenuto i permessi. La nave fa rotta sullo Sri Lanka e con essa vi sono 24 uomini di equipaggio e 4 militari dell’unità antipirateria, non partono ovviamente Latorre e Girone. Il 13 maggio 2012 anche il sottosegretario agli esteri, Staffan De Mistura torna in India per proseguire l’azione per il rilascio dei Marò e afferma il suo essere ottimista e che non vi è alternativa al rilascio. Il 25 maggio 2012, dopo aver passato 3 mesi nel carcere indiano di Trivandrum, Latorre e Girone vengono trasferiti in una struttura a Kochi e viene loro concessa la libertà su cauzione e il divieto di lasciare la città. Il 20 dicembre 2012 la loro richiesta di poter avere un permesso speciale e poter trascorrere le festività natalizie in Italia viene accolta, con l’obbligo di tornare in India entro in 10 gennaio. Latorre e Girone atterrano il 22 dicembre a Roma e ripartono il 3 gennaio. Il 18 gennaio 2013 la Corte Suprema indiana stabilisce che il governo del Kerala non ha giurisdizione sul caso e chiede che il processo venga affidato ad un tribunale speciale da costituire a New Delhi. Il 22 febbraio 2013 la Corte Suprema indiana concede ai due Marò il rientro in Italia, per quattro settimane, per votare. Il 9 marzo 2013 il governo indiano avvia a New Delhi le procedure per la costituzione del tribunale speciale. L’11 marzo 2013 l’Italia decide che i due Marò non rientreranno in India perché New Delhi ha violato il diritto internazionale. Roma si dice disponibile a giungere ad un accordo. Il 12 Marzo 2013, New Delhi convoca l’ambasciatore italiano Daniele Mancini, esigendo il rispetto delle leggi. Il giorno successivo, 13 marzo, il premier indiano Manmohan Singh minaccia seri provvedimenti e vi sono anche le dimissioni dell’avvocato Marò in India, Haris Salve. Il 14 marzo 2013 la Corte Suprema indiana ordina all’ambasciatore italiano Mancini di non lasciare l’India. Vi è anche un intervento di Napoletano che propone una soluzione basata sul diritto internazionale. Tre giorni dopo la Corte Suprema indiana decide di non riconoscere l’immunità diplomatica di Mancini, la reazione che ha l’Italia è quella di accusare l’India di Evidente violazione della convenzione di Vienna. Il 20 marzo 2013, la procura militare di Roma sentirà i due Marò e riferisce che sono indagati per “Violata consegna aggravata”. Il 21 marzo 2013 è un giorno in cui tutto si capovolge, Palazzo Chigi annuncia che i due Marò torneranno in India, precisando che in cambia è stata ottenuta un’assicurazione scritta sul trattamento e la tutela dei diritti dei due militari, viene precisato anche che l’India ha garantito che non ci sarà la pena di morte. Il 22 marzo 2013 i due Marò rientrano in India e si trasferiscono all’ambasciata italiana a Delhi. Il ministro degli esteri indiano Salman Kurshid dichiara che il processo in India che vede imputati i due Marò non prevede la pena di morte. Il 25 marzo 2013 è costituito il tribunare per giudicare i due militari, a New Delhi. Il tribunale ha potere di imporre pene solo fino a 7 anni di carcere. L’11 novembre 2013, durante le indagini vengono ascoltati altri 4 militari che si trovavano a bordo della Enrica Lexie. C’è una perizia della marina secondo cui gli spari arriverebbero dalle loro armi e non dalle armi di Latorre e Girone. Il 28 marzo 2014 vi è una nuova svolta sul caso, la Corte Suprema indiana accoglie il ricorso presentato dai due fucilieri. I giudici hanno sospeso il processo a carico dei Marò presso il tribunale speciale. Il 12 settembre 2014 i giudici indiani danno a Latorre il via libera per un rientro di 4 mesi in Italia per problemi di salute. Il 16 dicembre 2014 la Corte Suprema indiana ha negato le istanze di Latorre e Girone. Latorre chiedeva un’estensione del suo permesso in Italia. Girone chiedeva invece di poter trascorrere le festività in Italia.



