Macchine a idrogeno: una tappa significativa nella transizione verso un’economia più verde e sostenibile

Dal MASE 100 milioni per gli investimenti sulla filiera delle componenti per la produzione di idrogeno rinnovabile

Il Ministro Pichetto: “Ulteriore passo avanti nel potenziamento di una tecnologia strategica per il Paese”

Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha pubblicato l’avviso per selezionare progetti di investimento sullo sviluppo della filiera di componenti per la produzione di idrogeno rinnovabile. La dotazione economica complessiva è pari a cento milioni di euro e rientra nell’investimento sull’idrogeno previsto dal PNRR. Le imprese interessate potranno presentare le proposte progettuali ad Invitalia, soggetto gestore della misura, dal prossimo 29 novembre fino al 12 gennaio 2024.

“Con la pubblicazione dell’avviso – spiega il Ministro Gilberto Pichetto – si fa un ulteriore passo in avanti per lo sviluppo e il potenziamento della filiera italiana dell’idrogeno rinnovabile, tecnologia strategica in particolare per i settori industriali ‘hard-to-abate’ e per i trasporti a lunga distanza”.

I progetti finanziabili potranno riguardare la creazione o l’ampliamento di unità produttive di componenti degli elettrolizzatori, dispositivi per la compressione e lo stoccaggio dell’idrogeno, sistemi di interfaccia con impianti di produzione di energia rinnovabile, ma anche la ricerca industriale e la formazione di personale correlate all’investimento.

Il futuro: macchine a idrogeno e la sostenibilità

L’uso dell’idrogeno come vettore energetico è una tendenza in crescita nell’ambito delle tecnologie sostenibili. Le macchine a idrogeno, come veicoli a celle a combustibile e apparecchiature per la produzione di energia, stanno guadagnando popolarità per la loro capacità di ridurre le emissioni di carbonio e contribuire alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

Celle a combustibile per veicoli: guidando verso un futuro sostenibile

I veicoli a celle a combustibile (FCV) rappresentano uno dei settori più promettenti nell’uso dell’idrogeno come carburante. Questi veicoli utilizzano un processo di elettrolisi per generare idrogeno da fonti di energia rinnovabile o idrogeno prodotto da fonti convenzionali. L’idrogeno viene quindi utilizzato in una pila a combustibile per produrre energia e alimentare il veicolo, con l’unico sottoprodotto dell’acqua.

Ciò significa che i veicoli a idrogeno non emettono gas serra o inquinanti atmosferici diretti. Inoltre, offrono prestazioni simili ai veicoli a benzina o diesel e tempi di ricarica più veloci rispetto alle auto elettriche, rendendoli una scelta interessante per chi cerca soluzioni di mobilità sostenibile.

Produzione di energia verde con l’idrogeno

Oltre all’uso nei trasporti, l’idrogeno viene utilizzato anche nella produzione di energia verde. Le celle a combustibile stazionarie possono convertire l’idrogeno in elettricità e calore per applicazioni residenziali, commerciali e industriali. Questo approccio consente di immagazzinare energia in eccesso proveniente da fonti rinnovabili, come l’energia solare e eolica, e di utilizzarla quando necessario.

Sfide e sviluppi futuri

Nonostante le promettenti applicazioni dell’idrogeno, ci sono sfide da superare. La produzione, lo stoccaggio e il trasporto dell’idrogeno richiedono attenzione particolare, e le tecnologie per migliorare l’efficienza e ridurre i costi stanno ancora evolvendo. Inoltre, è essenziale che l’idrogeno venga prodotto da fonti rinnovabili per massimizzare i benefici ambientali.

L’uso delle macchine a idrogeno rappresenta una tappa significativa nella transizione verso un’economia più verde e sostenibile. Con ulteriori investimenti nella ricerca e nello sviluppo, potremmo vedere una crescente adozione di queste tecnologie nei prossimi anni, contribuendo a ridurre l’impatto ambientale e a mitigare il cambiamento climatico.




Settimana corta al lavoro: l’Italia è davvero pronta?

Nel contesto del rapido cambiamento globale, l’idea di una settimana lavorativa di 4 giorni sta ottenendo un forte riconoscimento anche in Italia. Alcune aziende hanno iniziato ad abbracciare questa modalità: nella sua infografica dedicata a questo tema, Ali Spa di Magister Group cerca di rispondere alla domanda cruciale: è il momento giusto per l’Italia?

L’Italia, al netto di alcune resistenze, sembra essere pronta per la settimana lavorativa corta. Al momento, il 9,4% dei lavoratori italiani rimane in ufficio per 49 o più ore a settimana: l’Italia al quarto posto nella classifica dei Paesi dell’Unione Europea più “stakanovisti,” dietro a Grecia, Francia e Cipro. Un patrimonio di ore lavorative che non fa rima necessariamente con qualità dell’output o della vita quotidiana dei lavoratori.

Il cammino verso l’attuale settimana lavorativa di 40 ore in Italia è stato un viaggio lungo e significativo. Dal 1923, dal Regio Decreto-legge n. 692 la giornata lavorativa di 8 ore ha impostato di fatto il tempo lavorativo come lo conosciamo. La pandemia ha cambiato in generale lo scenario lavorativo e la necessità di un miglior work-life balance ha fatto emergere tre possibili coniugazioni della “settimana corta”:

  • 4 giorni a parità di salario con meno ore totali;
  • 4 giorni a parità di stipendio con ridistribuzione delle ore;
  • 4,5 giorni a settimana a parità di stipendio.

I possibili limiti alla diffusione della settimana corta in Italia includono la persistenza di una cultura aziendale pre-pandemica, la difficoltà di applicazione in alcuni settori, sfide organizzative all’interno delle singole realtà e la necessità di dialogo tra le parti coinvolte: una serie di ostacoli che possono essere risolti o aggirati, con l’obiettivo di accogliere le richieste di un miglior bilanciamento vita-lavoro dei dipendenti, aumentandone la retention.

Caso Ali e Magister Group: “Alle persone serve tempo di qualità per evolversi”

In Italia ci sono aziende che stanno già testando la settimana di 4 giorni, con diverse modalità. Da febbraio a dicembre 2023, i dipendenti di Ali e delle altre controllate di Magister Group stanno sperimentando la prima vera settimana corta in Italia: 32 ore di lavoro su 4 giorni, mantenendo stipendio e condizioni contrattuali.

Simona Lombardi, Consigliere di Amministrazione del Gruppo Magister commenta: “Serve tempo di qualità, per evolversi personalmente. Personalità ricche ed appagate possono contribuire con un pensiero di valore a ridefinire lo spazio del lavoro, a dare un senso più profondo a ciò che facciamo“.




