IMPRESE ITALIANE: CONFARTIGIANATO, DAL 2011 CREDITO CALATO DI 106 MILIARDI

Redazione

Sempre meno credito alle imprese italiane. Negli ultimi 4 anni, giugno 2011 – marzo 2015, i finanziamenti erogati dalle banche agli imprenditori sono diminuiti del 10,6%, pari ad un calo complessivo di 105,9 miliardi. Nello stesso periodo gli investimenti fissi lordi delle imprese mostrano un calo cumulato di 51,6 miliardi di euro, pari al – 15,9%. I dati emergono da una rilevazione di Confartigianato. A "soffrire" di più il razionamento del credito sono le imprese di piccola dimensione: a maggio 2015 le aziende fino a 20 addetti hanno registrato una diminuzione dei prestiti del 2,3%, rispetto al calo dell'1,6% evidenziato dal totale delle imprese italiane nel corso dell'ultimo anno. Denaro più scarso e più costoso: a marzo 2015 un'impresa italiana paga mediamente un tasso d'interesse effettivo del 5,53% sui finanziamenti per cassa riferiti ad operazioni in essere e a rischi autoliquidanti e a revoca. I tassi di interesse applicati alle piccole imprese sono superiori di 272 punti base rispetto a quelli applicati alle aziende medio-grandi. La classifica regionale del costo del denaro per le imprese vede punte record in Calabria (tasso medio di interesse all'8,89%), seguita da Sicilia (7,89%) e Molise (7,68%). Al lato opposto della classifica il Piemonte, con tassi medi di interesse del 4,53%, seguito da Trentino-Alto Adige (4,80%) e Lombardia (5,08%).

 

Il costo del credito per un'impresa calabrese è superiore di 336 punti base rispetto a quello medio nazionale (5,53%) e superiore di 436 punti rispetto al tasso minimo rilevato in Piemonte. A livello provinciale 'maglia nerà per il denaro più costoso a Carbonia-Iglesias (9,83%), seguita da Enna (9,50%), Reggio Calabria (9,20%), Cosenza (9,03%), Crotone (9,00%). I tassi di interesse più bassi d'Italia si registrano a Biella (3,24%), seguita da Alessandria (4,32%), Cuneo (4,32%), Provincia Autonoma di Bolzano (4,49%), Torino (4,60%). Il costo del denaro per un'impresa della provincia di Carbonia-Iglesias è quasi doppio (430 punti base in più) di quello medio nazionale e triplo (659 punti base in più) rispetto al tasso minimo rilevato a Biella. Secondo il rapporto di Confartigianato sono colpite dal razionamento del credito anche le imprese artigiane: a marzo 2015 lo stock di finanziamenti è diminuito del 5%, pari a 2,4 miliardi in meno nell'ultimo anno. Il calo dei prestiti all'artigianato prosegue da due anni e a marzo 2015 si osserva una accelerazione del fenomeno rispetto al -3,8% di dicembre 2014 e al -3,5% di un anno prima

 

Le dichiarazioni di ottimismo delle banche italiane, sottolinea Giorgio Merletti, presidente di Confartigianato, «si scontrano con la realtà vissuta dagli imprenditori. Noi, il rilancio dei prestiti alle imprese non lo vediamo ancora: del resto, 106 miliardi in meno di finanziamenti negli ultimi 4 anni la dicono lunga su quanto c'è da recuperare». Soprattutto per gli artigiani e le piccole imprese il denaro, aggiunge Merletti, «rimane più scarso e più costoso rispetto a quello erogato alle aziende medio-grandi e in confronto a quanto avviene nella media europea. Un presupposto fondamentale per la ripresa consiste nella fiducia che le banche accordano ai progetti di investimento degli imprenditori. Resta vera la battuta che se il successo di Bill Gates fosse dipeso dalla valutazione del nostro sistema bancario, forse sarebbe ancora nel garage nel quale iniziò la sua attività da artigiano!», conclude il presidente di Confartigianato




WIKILEAKS SVELA L’ACCORDO SEGRETO TPP: DANNI ALLE AZIENDE DI STATO

Danni alle aziende di Stato e un innesco di denunce nei tribunali nazionali. Il documento svela come l’accordo tenderà a limitare gravemente le aziende statali. Sono in grado di vedere porzioni del testo anche se segreto, le grandi aziende mondiali, generando una potente lobby di apportare modifiche a favore di questi gruppi 

di Cinzia marchigiani

Wikileak in data 29 luglio 2015 pubblica sul proprio sito la lettera segreta dall'accordo Trans-Pacific Partnership (TPP o TPPA) riunione ministeriale nel dicembre 2013 insieme a una vasta analisi degli esperti del documento.

