Libano, visita del Cardinale Parolin alle strutture umanitarie dell’Ordine di Malta
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Uk, svolta a sinistra: Starmer chiede unità
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Il leader del Partito Laburista, Keir Starmer, è diventato primo ministro e ha esortato il Paese a unirsi a un “governo di servizio”. Nel suo discorso inaugurale, Starmer ha sottolineato l’importanza di superare le divisioni politiche e sociali per affrontare le sfide che il Regno Unito deve affrontare. Ha evidenziato la necessità di collaborazione tra partiti politici, settori economici e comunità per costruire un futuro più prospero e giusto per tutti i cittadini.
Starmer ha delineato le priorità del suo governo, che includono il rafforzamento del sistema sanitario nazionale, la promozione dell’istruzione e della formazione, la lotta al cambiamento climatico, e il miglioramento delle condizioni di lavoro e dei diritti dei lavoratori. Ha anche promesso di affrontare le disuguaglianze economiche e sociali, investendo in infrastrutture e servizi pubblici essenziali.
Il nuovo primo ministro ha chiesto a tutti i cittadini di partecipare attivamente a questo progetto comune, mettendo da parte le differenze ideologiche e lavorando insieme per il bene comune. Ha concluso il suo discorso con un appello all’unità nazionale e alla solidarietà, invitando tutti a contribuire alla costruzione di un futuro migliore per il Regno Unito.
Il presidente della Repubblica Finlandese in visita di lavoro in Italia
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Vertici UE, Ursula von der Leyen in pole position
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Intesa rimandata al primo euroconclave chiamato a scegliere i vertici nella nuova legislatura.
Nessuna decisione formale era prevista, questo è vero, però ci si aspettava un accordo quantomeno di massima sullo schema, perché la rosa di nomi proposti per i top jobs era giudicata sostanzialmente solida. “Abbiamo una direzione giusta ma in questo momento non c’è accordo”, ha detto il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel al termine della cena dei leader. “È nostro dovere concludere entro la fine del mese”, ha poi rassicurato.
La quadriglia prevede Ursula von der Leyen confermata alla Commissione sulle ali del trionfo alle elezioni del Ppe, il socialista portoghese Antonio Costa al Consiglio, la liberale estone Kaja Kallas al ‘ministero degli Esteri’ Ue. La conferma di Roberta Metsola al Parlamento – che però sceglie in autonomia – completa il quadro. I Popolari, poco prima dell’inizio del vertice informale, hanno avanzato però la richiesta di cambiare il colore politico della casella al Consiglio a metà mandato, come accade per l’Eurocamera. Una mossa che potrebbe complicare le cose ma che andrebbe letta nella logica delle trattative sull’intero esecutivo blustellato, con le vicepresidenze comprese. Insomma, pensare di poter chiudere la partita prima di essere giocata era eccessivo.
“Non è mio compito convincere Meloni, abbiamo già una maggioranza con Ppe, liberali, socialisti e altri piccoli gruppi, la mia sensazione è che sia già più che sufficiente”, aveva sottolineato già a ora di pranzo il premier polacco Donald Tusk (uno dei due negoziatori popolari) a chi gli chiedeva se ci fossero altri equilibri di cui dover tenere conto.
“È chiaro che in Parlamento non deve esserci alcun sostegno per il presidente della Commissione che si basi su partiti di destra e populisti di destra”, è stato invece il muro eretto dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, secondo cui le elezioni europee “hanno portato una maggioranza stabile” delle stesse forze politiche “che finora hanno lavorato a stretto contatto in Parlamento.
“Viviamo in tempi difficili ed è importante sapere presto cosa succederà in Europa”, ha aggiunto. Il senso di urgenza è condiviso da molti. La logica, spiegano diverse fonti, è quella del pacchetto. La quadriglia è frutto di calcoli alchemici che tengono conto dei voti, dei profili, delle aree geografiche: se si modificano gli addendi, il risultato cambia eccome. La danese Mette Frederiksen, indicata nel pre partita papabile alla presidenza del Consiglio Europeo, si è tirata fuori dalla mischia. “Io – dice – non sono una candidata: Costa è un ottimo collega della famiglia socialista”.