Riforma del Fisco, tutto pronto per i pignoramenti lampo: gli agenti avranno accesso diretto ai conti correnti dei debitori

Il fisco potrà accedere direttamente ai conti correnti, per verificarne la disponibilità, prima di effettuare un pignoramento. Lo prevede la bozza della manovra.

Prima di procedere al pignoramento dei conti scoperti dalla consultazione dell’archivio dei rapporti finanziari, l’agente della riscossione può, in fase stragiudiziale, accedere con “collegamento telematico diretto, alle informazioni relative alle disponibilità giacenti” sui conti. Se dovessero emergere “crediti del debitore” nella disponibilità di uno o più operatori finanziari, l’agente “redige e notifica telematicamente al terzo, senza indugio, l’ordine di pagamento”.

“La notifica dell’ordine di pagamento è effettuata, a pena di nullità, anche al debitore, con le modalità stabilite”, non oltre trenta giorni dalla notifica al terzo. Le soluzioni tecniche di cooperazione applicativa per l’accesso alle informazioni, si precisa nella norma, sono definite con un decreto del Mef (cui è demandata anche la definizione delle “specifiche modalità informatiche” con cui va redatto e notificato telematicamente l’ordine di pagamento), sentite l’Associazione bancaria italiana, Poste italiane e l’Associazione italiana dei prestatori servizi di pagamento, nonché il Garante per la protezione dei dati personali.

Questo, si precisa, anche ai fini dell’adozione, da parte dell’Agenzia delle entrate-Riscossione di “idonee misure di garanzia a tutela dei diritti e delle libertà degli interessati, attraverso la previsione di apposite misure di sicurezza, anche di carattere organizzativo”.




Il nuovo Fisco: arrivano le semplificazioni e il Garante nazionale del contribuente

Dichiarazioni dei redditi più semplici da compilare e con un nuovo calendario per l’invio, Statuto dei contribuenti equiparato alla Costituzione e un Garante che tutelerà i cittadini di fronte all’amministrazione fiscale.

Sono alcune delle novità contenute nei due nuovi decreti legislativi che il governo ha varato con l’obiettivo di rendere sempre più disteso il rapporto tra fisco e contribuente, tanto che uno dei provvedimenti vieta all’Agenzia delle entrate di inviare comunicazioni durante le ferie estive e quelle natalizie.

Dopo i due dlgs della settimana scorsa, con l’anticipo della riforma dell’Irpef e le norme sulla fiscalità internazionale, il governo va avanti sulla strada che ridisegna “il rapporto tra fisco, cittadini e imprese mediante un riequilibrio delle relazioni con l’amministrazione finanziaria. Si va verso un rapporto paritario che tiene conto sia delle esigenze di tutela del contribuente sia delle esigenze del contrasto all’evasione fiscale”, fanno sapere fonti di Palazzo Chigi.

Le semplificazioni arrivano per la precompilata di dipendenti e pensionati. Ci sarà un nuovo meccanismo di interazione con il contribuente, non più basato sui campi del modello dichiarativo, ma direttamente sulle informazioni a disposizione dell’Agenzia delle entrate, che dal 2024 saranno proposte al contribuente in una apposita area riservata del sito dell’Agenzia e potranno essere direttamente confermate o modificate mediante un percorso guidato e con un linguaggio semplificato. In sostanza non servirà più consultare le istruzioni per la compilazione della dichiarazione. Inoltre, cambia il calendario degli adempimenti fiscali: l’anno prossimo le dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche e delle società dovranno essere inviate entro il 30 settembre e non più entro il 30 novembre. Mentre, a partire del 2025, si anticipa ancora e quelle telematiche si potranno inviare a partire dal 1° aprile e sempre entro il 30 settembre dell’anno successivo a quello di chiusura del periodo di imposta. I sostituti di imposta e gli intermediari potranno presentare la dichiarazione tra il 1° aprile e il 31 ottobre di ciascun anno. Per allentare ancora di più la pressione sul fisco, c’è poi un periodo, ad agosto e a dicembre, in cui i contribuenti saranno lasciati tranquilli e non avranno adempimenti.

“Tutto nella logica della certezza e della semplicità del sistema tributario”, ha detto il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, che ha firmato i due provvedimenti. Sulle sanzioni, ha spiegato, si interverrà “in tempi molto rapidi”, ma per ora c’è solo un riferimento al “principio di proporzionalità” che dovranno rispettare. Lo Statuto del contribuente invece si rafforza dal punto di vista legislativo: le sue disposizioni “si conformano alle norme della Costituzione rilevanti in materia tributaria, ai principi dell’ordinamento dell’Unione Europea e alla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo”. Ciò significa che, in caso di dubbi interpretativi di una norma tributaria, valgono le disposizioni dello Statuto. Arriva poi il Garante nazionale del contribuente, scelto dal ministro dell’Economia con un mandato di quattro anni rinnovabile una sola volta. Le semplificazioni riguardano anche le imprese con la riorganizzazione e razionalizzazione degli indici sintetici di affidabilità fiscale, che ridurranno gli oneri burocratici connessi con la compilazione dei modelli Isa. Infine, sale da 50mila a 70mila euro la soglia di esonero per il visto di conformità, lo strumento che garantisce la corretta applicazione delle norme fiscali.




Governo, rinviato di una settimana decreto sull’energia

Slitta alla prossima settimana il Decreto legge sull’energia che doveva essere approvato in Consiglio dei ministri. Il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica non ha ancora trovato la quadra su tre misure chiave del provvedimento: il rinvio della fine del mercato tutelato di luce e gas, un polo per l’eolico offshore al Sud, le concessioni per l’idroelettrico. Se ne riparlerà la prossima settimana, fanno sapere fonti di governo.

Il mercato tutelato di gas ed elettricità riguarda circa 10 milioni di utenti italiani, un terzo del totale. Per loro, le bollette sono fissate dall’autorità pubblica Arera. Gli altri utenti di luce e gas hanno scelto di passare al mercato libero: qui le tariffe in bolletta sono stabilite dalle società energetiche. La fine del mercato tutelato al momento è fissata al 10 gennaio 2024 per le bollette del gas e al primo aprile per l’elettricità. Il passaggio al mercato libero però riguarda solo 5,5 milioni di utenti. Per gli altri 4,5 milioni, giudicati “vulnerabili” (poveri, malati, disabili, ultra-75enni, in zone disastrate), il mercato tutelato rimane.
Ma di fronte alla crisi energetica, in molti, a partire dalle associazioni di consumatori, hanno chiesto una proroga di questa scadenza, anche se questo è uno degli obiettivi previsti dal Pnrr e concordati con l’Europa. Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica aveva pensato a un rinvio da sei mesi a un anno. “Non è una proroga giuridica”, aveva spiegato il ministro Gilberto Pichetto Fratin, ma un allungamento dei termini per dare “garanzia di informazione alle famiglie e di rapporto con le banche”. Il rinvio era già pronto nella bozza di Decreto legge, ma è stato stoppato all’ultimo, perché la norma, spiegano fonti del Mase “non era ancora perfezionata”. “Siamo alla fase di rivedere le virgole”, ha commentato il ministro.

