Un “Killer per casa” al teatro Golden di Roma

Fino al 23 febbraio sul palcoscenico del Teatro GoldenStefano Pesce e Giorgia Wurth sono protagonisti di “Killer per casa”,  un’atipica commedia romantico-noir. C’è un doppio tradimento, un raggiro economico e un omicidio da consumare. 

Saranno in scena, diretti da
Massimo Natele, a fianco dei protagonisti, anche Paolo Gasparini e
Patrizia Casagrande
.

E tutto questo dà vita a una storia in cui il divertimento, la risata e la suspense vanno insieme a braccetto. 

Eleonora ha
scelto un lavoro molto particolare non tanto per passione quanto per
soldi, Ennio ha costruito una posizione con passione per arrivare anche a
far soldi, Marco è il classico amico che fa
rimpiangere i nemici, vista la sua propensione a sottrarre soldi.

Sono i nostri
tre protagonisti. E questa è una storia che racconta di come, anche
nelle situazioni più estreme, può sbocciare la complicità e che la vita,
da nera, può diventare rosa.

Ennio è un giovane imprenditore e il giorno del suo matrimonio scopre
che la Guardia di Finanza ha sequestrato i libri contabili delle sue
aziende e messo i sigilli a tutto, conti correnti compresi.

L’amico
di vecchia data Marco, che è anche il suo commercialista di fiducia,
prova a tranquillizzarlo dicendogli che ci penserà lui a sbrogliare la
matassa.

Nonostante le assicurazioni dell’amico, la situazione
precipita ancora di più quando Ennio scopre in modo del tutto fortuito
che la sua quasi sposa Paola lo tradisce proprio con Marco.

Distrutto
dagli eventi, disperato, devastato, Ennio decide di suicidarsi, ma
viene interrotto dalla nuova vicina di casa, Eleonora, che, nel più
tradizionale degli schemi, gli chiede un po’ zucchero. Si è appena
trasferita e si è dimenticata di comprarlo. Eleonora non tarda però a
rivelarsi uno spietato

killer professionista. Di fronte alla
signorile casa di Ennio c’è infatti un albergo di un certo rango e nella
stanza al secondo piano, secondo le informazioni a sua disposizione,
dovrà passare fra qualche giorno una persona speciale. Una persona che
dovrà essere fatta fuori.

Da quel momento in poi si sviluppa una vicenda ricca di colpi di scena, di attese snervanti, di piani portati a compimento e di piani che invece saltano, in un tourbillon che vedrà più di un finale a sorpresa.




Milano, Gallerie d’Italia: in mostra oltre 160 opere di Canova e Thorvaldsen

MILANO – Le Gallerie d’Italia in piazza Scala, sede museale di Intesa Sanpaolo a Milano, presentano fino al 15 marzo 2020 la mostra Canova | Thorvaldsen.

La nascita della scultura moderna, a cura di Stefano Grandesso e Fernando Mazzocca. Ancora qualche settimana, quindi, per ammirare una mostra veramente rara. Realizzata in collaborazione con il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo e con il Museo Thorvaldsen di Copenaghen, l’esposizione è resa possibile grazie all’apporto di prestiti fondamentali concessi da musei e collezioni private italiani e stranieri, solo per citarne alcuni: la Biblioteca Apostolica Vaticana, le Gallerie degli Uffizi di Firenze, il J. Paul Getty Museum di Los Angeles, il Museo Nacional del Prado di Madrid, la Pinacoteca di Brera e la Pinacoteca della Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano, il Metropolitan Museum di New York, le Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, le Gallerie dell’Accademia di Venezia.

Un consistente nucleo di opere proviene inoltre dal Museo e Gypsotheca Antonio Canova di Possagno, promotore delle celebrazioni canoviane, che sono iniziate a luglio 2019 – a 200 anni dalla posa della prima pietra del Tempio di Possagno – e si concluderanno il 13 ottobre 2022, data che segna i due secoli dalla morte dell’artista.

La mostra propone il confronto, mai tentato prima, tra i due grandi protagonisti della scultura moderna in età neoclassica e romantica: l’italiano Antonio Canova (1757-1822) e il danese Bertel Thorvaldsen (1770-1844), i due “classici moderni” in grado di trasformare l’idea stessa della scultura e la sua tecnica, creando opere immortali, diventate popolari e riprodotte in tutto il mondo.

Il terreno su cui si affrontarono originariamente i due illustri maestri è stato il suolo romano, dove svolsero entrambi una buona parte della loro carriera: Canova giunse a Roma nel 1781 e vi morì nel 1822, mentre Thorvaldsen vi si insediò a partire dal 1797 per i successivi quarant’anni. Qui, i due artisti ingaggiarono una delle più note e produttive sfide su identici temi e soggetti che regaleranno all’arte alcuni capolavori: le figure della mitologia classica, come Amore e Psiche, Venere, Paride, Ebe,le Grazie, rappresentavano nell’immaginario comune l’incarnazione dei grandi temi universali della vita,come il breve percorso della giovinezza, l’incanto della bellezza, le lusinghe e le delusioni dell’amore.

Il plauso con cui vennero entrambi accolti dalla critica coeva è emblema di una civiltà che guardava all’antico,ma che aspirava nello stesso tempo alla modernità, dualità che seppero magistralmente interpretare e guidare: Canova era stato l’artista rivoluzionario, capace di garantire alla scultura un primato sulle altre arti, nel segno del confronto e del superamento dell’antico; Thorvaldsen, guardando all’opera e alla strategia del rivale, si era ispirato a un’idea della classicità più severa e austera, avviando una nuova stagione dell’arte nordica, ispirata alle civiltà mediterranee.

Entrambi avevano saputo emanciparsi dal vincolo che la committenza poneva tradizionalmente alla scultura a causa dei costi elevati del marmo o del bronzo, fondando grandi studi che avevano le dimensioni di complesse officine, con numerosi collaboratori e allievi: con le innovazioni tecniche introdotte da Canova e utilizzate su larga scala da Thorvaldsen – creazione di un modello in gesso prima della statua in marmo – lo scultore acquisiva infatti per la prima volta la libertà di esprimere nella statua, ideata senza commissione, la propria poetica.

Attraverso oltre 160 opere divise in diciassette sezioni la mostra documenta la straordinaria complessità delle creazioni di Canova e Thorvaldsen, destinate ad un collezionismo di alto profilo sia italiano sia internazionale, e l’enorme seguito che la loro scultura ebbe, proponendo continui confronti con gli altri artisti di ogni nazionalità.