Poi certo, la perfetta sintonia – ed è normale – non c’è ancora. Il presidente slovacco, Peter Pellegrini, sostituto del primo ministro Robert Fico, in convalescenza dopo il tentato omicidio, ha esortato “a stare molto attenti a chi rappresenterà l’Unione europea e la Commissione a livello internazionale, per non creare ancora più tensione di quanto non ve ne sia già”. Un chiaro riferimento a Kaja Kallas, la lady di ferro dell’est, arcinemica di Mosca.
Detto questo, la prima tessera del mosaico è ovviamente la guida di palazzo Berlaymont. Qui però la domanda è solo una. Cosa farà Giorgia Meloni? Qual è la sua strategia per andare a punti? Nel pre vertice ha incontrato l’ungherese Viktor Orban, che sibillino aveva definito la situazione “ancora fluida”. “Non vedo voci” in seno al Consiglio “che possano mettere in discussione il nome di von der Leyen”, ha affermato però il primo ministro croato Andrej Plenkovic al termine del vertice riferendo di “un dibattito positivo” tra i capi di Stato e governo. Proprio Orban, peraltro, è andato oltre. “Il Ppe – giura il magiaro – invece di ascoltare gli elettori alla fine si è alleato con i socialisti e i liberali: hanno fatto un accordo e si sono divisi i posti di comando dell’Ue”.
Ma è un fatto che dei voti in più all’Eurocamera a Ursula farebbero ben comodo, perché la conferma dei deputati è obbligatoria e in questo passaggio c’è la preferenza segreta (anche se resta aperta l’opzione dei Verdi come stampella). “Ora dobbiamo lasciar marinare le cose”, ha commentato il presidente francese Emmanuel Macron aggiungendo di ritenere l’accordo finale “vicino”. Macron ha tuttavia sottolineato che l’intesa potrebbe non arrivare prima delle elezioni francesi (che si terranno il 30 giugno e il 7 luglio). “Non è comunque il nostro obiettivo”, ha comunque assicurato.
6 giugno 1944, operazione Neptune: il ricordo dopo 80 anni dallo sbarco in Normandia
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Don quella mattina del 6 giugno 1944 era li con tutti i suoi commilitoni.
Non sapeva, di certo, che quel giorno potesse fare la Storia,
Si, la Storia che si legge sui libri e di cui lui è stato uno dei protagonisti.
In questi giorni, dopo ottant’anni, è tornato li.
“Settemila dei miei compagni di marina sono stati uccisi. Ventimila fucilati, feriti, caricati sulle navi, sepolti in mare” ci dice Don Graves, un veterano del corpo dei Marines, con serenità e con un luccichio di lacrime negli occhi.
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“Voglio, aggiunge, che i più giovani, le nuove generazioni sappiamo quello che noi abbiamo fatto”.
Per molti dei veterani presenti oggi qui il 6 giugno 1944 resta una pagina dolce e nel contempo amara: molti dei loro amici hanno perduto proprio su queste spiagge la loro vita.
E stamattina a Saint Mere Eglise quelli che un giorno erano “l’un contro l’altro armati” si abbracciano nel ricordo di una delle pagine più sanguinose della II Guerra Mondiale: lo sbarco in Normandia.
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Cinque teste di ponte, l’operazione Neptune, per consentire agli eserciti alleati di creare quel terzo fronte determinante per la sconfitta del nazismo.
Oggi si ricorda il sacrificio di giovani, un tempo nemici, ed oggi uniti nel loro ricordo.
Una cerimonia solenne ma che diventa importante per l’abbraccio nel nome di una pace che stenta su tutto il pianeta e che vuole ricordare il coraggio e l’abnegazione di molti ragazzi che sapevano di andare a morire.
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Una nota leggera: come ogni anno sul “mitico” campanile di Saint Mere Eglise svetta un paracadute, assieme ad un manichino, che ricorda il fatto realmente accaduto di un soldato americano paracadutista che nel lancio sul paesino rimase impigliato con la vela del suo paracadute, rimanendo illeso ma bloccato in quella posizione.
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In questi giorni, come già scritto in un nostro articolo (https://www.osservatoreitalia.eu/d-day-80-anni-dallo-sbarco-in-normandia/), alcune Jeep e di un Dodge Ambulanza di proprietà dei soci dell’Associazione HighWay Six Club ha raggiunto le spiagge francesi ed il dottor Emilio Scalise, uno dei soci, ci ha raccontato in presa diretta l’emozione: “Un giorno che resterà indelebile nella mia memoria”.