Contenuto del documento. La lettera indica la privatizzazione e la strategia di globalizzazione di ampio respiro nell'ambito dell'accordo che tende a limitare gravemente "imprese statali" (SOE). Anche un’azienda statale SOE che esiste per espletare una funzione pubblica ma trascurata dal mercato o che ha un monopolio naturale sarebbe comunque costretta ad agire "sulla base di considerazioni commerciali" e sarebbe vietato discriminare a favore delle imprese locali in acquisti e vendite. Le società straniere potrebbero citare le aziende di Stato nei tribunali nazionali per i danni percepiti dalle restrizioni del TPP, e i paesi potrebbero anche essere citati in giudizio da parte di altri paesi TPP, o da società private di questi paesi. I Paesi in via di sviluppo come il Vietnam, che impiega un gran numero di aziende di Stato come parte della sua infrastruttura economica, sarebbero più colpiti. SOE continuano a svolgere funzioni pubbliche vitali anche i paesi più privatizzati, come il Canada e l'Australia.
Un trattato tutto segreto, in mano a poche persone. Il documento spiega come il TPP è il più grande accordo commerciale economico del mondo e, se entrerà in vigore, comprendererà oltre il 40 per cento del PIL mondiale. Nonostante i suoi effetti ad ampio raggio sulla popolazione mondiale, il TPP è attualmente in fase di negoziazione in totale segretezza da 12 paesi. Poche persone, anche all'interno dei governi dei paesi negoziali, hanno accesso al testo integrale del progetto di accordo, e il pubblico – che interesserà più – del tutto assenti. Le grandi aziende, tuttavia, sono in grado di vedere porzioni del testo, generando una potente lobby di apportare modifiche a favore di questi gruppi e portando via di sviluppo ridotti forza, mentre il grande pubblico non ne ha accesso e alcuna informazione.

Il TPP è parte del pacchetto mega-trattato TPP-Tisa-TTIP, che coinvolgeranno i più di due terzi del PIL mondiale. WikiLeaks 'editore, Julian Assange, ha dichiarato: "Il TPP erige un sistema economico concepito a vantaggio le più grandi società transnazionali. In questa perdita vediamo gli effetti radicali il TPP avrà, non solo sui paesi in via di sviluppo, ma sugli stati molto vicino al centro del sistema occidentale. Se vogliamo ristrutturare le nostre società in un blocco giuridico ed economico ultra-neoliberista che durerà per i prossimi 50 anni, allora questo dovrebbe essere detto in modo aperto e dibattuto. "
Secondo il testo della lettera, "la maggior parte dei paesi TPP fronte agli obblighi con quelle aziende che possono variare le utenze, fornitori di telecomunicazioni, aziende minerarie, imprese di investimento che vanno oltre gli obblighi esistenti stabilito negli accordi di libero scambio e dell'Organizzazione mondiale del commercio”.




RAPPORTO SVIMEZ: L’ITALIA, UN PAESE DIVISO E DISEGUALE, DOVE IL SUD SCIVOLA SEMPRE PIÙ NELL’ARRETRAMENTO E POVERTA’

RAPPORTO SVIMEZ: ANALISI SPIETATA, L’ITALIA, UN PAESE DIVISO E DISEGUALE, DOVE IL SUD SCIVOLA SEMPRE PIÙ NELL’ARRETRAMENTO E POVERTA’

In tredici anni, dal 2000 al 2013, l’Italia è stato il Paese che, in termini di Pil in PPA, è cresciuto meno di tutti i paesi considerati, +20,6% rispetto al +37,3% dell’area Euro a 18, addirittura meno della Grecia, che ha segnato +24% quale effetto della forte crescita negli anni pre crisi, che è riuscita ad attenuare in parte il crollo successivo

di Cinzia Marchegiani

Video Renzi: Italiani sempre più ricchi https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=2&cad=rja&uact=8&ved=0CCgQtwIwAWoVChMI8o232f2CxwIViJpyCh2QHgg3&url=http%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DR-mANPQPzeE&ei=dim6VfL6I4i1ygOQvaC4Aw&usg=AFQjCNGezHjKewIoZ0tiVOMYZ8Hk55oLVw


La fotografia scattata dal Rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno 2015 presentato il 30 luglio 2015 a Roma, è spietata. Nel 2014 per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora negativo (-1,3%); il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di 15 anni fa; negli anni di crisi 2008-2014 i consumi delle famiglie meridionali sono crollati quasi del 13% e gli investimenti nell’industria in senso stretto addirittura del 59%; nel 2014 quasi il 62% dei meridionali guadagna meno di 12mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord.

In base a valutazioni SVIMEZ nel 2014 il Pil è calato nel Mezzogiorno dell’1,3%, rallentando la caduta dell’anno precedente (-2,7%), con un calo superiore di oltre un punto percentuale rispetto al Centro-Nord (-0,2%). Da rilevare che per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno registra segno negativo, a testimonianza della permanente criticità dell’area. Il peggior andamento del Pil meridionale nel 2014 è dovuto soprattutto ad una più sfavorevole dinamica della domanda interna, sia per i consumi che per gli investimenti. Anche gli andamenti di lungo periodo confermano un Paese spaccato e diseguale: negli anni di crisi 2008-2014 il Sud ha perso -13%, circa il doppio del pur importante -7,4% del Centro-Nord. Il divario di Pil pro capite tra Centro-Nord e Sud nel 2014 ha toccato il punto più basso degli ultimi 15 anni, tornando, con il 53,7%, ai livelli del 2000.