  1. La prima sezione affronta il tema de L’immagine dell’artista. Gli autoritratti, con i lavori eseguiti dai due artisti in tre momenti: all’inizio della loro carriera, quando si erano ormai affermati, e quelli realizzati in maturità. Canova si è rappresentato sia come scultore che come pittore in una serie di dipinti. Thorvaldsen ci ha lasciato in alcuni disegni un’immagine più intima del suo volto dai lineamenti romantici. Ma i due ritratti ufficiali sono quelli in cui si sono raffigurati in due busti di carattere eroico, cioè di dimensioni maggiori del vero, all’antica: due ritratti autocelebrativi, proiettati in una dimensione senza tempo, ma animati anche da una grande carica introspettiva.
  2. Si prosegue con la sezione de Gli studi di Canova e di Thorvaldsen a Roma, con una serie di opere che rimandano alle vere e proprie officine in cui operavano i due maestri nel centro di Roma: in mostra i lavori che testimoniano come lo studio sia diventato per Canova e Thorvaldsen una sorta di museo dell’artista, dove esporre il proprio operato e i modelli in gesso da copiare.
    Le sezioni seguenti, dedicate ai ritratti, per lo più a quelli tributati ai due scultori, testimoniano un
    fenomeno che per numero e qualità non ha eguali nella storia dell’arte, giustificato dall’ammirazione di cui furono oggetto. Canova vi appare contemporaneamente come l’artista di fama universale e la personificazione dell’identità nazionale italiana. Thorvaldsen, il Fidia nordico, è il riferimento per la rinascita dell’arte germanica e nordica in generale.
  3. Nella terza sezione, La gloria di Canova, una serie di effigi, opere di Andrea Appiani, Giuseppe Bossi, Giovanni Ceccarini, Hugh Douglas Hamilton, Angelica Kauffmann, John Jackson, Giovanni Battista Lampi Junior, Thomas Lawrence, Ludovico Lipparini, hanno come soggetto Antonio Canova, immagini molto diverse tra loro che rivelano la grandezza dell’artista, a volte rappresentato accanto alle sue opere, e l’ammirazione nei suoi confronti. Emblematica è la statua monumentale, posta al centro di questa sezione, in cui Canova non appare in abiti moderni come negli altri ritratti, ma seduto e seminudo con un corpo atletico, con accanto la testa antica del cosiddetto Giove di Otricoli.
  4. Si prosegue con Ritratti in scena, che riunisce i ritratti di carattere celebrativo tra cui quelli dei due artisti in posa nei loro abiti cerimoniali (tre di Rudolph Suhrlandt e uno di Jacob Munch), ma anche le opere di François Xavier Fabre con Ugo Foscolo, Vittorio Alfieri, Antonio Canova identificati come le grandi glorie d’Italia; la Venere Italica e il ritratto di Maria Luigia d’Asburgo e il gesso per il Monumento a Vittorio Alfieri, tutti di Canova, segnano l’ultima grande stagione del ritratto allegorico come apoteosi all’antica.
  5. Una particolare attenzione è dedicata nella quinta sezione, Icone popolari. L’immagine moltiplicata dei capolavori, alla circolazione delle riproduzioni eseguite da altri artisti in tutti i materiali e tecniche, dalle riduzioni in bronzo alle incisioni. Un posto di rilievo viene accordato alle riduzioni in bronzo dorato usate come eccezionali pezzi d’arredo: mentre Desiderio Cesari ritrae con questa tecnica il maestro danese, viene esposto in mostra uno dei soggetti prediletti da Canova, un’Ebe eseguita dalla manifattura Strazza e Thomas, a confronto con quella eseguita su modello di Pietro Galli, da Thorvaldsen, da Wilhelm Hopfgarten e Benjamin Ludwig Jollage, di cui viene esposto anche Giasone con il vello d’oro. Concludono la sezione le litografie a soggetto religioso e ritratti in stile neoclassico di Michele Fanoli provenienti dalla Biblioteca Nazionale Braidense, che furono pubblicate e diffuse in tutto il mondo, testimoniando la vastità e la versatilità della produzione di Canova.
  6. Nella sesta sezione La gloria di Thorvaldsen, intorno all’effigie monumentale a figura intera dell’Autoritratto con la statua della Speranza, dove l’artista seppe far rivivere la misteriosa bellezza
    dell’arte greca di età arcaica, troviamo effigi che lo ritraggono o che riproducono le sue opere: l’immagine di Thorvaldsen divenne straordinariamente popolare, alimentando il mito dello scultore che, venuto dal Nord, si era fatto interprete di un ideale classico e mediterraneo di bellezza.
  7. Il primato della scultura e la celebrazione del genio si sofferma sulla fortuna che il genere scultoreo assunse grazie a Canova e Thorvaldsen, testimoniata sia sul piano illustrativo sia allegorico, su marmo e su tela. Le allegorie di derivazione classica sono state utilizzate per celebrare il potere delle arti ed in particolare della scultura come quella che più di tutte riesce a imitare e gareggiare con la Natura, creando figure tridimensionali capaci di vivere nello spazio. Non mancano i ritratti di Canova dove viene celebrato nelle solenni cerimonie officiate per la sua morte, vissuta come un lutto nazionale, e nei monumenti che lo ricorderanno come il genio universale. Anche Thorvaldsen, al suo ritorno a Copenaghen, fu festeggiato come un dio e gli fu dedicato un museo personale, onore mai prima di allora concesso ad un artista in vita.
  8. Nel grande salone centrale, attorno cui si impernia l’esposizione, Le Grazie e la danza, la sezione dedicata al sensazionale confronto, mai proposto prima, tra i due celeberrimi capolavori, i due gruppi marmorei de Le Grazie dove Canova e Thorvaldsen hanno espresso meglio il proprio ideale di bellezza. Al concetto di grazia come movimento, varietà e sentimento del gruppo di Canova proveniente dall’Ermitage, Thorvaldsen risponde ribadendo il suo ideale austero di casta semplicità con Le Grazie con Cupido, dal Thorvaldsens Museum. Queste due opere sono circondate da una coreografia di quattro figure in cui Canova, Thorvaldsen e un loro seguace, Gaetano Matteo Monti, hanno rappresentato il motivo della danza, grande novità perché tema mai affrontato prima in scultura.
  9. I ritratti come specchio di un’epoca ripercorre la vasta produzione ritrattistica in marmo di Canova e di Thorvaldsen, restituendo l’immagine dei personaggi più in vista del tempo, sovrani, aristocratici, collezionisti, artisti e letterati che vollero farsi immortalare in sembianze idealizzate. Nonostante l’idealizzazione, questi volti non appaiono freddi, ma animati da una straordinaria capacità di rendere la psicologia dei personaggi.
  10. Altra tematica cara ai due scultori si trova esemplificata nella sezione Venere e il trionfo della bellezza.Canova, Thorvaldsen e il loro seguace Mathieu Kessels sono messi a confronto nella rappresentazione di Venere, la dea dell’amore. Soprattutto Canova ha prediletto questo soggetto, rappresentando in diverse statue, leggermente diverse l’una dall’altra, il motivo di Venere che uscendo dal bagno cerca di coprirsi da sguardi indiscreti. Intendeva così rendere l’emozione che si prova ogni volta alla comparsa della bellezza. La dea di Canova appare più donna e quindi più sensuale rispetto a quella di Thorvaldsen che, nella sua nudità assoluta, rimane una divinità: una Venere vincitrice che, perfettamente immobile, esibisce trionfante il pomo della vittoria assegnatale nella celebre gara.
  11. L’undicesima sezione, Amor vincit omnia. La rappresentazione d’Amore, prende in esame uno dei temi più amati dalla scultura e dalla pittura tra Neoclassicismo e Romanticismo, ovvero quello di Amore o Cupido. Simbolo di grazia sensuale, bellezza intatta e innocente, con il corpo di un adolescente o di un bambino, la figura di Cupido offriva un’occasione di virtuosismo unica nella rappresentazione delle ali, che rendono queste immagini straordinariamente seducenti. Thorvaldsen e il suo seguace Wolff raffigurano Amore come una divinità vittoriosa e fiera del proprio trionfo, rendendo così la potenza di questo sentimento universale, dominante sulla vita e sul destino dell’uomo. Particolarmente apprezzati e richiesti sono stati i bassorilievi in cui Thorvaldsen ha saputo rendere con infinita grazia l’antico mito di Amore bambino consolato da Venere o come emblema, insieme a Bacco o Anacreonte, delle stagioni, dove la bellezza giovanile è indagata insieme alle risorse allegoriche del mito, a simboleggiare che c’è sempre un tempo per amare. Nell’Apollo che si incorona, esperimento giovanile di Canova eseguito nell’atelier di Roma nel 1781-82 e conservato oggi al Getty Museum di Los Angeles, e nell’Apollino riscoperto di recente, si ritrova più accentuata l’attenzione al movimento. In mostra anche le opere su tela di vari autori. Sulla scia di Cupido, si inseriscono le due sezioni interamente dedicate ai soggetti prediletti dai due scultori: la dodicesima ad Amore e Psiche e la tredicesima ad Ebe.
    La prima, Nel segno della grazia. Amore e Psiche, e la seconda, Figure in volo. Ebe coppiera degli dei; un capitolo a parte, I grandi mecenati. Napoleone e Sommariva, si sofferma sulla committenza dei due maestri: mecenati come Napoleone e la sua famiglia e il grande collezionista lombardo Giambattista Sommariva, che acquisì numerose statue di Canova ed ebbe da Thorvaldsen il suo capolavoro, Il trionfo di Alessandro in Babilonia, commissionato da Napoleone per il Quirinale ma poi eseguito per la villa di Tremezzo sul lago di Como. Grazie a Sommariva e ad altri committenti, entrambi gli artisti ebbero con Milano un rapporto privilegiato. Ritraendo Napoleone, Canova ha cercato di rendere il fascino dell’eroe, dell’uomo del destino, mentre Thorvaldsen ha divinizzato l’imperatore rappresentandolo come Giove con l’aquila. Sommariva è rappresentato nel magnifico ritratto di Prud’hon ispirato a quelli di grandi collezionisti inglesi che si erano fatti ritrarre da Batoni insieme alle statue antiche ammirate a Roma.
    Si prosegue sui temi cari a Thorvaldsen, con L’incanto dell’eterna giovinezza. Ganimede: il soggetto prediletto dal maestro, complementare a quello di Ebe, non è mai stato considerato da Canova. Il danese ne ha fatto l’immagine al maschile di una bellezza adolescenziale simbolo di eterna giovinezza, sperimentando diversi modi di rappresentarlo, influenzando i pittori e gli scultori contemporanei, come nel caso delle opere di Camillo Pacetti, presentate in mostra.
    L’eredità romantica. Il pastore errante riassume, con opere dedicate alla bellezza naturale e al carattere sentimentale dei soggetti arcadici e pastorali di Hippolyte Flandrin, John Gibson, Aleksandr Andreevic Ivanov e Bertel Thorvaldsen, l’eredità degli stilemi e dei modelli di universalità senza tempo del linguaggio di Canova e Thorvaldsen. Qui, alle sembianze più idealizzate di Ganimede, si sostituiscono quelle più naturali del Pastorello che nella versione della Manchester Art Gallery posa ancora sul suo piedistallo originale disegnato da Flaxman. Nel Fauno rappresentato dal migliore seguace di Thorvaldsen, Pietro Tenerani, seduce la verosimiglianza al vivo mentre suona una musica che sembra addolcire le sue membra. Allo stesso modo, il sonno conferisce un sentimento di malinconia alla figura abbandonata e sognante del pastore di Gibson. Lo stesso languore lo ritroviamo nel Giovane pastore dipinto da Flandrin, nostalgico di un’Arcadia perduta.
    Rientra nel percorso espositivo, concludendolo, la splendida serie di 13 bassorilievi in gesso di Canova permanentemente esposti alle Gallerie d’Italia e appartenenti alla collezione dell’Ottocento della Fondazione Cariplo. Essi immortalano scene mitiche e rappresentazioni di alcuni precetti della filosofia socratica.