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Premier slovacco in fin di vita: 71enne gli spara 3 colpi di pistola
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Fico è stato colpito da tre dei cinque colpi esplosi dall’attentatore: due al braccio e uno all’addome
Il premier slovacco Robert Fico è in bilico tra la vita e la morte per i colpi di pistola che gli ha sparato un 71enne colpendolo anche all’addome mentre era in una cittadina del centro della Slovacchia.
L’attentato al primo ministro populista e filorusso di nuovo in carica dall’ottobre scorso ha sollevato un’ondata di sdegno e shock a livello internazionale, dal presidente Joe Biden a quello russo Vladimir Putin, passando per i vertici dell’Ue che parlano di “attacco alla democrazia”.
Secondo le prime ricostruzioni, Fico è stato colpito da tre dei cinque colpi esplosi dall’attentatore: due al braccio e uno all’addome. L’attacco è avvenuto davanti a un centro culturale di Handlova, cittadina a circa 200 km di auto a est della capitale Bratislava, dove si era appena tenuta una riunione di governo. Fico è stato trasportato d’urgenza in elicottero all’ospedale ‘Roosevelt’ di Banska Bystrica, circa 35 km in linea d’aria da Handlova, dov’è stato ricoverato in un primo momento in un’unità di chirurgia vascolare per poi essere operato. Un trasporto a Bratislava è stato giudicato troppo lungo vista la gravità delle sue condizioni: è “tra la vita e la morte”, ha riferito infatti il governo slovacco in una nota nel primo pomeriggio, definendo l’attacco “un tentativo di omicidio”. “A decidere saranno le prossime ore”, avverte un testo pubblicato sulla sua pagina Facebook. In serata, il vicepremier Tomas Taraba ha detto alla Bbc: “Fortunatamente, per quanto ne so, l’operazione è andata bene e credo che alla fine sopravviverà”.
L’attentatore, che si nascondeva tra la folla radunata davanti all’edificio della riunione, prima di fare fuoco ha gridato ‘Robo, vieni qui!’. I due video più rilanciati su internet mostrano i primi secondi dopo gli spari. In uno si vedono due uomini della sicurezza che trasportano di peso Fico facendolo entrare in un’Audi nera, con il premier che – evidentemente per la ferita allo stomaco – trascina i piedi. In un altro filmato due poliziotti e due persone in borghese ammanettano qualcuno riverso a terra: l’attentatore contro cui è stato avviato un procedimento penale per tentato omicidio con l’aggravante della premeditazione.
I media slovacchi riferiscono che l’anziano, Juraj Cintula, ha sparato con una pistola legalmente posseduta. L’uomo aveva lavorato nel 2016 “per un servizio di sicurezza privato”, ha pubblicato “diverse raccolte di poesie” oltre a un romanzo e ha anche raccolto firme per fondare un “movimento contro la violenza”. Il figlio ha ammesso che Cintula “non ha votato” per Fico, ma non sa spiegarsi il gesto del genitore. “L’ho fatto perché sono in disaccordo con le politiche del governo”, ha confessato l’uomo durante l’interrogatorio di cui i media locali hanno rilanciato alcune immagini. “E’ stato un agguato politico”, ha denunciato non a caso il ministro della Difesa Robert Kaliňák accorso con altri colleghi all’ospedale di Banska Bystrica.
Quattro volte premier (aveva già guidato esecutivi nel 2006-10 e nel 2012-18), Fico è un veterano della politica slovacca che dopo aver vinto le elezioni del settembre scorso sta spostando l’orientamento della politica estera di Bratislava verso la Russia, allineandosi all’ungherese Viktor Orban: fra l’altro ha messo in discussione la sovranità dell’Ucraina e ha chiesto un compromesso con Mosca pur di far finire la guerra di aggressione russa. Da quando è in carica, e tenendo fede alla sua promessa di non fornire a Kiev “neanche un proiettile”, ha smesso di inviare armi pagate con fondi pubblici agli ucraini.
Duro con migranti e minoranze Lgbt, Fico ha provocato proteste di massa con riforme controverse, tra cui una legge sui media accusata di compromettere l’imparzialità della televisione e della radio pubblica. A causa dell’attentato, due partiti di opposizione slovacchi anno annullato una protesta indetta per oggi proprio in difesa dell’indipendenza della tv e radio pubblica.
