NATALE: REGALI LAST MINUTE PER 1 ITALIANO SU 5

 Redazione

Un italiano su cinque (19 per cento) ha atteso l’ultima settimana prima del Natale per fare  il tradizionale shopping di regali  da porre sotto l’albero, anche perché si moltiplicano le offerte promozionali dopo un avvio non entusiasmate. E’ quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixe’ in occasione dell’ultimo weekend disponibile per gli acquisti prima dell’appuntamento del 25 dicembre. S tratta – sottolinea la Coldiretti – tratta peraltro del primo fine settimana utili dopo l’arrivo della tredicesima nella busta di 30 milioni di dipendenti e pensionati che nel 26 per cento dei casi la destineranno proprio all’acquisto degli omaggi di Natale.

Solo l’8 per cento degli italiani quest’anno rinuncia a fare regali ma la crisi si fa sentire nelle attese con il 54 per cento degli italiani che vorrebbe trovare sotto l’albero qualcosa che gli serve ma che ha rimandato di  acquistare mentre solo il 19 per cento – continua la Coldiretti – un regalo sfizioso che non si puo’ permettere. Una tendenza significativa è peraltro il fatto che ben il 24 per cento degli italiani pensa di regalare un oggetto che già si possiede e che non si è utilizzato .

Sul podio dei regali piu’ gettonati salgono – sottolinea la Coldiretti – i capi di abbigliamento e gli accessori con il 42 per cento, i prodotti alimentari anche nei tradizionali cesti preferiti dal 37 per cento ed i libri scelti dal 34 per cento degli italiani. Sarà pero’ un Natale low cost con un italiano su tre – spiega la Coldiretti – spenderà meno di cento euro, circa la metà (45 per cento) tra i cento ed i duecento euro mentre una minoranza del 21 per cento piu’ di duecento euro 

Un italiano su tre (33 per cento) – sostiene la Coldiretti – punta sul Made in Italy per sostenere l’economia e l’occupazione in Italia mentre il 38 per cento perché lo ritiene piu’ di qualità mentre solo per il 13 per cento il Paese di produzione è indifferente. La maggioranza degli italiani tuttavia acquisterà il regalo nei luoghi di consumo tradizionali con una positivo orientamento verso i mercatini frequentati dal 53 per cento degli italiani durante le feste di Natale Una opportunità che – continua la Coldiretti – unisce il relax con la possibilità del contatto fisico con il produttore come nei mercati degli agricoltori di Campagna Amica dove spesso vengono confezionati cesti natalizi a chilometri zero.

Ma si consolidano anche gli acquisti on web che – sottolinea la Coldiretti – diventa anche uno strumento per chiedere consigli e fare confronti: sono il 38 per cento gli italiani che acquistano on line i regali di Natale con una positiva tendenza anche per le vendite degli alimentari che per la prima volta sono state regolamentare a livello europeo con l’entrata in vigore il 13 dicembre 2014 del Regolamento  UE N.1169/2011) che applica le norme europee sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. La nuova norma prevede che – rileva la Coldiretti – negli acquisti di prodotti alimentari e bevande i consumatori devono ora disporre di tutte le informazioni obbligatorie per legge (come il nome dell’alimento, la lista degli ingredienti, la presenza di allergeni, la quantità netta, eccetera) prima della conclusione dell’acquisto, ad eccezione della data di scadenza o simili, che invece potranno essere fornite insieme alla consegna dell’alimento. Una trasparenza importante – conclude la Coldiretti – per combattere il rischio frodi che colpisce particolarmente gli acquisti alimentari sul web con la mancata consegna della merce, l'arrivo di prodotti di quantita' inferiore a quella ordinata  ma anche con la difformita' rispetto a quanto acquistato.




BANDA DELLA MAGLIANA – I PARTE

di Angelo Barraco

Roma – Oggi Trastevere è un quartiere alla moda, meta di turisti che tra questi vicoli riscoprono il fascino di Roma. Oggi le case sono state ristrutturate, ma è rimasto intatto il fascino della Roma popolare. Negli anni 70 il volto di Trastevere era un altro; è un quartiere dove le case sono senza servizi, abitate da operai e piccoli artigiani. Nel quartiere, di notte si svolgono attività criminali come prostituzione e bische clandestine. Tra questi vicoli c’è il forno della famiglia Giuseppucci, famiglia semplice. Franco, il figlio del proprietario, lavora lì sin da bambino ed è proprio così che si è guadagnato il suo soprannome, “Er Fornaretto”. Ma il Fornaretto all’odore del pane preferisce l’odore dei soldi, così nel tempo libero frequenta una sala corse ad Ostia, dove impara che i criminali lì godono di rispetto e che i soldi possono raddoppiare facilmente come altrettanto facilmente si possono perdere. Nel 1976 Franco Giuseppucci ha poco meno di 30 anni, ha compiuto qualche piccola rapina, decide che deve rischiare e come prima mossa stringe amicizia nell’ambiente criminale locale, offrendosi di custodire armi nella roulotte di sua proprietà. 

Il 14 gennaio 1976 la roulotte viene perquisita e viene sequestrato l’arsenale e Giuseppucci viene arrestato. Pensa che la sua carriera da criminale termina con l’arresto, ma è proprio l’ambiente carcerario di Regina Coeli ad offrirgli nuove alleanze, acquisisce la fama di duro ed un nuovo nome di battaglia: “Er Negro”, per via della sua carnagione scura. Quando esce ha capito dove ha sbagliato e si è prefissato un obbiettivo, diventare il più importante boss della mala romana. La prima regola di un boss è avere un gruppo d’uomo, Er Negro recluta i suoi amici di sempre. Il primo ad essere reclutato è Renzo Danesi. Er Negro ha stretto alcune alleanze, ma all’inizio del 1977 è ancora un piccolo criminale di quartiere, ha ripreso a custodire armi per conto d’altri. Questa volta le tiene con se, nascoste in un borsone all’interno della sua auto, fino al giorno in cui la sua auto viene rubata. Infuriato per il furto inizia a cercare colui che ha commesso il furto, le informazioni che raccoglie lo conducono ad un giovane ladro del quartiere Magliana, Maurizio Abbatino detto “Crispino” per via dei suoi capelli ricci. Giuseppucci deve decidere se andare da Abbatino e vendicarsi per il furto oppure allearsi. Giuseppucci propone a Crispino di usare insieme quelle armi per mettere in atto un colpo che li possa arricchire per davvero. La proposta viene accolta e nasce così la Banda della Magliana.