Stesso discorso per il progetto di un polo per l’eolico offshore al Sud. La bozza prevede che entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto vengano individuati due porti nel Mezzogiorno dove installare cantieri navali per costruire le piattaforme eoliche galleggianti e le relative infrastrutture. L’eolico in mare in Italia può essere realizzato soltanto al Sud, dove c’è vento abbondante, e solo su piattaforme galleggianti ancorate ai fondali, data la profondità di questi.

Di qui l’idea di concentrare nel Mezzogiorno la costruzione degli impianti. Per il polo dell’offshore, il decreto prevede 80 milioni di euro per il 2024, 170 milioni per il 2025 e 170 milioni per il 2026. Entro 90 giorni dall’individuazione, le aree devono essere date in concessione a società di costruzioni navali qualificate. Data l’entità dell’investimento, e il suo ruolo strategico per fare del Mezzogiorno un hub energetico, il Mase ha preferito prendersi una settimana in più, per definire bene il testo. Per Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura, l’eolico offshore è un tecnologia “interessante” per l’Italia, anche se “i costi sono ancora alti”. “Siamo in Europa primi nella produzione di strutture di ferro e acciaio – ha proseguito -, primi nella produzione di piattaforme galleggianti, secondi nella produzione di acciaio e nelle piattaforme offshore”. “Già abbiamo un buon posizionamento”, ha concluso, anche se “stiamo facendo pochissimi impianti”.

Sulle concessioni per l’idroelettrico, il nuovo Decreto Energia prevede, oltre alle gare regionali, la possibilità per le aziende già concessionarie o in scadenza di presentare un piano di investimenti. Ma questa eventualità potrebbe essere in contrasto con gli impegni italiani di riforma legati ai fondi del Pnrr. Su questo dossier, è ancora in corso un confronto con Bruxelles.




Difesa dei contribuenti, prosegue la battaglia dell’Avvocato Angelo Lucarella per l’abrogazione della Legge Pittella

A scuotere il Parlamento ci ha pensato la Corte Costituzionale con la decisone di pochi giorni fa perlopiù passata inosservata, ma evidentemente destinata a creare un vero e proprio terremoto sia nel mondo giudiziario che politico. La legge Pittella è quella norma che il Parlamento votò nel 2021 (n. 215) con cui, sostanzialmente, è stata messa la pietra tombale sui ricorsi dei contribuenti riguardo ai famosi “estratti di ruolo” dell’Agenzia delle Entrate riscossione.
 
Cosa su cui Angelo Lucarella, avvocato e tra gli esperti italiani invitati quest’anno dal World Justice Project (sostenuto dalla Commissione Europea), già vice presidente Commissione Giustizia del Ministero dello Sviluppo Economico e docente a.c. di diritto processuale tributario all’Università degli studi di Napoli Federico II, era più volte intervenuto denunciandone l’incostituzionalità e anche la violazione dei diritti riconosciuti dall’Unione Europea spiegando, appunto, quanto fosse urgente l’intervento del Governo per risolvere la problematica o, quantomeno, per bloccare gli effetti retroattivi impliciti della norma stessa.
 
“Il mondo tributario, quello difensori dei contribuenti soprattutto, aspettava da tempo che la Corte Costituzionale si pronunciasse sulla questione della legge Pittella che da due anni circa ha creato un blocco ai ricorsi dei contribuenti riguardo ai carichi pendenti e conosciuti tramite estratti di ruolo consegnati dall’Agente nazionale della riscossione; ricorsi, quest’ultimi, fino ad allora consentiti anche per gli orientamenti della Cassazione emanati a più riprese”, dichiara Lucarella.
 
Continua l’ex vice presidente della Commissione Giustizia del Ministero Sviluppo economico, “Se prima si era assistito a delle scosse di assestamento giudiziarie, il problema odierno è far fronte ad un vero e proprio terremoto fiscale che si sta generando per almeno due fattori concomitanti: il mantenimento in vigore della legge Pittella così com’è e l’assenza di una norma di interpretazione autentica sulla questione del divieto di retroattività implicita per le cause esistenti all’entrata in vigore. Da tempo ho scritto ai rispettivi Ministeri oltreché a diverse testate per segnalare il disastro giuridico ed economico ormai in atto. Ci ha pensato la Corte Costituzionale, finalmente, a invitare la politica a prendere provvedimenti (con la sentenza n. 190) quando afferma di non esimersi dal pressante auspicio che il Governo dia efficace attuazione alla revisione del sistema nazionale della riscossione della legge delega 111/2023.
 
Tuttavia, il mio auspicio è che il Parlamento e il Governo prendano in debita e seria attenzione l’abrogazione di questa legge che, di fatto, ha portato migliaia di contribuenti vittoriosi contro l’amministrazione italiana, di punto in bianco, destinatari di uno smacco legislativo che uno Stato serio non può e non deve permettersi di fare ai propri cittadini. Ne va della credibilità dello Stato di diritto”.
 