“Condanniamo questo orribile atto di violenza”, ha dichiarato Biden per una volta d’accordo con Putin che ha parlato di “crimine odioso” contro “uomo coraggioso”.
La presidenza di turno dell’Ue affidata al Belgio ha definito l’attentato “un attacco alla democrazia”, concetto utilizzato anche dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Mentre la premier Giorgia Meloni ha detto di aver appreso “con profondo sconcerto la notizia del vile attentato al primo ministro Robert Fico. Tutti i miei pensieri sono per lui, la sua famiglia e l’amico popolo slovacco. Anche a nome del Governo italiano – ha aggiunto Meloni – desidero esprimere la più ferma condanna di ogni forma di violenza e attacco ai principi cardine della democrazia e delle libertà”.
Ilaria Salis, concessi i domiciliari su cauzione di 40mila euro
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La richiesta è stata accolta in appello dal Tribunale Ungherese
Gli arresti domiciliari ad Ilaria Salis sono “un successo della difesa”. È quello che ha detto all’ANSA l’avvocato Gyorgy Magyar. “La corte di appello ha accettato il nostro ricorso”, ha aggiunto. “Lei ha garantito che non scapperà e avrà un braccialetto elettronico”, ha spiegato. “Il tribunale aspetta soltanto il pagamento della cauzione, che ammonta a 40 mila euro”, ha aggiunto. Il legale ha sollecitato i familiari della attivista affinché paghino velocemente.
Il ricorso era stato presentato dai legali di Ilaria Salis contro la decisione del giudice Jozsef Sós che nell’ultima udienza del 28 marzo le aveva negato i domiciliari sia in Italia che in Ungheria. In appello, la richiesta è stata invece accolta e quindi la 39enne attivista milanese, candidata con Avs alle prossime Europee, potrà lasciare il carcere a Budapest dove si trova da oltre 15 mesi con l’accusa di aver aggredito dei militanti di estrema destra. Il provvedimento, che prevede il braccialetto elettronico, diventerà esecutivo non appena verrà pagata la cauzione prevista dal tribunale.
“E’ una richiesta”, quella degli arresti domiciliari in Italia a Ilaria Salis, “che deve essere fatta dai suoi avvocati. Noi siamo sempre favorevoli a questa ipotesi. Ma è una richiesta che deve essere fatta dagli avvocati per avere gli arresti domiciliari in Italia, è una cosa che si può fare”. Lo ha detto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, a margine del ‘Rome summit’.
“Ilaria è entusiasta di poter finalmente uscire dal carcere e noi siamo felicissimi di poterla finalmente riabbracciare”: così all’ANSA Roberto Salis ha commentato la decisione del tribunale ungherese di concedere i domiciliari a sua figlia Ilaria che, dopo oltre 15 mesi, potrà lasciare il carcere dove è detenuta con l’accusa di aver aggredito dei militanti di estrema destra. “Non è ancora fuori dal pozzo – ha aggiunto ma sarà sicuramente molto bello poterla riabbracciare dopo 15 mesi, anche se finché è in Ungheria io non mi sento del tutto tranquillo”.
“Non ho dei sassolini nelle scarpe, ma della ghiaia grossa, quella che si usa per il calcestruzzo, ho i piedi insanguinati”. Lo ha detto il padre di Ilaria Salis, sui canali Gedi. “Finora” le sue critiche “sono rimaste nei cassetti – ha aggiunto – I cittadini italiani sono stufi di dover implorare le istituzioni di agire, le istituzioni sono al servizio dei cittadini. Paghiamo il ministro della Giustizia e degli Esteri per lavorare per noi, non abbiamo visto nessuna attività concreta per risolvere il problema di Iaria da parte di questi due ministeri”.
I domiciliari sono “un’evoluzione positiva rispetto a quanto visto finora. Ancora mancano i passaggi finali, bisogna aspettare che Ilaria esca e fare una serie di passaggi operativi per averla finalmente fuori e poterla riabbracciare”, fra questi “adesso dobbiamo corrispondere una cauzione di poco più di 40 mila euro”. Lo ha detto il padre di Ilaria Salis, Roberto, a Metropolis, sui canali Gedi.