Il catalogo della mostra è edito da Edizioni Gallerie d’Italia | Skira

INFORMAZIONI UTILI
Apertura al pubblico: 25 ottobre 2019 – 15 marzo 2020
Sede: Gallerie d’Italia – Piazza Scala – Piazza della Scala, 6 Milano
Orari: dalle 09.30 alle 19.30 (giovedì chiusura alle ore 22:30) – Chiuso lunedì.

Ingresso
Biglietto: intero 10 euro, ridotto 8 euro, ridotto speciale 5 euro. È prevista una riduzione reciproca con la mostra Canova. I volti ideali alla Galleria d’Arte Modena (GAM): il biglietto d’ingresso della prima mostra visitata dà diritto all’ingresso ridotto a 8 euro alla seconda esposizione.
Gratuità: convenzionati, scuole, minori di 18 anni e ogni prima domenica del mese. #canovamilano
Informazioni
numero verde 800 167619
info@gallerieditalia.com
www.gallerieditalia.com




Festival di Sanremo: vince Diodato. Ecco la classifica

La serata finale del Festival di Sanremo, che ha incoronato vincitore Diodato, è stata seguita in media ieri su Rai1 da 11 milioni 476mila spettatori con il 60.6% di share. L’anno scorso l’ultima serata del festival aveva raccolto in media 10 milioni 622mila telespettatori pari al 56.5%.