La crisi nel 2014 si attenua nella maggior parte delle regioni del Centro-Nord, molto meno in tutte quelle del Sud. La regione più povera è la Calabria, con 15.807 euro. Il divario tra la regione più ricca, il Trentino Alto Adige, e la più povera, la Calabria, è stato nel 2014 pari a quasi 22mila euro.
I consumi continuano a calare al Sud, mentre riprendono a crescere nel resto del Paese Guardando invece agli anni di crisi 2008-2014, la caduta cumulata dei consumi delle famiglie ha superato nel Mezzogiorno i 13 punti percentuali (-13,2%), risultando di oltre due volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese (-5,5%). In particolare, negli anni 2008-2014 il calo cumulato della spesa è stato al Sud del -15,3% per i consumi alimentari, a fronte del -10,2% del Centro-Nord; e di ben il -16% per il vestiario e calzature, il doppio del resto del Paese (-8%).
Significativo e preoccupante anche il crollo della spesa delle famiglie relativo agli altri “beni e servizi”, che racchiudono, come indicato, i servizi per la cura della persona e le spese per l’istruzione: -18,4% al Sud, oltre tre volte in più rispetto al Centro-Nord (-5,5%). Continua la caduta degli investimenti, specie al Sud. A livello settoriale, crollo epocale al Sud degli investimenti dell’industria in senso stretto, ridottisi dal 2008 al 2014 addirittura del 59,3%, oltre tre volte in più rispetto al già pesante calo del Centro-Nord (- 17,1%).
Giù anche gli investimenti nelle costruzioni, con un calo cumulato del -47,4% al Sud e del – 55,4% al Centro-Nord; in agricoltura, (-38% al Sud, quasi quattro volte più del Centro-Nord, -10,8%).
Giù inoltre soprattutto al Sud i trasferimenti in conto capitale a favore delle imprese pubbliche e private: tra il 2001 e il 2013 si è registrato un calo del 52%, pari a oltre 6,2 miliardi di euro. A trainare al ribasso i trasferimenti, il crollo degli incentivi alle imprese private.
Nella crisi, giù tutti i settori. Al Sud il calo continua nel 2014. In calo anche le costruzioni, il cui valore aggiunto è diminuito cumulativamente al Sud del -38,7% a fronte del – 29,8% del Centro-Nord. Scendono nel periodo in questione anche i servizi, -6,6% al Sud e -2,6% al Centro-Nord.
Segno negativo anche se si guarda al solo 2014, ma soprattutto al Sud: l’agricoltura perde infatti nel Mezzogiorno addirittura -6,2%, mentre il Centro-Nord guadagna +0,4%; l’industria flette nel Sud del 3,3%, una perdita di due punti percentuali superiore a quella del Centro-Nord (-1,3%); i servizi segnano -0,5% al Sud contro +0,3% dell’altra ripartizione.

Da segnalare che in tredici anni, dal 2000 al 2013, l’Italia è stato il Paese che, in termini di Pil in PPA, è cresciuto meno di tutti i paesi considerati, +20,6% rispetto al +37,3% dell’area Euro a 18, addirittura meno della Grecia, che ha segnato +24% quale effetto della forte crescita negli anni pre crisi, che è riuscita ad attenuare in parte il crollo successivo. Situazione decisamente più critica al Sud, che nel 2001-2013 cresce nel periodo n questione la metà della Grecia, +13%: oltre 40 punti percentuali in meno della media delle regioni Convergenza dell’Europa a 28 (+53,6%).
Il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che l’assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all’area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente. Nel 2014 occupati al Sud come nel 1977. Il Mezzogiorno tra il 2008 ed il 2014 registra una caduta dell’occupazione del 9%, a fronte del -1,4% del Centro-Nord, oltre sei volte in più. Delle 811mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro nel periodo in questione, ben 576mila sono residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, dunque, pur essendo presente appena il 26% degli occupati italiani si concentra il 70% delle perdite determinate dalla crisi. Nel 2014 i posti di lavoro in Italia sono cresciuti di 88.400 unità, tutti concentrati nel Centro-Nord (133mila). Il Sud, invece, ne ha persi 45mila. Il numero degli occupati nel Mezzogiorno torna così a 5,8 milioni, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni; il livello più basso almeno dal 1977, anno da cui sono disponibili le serie storiche dell’Istat. Tornare indietro ai livelli di quasi quarant’anni fa testimonia, da un lato, il processo di crescita mai decollato, e, dall’altro, il livello di smottamento del mercato del lavoro meridionale e la modifica della geografia del lavoro.
Allarme povertà: una persona su tre a rischio al Sud, una su dieci al Nord. In Italia negli ultimi tre anni, dal 2011 al 2014, le famiglie assolutamente povere sono cresciute a livello nazionale di 390mila nuclei, con un incremento del 37,8% al Sud e del 34,4% al Centro-Nord. Quanto al rischio povertà, nel 2013 in Italia vi era esposto il 18% della popolazione, ma con forti differenze territoriali: 1 su 10 al Centro-Nord, 1 su 3 al Sud. La regione italiana con il più alto rischio di povertà è la Sicilia (41,8%), seguita dalla Campania (37,7%). La percentuale di famiglie in povertà assoluta sul totale delle famiglie è aumentata al Sud nel 2014 rispetto al 2011 del 2,2% (passando dal 6,4% all’8,6%) contro il +1,1% del Centro-Nord (dal 3,3% al 4,4%). Nel periodo 2011-2014 al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute di oltre 190mila nuclei in entrambe le ripartizioni, passando da 511mila a 704mila al Sud e da 570mila a 766mila al Centro-Nord. A livello di reddito, guadagna meno di 12mila euro annui quasi il 62% dei meridionali, contro il 28,5% del Centro-Nord. Particolarmente pesante la situazione in Campania (quasi il 66% dei nuclei guadagna meno di 12mila euro annui), Molise (70%) e Sicilia (72%).

