GRECIA, REFERENDUM: UNA FARSA?

di Cinzia Marchegiani

Sul responso uscito dalle urne della Grecia domenica 5 luglio 2015 interviene Magdi Cristiano Allam che fa una profonda riflessione sul referendum appena votato, chiedendosi e chiedendo se sia stata una farsa, insomma se è stata una messinscena in seno all'Eurocrazia per far digerire al popolo greco le nuove misure di austerità dopo essersi inebriato della vittoria del "no" ad un accordo con i creditori che in realtà non esisteva più.


Magdi Allam non spara a caso ma fa un percorso logico che espone ai suoi lettori con precise argomentazioni dove emergono delle contraddizioni per ora senza risposta: “Le dimissioni del ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis è una scelta incoerente. Come è possibile che proprio lui, il vero protagonista dello scontro frontale con quelli che soltanto ieri ha definito ‘terroristi’, riferendosi alla Merkel, a Draghi, a Junker e alla Lagarde, rassegni le dimissioni dopo aver stravinto il referendum che è stato l'apice della sua strategia ispirata alla ‘Teoria dei giochi’?”

Dimissioni incoerenti del ministro delle finanze  greco e u tweet alquanto sindacabile. La "Teoria dei giochi", spiega Allam , elaborata dal matematico John Nash che si è ispirato a Nicolò Machiavelli e alla sua opera “Il Principe”, analizza le decisioni di un soggetto in situazioni conflittuali o di interazione con due o più rivali per costringerli a cedere man mano, prevedendo in anticipo le loro masse e giocando al rialzo volta per volta: “Ebbene, incredibilmente, proprio Varoufakis – Magdi Allam fa notare – dopo aver ottenuto quello che voleva… si è dimesso”. Ma Allam non si ferma alla “Teoria dei giochi” e continua il suo pensiero logico e fa notare che nel profilo di Yanis Varoufakis Twitter emerge,da una sua frase postata, l'epilogo più di una sconfitta ottenuta dal popolo greco, una vittoria dell'Eurocrazia ed una sconfitta dello stesso Varoufakis. Allam riporta la frase sibillina postata dal primo ministro greco delle finanze, in modo che tutti possano fare una riflessione personale e che qui riportiamo:"Subito dopo l'annuncio dei risultati del referendum, sono stato informato di una certa preferenza di alcuni membri dell’Eurogruppo e di ‘partner’ assortiti per una mia… ‘assenza’ dai loro vertici, un'idea che il primo ministro ha giudicato potenzialmente utile per consentirgli di raggiungere un'intesa. Per questa ragione oggi lascio il ministero delle Finanze" – ha scritto Varoufakis, specificando che – considero mio dovere aiutare Alexis Tsipras a sfruttare come ritiene opportuno il capitale che il popolo greco ci ha garantito con il referendum di ieri e porterò con orgoglio il disgusto dei creditori”.

Arguto Allam sottolinea che subito dopo l'annuncio delle dimissioni di Varoufakis l'euro ha ripreso quota sulle altre monete: “da mesi l'Eurocrazia chiedeva la testa di Varoufakis e l'ha ottenuta proprio quando in teoria avrebbe dovuto imporsi grazie alla vittoria elettorale. Soltanto ieri Tsipras aveva commentato con orgoglio l'esito del referendum sostenendo che "abbiamo dimostrato che la democrazia non può essere ricattata". 

Per questo motivo Magdi Cristiano Allam riflette sulle dimissioni di Varoufakis che suonerebbero come una resa al ricatto dell'Eurocrazia e si domanda in tal caso, in cambio di che cosa? Tsipras chiede l'abbattimento del 30% del debito e una moratoria di 20 anni nei pagamenti. L'Eurocrazia esige misure sempre più rigorose nei tagli alla spesa pubblica, che significa ulteriori tagli ai servizi fondamentali in un Paese ridotto allo stremo.
La via d'uscita non può essere questa, tuona Magdi Cristinao Allam: “Solo il riscatto della sovranità monetaria e della sovranità nazionale potranno affrancare la Grecia dalla dittatura finanziaria e dell'Eurocrazia”. E Allam con pungente determinazione spiega che Tsipras non ci ha mai pensato, non vuole questo riscatto di sovranità: “continua a giurare fedeltà all'euro e all'Eurocrazia”.




UE CONTRO IL "MADE IN ITALY": STOP A LATTE CONCENTRATO PER YOGURT E FORMAGGI. PROTESTANO GLI ALLEVATORI

di Cinzia Marchegiani

Roma – E’ tutto pronto per l’appuntamento che mercoledì 8 luglio c.a. vedrà allevatori, casari e cittadini manifestare davanti al parlamento per difendere il Made in Italy per impedire il via libera in Italia al formaggio e allo yogurt senza latte. La diffida è stata calata da calata da Bruxelles ma che danneggia ed inganna i consumatori, mette a rischio un patrimonio gastronomico custodito da generazioni, con effetti sul piano economico, occupazionale ed ambientale. La Commissione Europea ha infatti inviato una diffida all’Italia per chiedere la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari previsto storicamente dalla legge nazionale.
 