La prima parte della serata finale (dalle 21.32 alle 23.52) ha fatto segnare 13 milioni 638mila telespettatori con il 56.8%, la seconda (23.57-1.59) 8 milioni 969mila con il 68.8%. Nel 2019 la prima parte dell’ultima serata di Sanremo aveva raccolto 12 milioni 129mila spettatori con il 53.1%; la seconda 8 milioni 394mila con il 65.2%. Con il 60.6% la finale di Sanremo centra il miglior risultato in termini di share dal 2002, quando l’ultima serata del Festival, condotto da Pippo Baudo con Manuela Arcuri e Vittoria Belvedere, raccolse il 62.66%

Al secondo posto si è classificato Francesco Gabbani con “Viceversa”

Al terzo posto si sono classificati i Pinguini Tattici Nucleari con “Ringo Starr”

Posizione 4 – Le Vibrazioni
Posizione 5 – Piero Pelù
Posizione 6 – Tosca
Posizione 7 – Elodie
Posizione 8 – Achille Lauro
Posizione 9 – Irene Grandi
Posizione 10 – Rancore
Posizione 11 – Raphael Gualazzi
Posizione 12 – Levante
Posizione 13 – Anastasio
Posizione 14 – Alberto Urso
Posizione 15 – Marco Masini
Posizione 16 – Paolo Jannacci
Posizione 17 – Rita Pavone
Posizione 18 – Michele Zarrillo
Posizione 19 – Enrico Nigiotti
Posizione 20 – Giordana Angi
Posizione 21 – Elettra Lamborghini
Posizione 22 – Junior Cally
Posizione 23 – Riki




Frascati, scenografi e costumisti in mostra

Cosa c’è dietro il lavoro dei grandi scenografi e costumisti italiani? Impegno, fantasia e tanta cultura. Le Scuderie Aldobrandini ospitano l’altra faccia dell’arte e della tecnica di creare e ideare le scene per una rappresentazione teatrale, cinematografica o televisiva. Da una idea di Laura Lupi e a cura di Bruno Amalfitano nasce la mostra Segno di artisti, poeti di Scena, che focalizza l’attenzione sull’attività meno conosciuta dei grandi nomi della scenografia italiana permettendo di dialogare con i
grandi Maestri, sul loro un universo intimo fatto di dipinti, disegni, tecniche miste arredi, oggetti.
L’evento che s’inaugura il 25 gennaio alle 18 propone in esposizione opere di: Anna Luce Aglietto, Bruno e Roberto Amalfitano, Tiziana Amicuzzi, Roberto Baraldi, Marco Antonio Brandolini, Giacinto Burchiellaro, Marco Canevari, Alida Cappellini, Gaetano Castelli, Fabio Crisarà, Enzo De Camillis, Marco Dentici, Dante Ferretti, Enzo Forletta,
Nino Formica, Francesco Frigeri, Mario Garbuglia, Antonello Geleng, Paolo Innocenzi, Laura Lupi, Luigi Marchione, Riccardo Monti, Valeria Paolini, Daniela Pareschi, Graziella Pera, Carlo Poggioli, Sandro Scarmiglia, Mario Tasciotti, Emanuela Trixie Zitkowsky, Eugenio Ulissi, Alessandro Vannucci, Marta Zani.
«Una mostra che la Città di Frascati è orgogliosa di ospitare – dice Roberto
Mastrosanti, Sindaco di Frascati – non solo per il valore dell’esposizione stessa ma per confermare quanto il nostro territorio sia legato alla cultura anche cinematografica del nostro Paese. Set ideale per decine e decine di film ma anche luogo che ha ospitato i teatri dell’effimero delle grandi feste in Villa di barocca memoria».
Arredi classici e contemporanei, sculture, dipinti e oggetti di scena arricchiscono la galleria di opere pittoriche dei più importanti scenografi e costumisti italiani. «Opere intime, al di là della committenza, che svelano un’alta faccia delle loro poliedriche personalità artistiche – spiega Emanuela Bruni, Assessore alla Cultura -. I percorsi di ciascuno, le passioni culturali e di ricerca estetica. Un evento che nel panorama culturale del nostro Paese tiene alta la bandiera dell’Italian way of life, tanto amato nel mondo, frutto di emozioni, passione gusto ed eleganza».
«La mostra non è che un modo per far conoscere la scintilla artistica che c’è in molti che fanno questo lavoro, e che a volte, per eccesso di pudore, viene tenuta nascosta in un armadio – dichiara la curatrice Laura Lupi -. Qualcuno danza, qualcuno fa l’attore, qualcuno disegna gioielli o entra nel mondo della moda. A volte quella nascosta parte artistica può farci scoprire che la nostra esperienza di scenografi- costumisti, così eclettica, ci ha fatto trovare una strada più importante, e allora seguiamo anche quella, come è successo a molti di noi».
Dall’Introduzione al catalogo di Italo Moscati «Sono a Venezia e cammino davanti alle Corderie dove ogni anno ci sono grandi mostre d‘arte che creano file di pubblico infinite. Ma in questi giorni le Corderie, di cui
è “padrona” la Biennale d’arte, sono chiuse. E’ una pausa dell’attività espositiva.

Qualche giorno fa l’Acqua Molto Alta ha fermato tutto nel disagio, di più, nella paura. Vado avanti. Devo scrivere su qualcosa che è lontana e mi riparo in una casa amica per farlo. Devo scrivere su una Mostra a Frascati. Lo faccio. La memoria e lo sguardo sono pieni delle immagini di cui ho visto la concretezza artistica e ammirato la fantasia. Lo spettacolo è bello e incisivo. I quadri sono lì per testimoniare qualcosa in cui l’arte sviluppa la loro realtà nuova».




Piano bar e spettacoli di musica dal vivo, il permesso Siae non basta più: il direttore commerciale Soundreef spiega le nuove regole

Aperte nuove frontiere per gli operatori del settore musicale italiano dopo la sottoscrizione di un accordo, dello scorso 10 aprile, tra SIAE e SOUNDREEF-LEA.

Un accordo arrivato a seguito del recepimento della Direttiva Barnier e dopo alcune battaglie legali tra le due società riguardo la liberalizzazione dell’attività di intermediazione dei diritti d’autore.

A spiegare nel dettaglio come funziona oggi la procedura relativa la richiesta dei vari permessi per quei utilizzatori che operano nel settore della musica dal vivo, il Direttore commerciale della SOUNDREEF dr. Massimo Scialò.

CLICCARE SULLA FOTO PER GUARDARE LA VIDEO INTERVISTA

L’intervista di Chiara Rai al dr. Massimo Scialò Direttore commerciale della SOUNDREEF trasmessa a Officina Stampa del 23/01/2020

In Italia con il Decreto legislativo 35/2017, è stata infatti riconosciuta agli autori la libertà di scegliere l’organismo di gestione collettiva a cui affidare le proprie opere.