Dati agghiaccianti, che rappresentano famiglie, aziende, pensionati, gioventà nel baratro più profondo alla soglia del 2015. Si parla di arretratezza, povertà, desertificazione, mentre lo Stato italiano sembra voler fortemente accentuare tagli, tasse che stanno portando in una sprilare senza via d'uscita la morte al rallentatore di una nazione che ha visto tempi d'oro economicamente e politicamente, la propserità e l'ingegno italiano. Un crollo che le famiglie sentono sulla propria pelle, mentre Renzi andava a Bruxelles a racconatere la favola con testuali parole: "In un tempo di crisi le famiglie italiane hanno visto crescere i propri risparmi, passati da 3,5 a 3,9 triliardi di euro dal 2012 al 2014. In questi mesi l'Italia ha visto aumentare i propri risparmi, paradossalmente le famiglie si stanno arricchendo perché hanno preoccupazione e paura".

Governare significa prendere consapevolezza dei problemi e affrontarli, il nostro premier evidenteme ha un cattivo rapporto con i numeri e questa purtroppo è una seria e grave constazione.




L’EUROTASSA NON E’ UNA BUFALA: IL MINISTRO PADOAN LO CONFERMA

Il gruppo alla camera FdI-AN aveva interpellato al Ministro delle finanze per conoscere la veridicità di una taske force incaricata di studiare le modalità per l’introduzione di una eurotassa

di Cinzia Marchegiani

Siamo talmente abituati a leggere catastrofismi su questa Unione Europea, che ogni articolo di giornale suscita preoccupazione e ilarità, al tal punto che la realtà è diventata spesso contesa di conferme per la sua veridicità. E’ il caso dell’Eurotassa, la new entry tax che sembra gravitare sulle teste dei cittadini europei come una sorte di uccello del malaugurio. Monti, che sembra sia stato chiamato a studiare questa nuova tassa precisava: “Nessuna eurotassa, ma un lavoro per trovare le soluzioni migliori sulle modalità future di finanziamento dell' Ue, lasciando invariato l' onere complessivo a carico di cittadini ed imprese derivante dalle fiscalità nazionali e dalle 'risorse proprie' di pertinenza della Ue". Lo affermava  l' ex premier Mario Monti in un' intervista al Corriere della Sera in cui spiega il mandato del 'Gruppo sulle risorse proprie dell' Ue', da lui presieduto, istituito nel febbraio 2014 e che presenterà le sue proposte nella primavera prossima . Ma alla Camera dei Deputati il gruppo FdI-An aveva in tal senso interpellato il Ministro delle finanze italiano Padoan, per comprendere se l’introduzione dell’eurotassa avanzata dal Ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, con cui i paesi membri dovranno devolvere una parte delle risorse riscosse attraverso l'iva e l'irpef a livello nazionale a un fondo europeo, oppure introdurre una tassa addizionale, con aliquote e criteri da decidere su base differenziata per le singole nazioni, fosse già in lavorazione.

La risposta del ministro Padoan, non si è fatta attendere e conferma che c’è l’intenzione di introdurre una nuova tassa, ormai nota come eurotassa. “Purtroppo constatiamo come l’Unione Europea decida misure sempre e soltanto nella direzione di irrigidire, se non rovinare – denuncia il capogruppo alla camera dei Deputati di FdI-AN – i rapporti con gli Stati partner soprattutto quelli del Mediterraneo”. L’On. Rampelli ravvisa la necessità l’istituzione di una commissione europea che affronti tutti le problemi che l’Ue scarica sull’Italia, come per esempio, l’utilizzo del latte in polvere (leader della produzione è la Germania) al posto del latte naturale per la produzione dei formaggi, in cui l’Italia è un’eccellenza: “Quando si affronterà il problema del diametro delle vongole, che ha letteralmente decimato la nostra pesca, o la vicenda delle reti da pesca e delle loro dimensioni più adatte ai mari del Nord che al nostro mare, – spiega Rampelli – o quando si affronterà la resistenza della Germania per la promozione del Made in, ovviamente in chiave anti Made in Italy. L’Unione europea propone l’istituzione di una nuova tassa proprio all’indomani del rifiuto all’equa ripartizione delle quote dei migranti. Insomma, a pagare sempre gli italiani. E questo è inaccettabile”.

Le bugie caro Monti hanno le gambe corte, ma tanto che importa se a fare le spese è sempre la moltitudine dei cittadini ormai sempre più stretti e intrappolati nelle maglie di una giustizia non più sociale che si chiama Unione Europea, nata per scopi ben più dignitosi, quello dei diritti dei popoli, che ora ci si chiede dove siano stata sepolti.