La manifestazione. L’appuntamento è per mercoledì 8 Luglio, dalle ore 9,30, in piazza Montecitorio a Roma dove sarà possibile conoscere direttamente il metodo tradizionale di preparazione del formaggio e il grande patrimonio di diversità dei formaggi italiani. Saranno però anche svelati i trucchi dei furbetti del formaggino che vogliono speculare sulla qualità italiana.


L’obiettivo di questa manifestazione. Gli addetti ai lavori vogliono difendere la legge n.138 dell’11 aprile del 1974 che da oltre 40 anni garantisce all’Italia primati a livello internazionale nella produzione casearia anche grazie al divieto di utilizzo della polvere al posto del latte. Il superamento di questa norma provocherebbe l’abbassamento della qualità, l’omologazione dei sapori, un maggior rischio di frodi e la perdita di quella distintività che solo il latte fresco con le sue proprietà organolettiche e nutrizionali assicura ai formaggi, yogurt e latticini Made in Italy.

Con migliaia di manifestanti ci sarà il presidente nazionale della Coldiretti Roberto Moncalvo che insieme ai rappresentanti della principali associazioni dei consumatori accoglierà i cittadini, i parlamentari dei diversi schieramenti e i rappresentanti delle Istituzioni che intendono sostenere la battaglia per il Made in Italy con una apposita sollecitazione al Parlamento per la difesa della qualità del sistema lattiero caseario italiano. Con l’occasione sarà presentato uno studio Coldiretti sui primati lattiero-caseari italiani nel mondo.




WHIRLPOOL: SCONGIURATO RISCHIO LICENZIAMENTO PER 2MILA LAVORATORI

Redazione
 
Alla presenza del ministro Guidi, accordo siglato fra Whirlpool e sindacati al Mise sul piano industriale 2015-2018. Scongiurato  il rischio licenziamento per gli oltre 2 mila lavoratori del gruppo, rimarranno in vita  i siti di Carinaro (Caserta) e None (Torino) e sono confermati gli investimenti promessi dalla multinazionale americana, si parla di 513,5 milioni in tre anni , con la promessa che il 75% di tutti gli investimenti in ricerca e sviluppo di tutta l’area Emea (i mercati di Ue, Africa e Medio Oriente) saranno concentrati in Italia.

L’azienda, inoltre, investirà inoltre 2 milioni per la reindustrializzazione del sito di Teverola vicino a Caserta su cui ci sono già due offerte di acquisizione. Infine, c’è il preciso  impegno dell’azienda a non licenziare personale almeno  fino al 2018 e già venerdì l’accordo sarà sottoposto al voto di tutti i lavoratori del gruppo.

La fusione tra i due gruppi, Indesit e Whirlpool, potrebbe essere completata  entro la metà del 2016, ma quello che è già acclarato è che sarà rilanciata  la produzione italiana dei siti ex Indesit e saranno definite nel dettaglio la missione industriale dei singoli siti, attraverso l’insourcing di attività, la crescita di 650.000 pezzi dei volumi prodotti in Italia e l’incremento verso il 70% della saturazione produttiva complessiva.
“Un accordo essenziale per il futuro di migliaia di lavoratori e per le prospettive del comparto del bianco ed elettrodomestici in Italia”. Commenta Ermenegildo Rossi, segretario confederale dell’Ugl a conclusione dell’accordo raggiunto oggi  al Mise su Whirlpool.Soddisfatto anche Antonio Spera, segretario generale Ugl Metalmeccanici per il quale “ora la parola passa ai lavoratori, che siamo convinti premieranno il cammino fatto per evitare esuberi strutturali e chiusure di stabilimenti”.
 




ENEL: ATTENZIONE ALLE EMAIL TRUFFA

di Simonetta D'Onofrio

Attenzione ai falsi messaggi che stanno arrivando a nome dell’Enel, la società invita a non cliccare il link segnalato nel contenuto della mail che potrebbe arrivare ai suoi clienti con il dominio riconducibile ad essa. In questo caso sono delle truffe informatiche, dove vi è un reato, sancito dal Codice Penale (art. 640 c.p.) e per chi la compie potrebbe essere punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a milletrentadue euro.
Il più grande operatore elettrico d’Italia, l’Enel, avverte i suoi clienti che in questi giorni potrebbero trovarsi nella propria casella di posta elettronica solo apparentemente appartenente al gruppo, ma che nulla a che fare con esso. In altri termini gli utenti potrebbero essere ingannati dai contenuti della bolletta, che esteticamente risulterà simile a quella originale. Chi cliccherà sulla “e-mail incriminata” avrà una bolletta simile all’originale, con l’invito di cliccare un link che rimanda a un sito clone di truffatori informatici. In questa fase verrà richiesto all’ignaro cliente di fornire dati bancari e/o codici personali attraverso link esterni.
L’Enel ci tiene a sottolineare che le e-mail non è stata inviata né da società del Gruppo Enel né da società da essa incaricate. Si tratta di un tentativo di raggiro simile a quelli più volte denunciati da altre aziende e istituti finanziari. Nessuna procedure informatica della società erogatrice del servizio prevede in alcun caso la richiesta di fornire o verificare.
Cliccando infatti il link riportato, il cliente si collega al sito ‘trappola’ dove viene invitato a scaricare una finta bolletta che in realtà contiene un virus informatico molto potente che blocca il contenuto del pc. L’obiettivo è quello di chiedere poi un riscatto alla vittima dell’attacco per ottenere lo sblocco del pc e la decifratura dei dati. Si invitano pertanto gli utenti a segnalare l’accaduto attraverso i consueti canali di contatto numeri verdi 800 900 800 per Enel Servizio Elettrico e 800 900 860 per Enel Energia.
Ovviamente quanto indicato da Enel, può essere utile anche per evitare truffe che si verificano anche su altre piattaforme. Il mondo del web, così come quello reale, è pieno di truffatori che studiano tutti i sistemi per arricchirsi