MARO': IL PERMESSO DI LATORRE STA PER SCADERE, POSIZIONI CONTRASTANTI DELLA POLITICA

di Angelo Barraco
 
New Delhi – Novità sul caso Marò, il governatore dello Stato meridionale del Kerala, Oommen Chandy dice a gran voce: “Chiederemo oggi al primo ministro Narendra Modi di far tornare in India il fuciliere di Marina Massimiliano Latorre nei tempi previsti dalla sua licenza”. Interpellato in merito alle dichiarazioni del presidente della Commissione Difesa del Senato Nicola Latorre, Chandy ha precisato che Modi “deve intervenire in modo deciso. I marò italiani hanno commesso un crimine in territorio indiano e quindi devono rispondere alle leggi indiane”. Mercoledì si terrà a New Delhi una riunione della Corte Suprema per fare il punto della situazione. Lo scorso agosto i procedimenti per i due Marò erano stati sospesi a seguito di un’ordinanza del Tribunale per la legge del mare di Amburgo e la loro situazione/posizione era stata congelata. Girone era rimasto in libertà provvisoria con l’obbligo di restare a Delhi e Latorre in convalescenza in Italia dopo l’ictus, in attesa di un nuovo ordine. Le posizioni sul ritorno si Latorre in India sono contrastanti; il presidente della Commissione Difesa del Senato Nicola Latorre (nessuna parentela), ritiene che il fuciliere non deve tornare in India. Non è però la posizione del governo italiano, il quale ritiene che il congelamento della situazione porta ad un allungamento della situazione attuale e fino a quando il collegio arbitrale non deciderà dove tenere il processo, Latorre rimarrà in Italia. Intanto venerdì 15 gennaio scade il permesso che Delhi ha concesso a Latorre e la politica italiana alza la voce: “E' inaccettabile e improponibile anche solo ipotizzare che Latorre possa tornare in India”, riferisce il capogruppo di Forza Italia. Per Salvatore Girone invece il governo italiano ha avanzato, nelle scorse settimane, la richiesta di “misure urgenti” per il rientro in Italia per tutta la durata della procedura. 
 