Privo di virus.www.avast.com




Coldiretti Lazio, siglato protocollo d’intesa con Rete Nazionale Istituti Agrari

E’ stato firmato nell’ambito della premiazione degli Oscar Green di Coldiretti Lazio al Circo Massimo, il protocollo d’Intesa tra la Re.N.Is.A, Rete Nazionale Istituti Agrari e Coldiretti, volto a favorire e migliorare il rapido inserimento dei giovani nel mondo del lavoro nel settore agricolo e agroalimentare.
A sottoscrivere l’accorso la dirigente dell’Istituto Tecnico Agrario Emilio Sereni, Patrizia Marini, che è anche la presidente della Rete Nazionale Istituti Agrari ed Ettore Prandini, presidente nazionale di Coldiretti, alla presenza del suo vice alla guida della federazione del Lazio, David Granieri.
Un rete, quella della Renisa, che conta 190 istituti in tutta Italia. “Attraverso questo protocollo d’intesa – spiega la presidente Marini – si avvieranno dei progetti formativi per gli studenti presso le aziende agricole di Coldiretti. Verrà creata una rete di informazione e formazione. Insieme attiveremo una serie di iniziative a carattere locale e nazionale. Non ci occuperemo solo della formazione, ma andremo anche a creare le competenze trasversali così importanti in un’agricoltura che si innova continuamente”. La presidente Marini ha poi rivolto un appello ai Giovani di Coldiretti. “Vi chiedo di metterci il cuore – prosegue – e di fare in modo che i nostri ragazzi si avvicinino sempre di più alla vostra professione”.
L’accento è stato posto poi sull’importanza dell’orientamento scolastico. “Riteniamo che la formazione sia di fondamentale importanza – spiega il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri -. Per troppi anni abbiamo pensato che iniziasse dal periodo universitario, trascurando invece gli istituti tecnici, il liceo o le scuole medie. La formazione è importante perché abbiamo bisogno di avere delle professionalità all’interno delle nostre imprese, che sappiano utilizzare quelli che sono gli strumenti che saranno sempre di più all’avanguardia, non solo per quanto riguarda l’agricoltura di precisione, ma anche nell’utilizzo dei dati che ci consentono di dare delle informazioni ai cittadini e ai consumatori sui nostri prodotti”. Il riferimento è all’utilizzo del Qr Code, della blockchain che consente attraverso il cellulare di comunicare i vari passaggi della filiera che hanno portato alla realizzazione del prodotto.
“Comunicare correttamente – conclude il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini – rappresenta una prima forma di lotta all’Italian sounding, perché tramite quelli che sono gli strumenti, anche di tipo tecnologico che avremo a disposizione, potremo dare le corrette informazioni. Ecco perché abbiamo bisogno di giovani che siano formati e grazie a questo protocollo, daremo delle possibilità a chi vorrà intraprendere questo percorso. L’agroalimentare italiano rappresenta una grandissima opportunità”.



“L’Italia delle partenze e dei ritorni – i pensionati migranti di ieri e di oggi”: ecco i dati

Italia delle partenze e di ritorni – i pensionati migranti di ieri e di oggi”. Questo il tema del convegno che si è svolto ieri, 10 ottobre, presso Palazzo Wedekind.

L’incontro, voluto da Inps e Fondazione Migrantes, moderato dal giornalista Fabio Insegna, ha offerto l’occasione per un confronto sul tema dei pensionati italiani all’estero.

Ad introdurre i lavori il Direttore Generale dell’INPS, Dr. Vincenzo Caridi, che ha ricordato le celebrazioni dei 125 anni dell’Inps. “Questi 125 anni hanno rappresentato un lungo periodo storico caratterizzato da cambiamenti a livello politico – sociale che hanno toccato un po’ tutti gli aspetti che riguardano il nostro vivere in comunità – ha ricordato Caridi – La storia dell’INPS ha sempre coinciso con la storia dello Stato sociale in Italia, da applicarsi anche fuori dai nostri confini, rappresentando un indicatore delle importanti trasformazioni del mondo del lavoro e delle famiglie.

In questi 125 anni, il sistema di protezione sociale nel nostro Paese è progressivamente diventato più articolato e complesso per offrire copertura assicurativa in relazione non solo alle necessità emergenti, ma anche alle ipotesi di rischio.

L’Inps ha lavorato in questi anni per rafforzare i legami con le altre amministrazioni previdenziali estere per garantire l’attuazione dei diritti umani legati alla persona, di quelli economici, sociali e culturali, includendo il diritto alla salute, alla sicurezza sociale, alle condizioni di lavoro giuste e, conseguentemente, alla tutela previdenziale e pensionistica.

Chi emigra, infatti, deve poter contare sulla possibilità di valorizzare tutti i periodi contributivi accumulati in qualsiasi parte del mondo e senza preclusioni derivanti da barriere territoriali. L’Inps ha adeguato i propri sistemi e la propria organizzazione per attuare i regolamenti europei cui l’Italia ha aderito e le convenzioni bilaterali con Paesi extraeuropei che sono state stipulate, per assicurare la tutela dei propri assicurati/pensionati anche all’estero, anche nelle circostanze eccezionali, non programmate e imprevedibili, come nel caso di una pandemia o di un conflitto. L’obiettivo prioritario, per l’Inps, è quindi di consentire al lavoratore migrante di affrontare con maggiore tranquillità il trasferimento e l’inizio di una nuova attività lavorativa altrove, con tutte le garanzie tipiche previste in Italia, e di evitare che possa sentirsi, o sia, lavoratore di “serie b” rispetto ai lavoratori originari del paese ospitante. Ecco perché la portabilità dei diritti previdenziali rappresenta un elemento di giustizia sociale irrinunciabile”.

Per la Dott.ssa Delfina Licata, della Fondazione Migrantes, in un’Italia sempre più spopolata e longeva, la mobilità continua ad essere abitata sia come elemento strutturale che lega a dinamiche nazionali tradizionali, sia come elemento nuovo che porta sempre più giovani annualmente a partire (il 42% delle partenze annuali per la sola motivazione espatrio riguarda giovani tra i 18 e i 34 anni). Eppure, gli anziani, tra gli italiani e le italiane in mobilità, continuano ad avere un ruolo da protagonisti: il 21,2% dei 6 milioni di connazionali residenti stabilmente e ufficialmente all’estero ha più di 65 anni. Le donne sono il 52,2%. L’analisi degli anziani italiani iscritti all’AIRE porta a fare un salto all’indietro di circa venti anni: è evidente, ad esempio, il protagonismo del continente americano, soprattutto dell’America Latina, con Argentina e Brasile che sono i paesi con il numero maggiore di anziani residenti. Il 52,2%  proviene dal Meridione, più esattamente da Sicilia, Campania, Calabria. La nostra attuale mobilità è, invece, euroamericana e le regioni più dinamiche risultano Lombardia e Veneto.

Il Dr. Vito La Monica, Direttore centrale Pensioni Inps, ha approfondito il tema delle pensioni pagate all’estero.  L’insieme dei pagamenti delle pensioni all’estero – a gennaio 2022 oltre 317.000 – includono non solo quelli riferiti alle prestazioni in regime di totalizzazione internazionale, ma anche a quelle liquidate sulla base di sola contribuzione italiana. Complessivamente questo aggregato rappresenta il 2,3% del totale delle pensioni erogate dall’Istituto e si distribuisce su circa 160 Paesi.

 

 

 

Con riferimento al trend quinquennale, si registra un decremento di oltre il 6%, dovuto essenzialmente alla riduzione dei pagamenti pensionistici in Aree continentali di “antica migrazione”, quali: Nord e sud America e Oceania. Ma nelle altre Aree il trend è costantemente in crescita. Da un punto di vista tendenziale, i dati interessanti sono quelli che riguardano l’incremento del numero dei pagamenti di pensioni in Europa (+4,3%), e la forte crescita di quelle pagate in America centrale, in Asia e in Africa (rispettivamente + 38,9%, + 34,9% e +30,3%).