CLICCARE SULLA FOTO PER GUARDARE IL VIDEO SERVIZIO

Il video servizio trasmesso a Officina Stampa del 23/01/2020

Un accordo che ha visto terminare dopo oltre un secolo il monopolio della
SIAE per la gestione dei diritti d’autore e che ha assistito quindi alla
nascita di SOUNDREEF, società di diritto anglosassone, che in Italia riscuote i
diritti d’autore dei propri associati attraverso l’associazione senza fini di
lucro LIBERI AUTORI EDITORI (LEA).

L’accordo, per quanto riguarda le esecuzioni musicali dal vivo, prevede l’obbligo
per gli organizzatori di munirsi di doppia licenza, SIAE e SOUNDREEF-LEA qualora
durante l’evento siano eseguiti brani del repertorio tutelato da SIAE e quelli del repertorio
tutelato da LEA-SOUNDREEF.

Ma il problema per gli organizzatori è quello di non poter sapere in anticipo cosa suoneranno i musicisti durante un evento

Non si può infatti prevedere durante una serata di piano bar, a titolo di esempio, se sarà suonato solo repertorio tutelato da SIAE oppure tutelato solo da SOUNDREEF/LEA o se tutelato da ambedue le società.

Molti brani musicali, infatti, sono tutelati sia da SIAE che da SOUNDREEF/LEA

Così come la famosa canzone cantata da Umberto Tozzi “Ti Amo” che è stata composta dallo stesso Tozzi iscritto SIAE insieme a Giancarlo Bigazzi il cui repertorio è tutelato da SOUNDREEF/LEA.

Così come altri brani che rappresentano dei veri e propri evergreen e che sovente si ritrovano nelle scalette musicali dei piano bar sparsi lungo la nostra penisola. Brani come “Gloria”, “I migliori anni della nostra vita”, “Almeno tu nell’universo”, “Quello che le donne non dicono” tanto per citarne alcuni, ma lista è molto più ampia ed è destinata a crescere esponenzialmente viste le ultime acquisizioni di grandi successi interpretati da celebri artisti come Laura Pausini, Vasco Rossi, Andrea Bocelli, Gianni Morandi, Ligabue, Francesco Renga, Eros Ramazzotti, Jennifer Lopez, Marco Masini, Gianna Nannini, Marco Mengoni, Robert Miles e molti altri.




Roma, Auditorium Parco della Musica: oggi il concerto della memoria

Giovedì 23 gennaio 2020,
Auditorium Parco della Musica, ore 20.30 – Ingresso gratuito

Dalla cacciata di Adamo ed Eva dal Giardino dell’Eden, la storia di Israel è segnata dalle peregrinazioni e dalla nostalgia per il Paradiso perduto. Dalla deportazione Babilonese, alla schiavitù in Egitto, dalla espulsione dalla Spagna nel 1492, fino alla fuga dai pogrom e dalle guerre nel Novecento, la condizione di esilio e sradicamento ha segnato nel profondo l’identità del Popolo ebraico, accompagnandone la storia.

Il 7° Concerto della Memoria, “Là dove giace il cuore. Note e parole d’esilio”, si impegna ad illuminare e far risuonare, attraverso la parola e la musica, l’esperienza di tutti coloro i quali ieri e oggi, ebrei e non, hanno condiviso il medesimo destino di separazione, allontanamento e abbandono della propria identità: ebrei askenaziti e sefarditi, armeni, africani deportati come schiavi, italiani e irlandesi imbarcatisi in un passato recente in cerca di fortuna, profughi contemporanei respinti alla frontiera o separati dai figli.

Là dove giace il cuore: note e parole d’esilio

Si può a lungo discutere su
che cosa sia l’esilio
” – spiega Viviana Kasam, ideatrice del
concerto – “Essere deportati, tratti in schiavitù? Scappare dalla guerra e
dalla persecuzione? Lasciarsi famiglia e casa alle spalle per cercare di
sfuggire a un destino di miseria e sradicarsi lontano? Nella mia visione,
quello che conta è che la condizione di esiliato è comunque simile per tutti, e
lo testimoniano sia le canzoni sia i testi che ho raccolto, con la preziosa
collaborazione dello scrittore Edmund De Waal (“Una eredità di ambra e
avorio
”, 2011), che ha recentemente creato la “Biblioteca dell’esilio –
Psalm
”. Sono parole di scrittori e di poeti di origini diversissime, da
Dante e Foscolo, a Neruda e Nabokov, a Jabès e Hanna Arendt, da Miriam Makeba al
poeta armeno Yeghishe Charents, uniti dall’esperienza di sradicamento e perdita
di identità
”.

“‘L’esilio è qualcosa di
singolarmente avvincente a pensarsi, ma terribile a viversi –
spiega Marilena
Citelli Francese
, co-ideatrice dell’iniziativa – È una crepa che si
impone con la forza degli eventi e che si insinua tra l’essere umano e il posto
in cui è nato. Non dimentichiamo che le conquiste di un esule sono
costantemente minate dalla perdita di qualcosa che si è lasciato per sempre
alle spalle. e molte volte, per fortuna, diventa testimonianza attiva. La
nostra storia è frutto di esili ma l’apice viene raggiunto nel secolo scorso
macchiato dal sangue di due guerre mondiali e dalla vergogna delle leggi
razziali. Partiamo da questa sofferenza condivisa per coinvolgere un pubblico
più ampio a riflettere affinché il concerto diventi un messaggio di dialogo fra
popoli e religioni”.

I testi selezionati saranno
letti da Manuela Kustermann e Alessandro Haber, che hanno aderito
con entusiasmo all’iniziativa.Un cast di interpreti internazionali farà
rivivere le canzoni composte da musicisti esiliati in epoche e Paesi diversi.
Protagonista per il terzo anno del Concerto della Memoria, Cristina
Zavalloni
, accompagnata dall’ensemble di solisti jazz Lagerkapelle
(Vince Abbracciante, Giuseppe Bassi, Seby Burgio, Andrea Campanella, Gaetano
Partipilo, Giovanni Scasciamacchia). Le guest stars sono Raiz, protagonista
della scena musicale partenopea e interprete della pellicola di John Turturro
“Passione” e, dall’Armenia, Gevorg Dabaghyan, considerato uno dei
massimi suonatori di duduk, lo strumento nazionale armeno, che farà rivivere la
voce del genocidio del suo popolo attraverso le note di Padre Komitas,
compositore ed eroe nazionale che trascrisse, salvandole dall’oblio, le musiche
tradizionali.