“Siamo molto soddisfatti, finalmente finisce questo incubo per Ilaria ma la sua battaglia continua”: è il commento con l’ANSA di Mauro Straini ed Eugenio Losco, i due legali italiani di Ilaria Salis, dopo aver saputo la decisione del tribunale ungherese di concederle i domiciliari a Budapest.
Guerra medio oriente: forze israeliane avanzano verso Rafah
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Secondo rapporti palestinesi, ripresi da Ynet, “veicoli blindati delle Idf hanno attraversato la recinzione di confine nell’area di Kerem Shalom e stanno avanzando nei quartieri a est della periferia di Rafah”.
Secondo le stesse fonti ci sono “spari di carri armati e bombardamenti di artiglieria di tanto in tanto nella zona”. Ci sarebbero almeno 8 morti e numerosi feriti. L’Idf ha confermato di aver preso il controllo del valico di Rafah sul lato di Gaza.
Ad assumere il controllo questa mattina del lato di Gaza del valico di Rafah sono state le forze della 410/esima Brigata israeliana. Il valico con l’Egitto – secondo le informazioni – è ora disconnesso con la strada principale di Salah a-Din nella parte orientale della città di Rafah, a sua volta presa dalla Brigata Givati durante l’offensiva di questa notte. Secondo i dati dell’Idf – riportati dai media – circa 20 miliziani armati sono stati uccisi e i soldati hanno localizzato tre “significativi” imbocchi di tunnel.
In precedenza, rapporti hanno sostenuto che “l’esercito israeliano è arrivato al valico di Rafah nel lato di Gaza e che le spedizioni umanitarie sono state interrotte”. Lo ha riferito Haaretz. La tv Canale 12 ha mostrato un video diffuso sui social che mostra un tank israeliano avanzare nel lato di Gaza del valico di Rafah, al confine con l’Egitto. L’Idf finora non ha ancora fornito dettagli sulle operazioni avviate da ieri sera nella parte orientale di Rafah, tranne l’annuncio che stava operando contro obiettivi di Hamas nella zona. Finora non c’è’ stata alcuna conferma da parte dell’Idf.
L’invasione via terra di Rafah sarebbe “intollerabile” per le sue “devastanti conseguenze umanitarie e l’impatto destabilizzante nella regione”. Lo ha detto il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres incontrando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Guterres ha ricordato di aver lanciato un “forte appello a Israele e Hamas a concludere un accordo vitale, un’opportunità che non si può perdere”.
L’esercito israeliano ha annunciato intanto la morte di due soldati riservisti uccisi ieri a Metulla, nel nord del Paese, da un drone esplosivo degli Hezbollah. Il portavoce militare ha riferito che si tratta di Dan Kamkagi (31 anni) e Nahman Natan Hertz (31) della 551/esima Brigata. Il bilancio dei soldati caduti da ottobre scorso sul fronte nord è ora salito a 13. A questi vanno aggiunti anche nove civili uccisi negli attacchi Hezbollah.
La giornata
Israele ha deciso di inviare una delegazione al Cairo ma di continuare l’operazione a Rafah. Lo ha fatto sapere l’ufficio del premier citato dai media. “Il gabinetto di guerra – ha detto – ha deciso all’unanimità che Israele continui la sua operazione a Rafah per esercitare pressioni militari su Hamas”. Al tempo stesso, ha proseguito, “anche se la proposta di Hamas è lontana dai requisiti necessari per Israele” sarà inviata una delegazione al Cairo “per esplorare la possibilità di raggiungere un accordo in condizioni accettabili per Israele”.
Report palestinesi citati da Ynet riferiscono di un “improvviso ingresso via terra nella parte orientale di Rafah” di truppe israeliane. Le stesse fonti segnalano inoltre “interruzioni delle comunicazioni e dell’elettricità” mentre sono in corso intensi raid aerei israeliani sulla parte orientale di Rafah.
Nel tardo pomeriggio infatti Hamas ha accettato, in extremis, la proposta di Egitto e Qatar per un accordo con Israele sul cessate il fuoco. Forse nell’ultimo, disperato tentativo di fermare l’irruzione dei soldati israeliani nella città, dove in mattinata era scattato l’ordine di evacuazione di un centinaio di migliaia di civili già stremati da sei mesi di guerra. In una nuova telefonata, anche il presidente americano Joe Biden ha cercato ancora una volta di convincere il premier Benyamin Netanyahu a non invadere la città nel sud della Striscia, insistendo sul fatto che raggiungere un’intesa per un cessate il fuoco è il modo migliore per proteggere la vita degli ostaggi detenuti a Gaza.