Oggi l’Inps sta provvedendo a liquidare soprattutto le pensioni della generazione di coloro che sono emigrati dopo il secondo dopoguerra. Molte di queste sono diventate pensioni di reversibilità, destinate a ridursi nel tempo, come, ad esempio avviene soprattutto per quelle destinate in America meridionale, dove le pensioni di vecchiaia rappresentano solo il 37% e quelle ai superstiti sono oltre il 60%, con un’età media molto elevata. Pertanto, nei Paesi che, in passato, hanno rappresentato le mete di milioni di italiani, le comunità di pensionati connazionali registrano un trend in forte decremento, mentre è iniziata la liquidazione di pensioni di “nuova generazione” in nuove località.

Qui di seguito il confronto tra le pensioni dirette e quelle ai superstiti pagate nella sola Europa:

 

 

Le pensioni all’estero sono destinate sia a italiani che a stranieri che in Italia hanno maturato una pensione o una quota parte di questa che viene liquidata in regime di totalizzazione.

 

 

Le pensioni pagate all’estero – dettaglio nazionalità

Area continentale

Totale

Italiani

Stranieri

% stranieri su totale

Europa

183.795

125.529

58.266

31,7%

Africa

4.055

3.194

861

21,2%

Asia

2.163

690

1.473

68,1%

Oceania

32.921

30.754

2.167

6,6%

America settentrionale

69.768

65.978

3.790

5,4%

America centrale

1.570

909

661

42,1%

America meridionale

22.982

13.670

9.312

40,5%

Totale

317.254

240.724

76.530

24,1%

 

Agli stranieri è destinato il 24,1% del totale delle pensioni pagate all’estero, percentuale che sale in America meridionale e in America centrale, ma soprattutto in Asia. Il trend è in crescita, pari a un generale incremento del 17,4%, e con un picco in America centrale (+72,6%) e in Asia (+44,6%). Diminuiscono invece in America meridionale e settentrionale e in Africa.

 

Quello dei pensionati che decidono di emigrare all’estero è un tema di grande attualità. Questi – ha sottolineato la Dr.ssa Susanna Thomas, della Direzione Centrale Pensioni Inps – che ne ha analizzato le motivazioni che li spingono a lasciare il nostro paese sulla base dei dati raccolti. L’Inps ha iniziato ad analizzare in maniera più puntuale e sistematica l’argomento da 12 anni, da quando il fenomeno è diventato più significativo. In questo lasso di tempo il trend è stato assolutamente incostante, alternando periodi di forte crescita ad altri di decremento. Sicuramente ha inciso la pandemia: fino al 2019 i numeri di chi decideva di trasferirsi altrove si attestavano a circa 5.600 – 5.700 partenze, nel 2020 e nel 2021 si è scesi ad una media di circa 3.600 pensionati, per poi risalire, nel 2022 a oltre 4.600 partenze. L’argomento è stato affrontato partendo dalla distinzione tra pensionati italiani e pensionati stranieri. Questi ultimi hanno avuto un trend in forte crescita e nel 2022 hanno rappresentato il 40% del totale dei pensionati che hanno lasciato il nostro Paese. Per quanto concerne i soli pensionati italiani, la prima motivazione analizzata, quella della ricerca di Paesi esotici, non ha avuto alcun riscontro significativo a livello statistico. La seconda motivazione, relativa alla ricerca di paesi che offrono vantaggi economico – fiscali non è del tutto soddisfacente perché, a parte la Spagna, le altre destinazioni registrano arrivi poco consistenti dal punto di vista statistico e soprattutto è basso il numero delle donne che vi si sono trasferite. Queste in particolare scelgono come mete la Svizzera, la Germania, la Spagna, gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, la Francia, il Belgio e in parte la Gran Bretagna. Conteggiando anche gli uomini, questi sono i Paesi che insieme risultano i più significativi dal punto di vista statistico. La caratteristica di questi paesi è quella di aver accolto i giovani lavoratori italiani. I pensionati italiani che vi si sono trasferiti sono i genitori di coloro i quali hanno trovato lavoro e si sono stabilizzati in questi paesi numeri peraltro sottostimati, in quanto non tutti trasferiscono la residenza dall’Italia, volendo mantenere l’assistenza sanitaria italiana. Segnala, infine, che la Spagna non attira solo pensionati attratti dai vantaggi delle isole Canarie, ma anche molti genitori perché è un paese che ha accolto e continua ad accogliere numerosi giovani lavoratori italiani. Conclude, pertanto, che per contenere il fenomeno delle migrazioni di pensionati la soluzione migliore è far rientrare i giovani lavoratori in Italia.

 

Lo storico delle migrazioni, Prof. Toni Ricciardi, si è soffermato sul dimostrare come le direttrici migratorie di ieri spieghino le pensioni di oggi. L’analisi è partita dal ricordare la stagione degli accordi in emigrazione che l’Italia siglò con molto paesi all’epoca e principalmente con Stati europei, a partire dal 1946 con il Belgio, 1947 con la Francia, fino a toccare i due accordi che ne segnarono la storia migratoria del secondo dopoguerra, Svizzera nel 1948 e Repubblica Federale Tedesca nel 1955. Questa fase della storia dell’emigrazione italiana è stata caratterizzata dagli accordi, dalla stagionalità della permanenza, dai progetti migratori che ne mutarono la durata e l’essenza della Provincia italiana dalla quale i flussi principali provennero. Il rapporto con i luoghi d’origine, con i luoghi della partenza, non fu solo testimoniato durante gli anni dell’emigrazione attraverso le rimesse che, in molte realtà territoriali, rappresentarono i primi momenti di modernità e cambiamento. Infine, è stato affrontato il case studies della Svizzera, primo paese erogatore di pensioni in Italia, quasi 2 miliardi l’anno dal quale sono rientrate quasi 300mila persone. Da questo punto di vista è stato interessante notare come la presenza nella Confederazione, dove ancora oggi vive la terza comunità italiana nel mondo (700mila), abbia interessato significativamente la provincia italiana. Infatti, in province come Avellino, Bergamo, Catania, Catanzaro, Como e Lecce, la percentuale sul totale delle pensioni erogate da Inps, non scende mai al di sotto del 54%, a testimonianza dell’impatto che la migrazione ha avuto ieri, con le partenze, e oggi con i ritorni che contribuiscono in molti casi a mantenere in vita minuscoli comuni della penisola italiana.