E’ il 1977, si verificano scontri tra Polizia e soggetti aventi ideali degli anni passati. In questo trambusto si sviluppa la microcriminalità, ovvero piccoli gruppi criminali che si uniscono per un solo colpo e poi si sciolgono, tale meccanismo prende il nome di “Batteria”. Si sviluppa anche un’altra forma di manifestazione criminale, il sequestro di persona. Nel 1977 Giulio Grazioli è poco più che 30enne, figlio del Duca Massimiliano Grazioni Lante Della Rovere le cui discendenze risalgono alla Roma dei Papi. Giulio Grazioli ha la passione per le armi e i fuori strada, passione che condivide con un suo amico, Enrico Mariotti. Enrico Mariotti sembra uno per bene, in realtà gestisce una sala corse ad Ostia e le sue amicizie più strette contano malavitosi che frequentano la sua sala corse tra cui Franco Giuseppucci “Er Negro”. Ed è proprio lì che Mariotti indica a Giuseppucci il colpo della svolta. Giuseppucci affida il sequestro ad una “Batteria” amica, così da poter essere libero ed avviare le trattative. Il primo contatto dei rapitori con Giulio Grazioli avviene dopo poche ore dal sequestro, telefonata in cui vengono chiesti 10 miliardi. Mariotti è il primo ad arrivare a Palazzo Grazioli, da A Giulio Grazioli un registratore per registrare le telefonate. Ma tutto ciò ha un fine, ovvero controllare in modo diretto le attività di indagine delle forze dell’ordine. Le trattative vanno avanti per mesi. I sospetti dei Carabinieri, con il tempo, cadono su Enrico Mariotti, l’amico di Giulio Grazioli. Mariotti perciò decide di sparire e scappa a Londra. Non essendoci più il basista di Giuseppucci, quest’ultimo si affretta nel chiudere le trattative riducendo la cifra del riscatto a un miliardo e mezzo. Giulio Grazioli depone la somma all’interno di un borsone, i rapitori puntuali si fanno sentire e danno indicazioni al figlio del Duca per il luogo della consegna del denaro verso la periferia romana. Giulio Grazioli, dopo le indicazioni date dai rapitori, giunge ad un parcheggio affianco ad un cavalcavia, qui trova la prova che tanto aspettava, una foto del padre vivo con in mano il quotidiano del giorno. Accando un biglietto dice che presto abbraccerà suo padre. Sotto il cavalcavia ci sono coloro che hanno il compito di prelevare il denaro, il figlio del Duca lo getta dal cavalcavia e la trattativa sembra, apparentemente, conclusa. Consegnato il denaro il figlio del Duca era convinto che il Duca fosse stato liberato in fretta ma non fu così, i giorni, i mesi passarono ma il Duca non tornò; come mai non rispettarono i patti i rapitori? Il Duca è stato ucciso qualche giorno prima dello scambio per aver riconosciuto uno dei rapitori, la foto che è stata inviata al figlio lo ritrae già morto.

 

Franco Giuseppucci “Er Negro”, ha adesso il capitale necessario per poter investire su affari miliardari. Sua è l’idea della suddivisione del denaro in quote pari, chiamata “Stecca Para” e sua è l’idea di creare un fondo da poter utilizzare in caso di necessità. La prima fonte di investimento su cui punta Giuseppucci è la droga. Giuseppucci tesse una rete di fornitori suddivisa a zone di competenza, scientifica e capillare in modo tale che il controllo della droga è in mano solo ed esclusivamente ai ragazzi della Banda della Magliana. La città viene suddivisa in zone: i quartieri Testaccio e Trastevere vanno a Renatino De Pedis e Danilo Abbruciati detto “Il Camaleonte”, alla Magliana e al Trullo restano Abbatino e Danesi. Ogni capo reclutava spacciatori sulle strade si Roma, tra cui una giovane, Fabiola Moretti, che inizia a frequentare la Banda nel 1979. Diventa la compagna di Danilo Abbruciati e collaboratrice fidata di De Pedis. Il carisma di Giuseppucci porta la Banda al totale controllo del traffico di stupefacenti nella capitale. La Magliana, Trastevere e Testaccio diventano improvvisamente zone tranquille e senza violenza, non avvenivano atti di violenza senza l’autorizzazione di Giuseppucci.

16 marzo 1978, il presidente della democrazia cristiana Aldo Moro viene rapito dalle Brigate Rosse. Per ritrovare Moro la Polizia è disposta a tutto, anche a chiedere aiuto ai criminali. Secondo la testimonianza di alcuni pentiti, si rivolgono al boss della nuova camorra organizzata, Raffaele Tutolo, che a sua volta incarica il boss di Acilia e Ostia che è Nicolino Selis. Selis coinvolge la Banda della Magliana, sa che Giuseppucci è in grado di scovare il covo dove è tenuto segregato Aldo Moro. I collaboratori di giustizia raccontano che Giuseppucci riesce a trovare il covo, Abbatino racconta di un incontro tra Giuseppucci e L’Onorevole F.Piccoli. Il sequestro Moro non da a Giuseppucci i frutti sperati e la sua collaborazione con le più alte cariche dello stato finisce lì. Aldo Moro viene trovato morto e la Banda della Magliana ha un nuovo alleato, Nicolino Selis. Tra gli amici di Selis c’è Antonio Mancini detto “Accattone”, si unisce alla Banda e compie delitti efferati, adesso è collaboratore di giustizia.