POVERTÀ ASSOLUTA PER 4,1 MILIONI DI ITALIANI

Redazione

Nel 2014 1 milione e 470 mila famiglie (5,7% di quelle residenti) è in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8% della popolazione residente). Lo rende noto l'Istat.
Dopo due anni di aumento, l'incidenza della povertà assoluta si mantiene sostanzialmente stabile; considerando l'errore campionario, il calo rispetto al 2013 del numero di famiglie e di individui in condizioni di povertà assoluta (pari al 6,3% e al 7,3% rispettivamente), non è statisticamente significativo (ovvero non può essere considerato diverso da zero).
La povertà assoluta è sostanzialmente stabile anche sul territorio, si attesta al 4,2% al Nord, al 4,8% al Centro e all'8,6% nel Mezzogiorno.
Migliora la situazione delle coppie con figli (tra quelle che ne hanno due l'incidenza di povertà assoluta passa dall'8,6% al 5,9%), e delle famiglie con a capo una persona tra i 45 e i 54 anni (dal 7,4% al 6%); la povertà assoluta diminuisce anche tra le famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione (dal 23,7% al 16,2%), a seguito del fatto che più spesso, rispetto al 2013, queste famiglie hanno al proprio interno occupati o ritirati dal lavoro.
Nonostante il calo (dal 12,1 al 9,2%), la povertà assoluta rimane quasi doppia nei piccoli comuni del Mezzogiorno rispetto a quella rilevata nelle aree metropolitane della stessa ripartizione (5,8%). Il contrario accade al Nord, dove la povertà assoluta è più elevata nelle aree metropolitane (7,4%) rispetto ai restanti comuni (3,2% tra i grandi, 3,9% tra i piccoli).
Tra le famiglie con stranieri la povertà assoluta è più diffusa che nelle famiglie composte solamente da italiani: dal 4,3% di queste ultime (in leggero miglioramento rispetto al 5,1% del 2013) al 12,9% per le famiglie miste fino al 23,4% per quelle composte da soli stranieri. Al Nord e al Centro la povertà tra le famiglie di stranieri è di oltre 6 volte superiore a quella delle famiglie di soli italiani, nel Mezzogiorno è circa tripla.
L'incidenza di povertà assoluta scende all'aumentare del titolo di studio: se la persona di riferimento è almeno diplomata, l'incidenza (3,2%) è quasi un terzo di quella rilevata per chi ha la licenza elementare (8,4%). Inoltre, la povertà assoluta riguarda in misura marginale le famiglie con a capo imprenditori, liberi professionisti o dirigenti (l'incidenza è inferiore al 2%), si mantiene al di sotto della media tra le famiglie di ritirati dal lavoro (4,4%), sale al 9,7% tra le famiglie di operai per raggiungere il valore massimo tra quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione (16,2%).
Come quella assoluta, la povertà relativa risulta stabile e coinvolge, nel 2014, il 10,3% delle famiglie e il 12,9% delle persone residenti, per un totale di 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone.
Anche per la povertà relativa si conferma la stabilità, rispetto all'anno precedente, rilevata per la povertà assoluta nelle ripartizioni geografiche e il miglioramento della condizione delle famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione (l'incidenza della povertà relativa passa dal 32,3% al 23,9%) o residenti nei piccoli comuni del Mezzogiorno (dal 25,8% al 23,7%); in quest'ultimo caso il miglioramento si contrappone al leggero peggioramento registrato nei grandi comuni rispetto all'anno precedente (dal 16,3% al 19,8%).




CARLO CALENDA. PUNTARE SULL'EXPORT

di Silvio Rossi

 

Investire verso l’estero. Non c’è crescita se ci si limita a progettare le nostre attività solo nello spazio nazionale, in un mondo globalizzato si deve avere il coraggio di affrontare i mercati. Ma per fare ciò bisogna avere strutture adeguate e la giusta preparazione.
L’incontro organizzato nella splendida cornice dell’Accademia Americana al Gianicolo il 13 luglio, dalla Regione Lazio, con la presenza del presidente Nicola Zingaretti ha visto numerosi rappresentati di molte ambasciate, che sono interessati a stringere rapporti economici con alcune piccole e medie imprese della nostra regione.
È stato anche presentato un progetto per formare venti giovani laureati, con un corso totalmente orientato al marketing internazionale, perché esportatori non ci si improvvisa, per mantenere la presenza sui mercati stranieri bisogna conoscere a fondo i meccanismi del commercio.
L’iniziativa regionale ha visto la collaborazione del Ministero per lo sviluppo economico, che era rappresentato dal viceministro Carlo Calenda, che ha la delega al commercio internazionale.