Ma lo Stato ebraico per ora frena. “Adesso la palla è nel campo di Israele”, ha detto un esponente di Hamas dopo che il leader Ismail Haniyeh ha informato il premier del Qatar Mohammed bin Abdul Rahman Al Thani e il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel – e l’Iran – di aver “accettato” la loro proposta di mediazione.
Secondo fonti della fazione palestinese, riportate dai media arabi, l’accordo sulla tregua prevede tre fasi di sei settimane ciascuna con l’obiettivo del cessate il fuoco permanente, il ritiro completo dell’Idf dalla Striscia, il ritorno degli sfollati al nord e lo scambio di prigionieri, a cominciare dai civili israeliani, donne, bambini, anziani e malati. Israele ritiene siano 33 gli ostaggi in questa categoria, definita “umanitaria”, e Hamas si è impegnato a rilasciarli, vivi o morti. Tra i detenuti palestinesi da liberare ci sarebbero, invece, anche 20 condannati all’ergastolo. Gli ultimi dettagli dovrebbero essere comunque discussi di nuovo martedì al Cairo.
Khalil al-Hayya, il vice di Yahya Sinwar, il capo di Hamas a Gaza, ha detto in un’intervista ad al Jazeera che Hamas “ha concordato un cessate il fuoco temporaneo nella prima fase dell’accordo”. “Ma all’inizio della seconda fase, che include il rilascio dei soldati israeliani in ostaggio, sarà annunciato – ha spiegato – un cessate il fuoco permanente”. I mediatori di Qatar e Egitto avrebbero promesso – prosegue nell’intervista – che “il presidente Biden sarebbe un garante che l’accordo venga messo in atto”.
Ma mentre a Rafah la notizia è stata accolta da urla di gioia e spari in aria, fonti israeliane – nel silenzio di Netanyahu – hanno fatto sapere che Israele sta ancora “verificando la proposta e le sue conseguenze”, così come gli Stati Uniti. Pubblicamente però Israele, forse irritato dalla fuga in avanti dell’annuncio di Hamas, ha gelato gli entusiasmi: “Hamas non ha accettato. E’ il suo solito trucco”, ha detto il ministro dell’Economia, Nir Barkat, incontrando a Roma la stampa italiana e restando in contatto diretto con il suo governo. Si tratta di “una proposta unilaterale senza coinvolgimento israeliano. Questa non è la bozza che abbiamo discusso con gli egiziani”, ha spiegato un alto funzionario israeliano al sito Ynet, aggiungendo che in questo modo Hamas mira a “presentare Israele come chi rifiuta” l’intesa.
Mentre per il falco del governo di sicurezza Ben Gvir, “i giochetti di Hamas” meritano “una sola risposta: occupare Rafah”. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha invece invitato “tutti i Paesi occidentali a fare pressione su Israele affinché accetti”. “Siamo lieti che Hamas abbia annunciato di aver accettato il cessate il fuoco, su nostro suggerimento – ha sottolineato -. Ora lo stesso passo dovrebbe essere fatto da Israele”. Accordo o meno, lo Stato ebraico va avanti nei preparativi dell’operazione militare contro i battaglioni di Hamas a Rafah, un’azione che dovrebbe cominciare “in pochi giorni”, sostenuta dal via libera ai piani già preparati dall’Idf votato all’unanimità dal Gabinetto di guerra. “Esaminiamo ogni risposta molto seriamente ed esauriamo ogni possibilità sui negoziati e il ritorno degli ostaggi alle loro case il più rapidamente possibile come compito centrale. Al tempo stesso continuiamo e continueremo ad operare nella Striscia”, ha chiarito il portavoce militare Daniel Hagari. L’avvio dell’evacuazione dall’est della città verso l’area umanitaria indicata dall’Idf ad al-Mawasi sulla costa ha allertato l’intera comunità internazionale, che tenta di impedire che gli eventi precipitino del tutto. Prima di annunciare di aver accettato l’intesa per la tregua, anche Hamas ha denunciato “un’escalation”. La zona dell’evacuazione – che l’esercito ha definito “temporanea, limitata e graduale” – comprende “ospedali da campo, tende e maggiori quantità di cibo, acqua, farmaci e forniture aggiuntive”.