Giuseppucci negli anni si è preso il controllo su tutto, da semplice fornaio è diventato un boss temuto e rispettato, ma vuole ancora di più, vuole prendersi anche il racket delle scommesse clandestine. Le sue mire di espansione devo fare i conti con Franco Nicolini detto “Franchino il Criminale”, vecchio nemico di Selis e Mancini. Franco Nicolini gestisce gli ippodromi tra cui uno a Tor di valle, al confine con la Magliana, possiere una scuderia e riesce a condizionare l’andamento delle corse e incassa milioni di lire. Per conquistare il suo territorio la Banda ha soltanto una soluzione: l’omicidio. Il 26 luglio 1978 la Banda aspetta Franco Nicolini che esca dall’ippodromo, non appena è fuori viene colpito da una raffica di proiettili. E così la Banda prende in mano anche l’ippodromo di Tor di Valle. Gli inquirenti ignorano l’esistenza di una banda organizzata ma pensano che si tratti di una vendetta trasversale. Per Giuseppucci e soci inizia la vita che hanno sempre voluto, fatta di lusso, di eleganza e di rispetto. L’omicidio diventa il mezzo per dimostrare il potere raggiunto e colpisce chi non paga, chi reagisce ai soprusi. Un esempio di tale efferatezza è l’omicidio di un tabaccaio ucciso da due giovani che hanno ucciso il tabaccaio. Il tabaccaio era entrato in conflitto con Franco Giuseppucci che lo fa eliminare. Questo omicidio segna l’unione operativa tra esponenti della Banda della Magliana ed esponenti del terrorismo nero. Ad uccidere il tabaccaio infatti non è stata la banda della Magliana, ma secondo la testimonianza di alcuni pentiti è stato un certo Massimo Carminati. Carminati era il pupillo di Franco Giuseppicci ed era anche un giovane fascista che ha scelto la strada della lotta armata, è uno dei nuclei armati rivoluzionari. I NAR sono terroristi di estrema destra che negli anni 70 mettono sotto pressione la capitale, sono figli della Roma bene. Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, considerati i capi insieme a Massimo Carminati, sono stati condannati per la strage di Bologna avvenuta il 2 Agosto 1980.

Giuseppucci e Carminati si conoscono in uno dei bar controllati dalla banda e tra i due c’è subito intesa e rispetto. Carminati capisce che può usare la banda per raggiungere i suoi scopi, per i suoi fini politici. I NAR si finanziano attraverso le rapine, e Giuseppucci coglie l’affare, i soldi vengono investiti nell’usura e viene creato un arsenale comune, come nascondiglio scelgono gli scantinati del ministero della sanità all’Eur. Giuseppucci ha in pugno in controllo criminale della città, ma non immagina che l’alleanza con i NAR gli costerà cara, infatti una mattina di gennaio del 1980 accade una cosa che nessuno si sarebbe mai aspettato. Franco Giuseppucci viene nuovamente arrestato per furto, furto che però era stato compiuto da Massimo Carminati e compari. I rapporti con la destra eversiva che Giuseppucci aveva intrecciato lo hanno tradito, sei mesi più tardi il giudice che conduce le indagini su Giuseppucci, Giudice Mario Amato, viene ucciso il 23 giugno del 1980 in un agguato. Ad ucciderlo sono due sicari dei NAR. Giuseppucci non appena esce riallaccia i suoi rapporti criminali e i suoi affari specialmente quelli dell’ippodromo a Tor di Valle. Tutti sanno chi è stato ad uccidere “Franchino er Criminale” e c’è chi da anni brama vendetta. I fratelli Proietti, detti “i Pesciaroli” per via del banco del pesce che gestiscono ma che in realtà è un’attività di copertura per traffici illeciti. Il 13 settembre 1980 Franco Giuseppucci è a Trastevere, seduto in un bar in Piazza. Giuseppucci ha appena finito di giocare a carte con il fratello e con alcuni amici, saluta gli amici, sale in auto e infila le chiavi nel cruscotto. Un giovane si avvicina allo sportello ed ha esploso un colpo e spara a Giuseppucci, poi si allontana a piedi e viene raggiunto da un giovane alla guida di una moto. Giuseppucci si reca in ospedale da solo in auto ma muore. E la banda perde il suo capo.




MOLISE: ISTITUITO L'ASSESSORATO IN ROSA

di Silvio Rossi

Molise – È stato istituito dall’assessorato regionale molisano ai servizi sociali un servizio per aiutare le donne vittime di violenza. Col nome di “Assessorato in Rosa”, si pone l’obiettivo di fornire un punto di riferimento per denunciare le violenze e gli abusi commessi contro le donne.

Presentato dall’Assessore alle Politiche Sociali, e Vicepresidente della Regione Molise, Michele Petraroia, con la collaborazione del Vicesindaco del Comune di Campobasso, Bibiana Chierchia, Assessorato in Rosa si compone di una e-mail sulla quale le donne possono segnalare casi di discriminazione e di violenza, possono chiarire dubbi e chiedere informazioni.
Il nuovo servizio rappresenta il primo passo per l’attivazione di un codice rosa, per superare le differenze che quotidianamente le donne devono affrontare nel mondo del lavoro, nelle opportunità offerte dalla società, per rendere effettivamente pari le opportunità dei due sessi.
La difesa delle donne è un problema lontano dalla soluzione, come confermano di dati Eures. Lo scorso anno i femminicidi in Italia sono aumentati del 14% rispetto all’anno precedente. Nel 70% dei casi i delitti avvengono all’interno del nucleo familiare, spesso per mano di mariti e compagni.
Le segnalazioni possono essere effettuate all’indirizzo assessoratoinrosa@regione.molise.it, le informazioni saranno trattate con la dovuta riservatezza, il sistema è molto robusto anche da eventuali attacchi informatici dall’esterno, con dati criptati che possono essere decodificati solo da alcuni utenti nella Regione, abilitati per l’intervento sul tema specifico.