Abbiamo chiesto al vice ministro alcune impressioni sul lavoro svolto dalla Regione Lazio, e dalle altre regioni italiane:
La Regione Lazio, in particolare il presidente Zingaretti, sta sviluppando molti progetti per quanto riguarda le imprese. È un comportamento in linea con le atre regioni, oppure è “più avanti”?
Che l’internazionalizzazione sia importante, lo sentono tutte le regioni. Questo non sempre si traduce però in attività coerenti, e con soldi spesi bene, la Regione Lazio è una di quelle che meglio di tutte sta lavorando su questo tema, e lo fa in maniera estremamente sinergica sul piano nazionale, cioè le cose le vediamo insieme, e questo è fondamentale. Da questo punto di vista si può dire che è molto avanti.
C’è quindi un’Italia a due velocità? Il Lazio è una regione grande, con strutture adeguate, le regioni piccole sotto questo punto di vista hanno maggiori difficoltà?
Sì, le regioni piccole hanno delle difficoltà, non c’è dubbio, le regioni del sud hanno difficoltà. Molto spesso ci sono regioni grandi, con vocazione all’export, che hanno anche i fondi, ma spesso li spendono male, perché non vuol dire solo la dimensione, ma anche la capacità di lavorare.
Quali sono le ricette per diventare competitivi?
Il master che abbiamo presentato, è orientato al futuro, è qualcosa di innovativo che tende a formare gli esperti di domani, questo è il tema centrale su cui le regioni devono lavorare, sulla capacità di creare innovazione dentro le aziende, oggi noi abbiamo una carenza assoluta di export manager, che sappiano gestire le esportazioni.
Si sta puntando molto sull’export oggi. C’è stata negli anni passati una flessione?
No, il nostro export è sostanzialmente aumentato nel tempo, le aziende che esportano sono 210.000, in termini dimensionali il nostro export non è mai stato così forte. Il problema non è questo. Le aziende che esportano sono tante, quelle che lo fanno in maniera strutturale, che lo fanno con più del 50 % del fatturato, sono pochissime sono 15.000, per cui non dobbiamo aumentare il numero di quelle che esportano in generale, ma di quelle che lo fanno in maniera strutturale.
Come sono cambiati invece i mercati? Si parla molto della Cina, o di altri paesi emergenti.
I mercati cambiano in continuazione, noi possiamo dire che il focus maggiore l’abbiamo negli Stati Uniti, dove abbiamo ancora un potenziale inespresso enorme, di circa dieci miliardi di euro, un mercato stabile, in crescita, dove le nostre aziende hanno appena intaccato la superficie, perché nell’America profonda non sono mai andate, ed è un mercato stabile. Poi certo la Cina è molto importante, ma rimangono barriere all’ingresso, per esempio per un’azienda media.




A MAGGIO IL DEBITO PUBBLICO SALE A 2.218,2 MILIARDI

Redazione

A maggio, secondo i dati del Bollettino statistico della Banca d'Italia, il debito delle amministrazioni pubbliche è aumentato di 23,4 miliardi, a 2.218,2 miliardi. L’incremento del debito è stato superiore al fabbisogno del mese (4,3 miliardi) principalmente per l’aumento di 17,8 miliardi delle disponibilità liquide del Tesoro (a fine maggio pari a 100,9 miliardi; 92,3 a maggio del 2014); complessivamente la rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione, il deprezzamento dell’euro e l’emissione di titoli sopra la pari hanno accresciuto il debito per 1,3 miliardi. Con riferimento ai sottosettori, il debito delle amministrazioni centrali è aumentato di 22,9 miliardi, quello delle amministrazioni locali di 0,5 miliardi; il debito degli Enti di previdenza è rimasto sostanzialmente invariato.




DISEGNO DI LEGGE SULLA CLASS ACTION: CODACONS DIFFIDA IL MINISTRO MARIA ELENA BOSCHI

Al centro dell’atto, la riforma della “class action” approvata alla Camera e le gravi dichiarazioni del Ministro, che di recente ha annunciato modifiche alla legge allo scopo di accogliere nel passaggio al Senato le proteste di Confindustria

di Ci. Ma.

Il Codacons ha presentato una formale diffida nei confronti del Ministro per le Riforme Costituzionali, i Rapporti con il Parlamento e il Programma di Governo On. Avv. Maria Elena Boschi. Al centro dell’atto, la riforma della “class action” approvata alla Camera e le gravi dichiarazioni del Ministro, che di recente ha annunciato modifiche alla legge allo scopo di accogliere nel passaggio al Senato le proteste di Confindustria.
“Prima di assumere le funzioni, il Presidente del Consiglio e i Ministri devono prestare giuramento secondo la formula rituale indicata dall'art. 1, comma 3, della legge n. 400/88, che impone loro di esercitare le proprie funzioni “nell'interesse esclusivo della nazione” – scrive il Codacons nella diffida. La norma sopra citata impone a ciascun Ministro di orientare le proprie decisioni ed i propri comportamenti alla cura dell’interesse pubblico che gli è stato normativamente affidato, evitando di assumere condotte che si discostino dall’obiettivo di soddisfare gli interessi dell’intera nazione.
Codacons sottolinea con forza che in ragione del ruolo rappresentativo assunto, i Ministri sono quindi tenuti ad agire senza abusare della propria posizione o dei poteri di cui dispongono, mantenendo un ruolo di indipendenza ed imparzialità, evitando situazioni di conflitto d’interessi. In questo caso, la scelta del Ministro Boschi di limitare alla sola Confindustria il confronto sui contenuti delle nuove “Disposizioni in materia di azione di classe”, sembra porsi in contrasto con l’obbligo di perseguire l’interesse generale della nazione, oltre che con i doveri di imparzialità e trasparenza che dovrebbero sempre connotare l’operato dei soggetti pubblici.
Codacons mette in rilevo soprattutto le affermazioni di Giorgio Squinzi, Presidente Confindustria, che sulla modifica del disegno di legge: “si è dichiarato sicuro di una modifica del disegno di legge in Senato ‘che sistemi la situazione’, proprio in quanto rassicurato sul punto dall’attuale Ministro Boschi”.
Per tali motivi il Codacons ha diffidato il Ministro per le Riforme Costituzionali Maria Elena Boschi:
– alla cessazione delle condotte poste in essere in violazione dei principi di cui all’art. 1, comma 3, della legge n. 400/88 ed in contrasto con gli obblighi di imparzialità e trasparenza connaturati al ruolo istituzionale dalla stessa assunto;
– a fissare un incontro con la scrivente Associazione al fine di consentire alla medesima di farsi portatrice delle esigenze e degli interessi dei cittadini, onde evitare che la modifica delle nuove “Disposizioni in materia di azione di classe” finisca per esser figlia della valutazione dei soli interessi della grande impresa.