La vicenda. La storia di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ha inizio il 15 febbraio 2012, quando due pescatori indiani, Valentie Jalstine e Ajesh Binki vengono uccisi da colpi di arma da fuoco, a bordo della loro barca, a largo delle coste del Kerala. I principali accusati per la loro morte sono Massimiliano Latorre e Salvatore Girone che prestavano servizio anti pirateria sulla petroliera Enrica Lexie. I due Marò sostengono di aver sparato in aria come avvertimento. Il fatto sarebbe avvenuto in acque internazionali a sud dell’India. Il 19 febbraio 2012 ai due marò scatta il fermo, per il governo indiano non vi è dubbio alcuno che, trattandosi di un peschereccio indiano e di due vittime indiane, si debba attuare la legge territoriale. Per l’ambasciatore Giacomo Sanfelice, l’episodio era avvenuto su una nave battente bandiera italiana, oltretutto l’episodio era avvenuto in acque internazionali. Il 20 febbraio 2012 il villaggio di Kollam, nel cuore dell’India del Kerala, diventa un’area piena di una folla inferocita e di militanti politici che inveiscono contro i Marò che giungono in quel villaggio per l’avvio del procedimento giudiziario. I militanti politici gridano “Italiani mascalzoni, dateci i colpevoli, giustizia per i nostri pescatori, massima pena per i marines”. Il 24 marzo 2012, la Corte del Kerala afferma che l’atto compiuto dai Marò “E’ stato un atto di terrorismo”, e tale affermazione accende la tensione tra Italia ed India. Il 10 aprile 2012, dall’India arriva la notizia che la perizia balistica andrebbe a sfavore di Latorre e Girone. Un responsabile del laboratorio di Trivandrum conferma che i proiettili sono compatibili con i mitragliatori usati da Latorre e Girone. Il 5 maggio 2012, dopo 80 giorni di sosta forzata presso il porto di Kochi, nel sud dell’India, la petroliera Enrica Lexie salpa dopo aver ottenuto i permessi. La nave fa rotta sullo Sri Lanka e con essa vi sono 24 uomini di equipaggio e 4 militari dell’unità antipirateria, non partono ovviamente Latorre e Girone. Il 13 maggio 2012 anche il sottosegretario agli esteri, Staffan De Mistura torna in India per proseguire l’azione per il rilascio dei Marò e afferma il suo essere ottimista e che non vi è alternativa al rilascio. Il 25 maggio 2012, dopo aver passato 3 mesi nel carcere indiano di Trivandrum, Latorre e Girone vengono trasferiti in una struttura a Kochi e viene loro concessa la libertà su cauzione e il divieto di lasciare la città. Il 20 dicembre 2012 la loro richiesta di poter avere un permesso speciale e poter trascorrere le festività natalizie in Italia viene accolta, con l’obbligo di tornare in India entro in 10 gennaio. Latorre e Girone atterrano il 22 dicembre a Roma e ripartono il 3 gennaio. Il 18 gennaio 2013 la Corte Suprema indiana stabilisce che il governo del Kerala non ha giurisdizione sul caso e chiede che il processo venga affidato ad un tribunale speciale da costituire a New Delhi. Il 22 febbraio 2013 la Corte Suprema indiana concede ai due Marò il rientro in Italia, per quattro settimane, per votare. Il 9 marzo 2013 il governo indiano avvia a New Delhi le procedure per la costituzione del tribunale speciale. L’11 marzo 2013 l’Italia decide che i due Marò non rientreranno in India perché New Delhi ha violato il diritto internazionale. Roma si dice disponibile a giungere ad un accordo. Il 12 Marzo 2013, New Delhi convoca l’ambasciatore italiano Daniele Mancini, esigendo il rispetto delle leggi. Il giorno successivo, 13 marzo, il premier indiano Manmohan Singh minaccia seri provvedimenti e vi sono anche le dimissioni dell’avvocato Marò in India, Haris Salve. Il 14 marzo 2013 la Corte Suprema indiana ordina all’ambasciatore italiano Mancini di non lasciare l’India. Vi è anche un intervento di Napoletano che propone una soluzione basata sul diritto internazionale. Tre giorni dopo la Corte Suprema indiana decide di non riconoscere l’immunità diplomatica di Mancini, la reazione che ha l’Italia è quella di accusare l’India di Evidente violazione della convenzione di Vienna. Il 20 marzo 2013, la procura militare di Roma sentirà i due Marò e riferisce che sono indagati per “Violata consegna aggravata”. Il 21 marzo 2013 è un giorno in cui tutto si capovolge, Palazzo Chigi annuncia che i due Marò torneranno in India, precisando che in cambia è stata ottenuta un’assicurazione scritta sul trattamento e la tutela dei diritti dei due militari, viene precisato anche che l’India ha garantito che non ci sarà la pena di morte. Il 22 marzo 2013 i due Marò rientrano in India e si trasferiscono all’ambasciata italiana a Delhi. Il ministro degli esteri indiano Salman Kurshid dichiara che il processo in India che vede imputati i due Marò non prevede la pena di morte. Il 25 marzo 2013 è costituito il tribunare per giudicare i due militari, a New Delhi. Il tribunale ha potere di imporre pene solo fino a 7 anni di carcere. L’11 novembre 2013, durante le indagini vengono ascoltati altri 4 militari che si trovavano a bordo della Enrica Lexie. C’è una perizia della marina secondo cui gli spari arriverebbero dalle loro armi e non dalle armi di Latorre e Girone. Il 28 marzo 2014 vi è una nuova svolta sul caso, la Corte Suprema indiana accoglie il ricorso presentato dai due fucilieri. I giudici hanno sospeso il processo a carico dei Marò presso il tribunale speciale. Il 12 settembre 2014 i giudici indiani danno a Latorre il via libera per un rientro di 4 mesi in Italia per problemi di salute. Il 16 dicembre 2014 la Corte Suprema indiana ha negato le istanze di Latorre e Girone. Latorre chiedeva un’estensione del suo permesso in Italia. Girone chiedeva invece di poter trascorrere le festività in Italia.