CRISI: PRONTI A LAVORO ILLEGALE IL 61 % DISOCCUPATI

Redazione

Il 61 per cento dei disoccupati è disposto ad accettare un posto di lavoro in un'attività dove la criminalità organizzata ha investito per riciclare il denaro e quasi uno su dieci (l’8 per cento) è pronto anche a commettere reati. E’ quanto emerge dall’indagine Coldiretti/Ixe’ elaborata per l’Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare. La criminalità organizzata trova, infatti, terreno fertile nel tessuto sociale ed economico indebolito dalla crisi come dimostra il fatto che mafia, camorra, ‘ndrangheta e company possono contare su un esercito potenziale di ben 230mila persone che non avrebbero problemi a commettere consapevolmente azioni illegali pur di avere un lavoro. L’allentamento della tensione morale nei confronti della malavita provocato dalla crisi tocca la vita di tutti i giorni come conferma il fatto che – continua la Coldiretti –  quasi un italiano su cinque (18 per cento) non avrebbe problemi a recarsi in un pizzeria, ristorante, bar o supermercato gestito o legato alla criminalità organizzata purche’ i prezzi siano convenienti (9 per cento), i prodotti siano buoni di ottima qualità (5 per cento) o addirittura se il posto sia comodo e vicino a casa (4 per cento). D’altra parte, la stragrande maggioranza del 63 degli italiani è d’accordo sul fatto che – continua la Coldiretti – in certe zone d'Italia dove c'e' molta disoccupazione e povertà, la criminalità organizzata ha saputo creare opportunità di lavoro. E il problema – continua la Coldiretti – non è confinato nel Sud tanto che l’84 per cento degli italiani ritiene ormai che la  criminalità organizzata sia diffusa su tutto il territorio, rispetto ad una minoranza del 13 per cento che la localizza nel Mezzogiorno. A preoccupare anche l’impatto negativo della crisi sulla solidarietà, con un crescente numero di persone che non riesce più a permettersela come dimostra il fatto che – conclude la Coldiretti – la maggioranza del 58 per cento degli italiani non sarebbe disposto a pagare il 20 per cento in più per un prodotto alimentare ottenuto da terre o aziende confiscate alla mafia. “Bisogna spezzare il circolo vizioso che lega la criminalità alla crisi, con interventi per favorire, soprattutto tra i più  giovani, l’inserimento nel mondo del lavoro, e l’impegno delle istituzioni, della scuola e delle organizzazioni di rappresentanza per scongiurare il pericolo che legittime aspirazioni ad avere un’occupazione possano essere sfruttate per alimentare l’illegalità”, ha dichiarato il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo.




CRISI: FIDUCIA IN CALO, IL 42% ITALIANI COPRE APPENA SPESE

Redazione

La fiducia dei consumatori scende perché quasi la metà (42 per cento) riesce a pagare appena le spese senza permettersi ulteriori lussi, mentre oltre 3 milioni di famiglie (14 per cento) non hanno oggi reddito a sufficienza neanche per l’indispensabile a vivere. E’ quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixe’ divulgata a commento del dato Istat sulla discesa a novembre dell'indice di fiducia dei consumatori. Appena il 39 per cento degli italiani vive senza affanni mentre – sottolinea la Coldiretti – piu’ della metà (56 per cento) ha ridotto la spesa o rimandato l’acquisto di capi d’abbigliamento riciclando dall’armadio per l’autunno gli abiti smessi nel cambio stagione, ma la stessa percentuale ha anche detto addio a viaggi e vacanze mentre il 47 per cento a dovuto rinunciare ad affrontare addirittura le spese dentistiche. A seguire nella classifica delle rinunce si collocano – sottolinea la Coldiretti – la frequentazione di bar, discoteche o ristoranti nel tempo libero, dei quali ha fatto a meno ben il 47 per cento. Il 41 per cento degli italiani ha rinunciato all’auto o alla moto e il 40 per cento agli arredamenti. Pesa l’addio alle attività culturali del 37 per cento degli italiani in un Paese che deve trovare via alternative per uscire dalla crisi, ma anche quello ai generi alimentari (29 per cento) che è quello che fa registrare quest’anno l’aumento maggiore (+16 per cento) Gli italiani nei primi anni della crisi – concludono Coldiretti/Ixe’ – hanno rinunciato soprattutto ad acquistare beni non essenziali, ma poi hanno iniziato a tagliare anche sul cibo riducendo al minimo gli sprechi e orientandosi verso prodotti low cost.




BARBARA D'URSO INCASSA UNA DENUNCIA DALL'ORDINE DEI GIORNALISTI

di Angelo Barraco

Enzo Iacopini, presidente dell’ordine nazionale dei giornalisti scrive sul suo profilo facebook quanto segue il 23 novembre:

“asta soubrette, ora le denunciamo. Senza distinzioni di genere (il sinonimo al maschile non lo conosco) o di reti sulle quali si esibiscono. L'informazione è materia delicata. Basta con l'occhio umido e la recitata partecipazione alle tragedie. Basta con il dolore come ingrediente dello spettacolo per fare audience. Basta con le banalità/bestialità dispensate a piene mani, soprattutto nelle tv, da chi si preoccupa solo di come aumentare il personale compenso, passando sopra a diritti e sentimenti (Sarah Scazzi, Yara Gambirasio, Melania Rea, Melissa Bassi e, da ultimo, Elena Ceste: tanto per citare alcuni casi e tutti coloro i quali a queste vicende sono collegati), anche di persone estranee alle vicende che possono avere un interesse pubblico.
L'esecutivo dell'Odg nazionale ha deciso che, senza eccezione alcuna, denuncerà alle magistratura per esercizio abusivo della professione giornalistica quanti galleggiano sul diritto dei cittadini all'informazione, senza dover rispondere a quelle regole deontologiche che impongono precisi doveri ai giornalisti.”

