Cronaca
Caso David Rossi, omicidio o suicidio? Analisi deduttiva dei fatti
Published
7 anni faon
I grandi investigatori della letteratura gialla asseriscono, dalle pagine dei loro autori, che non esiste il delitto perfetto
Che cioè non è possibile uccidere una persona senza essere scoperti. Questo è vero in linea di principio. Ma un delitto è perfetto quando viene mascherato da suicidio, o da incidente.
Abbiamo provato a immaginare come si siano svolti i fatti quella famosa sera di maggio del 2013, nella sede del Montepaschi, a Siena, nell’ufficio del dottor David Rossi, Responsabile della Comunicazione della banca. Abbiamo provato ad immaginare che non di suicidio si sia trattato, ma di un omicidio premeditato e attentamente pianificato da esperti di morte. La Magistratura farà luce su ogni aspetto della vicenda, e alle sue conclusioni ci affidiamo. Ma troppo interessanti sono le anomalie di questo ‘caso’, messe in luce dal servizio del giornalista delle Iene Antonino Monteleone. Proviamo perciò, nell’ipotesi che di delitto si sia tratto, a percorrere la via di chi analizzerà, o ha già analizzato ogni elemento che possa portare ad una soluzione.
Gli assassini
Possiamo chiamarli così, nella nostra simulazione. Sono occorse probabilmente non meno di tre persone per portare a termine l’omicidio. Tre persone di sesso maschile, di età compresa fra i 25 e i 40 anni, esperti di ciò che andavano a fare, avvezzi alla morte, forse militari o ex militari. Senza segni particolari, ad esempio, nell’abbigliamento, ma vestiti in modo anonimo, che non suscitasse curiosità; magari con una borsa professionale di pelle in mano, come se dovessero discutere con Rossi di qualcosa e dovessero portare dei documenti. Dei tre, uno è rimasto fuori, a copertura dell’operazione, e due sono entrati, attraversando una porta già aperta, e il secondo se l’è chiusa alle spalle.
L’orario
Dopo le 19,30 in banca non c’è più nessuno, o quasi. Il basista – dobbiamo considerare anche quello – ha riferito che il dottor Rossi si trattiene ogni sera oltre l’orario degli impiegati, e sono sicuri di trovarlo solo. Oppure la circostanza non è abituale, e allora dobbiamo pensare che qualcuno abbia avvertito chi di dovere della presenza del funzionario, solo, in fondo al corridoio, con la porta aperta. Nessuno ha controllato se anche la finestra del tragico volo fosse già aperta, o se sia stata aperta dagli ‘operatori’, nel qual caso si sarebbero potuto rinvenire tracce papillari – impronte digitali – almeno di uno dei due sulla maniglia. Tracce di DNA avrebbero potuto essere reperite in particolare sulle maniche della camicia della vittima, visto che vasti ematomi hanno interessato le braccia, all’altezza specialmente dei bicipiti. Essendo poi stata ‘ripulita’ successivamente la scena del crimine, nessuno ha inteso cercare nella stanza tracce anche di DNA estranee a Rossi e ai suoi collaboratori.
Le modalità dell’omicidio
Non esiste dunque il delitto perfetto, secondo alcuni. Casi molto vecchi sono stati risolti dopo venti o trent’anni grazie alle nuove tecniche scientifiche. Nel caso di David Rossi consideriamo l’ipotesi che di delitto si sia trattato, e non di suicidio. Chi l’ha ordinato e progettato ha considerato i presupposti: la preoccupazione di Rossi per le indagini della Guardia di Finanza, certe operazioni – acquisizione di Antonveneta – nelle quali lui era coinvolto, e magari pensieri di natura familiare e affettiva. Qualcuno ha riferito di averlo visto, negli ultimi tempi, con un’espressione grave, come se avesse preoccupazioni importanti. Quindi era logico organizzare un finto suicidio. Siamo rimasti con due sicari dentro l’ufficio, con la porta chiusa, e il terzo fuori. Non sappiamo se i due abbiano manifestato immediatamente le loro intenzioni, né se la finestra fosse chiusa. Ipotizzando che uno dei due si sia diretto alla finestra, e l’abbia aperta, Rossi può aver subito compreso le loro intenzioni. Ne è nata una colluttazione, della quale sono testimoni i segni sul volto e sulle braccia di Rossi. Una colluttazione non è mai silenziosa. Possibile che nessuno abbia sentito rumore, grida o trambusto? Nel servizio delle Iene si vede chiaramente che la finestra dell’ufficio di Rossi ha il davanzale molto basso, e che, per sicurezza, è stata installata una sbarra che è posta a circa 25 centimetri dal davanzale, per evitare cadute accidentali. È stato quindi necessario alzare il corpo della vittima oltre la sbarra, e per fare questo occorrono almeno due persone, anche prestanti fisicamente, ed esperte nel corpo a corpo. Due persone che l’hanno preso per le braccia e per le gambe, portandolo oltre il riparo effimero della sbarra, dopo aver tentato di ridurlo all’impotenza colpendolo sul volto: di questo fanno fede le vaste ecchimosi all’altezza dei bicipiti, la ferita al polso sinistro, causata dalla compressione esercitata sull’orologio – che poi si è strappato ed è caduto per terra – e i segni sul volto, dovuti a percosse. Rossi ha cercato di tenersi avvinghiato ad uno dei suoi uccisori, ed è per questo motivo che il corpo è caduto con il viso rivolto al muro del palazzo, piuttosto che verso l’esterno, come di solito succede nei casi di suicidio. È questo il motivo per cui, come dice l’esperto della famiglia Rossi, non c’è stata rotazione in avanti del corpo, e l’impatto è avvenuto prima con le gambe, poi con il bacino e per ultimo con il busto e il capo. Rossi è rimasto agonizzante per ventidue minuti – secondo l’orologio della telecamera di sorveglianza – con le braccia aperte e la camicia parzialmente fuori dai pantaloni, fatto dovuto alla colluttazione.