Da Toronto arriva per la prima
volta a Roma l’ARC Ensemble (Artists of The Royal Conservatory), tre
volte nominato per il Grammy Award e specializzato nella ricerca e nel recupero
delle opere di compositori ebrei che fuggirono dalla Germania nazista. Per il
Concerto della Memoria l’ARC Ensemble eseguirà brani sinfonici di Walter
Kaufman
(“String Quartet n°11 – Finale”) e Julius Chajes (“Palestinian
(Hebrew) Suite
”), edi Michael Csanyi Wills “The Last
Letter
, una canzone composta sul testo della lettera-testamento che
sua nonna scrisse per incoraggiare figli e nipoti a lasciare l’Ungheria. Il Coro
delle Voci Bianche dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, diretto da Piero
Monti,
aprirà il concerto con “Và pensiero”, una delle pagine
più celebri della storia della musica, paradigma di tutti gli esili. Canti
sefarditi (“La Roza enflorence”), afroamericani (“I Be So
Glad… When The Sun Goes Down
”, “Homeland”), armeni (“Dle
Yaman
”), italiani (“Ma se ghe pensu”, “Lacreme
napulitane
”) rievocheranno la condizione dello sradicamento, della
nostalgia, della speranza, sentimenti comuni a tutti gli esiliati.

L’Unione delle Comunità
ebraiche promuove per il settimo anno il Concerto della Memoria, con
l’obiettivo di maturare senso di appartenenza e responsabilità attraverso la
dimensione della musica e dell’arte teatrale
” – dichiara Noemi Di Segni,
Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane –“Il
tema dell’esilio, una delle conseguenze meno esplorate della Shoah, vuole
generare nei giovani che hanno il privilegio di vivere in tempo di pace e di
attraversare l’Europa per libera scelta, la consapevolezza su quanto accaduto
ai nostri avi nei secoli. E ripercorrendo le vicissitudini storiche del popolo
di Israel, desideriamo stimolare la riflessione su uno dei temi più attuali e
più drammatici del mondo contemporaneo
”.

Ad arricchire il programma è
anche la partecipazione della giovane contralto Nathalie Coppola
cantante italiana di origine haitiane, che canterà Homeland di Miriam Makeba con
il coro delle Voci Bianche dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia – e quella
straordinaria di Daniela Ayala e Pasquale Di Simone, ballerini di
tango noti per la partecipazione a Ballando con le stelle.

Il concerto è organizzato da BrainCircleItalia, Musadoc, Accademia
Nazionale di Santa Cecilia e Euro Forum, con il contributo di Mediocredito
Centrale, Salini Impregilo, Acea e Lundbeck Italia; con il sostegno
dell’Ambasciata del Canada, dell’Ambasciata della Svizzera e di Gomitolorosa;
con la media partnership di Rai Cultura.

Il cast

Voce solista: Cristina
Zavalloni

Guest Stars:  Raiz
e Gevorg Dabaghyan

Narratori: Manuela
Kustermann e Alessandro Haber

Lagerkapelle: Vince
Abbracciante (fisarmonica), Giuseppe Bassi (contrabasso), Seby Burgio (pianoforte),
Andrea Campanella (clarinetto), Gaetano Partipilo (sax), Giovanni
Scasciamacchia (batteria)

ARC Ensamble – The Royal Conservatory of Music, Toronto

Coro delle Voci Bianche dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
diretto dal maestro Piero Monti

Regia: Angelo Bucarelli

Direzione musicale:
Cristina Zavalloni e Giuseppe Bassi

Arrangiamenti: Giuseppe
Bassi, Vince Abbracciante e Seby Burgio

Direzione artistica:
Michelangelo Busco




Libri, “Scogliere d’ombra”: dal 27 gennaio il nuovo romanzo dello scrittore sardo Marco Casula

Uscirà il 27 gennaio Scogliere d’ombra il nuovo romanzo dello scrittore sardo Marco Casula edito da Intrecci Editore.

Alfredo, colpito a morte, giace quasi cadavere in una piscina. È lì che pare riflettere sulla propria vita. È davvero morto? Gli istanti del suo trapasso sono la rievocazione di un incubo che usurpa un presente angosciante, illusorio e frustrante di piaceri e ambizioni. Alfredo galleggia sullo specchio d’acqua e la disgregazione della sua psiche si consuma in una sorta di fuga dalla Giungla Inestricabile della mente.

L’angoscia prende forma attraverso le sembianze della sua città, al tempo delle aspirazioni giovanili. Alfredo parte, dunque, con l’amico Nanni verso la Città Giusta, luogo utopico, per un viaggio di de-costruzione e di emancipazione interiore. Solo alla fine il protagonista farà una scoperta che sembra banale, ma che per uno che sa di morire (e che certamente morirà) è sconcertante: la vita è un mattino che si ripete tutti i giorni. L’esistenza è un continuo ripiegarsi su se stessa. Dramma psicologico, romanzo di introspezione e ricostruzione. Una riflessione sulla ciclicità della vita: niente muore davvero.

Marco Casula è nato a Nuoro nel 1950, ma Sassari è la sua città d’anima. Risiede da tempo a Cagliari, dove vive con una pensione di buon ritiro e tante medaglie di gratitudine. La sua attività di autore comincia tardi attraverso un percorso non lineare vista la sua formazione culturale decisamente diversa (è stato un funzionario pubblico). Però la pratica di scrittura esercitata in altri ambiti e la frequentazione di letture ad ampio raggio sono stati elementi decisivi per fargli seguire la sua vocazione letteraria. La lettura (narrativa, saggistica e poesia) è una delle attività a cui dedica più tempo.

Dichiara spesso di aver cominciato a scrivere “panzane” per raccontare la sua verità attraverso alcuni racconti brevi, pubblicati a partire dal 2006 sul quotidiano Il Sardegna. Seguono una serie di romanzi: Le strade perdute, La maschera sotto la neve e Fratelli di storia. È autore, inoltre, di una poetica della Beat Generation (sulle orme di Jack Kerouac) dal titolo Beat ’n Bebop on the Road,per una Jazz Band. Nel suo curriculum di scrittore non mancano i premi: La maschera sotto la neve ha meritato il primo posto al Concorso Opere d’Autore (Sanremo 2012), mentre il racconto breve Freddo e nebbia si è classificato terzo per gli inediti nello stesso concorso. È stato finalista al Trofeo Penna d’Autore con Le strade perdute. La fotografia è una passione che ha fin da giovane e continua a coltivare.

Il suo blog è marcocasula.wordpress.com (Yoknapatawpha)

La sua pagina Facebook @marcocasula.autore

SCOGLIERE D’OMBRA DI MARCO CASULA (INTRECCI EDIZIONI), 208 PAGINE, 14 EURO

Mirella Dosi
320/5315481

Cs Scogliere dombra Marco Casula.docx




Genzano, Veronica Pivetti alla libreria Mondadori per presentare “Per sole donne”

Veronica Pivetti alla Mondadori di Genzano per presentare “Per sole donne”

Sabato 18 gennaio appuntamento interessante alla Mondadori Bookstore di Genzano di Roma.