Finlandia, Finnair: ecco le novità su frequenze e rotte per la compagnia di bandiera
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Israele: imminente l’attacco sull’Iran
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Netanyahu: “Israele risponderà all’attacco dell’Iran ma lo farà in maniera saggia e non di pancia”
A poco meno di 48 ore dalla pioggia di droni e missili arrivati sul territorio dello Stato ebraico, il governo di Benyamin Netanyahu sembra aver fatto la sua scelta, mentre Teheran – che ha già messo in stato di massima allerta le sue difese aeree – ha ammonito che l’eventuale azione armata di Israele stavolta “avrà una risposta molto dura”.
Quattro funzionari statunitensi hanno dichiarato però alla Nbc News che un’eventuale risposta israeliana all’attacco iraniano sarà di portata limitata e riguarderà probabilmente attacchi contro armamenti militari iraniani e agli alleati al di fuori dell’Iran. Poiché l’attacco iraniano non ha provocato morti o distruzioni diffuse, secondo i funzionari americani, Israele potrebbe rispondere con una delle sue opzioni meno aggressive: una di queste potrebbe includere attacchi all’interno della Siria.
I funzionari non si aspettano che la risposta prenda di mira alti funzionari iraniani, ma che colpisca le spedizioni o le strutture di stoccaggio con parti di missili avanzati, armi o componenti che vengono inviati dall’Iran a Hezbollah. L’emittente specifica che la valutazione degli Stati Uniti si basa su conversazioni tra funzionari statunitensi e israeliani avvenute prima che l’Iran lanciasse più di 300 droni e missili contro Israele: mentre Israele si stava preparando per l’attacco iraniano la scorsa settimana, i funzionari israeliani hanno informato gli omologhi Usa sulle possibili opzioni di risposta.
L’operazione verso cui si sta dirigendo Israele si scontra inoltre con la forte opposizione Usa e di quella degli alleati che l’hanno affiancato nell’abbattere il 99% dei proiettili lanciati da Teheran. Joe Biden, che aveva frenato la reazione israeliana nelle prime ore, ha ribadito chiaramente che “occorre evitare un’escalation in Medio Oriente” ricevendo il primo ministro iracheno alla Casa Bianca. Mentre il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby, dopo che erano filtrate indiscrezioni su un possibile coordinamento tra Gerusalemme e Washington, ha chiarito che “il governo israeliano deciderà da solo se ci sarà e quale sarà la risposta” all’affronto iraniano.
“Gli Stati Uniti non sono coinvolti”, ha sottolineato Kirby, definendo poi “uno spettacolare fallimento” l’offensiva di sabato di Teheran, quasi a blandire l’alleato israeliano, smentendo peraltro che Teheran “avesse fornito agli Usa tempi e target” dei raid. “Non c’è altra scelta se non quella di rispondere all’attacco di Teheran”, ha detto il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant al capo del Pentagono Austin. E anche il comandante dell’Idf, Herzi Halevi, ha confermato che “la risposta ci sarà”. “Il lancio di così tanti droni e missili sul nostro territorio avrà la sua risposta”, ha avvertito.
Se la reazione armata appare a questo punto scontata, cruciale sarà capire come reagirà Teheran. Il gabinetto di guerra – che al dossier Iran ha già dedicato due riunioni e un’altra è in programma martedì – sta studiando “diverse opzioni”. Ognuna delle quali, è stato spiegato, rappresenta “una risposta dolorosa” per gli iraniani, senza tuttavia rischiare di scatenare “una guerra regionale”. Nel ristretto gruppo di ministri – da Netanyahu a Gallant a Benny Gantz – che deve prendere la decisione, l’obiettivo è quello di scegliere un’opzione che “non sia bloccata dagli Usa” e che rientri in una strada praticabile. Israele, fanno notare molti analisti anche in patria, non può ignorare del tutto le preoccupazioni degli Stati Uniti e degli altri alleati occidentali su un’escalation che avrebbe conseguenze devastanti per la regione e non solo.