GRECIA, EUROGRUPPO: SCHAEUBLE:"GREXIT PER CINQUE ANNI"

Redazione

Chissa che alla fine non si prenda la decisione di una uscita temporanea dall'euro che alla Grecia potrebbe non fare poi così male. La riunione dell'Eurogruppo che è in corso a Bruxelles, a 4 giorni dall'ultimatum che i partner europei hanno dato al governo Tsipras per presentare un piano di riforme credibile e poter concedere nuovi aiuti finanziari, dopo che il secondo programma di assistenza finanziaria non è stato concluso per la mancanza di un accordo, si preannuncia "lunga" e "difficile". Sono gli aggettivi utilizzati, rispettivamente, dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan e dal presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem.
Dopo l'ok del parlamento greco al mandato per negoziare un terzo programma di aiuti internazionali sulla base del pacchetto di riforme proposte giovedì sera dal governo, ci sono ancora "serie preoccupazioni sulla credibilità degli impegni" e sull'effettiva attuazione di quanto promesso. "C'è un grande problema di fiducia", ha detto Dijsselbloem. E' presto dunque per cantare vittoria: i giochi sembrano ancora aperti e continua a non potersi escludere che il doppio vertice dei capi di stato e di governo dell'Eurozona e dell'Ue, convocato per domani a Bruxelles, si trasformi in una riunione per affrontare l'eventualità dell'uscita di Atene dalla moneta unica.
Atene deve compiere ulteriori passi rispetto alle proposte di riforma per convincere l'Europa che onorerà i suoi debiti, se vuole avviare i negoziati sul salvataggio. E' quanto avrebbero detto i ministri delle Finanze dell'Eurogruppo riuniti a Bruxelles, secondo quanto riferiscono fonti comunitarie.

Un'uscita "a tempo" di cinque anni della Grecia dall'euro, per permettere ad Atene di ristrutturare il proprio debito: sarebbe questa la proposta inviata ai colleghi dell'Eurogruppo dal ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble. La rivelazione è arrivata dal Frankfurter Allgemeine Zeitung, mentre e' in corso la riunione dell'Eurogruppo a Bruxelles.

Fonti comunitarie hanno confermato l'esistenza di un piano tedesco in questo senso ma fonti del governo greco hanno fatto sapere che l'ipotesi di 'Grexit' temporanea non è stata affrontata nel corso della riunione dell'Eurogruppo.

Secondo la Faz, il ministro tedesco ha inviato agli altri Paesi dell'area euro una nota con la quale boccia le proposte della Grecia e suggerisce l'uscita a tempo di Atene che rimarrebbe comunque membro Ue e riceverebbe "assistenza umanitaria e tecnica di stimolo per la crescita". Nel piano Schaeuble ventilerebbe la possibilita' di un trasferimento di 'asset' per 50 miliardi di dollari in un fondo di garanzia da parte di Atene a copertura del debito.




NAPOLI: GOVERNO PRONTO A SOSTENERE DE LUCA

Redazione

Napoli – Il sottosegretario al ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione Angelo Rughetti, intervenendo a margine del convegno "Le riforme per lo sviluppo del territorio" all'Universita' Suor Orsola Benincasa di Napoli, ha parlato della nuova esperienza amministrativa della Regione Campania. "Qui abbiamo un'opportunita' di sfruttare una ripartenza politica. E' necessario – spiega Rughetti – che le grandi riforme trovino un modo di divenire delle opportunita' per i cittadini. Questo cose vanno insegnate perche' per troppo tempo abbiamo tenuto divisi formazione e aggiornamento dalla vita concreta". Per il sottosegretario, l'unica chance che ha il Mezzogiorno per ripartire "sono le riforme – precisa – ma questo non basta perche' serve avere idee e una buona capacita' amministrativa. Solo questo dualismo puo' generare la forza per crescere ed andare avanti". La buona capacita' amministrativa non puo' pero' prescindere da una classe dirigente in grado di trasferire questo principio sui territori, "come in Campania", dove a capo della giunta "c'e' una figura (il presidente della Regione Vincenzo De Luca ndr) che ha gia' una importante esperienza amministrativa alle spalle".




ULTIMATUM EUROZONA: CONCESSI ALLA GRECIA SOLO 5 GIORNI PER TROVARE UN ACCORDO O DEFAULT

 

Inquietanti le riflessioni del Presidente UE, Donal Tusk dopo il summit che amonisce: “La nostra incapacità di trovare un accordo può condurre al fallimento della Grecia e il fallimento del suo sistema bancario. E di sicuro, sarà più doloroso per il popolo greco. Non ho alcun dubbio che questo influenzerà tutta l'Europa anche nel senso geopolitico. Se qualcuno ha qualche illusione che non sarà così, sono ingenui”