 

 

Gli emigrati italiani sono stati e sono una risorsa per il nostro Paese? L’erogazione delle pensioni all’estero produce la dispersione di consistenti mezzi finanziari che, anziché entrare nel ciclo economico del nostro Paese e contribuire a produrre nuova ricchezza, sostengono il sistema economico dei Paesi di residenza dei pensionati? Oppure i nostri emigranti, che hanno conseguito all’estero trattamenti previdenziali per importi di gran lunga superiori alle pensioni italiane pagate all’estero, garantiscono un afflusso nel nostro sistema economico di consistenti erogazioni dall’estero? È quanto ha analizzato il Dr. Daniele Russo, dirigente della Direzione Centrale Pensioni Inps, avvalendosi di una survey elaborata dall’Inps ed inoltrata alle Istituzioni previdenziali estere per conoscere il numero e gli importi delle pensioni che erogano in Italia. Operando il confronto con alcuni Paesi sul numero di pensioni che questi erogano nel nostro territorio e che al contrario l’Inps paga nel loro si è rilevato che i Paesi che storicamente hanno rappresentato le mete privilegiate dei migranti italiani e che sono vicini ai luoghi di origine, come Germania, Francia, Svizzera, Belgio, ma anche Olanda e Austria, sono quelli che pagano un rilevante numero di pensioni in Italia, a coloro, cioè, che, conclusa l’esperienza lavorativa all’estero, hanno deciso di far rientro nei nostri confini. Al contrario, in quelli più lontani, come Australia, Stati Uniti e Canada, dove gli italiani migrati hanno preferito rimanere perché la lontananza ha contribuito a ridurre i legami con il nostro Paese, l’Inps registra un consistente numero di pensioni da pagarvi.

 

 

 

 

 

 

 

Le conclusioni sono state affidate a Mons. Giancarlo Perego, Presidente della Fondazione Migrantes e della Commissione Cei per le Migrazioni che ha sottolineato come la migrazione è ormai un fenomeno strutturale che la Fondazione Migrantes studia da anni attraverso alcune ricerche come il Rapporto Immigrazione (realizzato con Caritas Italiana), il Rapporto Italiani nel Mondo sul fenomeno dell’emigrazione italiana e il Rapporto Asilo. Il tema migratorio è sempre al centro del dibattito pubblico spesso con una narrazione non conforme alla realtà e che porta a farlo diventare capro espiatorio del disagio sociale che si avverte nelle nostre città. Si registra una certa stanchezza soprattutto nelle fasce più bisognose e che imputando le cause ad una immigrazione irregolare. Questo è causa, spesso, di fatti che finiscono sulle pagine di cronaca dei giornali. 

Tra la Fondazione Migrantes e l’Inps si è istaurata, da anni, una collaborazione che porta, con studi ed eventi come questi, a incidere nel dibattito culturale di oggi. Non servono, comunque, solo le statistiche e gli studi che rimangono nascosti nei cassetti. Questi studi e ricerche, devono arrivare sulle scrivanie dei decisori politici e soprattutto è necessario che affianchino le istituzioni, le indirizzino per giusti e nuovi percorsi di lavoro per e con i migranti. Il passaggio dallo studio all’azione è fondamentale, ma di difficile realizzazione se non si conviene a uno sforzo collettivo nell’interesse del benessere comune. Ed è quello proponiamo di fare ancora una volta oggi riconfermando la collaborazione tra Inps e Fondazione Migrantes.

 

È seguita poi una Tavola Rotonda su Pandemia, guerra e movimenti migratori alla quale hanno partecipato Micaela Gelera, Commissario straordinario dell’Inps, mons. Gian Carlo Perego, Presidente della Fondazione Migrantes, e Luigi Maria Vignali, Direttore generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie del MAECI.

 

 

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Vasco Electronics celebra la Giornata Internazionale del Turismo promuovendo viaggi senza barriere linguistiche

a Giornata Internazionale del Turismo, celebrata ogni anno il 27 settembre, è stata un’occasione speciale per riflettere sull’importanza del turismo e dei cambiamenti che ha subito nel corso degli anni, divenendo un fenomeno importante a livello economico e sociale, grazie al suo importante ruolo nel favorire scambi e dialoghi tra culture diverse. Viaggiare per immergersi nelle culture locali è un desiderio sempre più diffuso, un numero crescente di persone sceglie di visitare mete fuori dai circuiti turistici convenzionali, con l’obiettivo principale di immergersi completamente nella cultura locale e stabilire un legame profondo con il territorio visitato.
 
A questo proposito, tra i compagni di viaggio ideali di ogni turista, dal principiante a quello “esperto”, si può citare il traduttore vocale Vasco Translator V4 di Vasco Electronics
 
Tascabile, moderno e di facile uso, permette di tradurre facilmente conversazioni,testi e persino foto supportando fino a 108 lingue per comprendere ed essere compresi da oltre il 90% della popolazione mondiale. Questo dispositivo
può quindi costituire  quindi un alleato indispensabile per superare le barriere linguistiche e cogliere appieno le sfumature culturali di queste destinazioni inedite, dove sapere l’inglese non basta.   Inoltre, se la preoccupazione principale all’estero è la connessione a Internet, i traduttori universali Vasco Translator dispongono di una SIM integrata per il collegamento Internet illimitato in quasi 200 paesi per usufruire di traduzioni efficaci senza dover cercare hotspot Wi-Fi o sottostare a piani tariffari locali. Il traduttore Vasco V4 è pensato per diverse tipologie di viaggiatori, da quelli che partono all’avventura “zaino in spalla”, a quelli appassionati di vacanze tutto compreso, dai giovani alle prese con le prime esperienze di viaggio, a quelli più esperti, tutti accomunati dalla passione per l’esplorazione e la curiosità di conoscere nuove culture.
Superando le barriere linguistiche, questo strumento apre le porte a un’esperienza di viaggio autentica, consentendo di stabilire connessioni profonde con le persone e le tradizioni e incentivando così un nuovo modo di viaggiare e vivere il turismo.
Per conoscere le ultime novità di Vasco Electronics e scoprire da vicino i suoi rivoluzionari traduttori vocali è possibile visitare www.vasco-electronics.it
 
Vasco Electronics
 
Nelson Mandela diceva “Se parli a una persona in una lingua che capisce, arriverai alla sua mente. Se le parli nella sua lingua, arriverai al suo cuore”.
Vasco è un’azienda internazionale specializzata nella progettazione di traduttori elettronici realizzati con tecnologia di ultima generazione, che consentono di comunicare in oltre 70 lingue. Convinta che la comunicazione sia la chiave per rendere migliore il nostro pianeta, l’azienda si è posta l’obiettivo di far dialogare e comprendere reciprocamente le persone. Con questo pensiero a mente,progetta i traduttori elettronici avendo a cuore il benessere della società. Con sede negli Stati Uniti e in Polonia, Vasco ha uffici commerciali in tutto il mondo: Germania, Francia, Italia, Spagna, Regno Unito, Giappone e Indonesia.