LA TURCHIA TREMA, KAMIKAZE DELL'ISIS SI FA ESPLODERE FRA I TURISTI A ISTANBUL: MORTI E FERITI

Redazione Esteri

Istanbul -E' dell'Isis il kamikaze, un siriano di 28 anni, che si è fatto esplodere a Istanbul tra la folla di turisti, uccidendo almeno 10 persone, tutti stranieri, e ferendone altre 15. Almeno 9 vittime sono cittadini tedeschi. E' accaduto nel quartiere turistico di Sultanahmet, una zona molto frequentata in quanto ospita le maggiori attrazioni turistiche della città.  Tra i turisti stranieri anche i 15 feriti. Tra loro almeno sei tedeschi, un norvegese e un peruviano. Seul ha inoltre reso noto che tra loro c'e' anche un sudcoreano, rimasto lievemente ferito nell'esplosione.

Si tratta della la zona più turistica della metropoli turca, perché ospita, tra le altre attrazioni, il complesso della Moschea Blu e la basilica di Hagia Sofia. Secondo quanto riferito dall'agenzia Dogan, l'esplosione è avvenuta alla fermata del tram Dikilitas, sotto l'obelisco di Teodosio. Il governo turco sospetta che l'esplosione sia un atto di terrorismo. L'Unità di crisi della Farnesina si è immediatamente attivata ed è in costante contatto con il consolato generale di Italia a Istanbul per verificare l'eventuale coinvolgimento di italiani

L'esplosione avvenuta stamani nel cuore di Istanbul, a Sultanahmet, vicino alla Moschea Blu e a Santa Sofia, arriva dopo i due sanguinosi attacchi sferrati in Turchia dallo scorso luglio, rivendicati dall'Is ma per i quali le autorità turche hanno a lungo puntato anche il dito contro i ribelli curdi. La natura dell'esplosione che a
Istanbul ha fatto almeno 10 morti e 15 feriti non è stata ancora accertata, ma alcune fonti parlano di un attacco messo a segno da un attentatore suicida. Il 10 ottobre scorso, durante una manifestazione per la pace ad Ankara, in un attacco sferrato da due kamikaze più di cento persone restano uccise e 245 ferite. L'attentato terroristico, il più grave nella storia della Turchia moderna, è stato messo a segno vicino alla stazione centrale poco prima dell'inizio della manifestazione organizzata da sindacati e ong, a cui partecipavano diversi partiti d'opposizione, primo tra tutti il curdo Hdp. Tre mesi prima, il 20 luglio, un attentatore suicida si è fatto saltare in aria a Suruc, cittadina turca sul confine con la Siria, uccidendo almeno 30 giovani attivisti che volevano superare il confine per contribuire alla ricostruzione di Kobane.




YEMEN: L’ALTRO FOCOLARE DEL CONFLITTO GLOBALE

di Domenico Leccese

Sana’a – Lo scrive la rivista russa di geopolitica Katehon, commentando che l'episodio "è il più significativo segnale dell' escalation delle tensioni tra Iran e Arabia Saudita". Altri segni di tensione tra i due paesi e i loro alleati, segnala Katehon , sono emersi anche nella giornata di ieri.
L'Iran aveva infatti annunciato che avrebbe vietato l'importazione di merci saudite normalmente in vendita nel paese. Nel frattempo il Qatar e Gibuti si sono uniti nelle proteste diplomatiche contro l'Iran in solidarietà con l'Arabia Saudita. Gibuti ha annunciato che romperà ogni rapporto diplomatico con Teheran, mentre il Qatar ha ritirato il suo ambasciatore dall'Iran.

Anche i mercenari colombiani nella sporca guerra in Yemen
I mercenari esistono da quando si combattono guerre. Sono persone che fanno le guerre per soldi, non per dovere di cittadinanza, per patriottismo o amore di bandiera. In tempi più recenti, con la guerra in Iraq, abbiamo imparato a chiamarli contractors, ma la sostanza non cambia.

Incuriosisce che, in Yemen, i mercenari siano sudamericani. Oltre ai colombiani ci sarebbero panamensi, salvadoregni e cileni. Un ulteriore elemento di confusione in uno scenario dove già si combattono eserciti governativi, tribù armate e gruppi terroristici.I mercenari colombiani sono stati reclutati dagli Emirati Arabi e sarebbero stati scelti per la loro esperienza nel contrastare sia la guerriglia armata delle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) che il narcotraffico. Gli Emirati utilizzerebbero già dal 2010 i colombiani, ma in genere per operazioni di controllo e di sicurezza (ad esempio degli oleodotti), ma non per il combattimento. Però i tempi lunghi e l'inasprimento del conflitto in corso in Yemen avrebbero reso necessario il loro impiego anche in guerra. Con il rischio di perdite, come sarebbe avvenuto (il condizionale è d'obbligo, vista la mancanza di conferme ufficiali) a dicembre in due diversi episodi che avrebbero provocato la morte di 14 colombiani.