di Cinzia Marchegiani

Strasburgo – Un tira e molla l’accordo che vede impegnata la Grecia con la troika, evidentemente non è solo la Grecia a dover perdere pezzi fondamentali per la propria stabilità, se arriva il default e quindi la fuoriuscita della Grecia dall'UE sarà sancita definitivamente anche una crepa profonda della zona euro. Il vertice conclusosi a Strasburgo martedì 7 luglio 2015 ha deciso per un “ulteriore” ultimatum, alla Grecia, infatti sono stati concessi altri cinque giorni per trovare un accordo, altrimenti sarà default. L'Eurogruppo ha accolto con favore il nuovo ministro greco delle Finanze Euclid Tsakalotos che ha presentato la situazione in Grecia dopo il referendum del 5 luglio 2015. A seguito della riunione dell'Eurogruppo Presidente Jeroen Dijsselbloem ha annunciato che il governo greco avrebbe presentato una nuova richiesta di assistenza finanziaria dal meccanismo europeo di stabilità(ESM).
Discorso Tsipras e commenti. Il premier Tsipras è intervenuto al Parlamento europeo chiedendo un taglio del debito per poter essere in gradi di restituire i soldi e ha ricordato, lanciando una battuta alla Germania: “che il momento di massima solidarietà nella Ue è stato nel 1953 quando venne tagliato il 60% del debito tedesco, dopo la Guerra”. Tsipras ha inoltre annunciato una richiesta di fondi al Fondo salva Stati (Esm), in cambio del prestito triennale la Grecia sembrerebbe proporre di varare una serie di riforme, già la prossima settimana, sia sul fronte del fisco che del sistema pensionistico ( ma non erano intoccabili?). Tsipras ha poi sottolineato che il dibattito che stanno affrontando doveva essere fatto molto tempo fa, perché non riguarda solo il futuro della Grecia, ma anche l'eurozona e accusando che questo tipo di negoziato, durato ben 5 mesi, è stato effettuato a porte chiuse. Il premier ellenico si è rivolto al summit che doveva decidere e confessa di non avere un piano segreto per l’uscita dall’euro, dichiarando di parlare con il cuore in mano. Poi come un buon padre di famiglia Tsipars consapevole che servono le riforme, spiega che vogliono tenersi il criterio di scelta su come suddividere il peso, senza “dikdat” dall’alto. Tuona presidente della Commissione Ue Jaen-Claude Juncker che replica spiegando che senza l'interruzione dei negoziati avrebbero raggiunto un'intesa che per la Grecia la Commissione aveva proposto un programma pluriennale di prestiti per 35 miliardi di euro, e riferendosi alla battuta di Tsipras conclude: “E’ bene che si sappiano tutte le cose che sono state dette dietro quelle porte chiuse”.
Senza alcun problema il presidente UE Donald Tusk ha invece duramente attaccato il premier greco a cui spiega che la moralità significa pagare i debiti: "non è vero che i creditori sono immorali – continua Tusk – e che i debitori sono vittime innocenti. Non è possibile continuare a spendere più di quello che si guadagna, questa è l'origine della crisi in Grecia, non la moneta unica”.
Mentre Gianni Pittella, presidente del gruppo dei socialisti europei spiega che non accetteranno un Grexit, confermando che si opporranno a speculatori politici, e faranno di tutto per salvare la Grecia e salvare l'Europa, arriva la battuta al vetriolo del leader del Ppe all'Europarlamento Manfred Weber che accusa ala Grecia: “Saranno la Spagna, il Portogallo, le infermiere in Slovacchia a pagare i suoi debiti”, Lei ha organizzato un referendum, ora anche la Slovacchia lo vuole fare perché ne hanno abbastanza di pagare per voi”.

L’intervento del Presidente UE Donald Tusk dopo il vertice euro del 7 luglio 2015  lascia presagire i prossimi scenari che dovranno comunque essere affrontati dopo che il primo ministro Tsipras si è impegnato a presentare una nuova richiesta per un programma nel quadro stabilito dal trattato ESM, tra cui una rigorosa condizionalità politica, a seguito del referendum greco. Il governo greco giovedì 9 luglio, al più tardi definisce in dettaglio le sue proposte per un programma di riforma globale e specifico per la valutazione da parte delle tre istituzioni da presentare al Gruppo Euro. I capi di Stato e di governo si riuniranno quindi domenica 12 luglio.

Donald Tusk aggiunge il suo punto di vista inquietante, che lascia presagire cambiamenti geopolitici: “Tutti i lati dei negoziati condividono la responsabilità per l'attuale status quo. Ecco perché oggi ho chiamato tutti i leader per cercare di trovare un consenso, che sarà il nostro comune successo, senza vinti o vincitori. Se ciò non accade vorrà dire la fine dei negoziati con tutte le possibili conseguenze, compreso il peggiore scenario, in cui ognuno di noi perderanno. La nostra incapacità di trovare un accordo può condurre al fallimento della Grecia e il fallimento del suo sistema bancario. E di sicuro, sarà più doloroso per il popolo greco. Non ho alcun dubbio che questo influenzerà tutta l'Europa anche nel senso geopolitico. Se qualcuno ha qualche illusione che non sarà così, sono ingenui. La cruda realtà è che abbiamo solo cinque giorni per trovare l'accordo definitivo. Fino ad ora, ho evitato di parlare di scadenze. Ma stasera devo dire forte e chiaro che il termine ultimo si conclude questa settimana. Tutti noi siamo responsabili della crisi e tutti noi abbiamo la responsabilità di risolverlo”.
Cinque giorni per decidere non solo per la Grecia, ma per tutta l’eurozona, le parole del Presidente Tusk lasciano presagire cambiamenti forse irreversibili che toccheranno molti altri paesi, quasi una sorta di condizione sine qua non.