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Caro vita, al via da oggi il trimestre anti inflazione: negli esercizi che hanno aderito prodotti a prezzo calmierato

Al via a partire da oggi 1 ottobre, il Trimestre Anti-Inflazione, a cui hanno già aderito oltre 23mila punti vendita in tutta Italia. Molte saranno le adesioni che giungeranno nei prossimi giorni, in particolare dal commercio al dettaglio e dalle singole attività commerciali.

L’iniziativa promossa dal Mimit, che ha l’obiettivo di tutelare il potere d’acquisto dei cittadini e delle famiglie, – ricorda una nota del ministro – durerà fino al 31 dicembre: i punti vendita aderenti presenti sul territorio nazionale proporranno a prezzi calmierati una vasta gamma di prodotti di prima necessità, alimentari e non, per l’infanzia e di largo consumo – che saranno determinati dalle aziende e dalle catene distributive – con l’impegno a contenere e non aumentarne i prezzi nel periodo di riferimento.

Un vero e proprio “paniere tricolore” che verrà messo a disposizione dei consumatori, attraverso iniziative come prezzi fissi, promozioni, prodotti a marchio del distributore, carrelli a prezzo scontato o unico. Gli esercizi aderenti proporranno i prodotti a prezzo calmierato rendendoli facilmente riconoscibili ai consumatori attraverso l’esposizione negli esercizi commerciali e sugli scaffali del logo del “Trimestre Anti-inflazione”: un carrello della spesa tricolore.

L’elenco dei punti vendita che aderiscono al Trimestre Anti-Inflazione, suddivisi per provincia, è consultabile al sito https://mimit.gov.it/it/anti-inflazione.




Riciclo, con la produzione di alluminio l’Italia è leader in Europa

“Riciclo Alluminio: Italia leader in Europa. Rischi e opportunità nei nuovi scenari economici e normativi”, questo il titolo della conferenza tenutasi a Roma, presso l’Associazione della Stampa Estera e condotta da Andrew Spannaus, consigliere delegato Stampa Estera sede di Milano,, indetta da CIAL, il Consorzio Nazionale Imballaggi Alluminio con l’obiettivo di rendere noti i risultati derivati dall’attività di recupero degli imballaggi di alluminio giunti al termine del loro ciclo di vita – provenienti dalla raccolta differenziata effettuata dai singoli Comuni – e mettere in luce l’efficacia e il virtuosismo del modello italiano, in atto dal 1997. L’incontro ha fornito anche l’occasione per presentare i risultati del recente dossier ‘Miniere Urbane’ condotto da Duccio Bianchi – studioso di politiche ambientali – che evidenzia per il prossimo futuro un deciso trend di crescita a livello globale dell’utilizzo di alluminio, sia primario sia da riciclo. Roberta Niboli, già Presidente di Assiral-Associazione dei raffinatori di Alluminio, ha inoltre evidenziato il contributo fornito dall’industria del settore di riferimento al processo di decarbonizzazione.
 
Partiamo da un dato: in Italia nel 2022 è stato avviato a riciclo il 73,6% degli imballaggi in alluminio immessi sul mercato (ovvero 60.200 tonnellate): un traguardo che ha già consentito di superare abbondantemente gli obiettivi comunitari fissati per il 2025 (50%) e il 2030 (60%).
 
L’efficienza del sistema italiano è ancor più evidente se si analizza lo spaccato del tasso di riciclo per le sole lattine in alluminio per bevande, pari al 91,6% per il 2022. Un risultato da record, in linea con quello dei paesi i cui sistemi sono basati sul deposito cauzionale e di gran lunga superiore al tasso medio di riciclo europeo del 73%.  “L’alluminio è il material condiviso per eccellenza.” ha esordito Giusi Carnimeo, Direttore Generale CIAL “Qualsiasi prodotto, al termine del suo ciclo di vita, ha di fronte due strade. O viene dismesso e successivamente smaltito, oppure – se possibile – viene recuperato e successivamente riciclato o riutilizzato. Da questo punto di vista l’alluminio è un materiale con caratteristiche intrinseche straordinarie. Impiegato per realizzare milioni di prodotti è riciclabile al 100% e all’infinito. È infatti in grado di conservare in eterno le sue proprietà strutturali. Basti pensare che oltre il 75% dell’alluminio da sempre prodotto è tutt’ora in circolo.”Da sempre CIAL si fa portavoce di un concetto evoluto di sostenibilità, basato sulla cooperazione fattiva di tutti gli attori coinvolti nella filiera, dalle imprese, alla pubblica amministrazione, ai cittadini affinché concorrano al raggiungimento dei più sfidanti traguardi nei moderni modelli di produzione, consumo e riciclo. È una questione di responsabilità circolare”.
 
Il nostro Paese è un esempio particolarmente virtuoso: il 100% della produzione italiana di alluminio proviene dal riciclo
 
In chiave verde non è cosa da poco. La produzione di alluminio da riciclo rispetto a una produzione ex novo permette infatti un risparmio energetico di circa il 95% ed evita emissioni serra pari a 423mila tonnellate di CO2. Grazie alla leggerezza del materiale, inoltre, l’imballaggio in alluminio rappresenta solo lo 0,5% del peso dell’imballaggio complessivo immesso sul mercato. Parliamo infatti di 81.800 tonnellate (lattine, vaschette, scatolette, bombolette, tubetti, foglio sottile, ecc.) su un totale di oltre 14.500.000 tonnellate complessive derivate dai sei principali materiali di imballaggio. Questo perché, negli ultimi 20 anni, il comparto globale dell’imballaggio in alluminio è stato caratterizzato da una costante evoluzione in chiave ambientale tesa a ridurre lo spessore e di conseguenza il peso (misurabile in grammi). Un esempio può servire a rendere l’idea. Grazie alla ricerca, il peso di una lattina per bevande da 33 cl è passato dai 14g del 2000 ai 12,2g attuali, con un calo del 12%. Per la tutela dell’ambiente, sono grammi ‘pesantissimi’ che, moltiplicati per i milioni di lattine prodotte ogni anno, si trasformano in tonnellate risparmiate in fase di produzione.
 
Un nuovo Regolamento UE, tra rischi e opportunità – A novembre 2022 la Commissione Europea ha presentato una proposta di Regolamento, noto come PPWR (Packaging and Packaging Waste Regulation), che indica nuovi parametri operativi e nuovi obiettivi in tema di imballaggio e di smaltimento dei rifiuti da imballaggio. L’obiettivo è aumentare la circolarità dei prodotti puntando sul riutilizzo del packaging a scapito del riciclo. “Pur condividendo la finalità di prevenire la produzione di rifiuti di imballaggio, preoccupa che gli obiettivi di riutilizzo, in particolare quelli per alimenti e bevande, manchino di solide analisi scientifiche prodotto per prodotto. Riteniamo che l’approccio più equilibrato e adatto per ottimizzare la sostenibilità ambientale dell’uso degli imballaggi sia quello di consentire agli Stati membri di bilanciare caso per caso la scelta della migliore soluzione tra riutilizzo e/o riciclo preservando sia l’obiettivo principale del Regolamento sia la vocazione – anche infrastrutturale – del singolo Stato membro. Gli obiettivi del PPWR sono ovviamente condivisibili. Non è però una questione di finalità, ma di metodo. Il riciclo, alla base del nostro sistema nazionale di gestione dei rifiuti da ormai 25 anni, ha permesso che in Italia sia stato possibile raggiungere risultati eccellenti”, conclude Giusi Carnimeo.
 