RIDUZIONE DEL FONDO SANITARIO 2015: ECCO L’ACCORDO STATO-REGIONI

di Cinzia Marchegiani

Dopo mesi di intense trattative il 2 luglio 2015 è stato siglato l’accordo sulla riduzione del fondo sanitario 2015, pari a 2,35 miliardi al termine della conferenza Stato-Regioni tenutasi al Ministero per gli Affari Regionali, che aveva al primo punto proprio il nodo sulle risorse per la sanità. la ministra Beatrice Lorenzin, si ritiene soddisfatta e spiega: “l'intesa consentirà di compensare il mancato incremento sul Fondo senza stravolgere l'impianto del Patto per la Salute". Il via libera delle Regioni era stato annunciato nelle prime ore della gionata dal presidente della Conferenza e governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino. 

Su cosa si risparmierà. Alla riduzione di 2,35 miliardi contribuiranno, tra l'altro, il taglio del 5% sui contratti per beni e servizi e per le forniture dei dispositivi medici, dell'1% della spesa per le prestazioni specialistiche ambulatoriali rispetto al consuntivo 2014, la rinegoziazione dei prezzi di alcuni farmaci e altri risparmi con il recupero dell'appropriatezza delle prestazioni. Un altro ambito di risparmio è previsto con l'applicazione degli standard ospedalieri, sanciti in un'intesa il 5 agosto 2014, con l'obiettivo di azzerare i ricoveri a carico del Ssn nelle strutture con meno di 40 posti letti accreditati per acuti (con deroghe per le monospecialistiche.

No del Veneto, Lomardia e Liguria. All’accordo inamovibile è stata la posizione del Veneto, che ha detto 'no' al riparto, come ha tenuto a sottolineare al termine della Stato-Regioni l'assessore riconfermato alla Sanità, Luca Coletto. Non hanno presenziato al voto, ha poi fatto sapere il coordinatore degli assessori alle finanze della Conferenza delle Regioni Massimo Garavaglia, neanche la Lombardia e il Veneto. Se la ministra Lorenzin afferma che l'impianto dell'intesa "è importante perché non consentirà uno stravolgimento delle leve, che andranno ad operare, a differenza del passato, quando si attuavano tagli lineari", Luca Zaia sottolinea la forza del proprio dissenso a questi tagli: Con il nostro irremovibile 'no' siamo stati coerenti, come lo siamo da mesi, a fronte di dissennate politiche della salute, con tagli lineari che penalizzano i virtuosi e premiano gli spreconi, con riduzioni delle prestazioni che ci avvicinano alla Grecia e al Portogallo dove, a differenza del Veneto, l’attesa di vita è sensibilmente più bassa, e dove – sempre a differenza del Veneto – i più ricchi sono anche i più sani”. Così il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia commenta il “no” del Veneto all’intesa nazionale sui tagli da effettuare ai fondi per la sanità. “Il fronte del no insieme a Lombardia e Liguria – aggiunge Zaia – è stato compatto e senza crepe. Sappia il Governo che non ci faremo intimidire e che non si provi ad attaccare un fronte del nord che saprà sempre reagire con forza”.
Ma il Ministro spiega che l'intesa raggiunta nella Stato-Regioni consentirà, "di implementare i vari tavoli di lavoro aperti, compreso quello sulla spesa farmaceutica, sul quale ci sono meccanismi che possiamo rivedere e aggiornare, dopo tanti anni, al fine di rendere più fluido ed efficiente il sistema". Tra le proposte emendative delle Regioni, ha ricordato ancora Lorenzin, "ne è stata accolta una che prevede di rivedere l'aggiornamento del Patto e su questo verrà attivato un tavolo di verifica e monitoraggio, e tutto ciò – ha sottolineato – per me va benissimo".

Per quanto riguarda infine il Fondo Innovativi la Lorenzin afferma che è stato rinviato a settembre la definizione del tetto di spesa territoriale per verificare se si può riassorbire in qualche modo. Nell'ambito dell'intesa è stato anche avviato un tavolo di lavoro, che opererà presso il Ministero della Salute "senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica", composto dai rappresentanti dei dicasteri della Salute e dell'Economia, delle Regioni e dell'Aifa per mettere a punto, entro il 30 settembre prossimo una proposta di revisione – che dovrà essere approvata entro il 10 ottobre – delle norme sulla spesa farmaceutica, incluse quelle relative al meccanismo pay-back, "nel rispetto degli equilibri programmati per il settore sanitario".