Poche ore fa è giunta la notizia, sempre tramite il profilo del Presidente quanto segue:

“soubrette e informazione. La prima denuncia”. Migliaia di persone (la stragrande maggioranza colleghi) hanno letto il post BASTA SOUBRETTE, ORA LE DENUNCIAMO. Esattamente, per gli amanti delle statistiche, 57.504 al momento di questa nota. In 691 lo hanno condiviso, raggiungendo così altre migliaia di cittadini. In 1.663 hanno manifestato apertamente il loro gradimento e un numero significativo ha deciso di aggiungere un commento (qualche isolata critica non è mancata: è la democrazia e va bene così). C’è chi, in privato, mi ha chiesto di non fare mucchi, mettendo tutti i “contenitori” o le trasmissioni sullo stesso piano. Non ci pensa nessuno.
La cosa che mi ha colpito di più è che praticamente tutti hanno pensato mi riferissi alla signora Barbara D’Urso (che non è giornalista). Non pensavo solo a lei, non agiremo solo nei suoi confronti. Mi arrivano le prime segnalazioni in tema di esercizio abusivo della professione. Dobbiamo controllarle, ovviamente (ne capite le ragioni, vero?) e, quindi, occorrerà del tempo.
Ma ho firmato la prima denuncia/esposto proprio nei confronti della signora D’Urso. E’ indirizzato a due Procure della Repubblica (Milano e Roma), all’Agcom, al Garante per la protezione dei dati personali e al Comitato Media e minori.
Valutino loro. Hanno gli strumenti e, direi, il dovere di farlo.
Il femminicidio non si consuma solo con l'uccisione di una donna, ma, oltre la morte, anche con l'oltraggio alla sua vita e a quello della sua carne: i suoi figli.”

E’ finita l’era dell’accanimento mediatico che interferisce sulla vita di coloro che patiscono il dolore delle vittime?
L’inchiesta, l’analisi di un caso e lo studio di questa materia non ha e non deve avere come obbiettivo quello di avere ascolti, l’obbiettivo di questa materia così delicata è quello di analizzare i fatti con tatto. 




OLIERA ADIDO: MULTE FINO A 8 MILA EURO

Redazione

 

Storico addio all’oliera in bar, mense, ristoranti e pizzerie dall’inizio della settimana con l’entrata in vigore dell'obbligo del tappo antirabbocco per i contenitori di olio extra vergine di oliva serviti in tutti i pubblici esercizi. Lo rende noto la Coldiretti nell’annunciare l’inizio dell'operatività della legge europea 2013 bis pubblicata sul supplemento n.83 della Gazzetta Ufficiale 261 che fa scattare il divieto di utilizzare le tradizionali oliere con multe fino a ottomila euro per evitare che vengano riempite o allungate con prodotti diversi da quelli indicati, come purtroppo troppo spesso avviene. Gli oli di oliva vergini proposti in confezioni nei pubblici esercizi, fatti salvi gli usi di cucina e di preparazione dei pasti, devono essere presentati – sottolinea la Coldiretti – in contenitori etichettati conformemente alla normativa vigente, forniti di idoneo dispositivo di chiusura in modo che il contenuto non possa essere modificato senza che la confezione sia aperta o alterata e provvisti di un sistema di protezione che non ne permetta il riutilizzo dopo l'esaurimento del contenuto originale indicato nell'etichetta. La legge – riferisce la Coldiretti – prevede anche sanzioni per chi non usera' oliere con tappo antirabbocco che vanno da 1 a 8mila euro e la confisca del prodotto. Le novità per il prodotto simbolo della dieta mediterranea – precisa la Coldiretti – non si fermano, però, al tappo antirabbocco, in quanto è prevista anche una più accentuata rilevanza cromatica rispetto all’etichettatura degli oli che siano prodotti con miscele provenienti da uno o più Stati, così da mettere in guardia il consumatore sulla diversa qualità e composizione merceologica del prodotto. Va detto, anche che le modifiche introdotte nel corpo della cosiddetta legge salva-oli ne assicurano ora la più ampia operatività richiedendo a tutti gli organi di polizia giudiziaria un rafforzato impegno su tutti i fronti, dal controllo del traffico di perfezionamento attivo a quello delle modalità di vendita sottocosto.  “Lo stop alle oliere truccate nei locali pubblici salvaguarda un prodotto base della dieta mediterranea come l’olio di oliva che offre un contributo determinante alla salute dei cittadini e rappresenta una realtà produttiva da primato nazionale che puo’ offrire importanti sbocchi occupazionali e opportunità di sviluppo sostenibile al Paese” afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare come sia importante il fatto che “nel rispetto della normativa comunitaria l’Italia non ha rinunciato questa volta a svolgere il ruolo di leader nella tutela della qualità e della sicurezza alimentare in Europa”. Le norme a tutela dell’extravergine Made in Italy arrivano peraltro in un momento particolarmente delicato per la produzione nazionale che quest’anno dovrebbe scendere del 35 per una produzione attorno a 300mila tonnellate secondo la Coldiretti. In Italia la produzione per l’andamento climatico si prevede scarsa ovunque ma i tagli maggiori – continua la Coldiretti – si stimano al centro nord, con cali del raccolto tra il 35 e il 50 per cento ma anche al sud la situazione è difficile con significative riduzioni. La produzione dovrebbe essere praticamente dimezzata in Spagna che mantiene la leadership nella produzione mondiale con circa un milione di tonnellate. In queste situazioni il mercato europeo dell’olio di oliva con consumi stimati attorno a  1,85 milioni di tonnellate rischia di essere invaso dalle produzioni provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente che non sempre hanno gli stessi requisiti qualitativi e di sicurezza. Un rischio che – sottolinea la Coldiretti – riguarda soprattutto l’Italia che ha visto aumentare le importazioni di olio di oliva dall’estero del 45 per cento rispetto allo scorso anno con un Paese come la Spagna che ha addirittura quasi quadruplicato le spedizioni verso la Penisola (273 per cento), sulla base dei dati Istat relativi ai primi sette mesi del 2014. Se il trend sarà mantenuto l’arrivo in Italia di olio di oliva straniero raggiungerà nel 2014, il massimo storico con un valore pari al doppio di quello nazionale che registra un produzione attorno alle 300mila tonnellate. “In altre parole due bottiglie su tre riempite in Italia contengono olio di oliva straniero. Per questo – sostiene Moncalvo – è particolarmente importante l’applicazione delle regole di tutela della produzione di extravergine nazionale  approvate in Parlamento e pubblicate in Gazzetta. Se nella ristorazione sono aumentate le garanzie anche con l’auspicabile e immediato avvio delle attività di controllo da parte delle autorità responsabili, nei negozi e nei supermercati il consiglio della Coldiretti ai consumatori è di verificare con attenzione l’etichetta dove, anche se spesso nascosto nel retro della bottiglia ed in caratteri minuscoli, deve essere riportato la scritta “ottenuto da miscela di olio comunitari od extracomunitari” se non si tratta di olio italiano al 100 per 100.  Oppure di scegliere una delle 43 designazioni di origine riconosciute dall’Unione Europea e che garantiscono l’origine italiana o le bottiglie dove è espicitamente indicata l'origine nazionale delle olive o meglio ancora se possibile acquistare direttamente dai produttori agricoli nei frantoi o nei mercati di campagna amica. L’Italia – conclude la Coldiretti – puo’ contare su un patrimonio di circa 250 milioni di piante su 1,1 milioni di ettari di terreno con un fatturato del settore stimato in 2 miliardi di euro ed un impiego di manodopera per 50 milioni di giornate lavorative. 