Non è la prima volta che soldati sudamericani vengono reclutati per combattere su altri fronti. Fra il 2004 il 2006 la società Blackwater (la compagnia militare privata responsabile di non pochi abusi in Iraq) avrebbe avuto al suo servizio in Iraq 1.500 colombiani, 1.000 peruviani, 500 cileni e 250 salvadoregni.
Il coinvolgimento dei professionisti colombiani della guerra nel conflitto in Yemen coincide proprio nel momento in cui in Colombia avanza con successo il processo di pace fra il governo e il guerriglieri delle Farc. Evidentemente non se la sentivano proprio di restare disoccupati.
La pace lascia sempre qualche scontento.

L'Arabia Saudita è scatenata su tutti i fronti. Il 2 gennaio, nello stesso giorno in cui la lama della scimitarra faceva cadere la testa di 47 condannati a morte, la coalizione a guida saudita impegnata in Yemen contro i ribelli Houthi (sciiti) dichiarava la fine del cessate il fuoco in vigore dal 15 dicembre scorso per favorire l'inizio delle trattative tra le parti in Svizzera. Secondo i sauditi, la tregua è stata interrotta a causa degli attacchi che gli Houti avrebbero compiuto nei confronti dell'Arabia Saudita nelle ultime settimane.

Così è ripresa una guerra feroce, sanguinaria e invisibile.
Cominciata nel marzo del 2015, la guerra in Yemen, secondo l'Onu, ha provocato 2.795 morti morti e 5.234 feriti, con una serie infinita di crimini di guerra e violazioni dei diritti umani. Inoltre il conflitto ha determinato una catastrofe umanitaria in un Paese già piegato dalla povertà. Secondo l'ufficio delle Nazioni Uniti per il coordinamento dell'azione umanitaria oltre 21 milioni di yemeniti (su una popolazione totale di 26 milioni) hanno bisogno di auto umanitario. Metà della popolazione non ha accesso all'acqua potabile e oltre un terzo degli yemeniti non ha cibo a sufficienza.
Contro gli Houthi (che godono del sostegno dell'Iran), l'Arabia Saudita ha preso al guida di una coalizione formata da vari paesi del Golfo (Emirati Arabi, Bahrain, Kuwait, Qatar) e in più Egitto, Giordania, Marocco, Senegal e Sudan. All'elenco vanno aggiunti anche centinaia di mercenari arrivati in gran parte dalla Colombia.

La situazione in medio oriente come sappiamo peggiora giorno dopo giorno e tantissimi sono i territori devastati da questa guerra senza fine.
Tra questi di recente si è aggiunto anche un piccolo Stato all’estremo sud della penisola araba, lo Yemen. A dispetto di quanto in tanti possano ritenere questo piccolo territorio ha un potenziale enorme grazie ad un terreno molto fertile e ricco di acque e soprattutto grazie ad una posizione strategica tra le migliori di tutta la penisola araba. Esso infatti rappresenta, grazie al piccolo golfo di Aden, un canale di collegamento molto semplice e alla mano per l’Asia e per portare risorse alla vicinissima Africa, in particolare in Egitto. A causa di questa sua posizione piuttosto importante, il territorio è stato oggetto di dominazioni nel corso dei secoli fin dall’antichità.
Tra il 19esimo e il 20esimo secolo fu sotto dominazione britannica, finchè nel 1967 delle rivolte popolari portarono all’affermazione di un regime popolare. La stabilità però, per tali stati di matrice araba è cosa sconosciuta, e così in tutti questi anni si sono succeduti una serie di sovrani assolutisti nonostante vari tentativi di finta democrazia con l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica.