Un accordo indigesto. Ma l’accordo appena siglato sulla riduzione del fondo sanitario 2015, pari a 2,35 miliardi nasconde una manovra alquanto ostica da digerire, tanto che Sergio Chiamparino, al termine della Conferenza delle Regioni ha auspicato che "l'ammontare dei fondi per il 2016 possa essere pari a 113 miliardi. Bisogna ricordare che quest'anno ci sono stati 2 miliardi di cosiddetto 'non aumento' e quasi 70 milioni di tagli veri sui farmaci innovativi. Ma il punto politicamente più sensibile è che quest'anno è stato accettato un sacrificio sulla sanità ma, voglio ricordarlo, a condizione che nel 2016 ci sia un impegno per portare le risorse da 109 a 113 miliardi, secondo quanto previsto nel piano pluriennale".

La Lorenzin ironicamente ringrazia l’uscita del rappresentante del Veneto. Tra le Regioni l'unico 'no' è venuto dal Veneto: l'assessore alla Sanità Luca Coletto ha spiegato al termine della Stato-Regioni "di aver espresso un voto contrario sia in Conferenza delle Regioni sia in Conferenza Salute". Su questo punto ha chiarito poi la Lorenzin, spiegando che "il rappresentante del Veneto è uscito, permettendoci così di chiudere l'intesa, quindi lo ringrazio". Ma Garavaglia del Cinsedo ricorda che erano assenti assenti al momento dell'intesa in Stato-Regioni anche i rappresentanti della Lombardia e della Liguria.




ISTAT, DISOCCUPAZIONE FERMA AL 12,4 PER CENTO. A.A.A. CERCASI LAVORO!

Redazione

Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, cioe' la quota di giovani disoccupati sul totale di quelli attivi (occupati e disoccupati) e' pari al 41,5%, in calo di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente. Lo rileva l'Istat, sottolinenando che dal calcolo del tasso di disoccupazione sono esclusi i giovani inattivi, cioe' coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, nella maggior parte dei casi perche' impegnati negli studi. Il numero di giovani disoccupati diminuisce su base mensile (-20 mila, pari a -3,1%). L'incidenza dei giovani disoccupati tra 15 e 24 anni sul totale dei giovani della stessa classe di eta' e' pari al 10,6% (cioe' poco piu' di un giovane su 10 e' disoccupato). Tale incidenza diminuisce nell'ultimo mese di 0,3 punti percentuali.
Il numero di giovani inattivi aumenta dell'1,0% nel confronto mensile (+43 mila). Il tasso di inattivita' dei giovani tra 15 e 24 anni cresce di 0,8 punti percentuali, arrivando al 74,3%. Con riferimento alla media degli ultimi tre mesi, per i giovani 15-24enni si osserva la crescita del tasso di disoccupazione (+0,3 punti percentuali) e il calo del tasso di inattivita' (-0,2 punti), mentre il tasso di occupazione rimane stabile.

In termini tendenziali, rispetto a maggio 2014, cala il tasso di occupazione dei giovani 15-24enni di 1,0 punti percentuali, cala anche il tasso di disoccupazione della stessa intensita', a fronte di una crescita del tasso di inattivita' di 2,2 punti.
Dopo la crescita registrata a febbraio e a marzo e il calo di aprile, a maggio il tasso di disoccupazione resta invariato rispetto al mese precedente al 12,4%. Lo rileva l'Istat sottolineando che il numero di disoccupati rimane sostanzialmente invariato su base mensile Nei dodici mesi il numero di disoccupati e' diminuito dell'1,8% (-59 mila) e il tasso di disoccupazione di 0,2 punti percentuali.
Dopo l'aumento del mese di aprile (+0,6%), a maggio gli occupati diminuiscono dello 0,3%, pari a 63 mila unita', rispetto al mese precedente. LO rileva l'Istat sottolineando che il tasso di occupazione, pari al 55,9%, cala nell'ultimo mese di 0,1 punti percentuali. Rispetto a maggio 2014, l'occupazione cresce dello 0,3% (+60 mila) e il tasso di occupazione di 0,3 punti




UNIVERSITA’ MEDICINA: TROPPI STUDENTI E POCHI SBOCCHI LAVORATIVI

di Cinzia Marchegiani

Arriva un allarme inquietante dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri- Fnomceo. Dopo una complessa analisi la stessa Federazione considera che, pur nel totale rispetto delle diverse esigenze, ridurre il numero di accessi in medicina rappresenti un segnale importante, in attesa di una revisione dei criteri della programmazione del fabbisogno dei professionisti medici da formare più aderente alle esigenze dell’intera popolazione: “Ci sembrano assolutamente in linea con questa posizione le dichiarazioni di qualche settimana fa del Presidente del CUN, prof.Andrea Lenzi, secondo cui 7000 accessi sarebbero sufficienti a soddisfare il futuro fabbisogno di medici, evitando di riprodurre una nuova pletora medica come quella creatasi negli anni antecedenti all’introduzione del numero programmato”.

La valutazione sembra fondarsi sulle analisi di alcuni dati certi. Il primo sembra che il tasso di successo egli immatricolati stimato all’80-85% nei prossimi anni, produrrà 8000/8500 laurenandi. A queste nuove leve, che inevitabilmente cercheranno un lavoro, il numero diventa ancora più grande in quanto hanno stimato che al numero di accessi programmati in questi anni per i cdl in medicina vanno inoltre aggiunti gli ulteriori 9.000 posti resi disponibili (non abbiamo in realtà dati certi su quanti di questi si sono poi realmente immatricolati) a seguito dei ricorsi degli studenti (1.500 studenti riammessi per l’a.a. 2013/2014 per la nota vicenda del bonus maturità e i circa 7.500 studenti riammessi per l’a.a. 2014/2015 per i ricorsi al TAR).