GUBBIO: SUCCESSO PER IL "QUINTO QUARTO"

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di Silvio Rossi

Gubbio – Un uggioso week end autunnale ha accolto un buon numero di visitatori che hanno potuto apprezzare, oltre alle bellezze storiche della cittadina umbra, anche l’organizzazione e l’accoglienza dei ristoratori locali, che hanno partecipato alla prima edizione della manifestazione culinaria.

Madrina dell’evento è stata Anna Moroni, la “casalinga” della Prova del cuoco (lei stessa non ama definirsi cuoca, ma casalinga), romana, ma di origini eugubine, che ha tenuto a precisare come spesso torna nella cittadina per i fine settimana.

L’affiancano due chef giovani ma già molto apprezzati, Marco Bistarelli, chef stellato Michelin, col suo ristorante “Il Postale” di Perugia, e Fabrizio Rivaroli, che ha alternato la sua esperienza in locali di prestigio in tutta Europa con la docenza presso una serie di istituti tra cui L’Università dei Sapori di Perugia.

La scelta di dedicare una manifestazione culinaria importante a quei tagli che una volta erano il cibo per le classi povere, gli “scarti” delle carni che i nobili consumavano, i piatti che si trovano nelle tradizioni contadine di diverse regioni italiane è stata particolarmente azzeccata. Fegato, trippa, coda, sono stati per secoli piatti “minori”, ma certamente non meno saporiti e degni dell’attenzione che finalmente è stata loro resa.

Il termine “Quinto quarto” è stato importato dalla tradizione romana, che tra i piatti più famosi vede proprio alcuni realizzati con le interiora, come la pajata e la coda, e che ha contaminato la cucina umbra.

Ne abbiamo parlato proprio con Anna Moroni, che essendo metà umbra e metà romana, interpreta al meglio questa fusione.

Le ricette mostrate oggi sono legate alla tradizione romana. Quanto si rischia di snaturare in questo modo la cucina umbra?

In Umbria in effetti il quinto quarto non lo conosciamo proprio. Abbiamo colto l’occasione perché la Federcarni voleva sensibilizzare al consumo di queste carni. Qui il fegato, la trippa, che qui si usava quella nera, sono sempre stati mangiati, ma la cultura del quinto quarto l’abbiamo importata da Roma.

Con piatti anche come la coda che abbiamo visto prima (con lo chef Bistarelli).

Esatto, la coda, la pajata, che ora non si trova quasi più, ma una volta era uno dei piatti più ricercati, ma anche le animelle, il cervello.

Quindi questo tuo avere anche la cultura romana ha aiutato nell’organizzazione della manifestazione?

Certo, la mia cucina è più romana che umbra, perché qui in Umbria i piatti tradizionali sono pochi, abbiamo solo la Crescia al Testo, l’Imbrecciata che è una zuppa di legumi che si fa a Capodanno, il sugo con l’oca, i fegatini di pollo, non è che per il resto abbiamo molto. A Roma invece la cucina ha molti piatti, anche perché ha due grandi filoni, con la cucina ebraica e il quinto quarto.

Perché non legarsi invece con la tradizione toscana, che ha un territorio molto simile a quello umbro?

La cucina toscana è diversa. La trippa la mangiano anche loro, alcune interiora, ma la regina della cucina toscana è la bistecca. Invece volevamo fare una manifestazione con questo cibo “povero”, e in questo la cucina romana è quella che meglio la interpreta.

Nel visitare le strade di Gubbio, con le perone piattini in mano che assaggiano questi piatti particolari, con i palazzi storici che fanno da cornice alla manifestazione (i laboratori del gusto sono organizzati in un locale che è sotto la piazza sospesa, che è una delle più particolari d’Italia), si comprende come per incrementare il turismo in Italia si deve collegare la tradizione con la modernità. Non si può sperare di attrarre le persone solamente coi “fori cadenti e gli atrii muscosi” di manzoniana memoria, né ci si può accontentare di piccole tradizioni locali che sfociano in sagre che non interessano nessuno, se non chi le organizza.