La situazione attuale nello Yemen è degenerata al seguito delle continue rivolte  della maggioranza zaydita Huthi che hanno portato nel Gennaio dello scorso anno alle dimissioni del Governo sunnita di Hadi, successore di Alì Abd Allah Saleh, sovrano dal 1994. I motivi del conflitto odierno sono ben chiari: il Governo di matrice sunnita ha sempre sostenuto i legami con l‘Arabia Saudita e persino l’interventismo americano in Iraq, mentre gli zayditi no. Il movimento zaydita chiamato Huthi è giunto negli anni a conquistare la parte meridionale del territorio yemenita fino quasi a giungere alla splendida Capitale di San’a, oggi nucleo principale del conflitto tra le fazioni islamiche e oggetto di bombordamento da parte dell’Arabia Saudita. Le guerre in medio oriente come sappiamo non si riducono mai a semplici guerriglie civili ma coinvolgono l’intero scenario geopolitico mondiale.
Infatti, al fianco dei rivoltosi del movimento Huthi c’è chiaramente l’Iran e persino la Russia.

Si prospetta quindi un nuovo scenario di conflitto globale in un territorio che, guarda caso, ha una grande rilevanza a livello strategico e di risorse naturali. Si attende la prossima mossa degli USA.
 




COLONIA, DONNE VIOLENTATE A CAPODANNO: SOSPESO IL CAPO DELLA POLIZIA

di Angelo Barraco
 
Colonia – La notte di Capodanno rappresenta dell’immaginario collettivo la rottura tra l’anno appena trascorso e l’ingresso del nuovo anno. Solitamente è una notte di festa, di unione e di gioia, ma ciò che è successo a Colonia la notte di Capodanno ha scosso il mondo. Nella bellissima area del Duomo tantissime donne sono state derubate, minacciate, violentate e molestate sessualmente. In seguito a questi terribili episodi, si è scatenata una bufera mediatica contro la gestione della sicurezza e si apprende che il capo della Polizia di Colonia. Wolfgang Anders, è stato sospeso dal servizio malgrado avesse riferito più volte di non sentirsi responsabile di quanto accaduto e la minimizzazione delle violenza da parte della Polizia tedesca non è andata a buon fine poiché i fatti oggettivi hanno fatto emergere un’altra realtà. Ad oggi le denunce fatte per la notte di Capodanno sono a duecento e sono state fatte da donne, a riferire tale dettaglio è Spiegel on line che precisa: “molte di queste denunce sono motivate dalle molestie sessuali, soltanto la polizia di Colonia ne ha registrate 170, 3/4 delle quali sono relative ad attacchi sessuali”. Le forze dell’ordine hanno identificato 31 persone, tra essi 18 richiedenti asilo. Tutti i soggetti in questione sono collegati agli episodi di furto e lesioni ma si apprende che nessuno di essi è collegato ad episodi di violenza sessuale. Emerge inoltre che sono stati fermati due ragazzi di 16 e 23 anni e si indaga su 19 sospetti. Il Capodanno a Kalmar, in Svezia, è stato altrettanto poco entusiasmante poiché ben 15 donne hanno sporto denuncia per molestie. La polizia sta cercando i responsabili. Sui fatti avvenuti al Duomo la Merkel prende parola ritenendoli “atti ripugnanti e criminali assolutamente inaccettabili per la Germania”. La cancelliera vuole la verità su quanto accaduto, senza sconti ed edulcorazioni. La Slovacchia intanto vuole chiudere le frontiere ai profughi musulmani, e le denunce aumentano poiché ad Amburgo sono stati compiuti la sera di capodanno circa 70  aggressioni sessuali ai danni di donne, le segnalazioni arrivano pure da Salisburgo, ma non si ferma qui l’ondata di denunce poiché anche a Stoccarda ci sono stati episodi di violenza. In un dossier della Polizia sui fatti di Colonia si legge: “Donne con accompagnamento o senza, camminavano nel fuoco di fila di una massa di uomini alcolizzati, in un modo che non si può descrivere”, si parla anche della cittadinanza dei molestatori: “nordafricani o di origine araba”. Intanto il premier slovacco Fico ha riferito che Bratislava non accoglierà più rifugiati musulmani: “Non vogliamo che in Slovacchia accada quello che è successo in Germania”. Anche la Polonia segue la stessa linea. 