In Italia si privilegia il riciclo di qualità attraverso la raccolta differenziata che, da più di 25 anni, è estesa a tutte le tipologie di imballaggi in alluminio, non solo a quelle più redditizie e facili da raccogliere. È questa la differenza tra il cosiddetto “closing loop”, dove una singola tipologia di imballaggio viene raccolta in maniera selettiva e riciclata per ottenere lo stesso prodotto e il “metal to metal loop” che caratterizza il modello italiano e che prevede la raccolta e la massimizzazione del recupero di tutte le tipologie di imballaggi, e un (ri)utilizzo allargato dell’alluminio riciclato, senza limiti applicativi. La proposta del Regolamento nella sua struttura attuale impone soluzioni che non tengono conto delle strade già percorse, spesso con ottimi risultati, dai singoli Stati. Nel caso dell’Italia, non solo l’intero sistema che coinvolge imprese, lavoratori e tecnologie è stato costruito con successo sul riciclo, ma è stato finora possibile raggiungere con anni di anticipo gli obiettivi di riciclo sui singoli materiali di imballaggio imposti dalle attuali normative europee emanate in forma direttiva.
 
Un ‘tesoro’ per la transazione ecologica – Duccio Bianchi, consulente e ricercatore in materia di pianificazione ambientale e di gestione dei rifiuti, autore del dossier ‘Miniere Urbane’ recentemente pubblicato, pronostica che “entro il 2030, la domanda globale di alluminio aumenterà di quasi il 40% passando dalle attuali 86,2 Mt a 119,5 Mt. E tale crescita sarà in buona parte trainata dalla transizione ecologica. Ad esempio, nel settore automobilistico e più in generale nei trasporti, l’ormai inarrestabile processo di elettrificazione comporterà un crescente impiego di componenti in alluminio. Di pari passo lo sviluppo del fotovoltaico (i pannelli sono costituiti per l’88% da alluminio) determineranno una domanda di alluminio aggiuntiva pari a circa 10 Milioni di tonnellate annue”.Lo studio di Bianchi sottolinea inoltre che in Europa ben il 79% dell’alluminio post-consumo è riciclato (era il 65% del 2005) e che gli scarti pre-consumo hanno un tasso di riciclo poco meno che totalitario. Ma un incremento a livello globale di alluminio da riciclo è comunque fortemente auspicabile. Anche per motivi ambientali. Si tenga infatti presente che la produzione di alluminio primario ha un importante impatto ambientale. A fronte di emissioni di CO2 pari a 0,5 t per ogni tonnellata di alluminio secondario, la media mondiale della produzione primaria è di circa 17 t di CO2 (ovvero 34 volte quella dell’alluminio secondaria).
 
Italia leader nella produzione di alluminio da riciclo – Il nostro Paese è il primo produttore europeo di alluminio riciclato, sia per quantità di produzione sia in termini di rottame impiegato. Nel 2021 la produzione nazionale di alluminio secondario ha raggiunto i massimi storici, raggiungendo quota 954 mila tonnellate. Ma la strada è ancora migliorabile: incrementando la massa complessiva del materiale raccolto e riducendo le ‘perdite di materiale’. Conti alla mano, lo studio evidenzia infatti che, a fronte di una potenziale presenza di circa 167 mila tonnellate di alluminio nei rifiuti urbani, vi è una ‘perdita’ di alluminio – apparentemente non riciclato o recuperato – di circa 65 mila tonnellate, poco meno del 40% del totale. È soprattutto sul versante ‘rifiuti ingombranti’ che esistono i maggiori spazi di miglioramento. “Basti pensare che dalla gestione dei rifiuti ingombranti, cui affluiscono circa 60 mila tonnellate di alluminio, si recuperano oggi meno di 1.500 tonnellate di alluminio a causa dell’assenza (o della impropria gestione) dei dispositivi di cattura dei metalli non ferrosi.” conclude Duccio Bianchi.
 
Il contributo dell’industria dell’alluminio alla decarbonizzazione – Per quanto concerne il settore dell’alluminio proveniente da raffinazione, l’Italia primeggia in Europa da oltre 10 anni (escluso il biennio 2017-2018). Ne produciamo ben 717 mila le tonnellate (contro le 473 mila della Germania e le 300 mila della Spagna). Questo il primo dato evidenziato da Roberta Niboli, già Presidente di Asssiral, Associazione Italiana Raffinatori Alluminio.
 
Dal punto di vista dell’ambiente il dato è importante, visto che l’alluminio da riciclo richiede il 95% di energia in meno rispetto all’alluminio primario da bauxite.
 
È quello dei trasporti, il principale settore di destinazione delle leghe di alluminio (70%) seguito dalla meccanica (12%), dall’elettromeccanica (8%) e dall’edilizia (7,5%). Con le ulteriori esigenze di alleggerimento, lo stimolo verso l’elettrificazione e l’aumento della quota di veicoli più grandi e di fascia alta, il contenuto di alluminio nei veicoli aumenterà nei prossimi anni. Così come aumenterà in tanti altri settori. È dunque evidente che il rottame di alluminio rappresenti una fondamentale banca energetica. Occorre limitarne l’esportazione proprio per evitare la perdita di una materia prima che può essere facilmente recuperata e riutilizzata per creare alluminio con un dispendio di energia molto inferiore rispetto alla produzione ex-novo. L’equazione è semplice: se esportiamo rottame perdiamo energia e anche materia prima disponibile per alimentare l’intera filiera manifatturiera europea.
 
“Se il fine del CBAM – Carbon Border Adjustment Mechanism (che prevede una tassa sul carbonio su alcuni prodotti importati) è quello di tutelare l’industria europea, c’è il rischio che l’Europa, avendo una forte dipendenza per l’alluminio primario da bauxite da Paesi extra-Eu, si ritrovi a pagare costi aggiuntivi sull’import di materiale di cui comunque abbiamo bisogno. Sarà importante a livello europeo sia aumentare la percentuale di riciclo sia la possibilità di avere alluminio primario e le altre materie prime accessibili e a costi che permettano di competere a livello globale.” conclude Roberta Niboli.