NAPOLI E I NAPOLETANI, "A' MARONN T'ACCUMPAGN": UN RAPPORTO PARTICOLARE CON IL SACRO.

di Christian Montagna

Napoli – In ogni zona, in ogni rione e in ogni angolo di strada, non c'è quartiere a Napoli che non rispetti la tradizione. Appoggiate su di un muro, arroccate sotto la roccia, in veri e propri vani, le cappelle con le immagini sacre qui spuntano ogni giorno come funghi. Pervasi da un profondissimo senso del sacro, i napoletani si classificano al primo posto per il rapporto quasi morboso con la religione.

E non c'è signora anziana che la domenica mattina non vada in chiesa! Il rapporto con le immagini sacre e con la religione è più sentito che mai. Quotidianamente, la presenza del divino è costante, crescente e quasi metafisica. Al mattino, si va in chiesa a recitare il rosario; il pomeriggio stessa cosa; la domenica si va alla messa e al cimitero. Antiche tradizioni tramandate di generazione in generazione che qui ancora sussistono. E come se sussistono!

E son guai se si dovesse venir meno nella pratica! Non c'è giovane di questa città che non abbia ricevuto almeno una volta la benedizione dai nonni prima di un esame o di una prova importante "A' Maronn t'accumpagn" (La Madonna ti accompagna). Esclamazioni queste che testimoniano la presenza delle figure divine in ogni circostanza. Anche nel linguaggio comune e nel dialetto, alcuni termini inerenti alla trinità e ai santi sono entrati a far parte del vocabolario usato anche dai più giovani. La figura che più di ogni altra ha trovato il suo enorme successo però è quella di Padre Pio. Qui, narrano la sua storia quasi come se lo avessero conosciuto di persona, lo idolatrano come se fosse un Dio ;ti raccontano aneddoti e storie inerenti la sua vita con un folclore e un rigore che nemmeno fossero stati suoi parenti.Non vi è una casa napoletana senza la sua immagine appesa al muro. Non esiste.

Per non parlare poi del Santo patrono Gennaro che ha condizionato intere e intere generazioni di nomi. Chi per devozione, chi per continuare la stirpe, la maggior parte ha scelto il suo nome per i propri figli. Nel portafogli, in macchina, nell'armadio, all'ingresso di casa, in garage, dove si può,si crea il piccolo spazio religioso. Così accade per le strade. Vere e proprie chiese in miniatura con tanto di altare, leggio e banchetti allestite in strada o in piccole stanze,al di fuori dei luoghi sacri. Soltanto nella zona delle Rampe Di Sant'Antonio a Posillipo, nel quartiere di Posillipo, abbiamo contato sei punti di raccolta sacri. Sono le cosiddette cappelle gestite con amore da anziane signore devote. Al loro interno foto di santi, foto di defunti, oggetti sacri, e fiori freschi tutti i giorni. Un modo per sentirsi vicino a Dio in ogni momento, anche uscendo semplicemente da casa. Un invasione religiosa totale che si ripercuote sulla vita di tutti i giorni.

Va detto però che in alcuni casi, l'aspetto religioso è dissociato dalla vita quotidiana. Anche questo accade nella folcloristica Napoli. Prima fra tutte, la camorra, simbolo per antonomasia della malavita, è molto legata alle figure sacre. Lo testimonia la cronologia degli arresti e i sequestri di ville dei grandi boss. Tutte, al loro interno avevano quadri, statue e persino piccole chiese. I grandi boss come testimoniano i numerosi documentari sulla malavita, pregano, vanno in chiesa e sono devoti. In questo caso però si parla di religiosità senza costrutto morale. Neppure il sacro infatti è stato risparmiato dalla malavita,sebbene la minaccia non fosse esplicita e di questo, ne sanno qualcosa i numerosi preti che ci hanno rimesso la vita. 




DOLCI DEI MORTI: QUANTI SONO GLI ITALIANI CHE LI PREPARANO?