TERRORE IN EGITTO, ASSALTO A UN RESORT A HURGHADA SUL MAR ROSSO

Redazione Esteri

L'Isis che terrorizza ancora l'Egitto con uomini armati venuti dal mare con tanto di bandiere isis. Tre uomini armati hanno assaltato un resort a Hurghada, sulla costa egiziana del Mar Rosso, il Bella Vista. I tre attentatori sono stati uccisi. Tra le vittime ci sarebbero due feriti, forse due europei. Secondo l'Associated Presso sono un danese e un tedesco. Il sito egiziano el Doustour e la Bbc in arabo citano "testimoni" secondo i quali gli assalitori urlavano "Allahu akbar" e portavano la bandiera nera dell'Isis.

Gli assalitori, che avrebbero sparato all'ingresso del resort, sono arrivati via mare, secondo Al Arabiya. Uno di loro aveva una cintura esplosiva, distrutta dalle forze di sicurezza.

L'Unità di Crisi della Farnesina si è comunque immediatamente attivata dopo le prime notizie dell'assalto ed in serata era in contatto con l'ambasciata italiana al Cairo per verificare l'eventuale presenza di connazionali. Il turismo egiziano – la cui immagine il governo Sisi sta disperatamente cercando di tutelare dopo l'abbattimento a ottobre del jet russo – torna dunque ad essere al centro di notizie allarmanti. Proprio stamattina il network di propaganda dell'Isis Amaq News aveva rivendicato gli spari di ieri contro un bus di turisti israeliani nei pressi delle Piramidi a Giza. E la 'Provincia del Sinai' dello Stato islamico rivendica la paternità del sabotaggio, ieri in tarda serata nel Nord del Sinai, del gasdotto verso la Giordania.

 




COREA DEL NORD, BOMBA ATOMICA: GLI USA MINACCIANO RIPERCUSSIONI

di Angelo Barraco
Corea  – Gli USA di Barack Obama non hanno accettato la messa in atto di un test nucleare da parte della Corea del nord, proprio in merito al test, dal Pentagono dicono che è stata una “Provocazione inaccettabile e irresponsabile” ed in seguito ad un colloquio tra il segretario della difesa Usa Ash Carter e il collega Sudcoreano Han Min-koo, hanno concordato che tali provocazioni avranno conseguenze. Dalla Casa Bianca si attendono valutazioni indipendenti sul test, ma l’esperimento coreano è ritenuta una violazione delle norme internazionali e a dirlo e Josh Earnest, il portavoce della Casa Bianca. Obama che dice? Il Presidente ha chiamato Park Geun-Hye, presidente della Corea del Sud e Shinzo Abe, premier giapponese. A costoro ha affermato che gli Usa si impegneranno per la loro sicurezza e ha sottolineato inoltre la necessità di una “risposta internazionale forte e unitaria al comportamento incosciente della Corea del Nord”. La condanna al test arriva anche da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e ha dichiarato che inizierà a lavorare su misure restrittive. Dal fronte coreano arriva la risposta in merito al test e alle accuse e a parlare è il governo di Pyongyang, dove in un comunicato scrivono: “La Corea del nord è uno Stato responsabile, non saremo mai noi i primi ad utilizzare armi nucleari né a trasferire tecnologie”. Il test condotto dalla Corea del Nord mediante bomba all’idrogeno ha provocato un sisma di magnitudo 5.1 a 49 km a nord di Kilju, un’area della nord corea dove vengono eseguiti i test nucleari. Il segretario Onu Ban Ki-moon ha chiesto alla Corea di “cessare qualsiasi attività nucleare” e rivolgendosi alla stampa ha condannato la messa in atto del test nucleare. Maggiori dettagli sul test e sull’uso e/o eventuale uso di tale bomba sono stati dati da una giornalista che durante una trasmissione ha spiegato che ciò che è stato fatto esplodere è in realtà una bomba all’idrogeno miniaturizzata e ha portato il paese ad una crescita a livello di potenza nucleare e lo ha fornito di armi per difendersi contro gli Stati Uniti e altri nemici. Il ministro degli Esteri britannico Philip Hammond scrive su twitter: “Se le notizie sono vere allora si tratta di una grave violazione delle risoluzioni dell’Onu e una provocazione che condanniamo senza riserve”, anche Francois Hollande definisce il test una “violazione inaccettabile delle risoluzioni dell’Onu” chiedendo una “reazione forte della comunità internazionale”.
La Corea del Nord ha reso noto di aver condotto con successo un test con una bomba nucleare all’idrogeno. Corea del Nord: testata una bomba H.- Seul: è solo un’atomica.