Nella Libreria di Corso Gramsci, infatti, sarà ospite la nota attrice e scrittrice Veronica Pivetti, che presenterà il suo nuovo romanzo “Per sole donne” edito da Mondadori. Un volume spiazzante, con protagonista Adelaide, alle prese con una classica crisi di mezza età. La vena ironica e umoristica dell’autrice guida il lettore in un percorso di confidenze e chiacchierate tra Adelaide e le sue quattro migliori amiche, Benedetta, Tonia, Rosaria e Martina. Profili femminili diversi ma assoluti protagonisti della scena (da qui il titolo del romanzo) che sono accomunati dal disincanto e dalla voglia di vivere, fenomeni solo apparentemente contraddittori. Sesso, amicizia, introspezione sono le tematiche principali.

Per saperne di più l’appuntamento è per sabato 18 gennaio alle ore 18.30 alla Mondadori Bookstore di Genzano. Seguiranno il firma-copie e le foto-ricordo. L’ingresso è, come sempre, libero.




“Scrivo nell’aria che vivo”: l’aria che tira a Roma (spesso un’ariaccia) nella raccolta di poesie di Roberto Ciavarro

Un’intervista con il poeta Roberto Ciavarro per parlare di poesia e romanità.

Ciavarro ha presentato il suo ultimo libro “Scrivo nell’aria che vivo” una raccolta di poesie dove il poeta narra della Roma vissuta tutti i giorni e dell’aria che tira in città, un’aria che a volte, come si sente dire spesso è un’ariaccia.

CLICCARE SULLA FOTO PER GUARDARE LA VIDEO INTERVISTA

L’intervista al poeta romanesco Roberto Ciavarro trasmessa il 9/1/2020 a Officina Stampa



Il duomo di Orvieto si è ripresentato nel suo splendore al mondo

L’Opera del Duomo di Orvieto ha recentemente invitato un gruppo di corrispondenti di media esteri accreditati in Italia, guidato dalla coordinatrice del gruppo Cultura dell’Associazione della Stampa Estera in Italia, la giornalista spagnola Carmen Del Vando, ad una visita alla bella città umbra, per due interessanti appuntamenti culturali.

Il primo, un incontro presso il palazzo dell’Opera del Duomo, dove è stato proiettato un video sui restauri dei basamenti e delle statue e la loro ricollocazione, con relazioni di autorevole esponenti del settore,seguito da visita guidata all’interno del Duomo con l’illustrazione del ciclo scultoreo dell’ Annunciazione, degli Apostoli e dei Santi Protettori della città, appena ricollocato, rendendo ancora più splendida imponente edificio sacro. Con il secondo appuntamento , i giornalisti hanno visitato il Museo Claudio Faina (diotato di opere d’arte etrusca, greca e romana), con una attenzione particolare alla collezione attica recentemente donata dall’architetto Mario Lolli Ghetti. La giornata orvietana è stata completata da una visita al Pozzo di San Patrizio, al Museo del Duomo ed al Museo Emilio Greco.

L’occasione principale era costituita dalla ricollocazione, dopo 122 anni di ‘esilio’ ed un trasferimento in quattro diverse sedi, all’interno del celeberrimo Duomo, dell’intero ciclo scultoreo degli Apostoli e dei quattro Santi, l’unico ancora completo e conservato integralmente avviato prima dell’avvento del barocco. Il riposizionamento delle statue all’interno della Cattedrale è la conclusione di un impegnativo percorso sia burocratico sia di restauro, che ha visto collaborare numerosi ed esperti professionisti, oltre che soggetti istituzionali.

Le statue – otto realizzate tra il 1556 e il 1612, la nona nel 1618, la decima nel 1644 e le ultime due tra il 1714 e il 1722 – dal 2006 erano infatti state collocate nella sede distaccata del museo dell’Opera del Duomo di Orvieto.

Il progetto del riposizionamento, già delineato nel 1986 dalla Soprintendenza, era stato presentato agli organi del ministero per i Beni e le attività culturali ed autorizzato dalla stessa Soprintendenza; è stato coordinato dall’Opera del Duomo, presieduta da Gianfelice Bellesini che ha presenziato all’incontro con i giornalisti dei media esteri al quale ha presto parte anche il vescovo, monsignor Benedetto Tuzia, il professor Giuseppe Della Fina, il sindaco Roberta Tardani e la soprintendente alle Belle arti dell’Umbria, Marica Mercalli.

Con il ritorno in Duomo – si stato detto nel corso dell’incontro – le sculture hanno riacquistato dignità di opera d’arte, seppure fuori contesto e scala, e sono tornate al centro dell’interesse, dello studio, del dibattito. Le statue poggiano sui basamenti originali come quelle dei quattro Santi protettori che hanno fatto ritorno nel Duomo di Orvieto, anticipate da quelle dell’Angelo annunciante e della Vergine, realizzate da Francesco Mochi.

Realizzate da vari artisti tra la fine del 16° e l’inizio del 18° secolo, le statue sono collocate ai piedi delle colonne che presentano le iconiche fasce alternate di travertino e basalto. Delle 12 statue degli Apostoli di Orvieto, le prime 8 furono realizzate tra il 1556 e il 1612: S. Paolo da Francesco Mosca detto il Moschino (1556), S. Pietro da Raffaello da Montelupo (1557), S. Tommaso, S. Giovanni e S. Andrea dall’orvietano Ippolito Scalza e collaboratori, S. Giacomo Maggiore da Giovanni Caccini, S. Matteo da Pietro Francavilla su progetto di Giambologna e S. Filippo da Francesco Mochi.
Negli stessi anni venne realizzato anche il gruppo dell’Annunciazione di Francesco Mochi (1603-1608), collocato all’interno del coro della cattedrale, e altre statue che vanno a ornare l’area del transetto e il presbiterio. La nona statua, il San Bartolomeo, venne realizzata da Ippolito Buzi nel 1618. La decima, S. Taddeo, fu consegnata da Mochi del 1644; le ultime due, sono scolpite da Bernardino Cametti, tra il 1714 e il 1722, negli anni in cui altri Apostoli prendevano posizione nella basilica di S. Giovanni in Laterano. Nel 1897 il restauro cosiddetto “di liberazione” di matrice purista volle cancellare la fase artistica manierista-barocca. Le statue vennero dapprima esposte nel museo e in seguito abbandonate nei depositi dove venne a visitarle Federico Zeri che ne chiese il il recupero. Furono quindi rimosse dal Duomo nel 1897 (all’epoca si volle infatti riportare nuovamente alla cattedrale il suo austero aspetto medievale, e furono dunque eliminate le aggiunte barocche, a cominciare dalle statue, che furono spostate) e negli ultimi anni si trovavano esposte in una sede distaccata del Museo dell’Opera del Duomo, la ex chiesa di Sant’Agostino.