Redazione

Dalle favette al pane fino alle "ossa dei morti" ma anche fanfullicche, stinchetti e zaleti sono solo alcuni dei dolci preparati lungo tutta la Penisola in occasione del giorno dedicato alla commemorazione dei defunti che quest'anno registra un inaspettato ritorno del fai da te casalingo sotto la spinta della crisi ma anche della riscoperta del gusto di passare piu' tempo in cucina nel tempo libero.. E' quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che ben 4 famiglie su 10 si preparano torte e biscotti casalinghi soprattutto in occasione di ricorrenze speciali. Lo dimostra – sottolinea la Coldiretti – il boom dei dolci dei morti preparati in famiglia da donare a parenti e amici, ma anche per allietare le nuove occasioni di festa legate a tradizioni importate di recente come quelle di Halloween, con il rito di bussare nelle case del quartiere per porre il classico quesito "dolcetto o scherzetto".
  Non siamo ancora di fronte alle popolari gare di dolci delle mamme americane ma non c'e' dubbio – precisa la Coldiretti – che l'abilita' ai fornelli e' tornata ad essere un valore aggiunto nella societa', anche sotto il pressing dei figli, come non avveniva da decenni. Una occasione per divertirsi risparmiando con i prezzi dei dolci dei morti che in pasticceria possono raggiungere anche i 45 euro al chilo. In Lombardia il "pane dei morti" si puo' acquistare ad un prezzo variabile tra i 18,50 e i 30 euro/kg mentre gli "ossicini dei morti" sono quotati attorno ai 25 euro/kg e le fave dei morti tra i 18 e i 20 euro/kg mentre in Veneto la pasticceria legata alle festivita' dei santi costa dai 10 ai 12 euro al chilo. in Umbria si possono acquistare fave dei morti al prezzo di 20-22 euro/kg come in Abruzzo mentre in Sicilia che e' la patria di questa tradizione si vendono biscotti dei morti in un "misto siciliano" che costa 10 euro kg ma sono tradizionali del periodo anche i dolci di martorana (frutta realizzata con pasta di mandorle) che si puo' acquistare attorno ai 20 euro/kg ma che arriva anche a 45 euro/kg nei bar e nelle pasticcerie piu' esclusive. I dolci dei morti – ricorda la Coldiretti – vengono preparati per tradizione per il giorno di commemorazione dei defunti, istituito dalla Chiesa Cattolica nel 610 d.C. e rappresentano simbolicamente l'offerta dei vivi ai morti che, secondo la tradizione cristiana e precristiana, ritornano sulla Terra nelle proprie case durante la notte tra il 1 e il 2 novembre. Anche se le differenze possono essere rilevanti gli ingredienti di base sono costituiti – precisa la Coldiretti – da farina, uova, zucchero che possono essere arricchiti anche con frutta secca o candita, marmellata e talvolta anche cioccolato. I dolci dei morti variano infatti da regione a regione ma mantengono tutte inalterato lo spirito di semplicita' dell'evento che si va a celebrare. I dolci piu' comuni e diffusi nel territorio italiano – segnala la Coldiretti – sono le fave dei morti, le ossa dei morti e il pane dei morti, ma esistono anche altre preparazioni meno diffuse o comunque piu' prettamente legate alle usanze regionali. In Sicilia, nel "cannistru", la tipica composizione tradizionale che si realizza durante la festa dei morti vengono messi – informa la Coldiretti – dei panini dolci a forma di mani intrecciate chiamati, appunto, le mani, si preparano le dita di apostolo, dolci di marzapane a forma di dita, i pupi di zucchero, statuette di zucchero, farina, albume e acqua di chiodi di garofano che rappresentano gli antenati della famiglia, e la frutta di martorana, fatta in marzapane.
  In Puglia si cucinano le fanfullicche, bastoncini di zucchero di forma attorcigliata e la colva (in dialetto la cicecuotte), dolce fatto con grano, uva sultanina, mandorle e zucchero. In Campania e' tradizione preparare il torrone dei morti, a base di cacao, nocciole e frutta candita. In Umbria, invece, si consumano gli stinchetti dei morti, dolcetti fatti con albume, mandorle, zucchero e cacao. Le "fave da morto", "fave dei morti" o "fave dolci", pasticcini alla mandorla, di forma ovoidale e schiacciata, cosparsi di zucchero a velo con l'aspetto di un amaretto, ma di consistenza maggiore le troviamo in Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Marche ed Umbria, mentre differenti, seppur sempre a base di mandorla, sono le "favette dei morti", presenti un po' in tutto il Nord-est, ma soprattutto in Veneto e in Friuli dove sono di tre colori (panna, marroni e rosa) e variano dal croccante al morbido (favette triestine). Per la ricorrenza dei morti in Veneto si usano le fave e il mandorlato ma anche i biscotti secchi a base di farina di mais come i "zaleti". Infine – conclude la Coldiretti – le "ossa di morto" si trovano in Piemonte e in Lombardia sotto forma di biscotti di consistenza dura, con mandorle ed albume d'uovo, in Emilia-Romagna, (tipici di Parma) fatte di pastafrolla, ricoperta di glassa di zucchero o cioccolato, in Veneto dalla forma oblunga e in Toscana (tipiche del Senese) di consistenza friabile e di forma rotonda, impastati con le mandorle tritate.




I DIALETTI STANNO SCOMPARENDO

Redazione

Dispiace sapere che in dialetto nelle famiglie italiane non si parla quasi più. L'Istat ha pubblicato i dati sull'uso della lingua italiana nell'anno 2012. I numeri sono positivi: nel nostro Paese, il 53,1% delle persone di 18-74 anni (23 milioni 351mila individui) parla in prevalenza italiano in famiglia. La quota aumenta quando ci si intrattiene con gli amici (56,4%) e, in misura piu' consistente, quando si hanno relazioni con persone estranee (84,8%). L'uso prevalente del dialetto in famiglia riguarda il 9% della popolazione di 18-74 anni (3 milioni 976mila persone). Stessa percentuale per l'utilizzo con gli amici, mentre crollo fino all'1,8% nelle relazioni con gli estranei. La quota e' in continua crescita dal 1995, e decresce con l'aumentare dell'eta'. Le donne mostrano una maggiore propensione a esprimersi soltanto o prevalentemente in italiano in famiglia (55,2% a fronte del 51% degli uomini) e con gli amici (60,9% contro il 51,7% degli uomini). L'uso prevalente del dialetto in famiglia e con gli amici riguarda maggiormente coloro che hanno un titolo di studio basso, anche a parita' di eta' e di genere: si esprime prevalentemente in dialetto il 24,3% di coloro che possiedono la licenza elementare rispetto all'1,7% dei laureati. Per quanto riguarda la distribuzione geografica della lingua, e' da segnalare come l'uso prevalente o esclusivo dell'italiano e' piu' diffuso al Centro e nel Nord-ovest per tutti e tre i contesti relazionali esaminati. In famiglia parla in prevalenza italiano il 69,5% dei residenti al Centro rispetto al 38,8% dei residenti al Sud e nelle Isole. Nel Sud e nelle Isole prevale, in famiglia, l'uso combinato del dialetto e dell'italiano (44,7%). Dati negativi per le conoscenze linguistiche: solo il 15% degli italiani, infatti, ha dichiarato di conoscere e saper utilizzare in maniera flessibile una lingua straniera, contro il 30,6% che ha solo conoscenze base e il 29,6% e il 25,8% che hanno dichiarato di comprendere espressioni comuni e di poter comunicare in lingua straniera.