L’annuncio della speaker della tv coreana krt
Una speaker sulla tv nordcoreana ha detto che Pyongyang ha testato una bomba all’idrogeno miniaturizzata, elevando la potenza nucleare del paese al livello successivo e fornendolo di un’arma per difendersi contro gli Stati Uniti e gli altri suoi nemici. La dichiarazione afferma che il test è stato un perfetto successo. La bomba all’idrogeno è molto più potente di quelle nucleari tradizionali all’uranio e molto più difficile da realizzare. Il test, se confermato da esperti stranieri, sarà un forte incentivo per nuove sanzioni contro la Corea del Nord da parte dell’Onu e peggiorerà le già cattive relazioni del paese con i suoi vicini. Pyongyang ha già alcune rudimentali bombe nucleari. Nel 2012 ha detto di aver mandato nello spazio un satellite con un missile pluristadio. Secondo gli esperti, questo missile potrebbe essere utilizzato anche per il trasporto a lungo raggio di testate nucleari.Dopo l’annuncio  della Corea del Nord è stato convocato per oggi il Consiglio di sicurezza dell’Onu a porte chiuse.  Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu valuterà la possibilità di nuove misure restrittive contro la Corea del Nord Corea. Lo ha affermato l’ambasciatore britannico al Palazzo di Vetro, Matthew Rycroft. Lavoreremo a una risoluzione che disponga ulteriori sanzioni, ha precisato.

Se le notizie sono vere allora si tratta di una grave violazione delle risoluzioni dell’Onu e una provocazione che condanniamo senza riserve. Così il ministro degli Esteri britannico Philip Hammond su Twitter.
Condanna del test nucleare di Pyongyang anche da parte della Francia. Il presidente francese Francois Hollande lo definisce : una violazione inaccettabile delle risoluzioni dell’Onu e chiede una reazione forte della comunità internazionale.Rilevato un sisma di magnitudo 5.1. Le autorità sudcoreane e il Servizio geologico americano poco prima avevano rilevato un sisma di magnitudo 5.1 a 49 km a nord di Kilju, l’area dei test nucleari nordcoreani. Secondo Seul il sisma era di origine artificiale.
La bomba potrebbe essere atomica e non all’idrogeno. Lo sostengono gli 007 di Seul che hanno informato le autorità sudcoreane.

Condanna dell’Onu: lavoriamo a nuove sanzioni Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu condanna il nuovo test nucleare della Nord Corea, che rappresenta una chiara violazione delle sue risoluzioni e annuncia che inizierà a lavorare immediatamente su ulteriori misure restrittive con una nuova risoluzione. (La Corea del nord è uno Stato responsabile, non saremo mai noi i primi ad utilizzare armi nucleari né a trasferire tecnologie) lo afferma il governo di Pyongyang in un comunicato diffuso dalla missione della Nord Corea all’Onu, dopo l’annuncio di un nuovo test nucleare.

Usa: provocazione inaccettabile Il presidente americano, Barack Obama, ha chiamato il presidente della Corea del Sud, Park Geun-Hye, e il premier giapponese, Shinzo Abe, riaffermando l’irremovibile impegno degli Usa per la sicurezza dei due Paesi e sottolineando la necessità di una risposta internazionale forte e unitaria al comportamento incosciente della Corea del Nord.

Una provocazione inaccettabile e irresponsabile
La Casa Bianca ritiene che sia necessario attendere valutazioni indipendenti sull’ultimo test nucleare annunciato dalla Corea del Nord ma lo ritiene una provocazione e una violazione delle norme internazionali: lo ha detto il portavoce, Josh Earnest.Così il Pentagono sull’ultimo test nucleare nordcoreano dopo un colloquio tra il segretario alla difesa Usa Ash Carter e il suo collega sudcoreano Han Min-koo. I due hanno concordato che le provocazioni della Corea del Nord avranno conseguenze, secondo il portavoce del Pentagono Cook.

Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, sudcoreano, ha chiesto alla Corea del Nord di cessare qualsiasi ulteriore attività nucleare. Parlando ai giornalisti, Ban ha condannato inequivocabilmente il nuovo test nucleare di Pyongyang chiedendo al Paese di rispettare i suoi obblighi sulla denuclearizzazione.