La scena del crimine
Non sappiamo se uno dei due sicari si sia affacciato alla finestra dopo il volo, probabilmente sì. Abbiamo però la registrazione della telecamera di sicurezza che ci mostra, immediatamente dopo l’impatto del corpo sul selciato, due figure che si affacciano all’imbocco del vicolo. La prima molto confusa, evanescente, solo un attimo. La seconda più intellegibile, ma non abbastanza da poter essere identificata. Si vede anche un furgoncino parcheggiato all’inizio del vicolo, che copre parzialmente la visuale della piazzetta: nessuno ha indagato su quel veicolo, se fosse lì abitualmente, se vi fosse stato parcheggiato quella sera in previsione dei fatti, proprio per coprire la vista della piazzetta, né chi ne fosse il proprietario. Nella nostra analisi i tre operatori hanno poi lasciato la scena indisturbati. Davanti i primi due, dietro, il palo. Le banche sono piene di telecamere di sorveglianza interne: ormai non è più possibile andare a controllarne i filmati nei quali certamente i tre sicari sono stati ripresi. La cosa preoccupante è che mezz’ora dopo la caduta di Rossi, qualcuno è andato nel suo ufficio, ha trovato l’orologio strappato dal cinturino e lo ha gettato accanto al corpo: di questo fa fede sempre la registrazione della telecamera di sorveglianza. Allora dobbiamo pensare che qualcuno sia stato inviato a coprire le tracce della colluttazione, a rimettere tutto in ordine , e, trovato per terra l’orologio, lo abbia gettato vicino al corpo. Non avrebbe potuto tenerlo in tasca, perché compromettente, né avrebbe potuto lasciarlo dov’era, in quanto avrebbe testimoniato di una lotta. Né avrebbe potuto scendere e poggiarlo accanto al cadavere, per ovvie ragioni. Era qualcuno della banca? Forse sì, molto probabilmente. Allora c’è qualcuno della banca che sa, e che non parla.
I mandanti
Per conoscere i mandanti dobbiamo conoscere il movente. È chiaro che un’operazione del genere – sempre che le cose siano andate in questo modo – parte da molto in alto. Eliminare un funzionario di banca non è cosa comune. Bisogna pensare – sempre che i mandanti fossero nell’ambito bancario – che fosse in possesso di informazioni scomode, e che avrebbe potuto riferirle alla Magistratura, o alla Guardia di Finanza, – cosa che lui aveva dichiarato di voler fare – informazioni che avrebbero coinvolto persone di alto livello, magari politici importanti, o che le sue informazioni avrebbero nociuto talmente tanto, da mettere in pericolo la stessa esistenza della banca. Questo nel caso, già ipotizzato, che il rischio fosse nelle indagini sull’operazione di acquisto di Antonveneta. Ma quando Rossi, in una sua mail, dice di ‘aver fatto una cavolata’, a cosa si riferisce? Certo l’acquisizione della Banca Antonveneta non era dipesa da lui, ma da qualcuno molto più in alto. A questo punto viene da pensare alla registrazione che Monteleone ha ‘carpito’ all’ex sindaco di Siena Piccini. Una registrazione in cui il Piccini parla di ‘informazioni avute da una persona vicina ai Servizi’, riguardanti festini con cocaina ed altro che si sarebbero tenuti in una villa nell’Aretino, e ai quali avrebbero partecipato alti funzionari di banca, politici e ‘toghe’, in una sorta di ricatto reciproco. E questo, secondo la registrazione del Piccini, potrebbe essere il motivo per cui il caso Rossi è stato archiviato per ben due volte.
Ancora molto ci sarebbe da dire, e da analizzare. Fermiamoci qui. Aspettiamo i risultati delle indagini della Magistratura, e speriamo che sia fatta luce sull’ennesimo ‘caso’ dubbio italiano, riguardante un grande organismo come il Monte dei Paschi. Senza che diventi un ‘cold case’, da risolvere fra venti o trent’anni.
Roberto Ragone
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