Necessità di limitare a 6500 accessi i corsi di laurea in medicina e chirurgia. L’analisi della Fnomeco, indica una quota oltre al quale non conviene accettare altri accessi ai corsi di laurea e lo valuta facendo un ragionamento meramente di possibilità lavorative. Infatti spiega che completamento del percorso formativo post laurea rappresenta l’unica opportunità per poter accedere al mondo lavorativo nell’ambito del SSN, e sottolinea che già esiste un gap tra il numero di laureati/anno in medicina e i posti disponibili per le scuole di specializzazioni mediche ed i fs in mg che complessivamente ammontano a circa 6.000/6.500. Nel concorso del 2014/2015 per le specializzazioni mediche il numero di concorrenti è stato di 12.168 a fronte di un numero di posti disponibili pari a 5.504. Oltre 6600 neolaureati non sono stati ammessi (probabilmente alcuni erano già in possesso di altra specializzazione e tentavano il concorso per la 2°, il che rappresenta un ulteriore dato preoccupante sulla situazione occupazionale dei giovani medici). A questo dato se ne aggiunge un altro: le 9848 domande che nel 2014 ci sono state in 19 regioni (mancano i dati relativi all’Emilia-Romagna) per il concorso al cfs in mg a fronte dei circa complessivi 900 posti disponibili (anche in questo caso è probabile che abbiano partecipato alcuni medici che hanno successivamente concorso alle specializzazioni ).

Un analisi sconvolgente, che mostra come la crisi ha toccato ogni settore. La Fcomeco aggiunge che a confronto il numero dei futuri laureati in medicina per anno con i posti disponibili per le specializzazioni mediche e il cfs in mg, con le attuali disposizioni legislative, circa 2000/2500 laureati in medicina per ogni anno futuro non avranno opportunità di completare il percorso formativo post laurea e si può ipotizzare che nei prossimi 10 anni ci sarà una popolazione di circa 25.000 medici che non avranno possibilità di sbocchi occupazionali nel SSN. A questi numeri che già destano grandi preoccupazioni per i futuri giovani laureati in medicina si aggiungono i dati sulla situazione occupazionale dei giovani medici compresi nella fascia d’età 25-39 anni, dove già è presente un area di disoccupazione/sottoccupazione/precariato che interessa un certo numero di specialisti.

Amara constatazione. Il dato finale è che un gran numero (circa 1000 l’anno) di giovani laureati in medicina e di specialisti decide di emigrare abbandonando il nostro paese che pur aveva investito importanti risorse per la loro formazione.
 




RIFORMA CATASTO: IL COLPO DI SCENA DEL CAMBIO DI ROTTA

 

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di Cinzia Marchegiani

L’Osservatore d’Italia ha seguito sin dall’inizio la Riforma del Catasto che avrebbe inevitabilmente toccato le tasche degli italiani. Una riforma che era stata annunciata epocale per l’impatto decisivo che avrebbe prodotto in seguito alla grande raccolta di dati con l’ausilio di modelli matematici e statistici che avrebbe inciso irreversibilmente il volto non solo censuario ma tributario del cittadini. Ciò ineluttabilmente ha generato paura visto che ogni volta che si mette mano ad una nuova legge, l’aumento sulle tasse patrimoniali non ha risparmiato nessuno.

Ma il rischio della stangata legata alla riforma del catasto che riguarda direttamente almeno 4,6 milioni di immobili, edifici centrali considerati popolari, rustici trasformati in ville che finora erano classificati nelle categorie più modeste A4 e A5 sembra bloccarsi. Matteo Renzi sarebbe intenzionato a rinviare la rivoluzione catastale scongiurando un temuto aumento delle tasse sulla casa.

Il colpo di scena. Proprio lunedì 22 giugno 2015 il presidente della Commissione Finanze della Camera, Daniele Capezzone parlava di stime agghiaccianti sull’aumento di gettito sul tavolo del Governo. Gli addetti ai lavori hanno definito questa decisione un vero colpo di scena regalato all’ultimo momento. La rivoluzione della Riforma del Catasto valutato vero salasso per i proprietari di immobili, avrebbe inciso fortemente sulle imposte fino a vederle quadruplicare. La riforma del catasto aveva già sollevato timori e paure per i mille risvolti che avrebbero inciso in maniera irreversibile la fiscalità immobiliare dei proprietari di tutta Italia, e non solo. Il 12 marzo 2014 era stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge 23 con la quale il Parlamento aveva delegato il Governo ad emanare norme in materia di riforma fiscale, e che conteneva, al suo interno, le linee guida per realizzare la tanto attesa riforma del Catasto Urbano. Tale delega prevedeva l’emanazione di decreti legislativi attuativi entro un anno dall’entrata in vigore della stessa legge. Era stato emanato il primo dei D.Lgs, che riguardava la composizione e attribuzione delle Commissioni Censuarie.