Del loro ricollocamento nella sede originaria si parla già dal 1986 (uno dei più accesi fautori del ritorno in Duomo fu Federico Zeri), epoca a cui risale il primo progetto della soprintendenza, ma si è potuto però realizzare solo nel 2019: al risultato hanno contribuito diversi soggetti, ovvero la stessa soprintendenza, l’Opera del Duomo, il Comune di Orvieto, la diocesi di Orvieto-Todi e l’Enea, che ha curato gli aspetti scientifici e di innovazione nella prevenzione del rischio sismico (tutte le statue sono state infatti dotate di basi antisismiche). Il ritorno delle statue ha anche fornito l’occasione per compiere verifiche strutturali degli elementi architettonici della cattedrale e alcuni interventi per migliorare il suo comportamento in caso di terremoti. Adesso il Duomo di Orvieto, un capolavoro unico nel suo genere, è ritornato nella sua veste più bella alla meraviglia dei fedeli e dei visitatori di tutto il mondo.




Con “Tolo Tolo” Checco Zalone sbanca e doppia se stesso

Parte col botto Tolo Tolo il nuovo film di Checco Zalone, che firma per la prima volta la regia (ma con il suo vero nome, Luca Medici). Piaccia o no. Incassi stellari, fa sapere dalla Taodue film il produttore Pietro Valsecchi: “Ha riunito gli italiani dentro le sale cinematografiche. Il nuovo decennio inizia bene per il cinema italiano grazie a questa iniezione di fiducia e di incassi che ricadono su tutto il sistema cinematografico”.

Distribuito dalla Medusa Film in 1210 sale italiane il 1
gennaio, ma in alcuni cinema anche la notte del 31, la pellicola ha sbancato il
botteghino. Raccogliendo 8,7 milioni di euro (8.668.232 per la precisione) e
175mila presenze, diventando il film con il miglior incasso di sempre nella storia
del cinema italiano nelle prime 24ore di programmazione. Un successo che consente
a Zalone di doppiare le pellicole americane, del calibro di Star
Wars: l’ascesa di Skywalker
, e battere se stesso. Suo, infatti, era il
record in Italia con Quo Vado? che solo nella giornata
del 1 gennaio 2016 aveva incassato 7.341.414 di euro. “Un risultato incredibile
che mi rende ancora più felice”, sono le parole di Valsecchi, “perché premia
l’opera prima di Checco come regista, una scommessa vinta non solo per gli
incassi ma anche per la riuscita del film, che ha saputo divertire ed emozionare
grandi e piccoli al di là di ogni divisione ideologica”.

Il film, sceneggiato da Zalone stesso e dal regista Paolo Virzì, racconta la storia di un imprenditore che, segnato dagli insuccessi e dai debiti, trova accoglienza in Africa. Ma una guerra lo costringerà a far ritorno in Italia, percorrendo la tortuosa rotta dei migranti. Lui, Tolo Tolo, granello di sale in un mondo di cacao. Lo stralunato personaggio di Checco, con il suo genuino cinismo e cafonaggine, stavolta affronta il delicato tema dell’immigrazione, con umanità e critica, facendo riflettere prima ancora di divertire. È un spaccato di una realtà profonda e spietata, filtrata con l’ironia attenta e anticonformista del poliedrico attore pugliese. Una garanzia.

Tolo Tolo è il quinto film di Checco che produco ed è il primo che
lo vede anche nel ruolo di regista”, riprende Pietro Valsecchi. “Si tratta di
un debutto dietro la macchina da presa che ho fortemente voluto; ora a film finito,
posso dire che non solo non si è trattato di un salto nel vuoto, ma di un
passaggio doveroso nella carriera di un artista completo come Checco. È un film
che manifesta, oltre al suo inarrivabile talento comico e musicale, anche
quelle qualità che in un regista fanno la differenza: la composizione della
scena, il lavoro con gli attori, l’attenzione ai dettagli che vedrete nel film
lo rendono l’opera di un vero regista. E queste qualità Checco le ha messe in
mostra in un progetto molto ambizioso, di estrema complessità sia artistica che
produttiva, e che proprio per questo motivo ha avuto una lunghissima
gestazione. Checco infatti si è costruito addosso ogni scena, in maniera direi
sartoriale, portando questa sua visione dalla pagina scritta al set e poi al
montaggio. E quello che ne è uscito è un film al cento per cento suo, con il
suo sguardo unico sulla realtà e il suo stile inimitabile di racconto”.

Il lavoro è stato molto lungo,
quasi nove mesi di riprese, e complesso, molte settimane di riprese in Kenya e nel
deserto del Marocco, ma anche a Malta e in tante città italiane, con tantissime
comparse: “non sarebbe stato possibile realizzare senza il grande lavoro di tutto
il reparto di produzione che merita un grazie per l’impegno e l’energia che ha
messo in ogni momento. Ora che il set è chiuso”, conclude il produttore, “posso
dire che valeva la pena aspettare quattro anni per avere un film così, un’opera
importante in cui Checco dimostra ancora una volta un talento davvero unico”.

Zalone e Sylla in una scena del film

Nel cast vede la partecipazione
di Barbara Bouchet nel ruolo della
Signora Inge, e di Nicola Di Bari in
quella di Zio Nicola. Affianco a Zalone, spicca l’attore senegalese Souleymane Sylla, che per la prima
volta si cimenta in una commedia. “Il mio personaggio si chiama Oumar”, spiega,
“un giovane ragazzo con molti sogni nel cassetto e fan dell’Italia e della sua
cultura: Pasolini, tutto il cinema italiano. Sogna di diventare regista. Un ragazzo
molto gentile, molto intelligente, e a volte come dire, un po’ troppo gentile…Lavorare
con Checco è stato molto stimolante, perché è come un gran direttore
d’orchestra che conosce alla perfezione la musica di un film comico, che ha il
senso della commedia, e anche a livello di ritmo sapeva sempre esattamente
quello che voleva, dove voleva andare. È stato quindi davvero stimolante
lavorare con lui. In più è estremamente simpatico e sorprendentemente molto
modesto”.

Sembrano archiviate le polemiche –
inutili – innescate all’uscita del singolo L’immigrato per presunti contenuti razzisti
del testo, alle quali Zalone, autore della canzone e della colonna sonora,
aveva comunque risposto per le rime nell’intervista rilasciata al Corsera: “L’unica
cosa atroce qui è la psicosi del politicamente corretto. C’è sempre qualche
comunità, o qualche gruppo di interesse, che si offende». E ancora: «Se
riproponessi certe imitazioni di dieci anni fa, tipo quella di Giuliano dei
Negramaro, mi arresterebbero. Oggi non potrei scherzare come facevo, che so, su
Tiziano Ferro, o sugli uominisessuali”.

Quando c’è qualità e raffinatezza, il cinema italiano conferma la sua supremazia.   David Nicodemi