Caso Regeni: quella manfrina consapevole

 

di Roberto Ragone

 

Fin dall’inizio di questa triste e dolorosa vicenda è stato evidente che gli assassini del giovane Giulio Regeni andavano cercati nei servizi di sicurezza egiziani, e la richiesta di chiarezza da parte dell’Italia – governo Renzi – era soltanto una manfrina consapevole.

Abbiamo finto di credere all’incidente stradale, poi al sequestro da parte di una banda di criminali, alcuni dei quali uccisi durante una finta operazione di polizia. Ma quello che è stato il colmo dell’ingenuità, non tanto da parte italiana, quanto da parte egiziana, è stato il far ritrovare in casa dei pretesi sequestratori i documenti di Giulio Regeni. Soltanto chi l’aveva sequestrato e torturato fino alla morte avrebbe potuto averne la disponibilità. Pian piano s’è anche scoperto il Giuda della situazione, quel personaggio che ha denunciato Giulio Regeni soltanto per averne un vantaggio, magari anche economico. Come sempre accade nei regimi totalitari, e noi, italiani, che abbiamo messo fuori legge il fascismo e la sua apologia, siamo in questo modo complici di un regime di polizia, dal quale dovremmo, per costituzione, prendere le distanze.
 
Ma troppi, e troppo ingarbugliati sono i rapporti fra Italia politica ed Egitto, rapporti che implicano anche interessi economici legati all’energia. Ora le rivelazioni del New York Times, a parte ogni strumentalizzazione che i commenti dei nostri politici vogliano farci ingoiare, sono, appunto, rivelatrici. Fin dall’amministrazione Obama sapevamo per certo che ad uccidere Giulio Regeni erano stati uomini appartenenti ai servizi egiziani, cioè in prima persona il governo egiziano. Ma nessuno, è normale, accusa sé stesso. È vigliacco nascondersi dietro il classico dito, per cui il commento di Renzi & C. è stato che non c’erano ‘prove di fatto’ o ‘prove esplosive’.

Cosa volevano, un selfie dei torturatori con Giulio Regeni legato ad una sedia, sanguinante e tumefatto? O il solito filmato di un telefonino? Che parte hanno avuto in tutto questo i nostri servizi, che rispondono direttamente al premier? Oppure, come al solito, – non si da’ ad un bambino un incarico da adulto, come più volte accaduto nei suoi tre disgraziatissimi anni di governo a Renzi – il nostro ex premier ha avuto paura per la sua leadership, stante il fatto che magari l’intelligence aveva ipotizzato una rottura con Al Sisi che avrebbe portato ad una crisi energetica? Meglio il gas, della nostra dignità, della giustizia, della vita di un cittadino italiano, che era in Egitto non certo per spionaggio?
 
Siamo il ventre molle dell’Europa, anzi, del mondo, e tutti si sentono in diritto di saltarci addosso. E la farsa delle indagini del Tribunale di Roma, bloccate dalla politica? Un’altra bufala, che traspariva dai servizi giornalistici in TV. E ora hanno ragione i genitori di Giulio a protestare per il ritorno del nostro ambasciatore; il cui ritiro è stato, anch’esso, una presa per il fondo della schiena. Questa vicenda ce ne ricorda un’altra, che si è conclusa – speriamo – nel nulla più assoluto: i nostri due marò trattenuti in India, dei quali non è mai stata proclamata ufficialmente – con ‘prove esplosive’ – la colpevolezza, né è stata mai dichiarata l’innocenza, lasciandoli in un limbo indegno che dimostra ancora una volta che la politica italiana, o coloro che ne fanno parte, oltre ad essere per la maggior parte ‘ladri come prima di Mani Pulite, anzi di più, ma non si vergognano più’, come dichiara il giudice Piercamillo Davigo, oltre ad essere schiavi delle lobby multinazionali, come è evidente nel parlamento europeo, oltre ad ospitare propaggini mafiose, come dichiarato da Falcone e Borsellino – proprio da Roma partì l’ordine di lasciare solo il generale Dalla Chiesa, e proprio da quegli ambienti l’indicazione del viaggio di Falcone a Palermo – sono anche affetti da una forma di vigliaccheria politica, che l’Italia non merita.
 
L’ingiusta detenzione in veste di ostaggi di Latorre e Girone, due militari della nostra eccellenza, pare sia stata tollerata dalla paura di perdere un’importante commessa presso la Finmeccanica, di una dozzina di elicotteri. Ora abbiamo davanti un altro caso, che già si prospetta viziato, chissà da che. Qui, infatti, non ci sono servizi segreti, né forniture militari, né interessi energetici internazionali: il massacro, a calci e pugni, del giovane Niccolò Ciatti, a Lloret de Mar, in Spagna. In questo caso abbiamo prove certe ed ‘esplosive’, con il filmato del pestaggio da parte di tre ceceni arrestati subito dopo, mentre cercavano di confondersi fra la folla della movida notturna. Due di essi sono stati immediatamente scarcerati, e sono tornati liberi in Francia, nonostante siano colpevoli non meno del loro compagno; il terzo – atleta di lotta libera, quindi passibile di accusa di omicidio volontario – è ancora detenuto, e si presume che dovrà rispondere davanti ad un tribunale spagnolo per quella morte: pare infatti che sia stato l’unico a sferrare a Niccolò il fatale calcio alla testa, anche se dubitiamo che sia stato l’unico colpo mortale che il giovane Niccolò abbia subito. Ma questo significa spaccare il capello in quattro. Il ragazzo è morto in ospedale, e magari qualche buon avvocato difensore argomenterà che il calcio non è stato la causa diretta della morte, ma soltanto indotta. Con prevedibile sconto di pena per il condannato. il nostro presidente del Consiglio Gentiloni non ha trovato di meglio che ‘telefonare’ in Spagna: una soluzione efficacissima ed energica che gli ha consentito anche di non interrompere i suoi 40 giorni di ferie: poveracci, lavorano tanto durante l’anno, che 40 giorni sono vitali, guadagnati, veramente irrinunciabili per la loro salute. Vuoi mettere lo stress? Allora, dopo la telefonata, il nulla.
 
Alla nostra politica non importa un beneamato cavolo dei cittadini italiani. Questo è già evidente guardando leggi, leggine, decreti, fiducie parlamentari e via così. Come per esempio la ‘truffa’ dell’esenzione di tributi ai terremotati: ora tiriamo – tirano – in ballo l’Unione Europea, che non consentirebbe quanto sacrosantamente promesso: quando poi Renzi si è sempre fatto un vanto delle sue finte liti con la Merkel, e degli sconfinamenti dal fido. Elezioni alle porte, campagna elettorale al calor bianco, coalizioni che si vanno formando e sciogliendo, nel mercatino estivo dei do-ut-des, il nostro magma politico è ben lungi dall’assumere una forma definitiva, assomigliando sempre più ad un’ameba: della quale ha anche la stessa coscienza, la stessa spina dorsale, la stessa fermezza, lo stesso orgoglio nazionale, la stessa dignità, davanti a Dio e agli uomini.