Forse il vento del cambiamento di un Governo, che spinge a nuove elezioni considerando anche le nuove retate di mafia Capitale fanno partorire questo cambio di rotta sulla riforma del Catasto.
Il testo del decreto attuativo principale sulla riforma del catasto, quello, che avrebbe dovuto svelare l’algoritmo utilizzato per ricalcolare le rendite catastali degli immobili degli italiani, non sarà oggetto d’esame al Consiglio dei Ministri previsto per le 18 di martedì 23 giugno 2015. La notizia è soprattutto che questa decisione non sembri un semplice rinvio, poiché la legge delega che incarica il Governo di attuare le misure previste all’articolo 2 (la riforma del catasto fabbricati) scade il prossimo 27 giugno. E sembra improbabile che possa essercene un’altra, dopo la precedente.
I motivi per cui allo stato attuale, dall’ordine del giorno della convocazione del Consiglio dei Ministri, sia scomparsa la discussione sul secondo decreto attuativo della riforma del catasto non sono chiari, ma sembra che le simulazioni effettuate dai tecnici dell’Agenzia delle Entrate, utilizzando gli algoritmi contenuti nel testo, abbiano portato a degli aumenti generalizzati ed elevatissimi: in alcuni casi fino a 8 volte il valore della rendita catastale attuale.

Riproponiamo una riflessione dell’Architetto Alberto D’Agostino, Professore di Economia Urbana ed Estimo Immobiliare presso l’Università La Sapienza di Roma
che aveva lasciato al termine della intervista rilasciata al nostro giornale, che sembrano aver anticipato profeticamenti i problemi generati dall’approccio matematico per calcolare le nuove imposte: “Non sono un politico e quindi non spetta a me trarre le conclusioni sull’attività di governo, mi piacerebbe però assistere ad un maggior impegno dei consiglieri tecnici dei politici e conseguentemente ad una correzione di rotta circa i famosi ed attesi “algoritmi” in gestazione. E’ esperienza comune essere consapevoli di quanto sia pericoloso cambiare punto di vista ed atteggiamento rispetto agli antichi e fondamentali fattori della produzione: terra, lavoro, capitale. Da semplice cittadino temo che i nostri governanti incalzati endemicamente dall’emergenza e dal bisogno possano preferire di sacrificare la gallina pur nella consapevolezza che non ci saranno più uova giornaliere…nel futuro”.

La stangata che, la nuova patrimoniale, avrebbe colpito le tasche di circa 5 milioni di proprietari di immobili fa tremare Matteo Renzi?

 




FALLIMENTO ALITALIA: MINISTERO DELL'ECONOMIA E FINANZE CONDANNATO A RISARCIRE AZIONISTI

Redazione
Una notizia a dir poco clamorosa da parte dello “Sportello dei Diritti”. La nota vicenda del fallimento “Alitalia” giunge ad uno strepitoso quanto atteso epilogo per gli azionisti di minoranza che vedono condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze alla restituzione dei propri soldi a loro tempo investiti.A stabilirlo è il Tribunale Civile di Lecce con sentenza n. 2391/2015 del 14/05/2015, passata in giudicato, all’esito della causa n. 198/2012 intrapresa dall’avvocato Francesco Toto nell’interesse degli azionisti di minoranza e dei piccoli risparmiatori incappati nello scellerato dissesto della vecchia compagnia aerea di Stato.

La sentenza è chiara in punto di fatto e di diritto. Accolta la domanda del capofila dei piccoli azionisti, il Tribunale ha ritenuto che, sia il danno per protrazione ingiustificata dell’attività di un’impresa in crisi irreversibile, sia soprattutto il danno da affidamento incolpevole nelle false dichiarazioni del Ministro dell’Economia e delle Finanze, in qualità di Presidente del CDA Aliatalia, tutte protese a rassicurare i creditori ed il mercato circa il salvataggio, il rilancio e il mantenimento della continuità aziendale della compagnia di Stato, debbano essere risarciti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze secondo l’articolo 2043 del codice civile, più gli interessi e la rivalutazione. Un’operazione che vale oggi circa 3,5 miliardi di euro e che è destinata a conseguenze epocali a danno del MEF per le migliaia di analoghe azioni che potrebbero approdare nei Tribunali d’Italia, in astratto circa 20.000 (perché tanti sono gli azionisti interessati).

Nel corpo della motivazione troviamo l’encomiabile dovizia di particolari incontrovertibili del Magistrato del tribunale salentino. Egli ritiene infatti “…provata la sussistenza di tutti i presupposti necessari per configurare la responsabilità del MEF convenuto ai sensi dell’art. 2043 c.c., attesa la prosecuzione dell’attività aziendale di Alitalia Linee Aeree Italiane SpA pur in mancanza di prospettive industriali e determinando così l’affidamento incolpevole degli azionisti circa la volontà dello Stato di sostenere Alitalia e di evitare il fallimento e l’insolvenza della società.”.La prova offerta dall’avv. Francesco Toto, si legge, “…è versata in atti” e, segnatamente, (proprio!) in Relazioni e Bilanci del Gruppo Alitalia, nella Relazione del Commissario Straordinario, prof. Avv. Augusto Fantozzi, e in altra scottante documentazione che non lascia spazio a dubbi: gli azionisti di minoranza devono essere risarciti perché la compagnia di bandiera non doveva fallire, almeno così sosteneva il Ministro dell’Economia e delle Finanze oltre a tutti i politici allora in lotta per la Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 2008.