Così i vari scenari vanno da un contrattacco diretto sul territorio iraniano a operazioni che colpiscano gli alleati del regime degli ayatollah nella regione fino ad azioni mirate sui capi delle Guardie rivoluzionarie. Nella prima ipotesi, la più pericolosa, nel mirino potrebbero finire addirittura i siti legati al nucleare iraniano il cui programma, secondo il premier britannico Rishi Sunak, “non è mai stato a uno stadio così avanzato”.
L’Iran da parte sua ha messo in guardia Israele. “L’attacco limitato di sabato sera – ha affermato il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian in un colloquio telefonico con l’omologo russo Serghei Lavrov – mirava ad avvertire, scoraggiare e punire il regime sionista. Ma se Israele intraprenderà una nuova azione contro l’Iran, dovrà affrontare una risposta molto più forte”.
Netanyahu, Iran dovrà aspettare nervosamente nostra risposta
L’Iran dovrà aspettare “nervosamente senza sapere quando potrebbe arrivare l’attacco, proprio come ha fatto fare lo stesso a Israele”. Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu ad una riunione dei ministri del Likud. Poi ha aggiunto – secondo la stesse fonti – “Israele risponderà all’attacco dell’Iran ma lo farà in maniera saggia e non di pancia”.
Russia, Evgenya Kara-Murza: “Putin va fermato”
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“La Russia ha un unico ed enorme problema interno ed è il regime di Putin.
Tutto il resto proviene a cascata da questo” perciò “Putin va fermato. L’unica garanzia di pace e stabilità per il nostro continente è una Russia democratica”. A parlare, in un’intervista esclusiva al Festival Internazionale del Giornalismo 2024 anticipata all’ANSA, è Evgenya Kara-Murza, moglie di uno dei più noti politici d’opposizione in Russia, Vladimir Kara-Murza, dall’aprile 2022 in carcere dove sta scontando una condanna a 25 anni di reclusione con l’accusa di vilipendio alle forze armate e alto tradimento.“Mio marito è sopravvissuto a ben due agguati, nel 2015 e nel 2017, da parte del gruppo di spionaggio Fsb (i servizi segreti russi, ndr), una banda di criminali al servizio del governo russo, implicati anche nell’avvelenamento con il Novichok”, racconta la moglie dell’oppositore che ha dovuto rinunciare alla sua partecipazione in presenza al Festival di Perugia, in programma dal 17 al 21 aprile. Nella video intervista, che sarà trasmessa sabato 20 aprile, Kara-Murza racconta di non vedere il marito dal giorno del suo arresto nell’aprile 2022: “Mi è stato concesso di parlargli al telefono solo un paio di volte. L’ultima a dicembre per soli 15 minuti. Abbiamo tre figli e ho lasciato che parlassero con il padre per cinque minuti ciascuno. Non ho scambiato nemmeno una parola con lui perché non volevo togliere tempo prezioso ai suoi figli”. La donna è un fiume in piena e le accuse a Mosca sono dirette e circostanziate.
“Questa è un’autentica tortura psicologica che il regime utilizza nei confronti di chi rifiuta di rimanere in silenzio di fronte alle atrocità del governo russo e denuncia la guerra in Ucraina. Il regime di Putin ha rispolverato tutto l’intero arsenale della macchina repressiva sovietica, incluso l’uso di punizioni psichiatriche. Vuol dire che oppositori e dissidenti possono essere rinchiusi con la forza in cosiddetti ‘ospedali psichiatrici’ ed essere sottoposti a trattamenti psichiatrici contro la loro volontà”. Evgenya Kara-Murza non nasconde la sua preoccupazione per la salute del marito che ha perso 25 kg da quando è in carcere. Dallo scorso settembre è rinchiuso in una cella di isolamento nota con le sue iniziali russe come EPKT. La cella di sei metri quadrati ha un solo sgabello, una piccola finestra chiusa da sbarre e un letto che si ripiega nel muro durante il giorno. Nessuna possibilità di comunicare con l’esterno, neanche tramite lettere. “L’obiettivo del regime di Putin – spiega Kara-Murza – è quello di isolare gli oppositori dal mondo. Di farli sentire soli e dimenticati. Per questo è importante continuare a parlare di loro, che i nomi dei dissidenti russi e che le loro storie siano conosciuti”.