Che il Governo Prodi (va rammentato) e ancor di più l’ex cavaliere manifestassero il proprio appoggio al progetto di salvataggio della Compagnia di Stato si rivelò circostanza atta a rafforzare il convincimento degli investitori. A sostegno del principio di omogeneità ed univocità degli intenti di sostenere per poi privatizzare e rilanciare Alitalia, il premier uscente, d’intesa con il premier in pectore, varò un prestito cosiddetto “ponte” di 300 milioni di euro, all’espresso fine di evitarne il commissariamento, creando le premesse per una soluzione alternativa a quella francese. Come peraltro “pressantemente” imposto dall’ex cavaliere, che divenne poi di lì a poco Presidente del nuovo Governo anche grazie a questo “cavallo di battaglia”.Senonchè durante le operazioni e le trattative di vendita ad Air France KLM, il 06 giugno 2008 il titolo Alitalia, con sommo stupore degli azionisti di minoranza, veniva sospeso dalle contrattazioni in Borsa Italiana per non essere mai più riammesso. In violazione ad ogni principio e diritto ad avere corrette, precise e preventive informazioni a tal riguardo dal MEF. Le azioni da quel momento varranno zero.Il famoso “Piano Fenice” si rivelò da subito un “pasticcio” strumentale, utile a pochi (un manipolo di imprenditori chiamati a prendersi ad un prezzo irrisorio le parti produttive della compagnia di Sato) e non certo progettato per salvare la vecchia ma gloriosa Alitalia. Infatti, il 29/08/2008, con stupefacente sorpresa di tutti, tranne degli “addetti ai lavori” appunto, il neo Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, disponeva l’ammissione di Alitalia alla procedura di amministrazione straordinaria. Il Governo, dunque in data 29 agosto 2008 nonostante tutto, rinunciò improvvisamente e definitivamente alla ricerca di un compratore della quota di controllo avviando la procedura di amministrazione straordinaria contro ogni progettualità propagandata fino ad allora sia dai vertici della Compagnia (MEF) che dal neo Presidente del Consiglio di Forza Italia.

Tutta questa attività, niente altro che artificiosa e teatrale messinscena, finì per provocare gravissimi danni non solo agli azionisti di minoranza, rimasti con un pugno di mosche in mano, ma a tutti coloro che avevano creduto alla promessa di salvataggio e rilancio della, unica vera, compagnia di Stato: Alitalia Linee Aeree Italiane Spa.Certo è che oggi è ancora “Pantalone” a dover pagare. Certo è che senza l’azione promossa da Toto e fortemente sostenuta dallo “Sportello dei Diritti” di cui è presidente Giovanni D’Agata, che attraverso i propri legali – per l’appunto Francesco Toto e Francesco D’Agata che ci hanno sempre creduto – nessun piccolo risparmiatore, azionista e creditore avrebbe oggi di che sperare nella possibilità di un concreto e sollecito risarcimento.Al riguardo poi ricordiamo che il 5 dicembre 2013 era stata depositata una pubblica denuncia dai legali dello “Sportello dei Diritti”, D’Agata e Toto, presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Lecce la quale rimane ad oggi lettera morta forse perché i vertici dell’Ufficio (prima di questa scottante pronuncia) non avevano rilevato alcun pubblico interesse ad accertare ulteriori responsabilità penali nella vicenda.Per opportuna conoscenza di tutto il pubblico ed al fine della massima diffusione, si trasmette, quindi, copia della sentenza integrale.
 




EMBARGO RUSSIA: E’ BOOM DI PRODOTTI MADE IN ITALY TAROCCATI

di Cinzia Marchegiani

Nei supermercati russi si possono trovare fantasiosi surrogati locali che hanno preso il posto dei cibi italiani originali, dalla mozzarella “Casa Italia”, dall’insalata “Buona Italia” alla Robiola, dalla mortadella Milano al parmesan, dalla scamorza al mascarpone. La Coldiretti spiega che a potenziare la produzione del falso Made in Italy non è stata però solo l’industria russa, ma anche molti Paesi che non sono stati colpiti dall’embargo come la Svizzera, la Biolorussia, l’Argentina o il Brasile che hanno aumentato le produzioni e le esportazioni dei cibi italiani taroccati nel Paese di Putin. Le sanzioni che hanno portato allo stop alle importazioni di frutta, verdura, salumi e formaggi dall’Italia insomma hanno provocato in Russia un vero boom nella produzione locale di prodotti Made in Italy taroccati, con la produzioni casearia russa di formaggio che nei primi quattro mesi del 2015 ha registrato un sorprendente aumento del 30 per cento e riguarda anche imitazioni di mozzarella, robiola o grana padano.

DENUNCIA PRODOTTI TAROCCATI ITALIANI
A denunciare questo mercato fraudolento è la stessa Coldiretti che ha divulgato un monitoraggio del mercato estero in occasione della visita del presidente Vladimir Putin in Italia in concomitanza dell’annuncio del capo dell'amministrazione presidenziale, Serghei Ivanov, che la Russia non ha intenzione di revocare l'embargo sull'import alimentare dai Paesi che hanno varato sanzioni economiche nei suo confronti: “Nei supermercati russi si possono trovare fantasiosi surrogati locali che hanno preso il posto dei cibi italiani originali, dalla mozzarella ‘Casa Italia’, dall’insalata ‘Buona Italia’ alla Robiola, dalla mortadella Milano al parmesan, dalla scamorza al mascarpone. "A potenziare la produzione del falso Made in Italy non è stata pero’ solo l’industria russa ma – sottolinea la Coldiretti – anche molti Paesi che non sono stati colpiti dall’embargo come la Svizzera, la Biolorussia, l’Argentina o il Brasile che hanno aumentato le produzioni e le esportazioni dei cibi italiani taroccati nel Paese di Putin”. "In Russia – precisa la Coldiretti – è possibile infatti trovare scamorza, mozzarella, provoletta, mascarpone e ricotta Made in Bielorussia, ma anche salame Milano e Gorgonzola di produzione Svizzera e Parmesan o Reggianito di origine Brasiliana o Argentina. "

DANNI INCOMMENSURABILI PER I PRODOTTI ITALIANI
La Coldiretti fa un bilancio anche per il futuro dell’economia italiana. Il rischio quindi è legato alla perdita di spazio sugli scaffali che sarà difficile recuperarlo, anche se le tensioni politiche saranno separate e l’embargo eliminato, perché i rapporti commerciali si consolidano ed i consumatori russi ingannati potrebbero non volere più il Made in Italy sulle loro tavole. Il rischio riguarda anche la ristorazione italiana in Russia che, dopo una rapida esplosione, rischia di essere frenata per la mancanza degli ingredienti principali. In alcuni casi i piatti sono spariti dai menu mentre in altri sono stati sostituiti da tarocchi locali o esteri senza però che ci sia nella stragrande maggioranza dei ristoranti una chiara indicazione nei menu. Secondo l’analisi ella Coldiretti si tratta di danni indiretti destinati a durare nel tempo che moltiplicano le perdite già subite dall’agroalimentare italiano che ha visto praticamente dimezzare le esportazioni in Russia (-53,8 per cento) nel primo bimestre del 2015 dopo che l’embargo iniziato il 6 agosto del 2014 aveva già comportato un calo delle spedizioni di circa 100 milioni di euro. L’impossibilità di esportare sul mercato russo frutta, verdura, salumi e formaggi dall’Italia ha peraltro provocato una situazione di eccesso di offerta sul mercato europeo con ricadute negative sui prezzi riconosciuti agli agricoltori.




AUTOTRASPORTATORI: A.A.A. CERCASI DEDUZIONI FORFETTARIE

di Simonetta D'Onofrio


“Che fine hanno fatto le deduzioni forfettarie per gli autotrasportatori?” È in estrema sintesi la domanda che ha fatto Amedeo Genedani, Presidente di Confartigianato Trasporti e Presidente del Coordinamento dell'Autotrasporto Unatras, per quanto concerne la mancata comunicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate circa le agevolazioni per gli autotrasportatori riguardanti la deduzione forfettaria di spese non documentate. Rimane la preoccupazione, poiché tra pochi giorni è in scadenza del versamento di UNICO e a tutt’oggi, non è ancora stato quantificato l'importo delle deduzioni forfetarie per l'autotrasporto merci. 

“Il problema è grave – dichiara il Presidente Genedani – e non possiamo permetterci di abbassare la guardia sulle risorse, specialmente su quelle dedicate alla deduzione forfettarie delle spese non documentate per gli artigiani, che rappresentano una boccata d'ossigeno utilissima per resistere alla crisi economica che non accenna a diminuire, nonostante le dichiarazioni ottimistiche di una ripresa del Paese”. Il Decreto Ministeriale a firma del Ministro delle Infrastrutture, di concerto con il Ministro dell'Economia, demanda, come di consueto, la definizione degli importi all'Amministrazione finanziaria considerato il verbale d'intesa siglato il 27 gennaio 2015 con le Associazioni di categoria. Si deve ritornare indietro di qualche mese, precisamente al 27 gennaio del 2015. In quella data commenta il Presidente Genedani – è stato firmato un “Verbale d’intesa” tra le associazioni dell’autotrasporto e il Governo in cui veniva affermato che per il triennio 2014/2016 la deduzione forfetaria sarebbe stata garantita per gli stessi importi del 2013.


E' urgente rendere noto, quindi, l'ammontare della quantificazione delle deduzioni per permettere i corretti versamenti, in scadenza il prossimo 16 giugno, relativi ai dichiarativi per il 2014. “Poiché non è stato dato seguito all’accordo politico del gennaio scorso, il nostro timore – prosegue Genedani – è quello di una diminuzione consistente della misura. Ma non l’accetteremo. Sottolineiamo che l'autotrasporto artigiano, da solo, non può e non deve sobbarcarsi tutti i tagli e vedersi ridotto uno stanziamento che è vitale per la sua sopravvivenza. Le intese vanno rispettate, noi siamo artigiani, persone di parola e di principi. Ci auguriamo che si tratti soltanto di un semplice ritardo burocratico e che la situazione evolva, quanto prima, in senso positivo". Sarà stata solo una svista del Governo oppure c’è bisogno di fare cassa per far fronte ai pagamenti arretrati delle pensoni?