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Editoriali

CASO CESARONI: IL SILENZIO DI VIA POMA – PARTE 2

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Tempo di lettura 4 minutiIniziamo ad addentrarci nel giallo analizzando in modo clinico, analitico e critico, tutte le piste battute dagli inquirenti nel corso di questi lunghi anni d’indagine

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di Angelo Barraco

Nella prima parte di questa inchiesta dedicata al giallo di via Poma, abbiamo introdotto la scena del crimine che si è presentata sotto gli occhi di Paola Cesaroni, del suo fidanzato Antonello Barone, del datore di lavoro di Simonetta Cesaroni Salvatore Volponi – che fu il primo ad entrare nell’ufficio dove si trovava il corpo senza vita di Simonetta Cesaroni – il figlio Luca, la portiera Giuseppa De Luca e il figliastro Mario Vanacore. Pietro Vanacore sopraggiunse poco dopo poiché si trovava a casa dell’architetto Cesare Valle, in quel momento unico inquilino presente nel palazzo. La porta dell’ufficio, dove lavorava Simonetta Cesaroni era chiusa a quattro mandate e fu aperta dalla moglie di Vanacore a seguito delle insistenze dei presenti. Iniziamo ad addentrarci nel giallo di via Poma, analizzando in modo clinico, analitico e critico, tutte le piste battute dagli inquirenti nel corso di questi lunghi anni d’indagine.

 

Pietrino Vanacore La macchina investigativa parte immediatamente e l’occhio viene puntato su coloro che in quel momento si trovavano all’interno del palazzo. Emerge subito che i portieri di via Poma, oltre a De Luca, Vanacore e Grimaldi, avevano chiacchierato davanti alla fontana del condominio e avevano riferito inoltre di non aver visto entrare nessuno nella fascia oraria compresa tra le 16.00 e le 20.00 del 7 agosto. Ma qualcosa non quadra poiché viene fuori che Pietrino Vanacore non si trovava con gli altri portieri, circostanza che va in netto contrasto con quanto asserito inizialmente da Vanacore. Emerge infatti che l’uomo, nella fascia oraria compresa tra le 17.30 e le 18.30, arco temporale in cui Simonetta sarebbe stata assassinata, risultava assente. Dalle indagini emerse che l’uomo si recò, insieme al portiere Grimaldi, a fare degli acquisti in un ferramenta e successivamente, da solo, aveva annaffiato le piante. Gli elementi di contraddizione e sospetto attorno a Vanacore aumentano sempre più in quanto aveva asserito che alle 22.30 era uscito di casa per recarsi dall’architetto Cesare Valle per fare assistenza notturna. Tale circostanza venne però smentita dallo stesso architetto ed emerse che Vanacore si recò da Cesare Valle alle 23.00. Occorre qui fare una premessa importante: il portiere conosceva bene i luoghi e in quella mezz’ora che va dalle 22.30 alle 23.00 avrebbe potuto disfarsi dell’arma e ripulire la scena del crimine. Nessun altro estraneo fu visto quel pomeriggio in via Poma, a parte una dichiarazione della moglie di Vanacore, poi rivelatasi priva di fondamento, che disse agli inquirenti di aver visto un uomo. Ma la persona indicata dalla donna si trovava fuori Roma e, quindi, quel pomeriggio non poteva trovarsi sul luogo del delitto. Dubbi, sospetti ma mancava un dato oggettivo importante, il movente: Che legame c’era tra Pietro Vanacore e Simonetta Cesaroni? Dalle indagini emerse che i due non si conoscevano, se non di sfuggita. Il portiere, inoltre, malgrado avesse le chiavi e potesse agire con facilità, non poteva certamente sapere con certezza se Simonetta Cesaroni fosse da sola in ufficio o meno. Si parlò tanto del sangue rinvenuto sui pantaloni di Vanacore, tv e giornali misero in prima pagina il “colpevole” di via Poma, ma dagli accertamenti emerse  che quel sangue non proveniva dalla scena del crimine bensì dalle emorroidi di cui soffriva Vanacore. L’uomo viene inizialmente accusato, tutti parlano del “caso risolto”, sembra tutto chiarito, il 23 aprile del 1991, l’uomo viene scarcerato e la sua posizione archiviata poiché non vi sono elementi oggettivi a suo carico. Ma quando tutto sembrava essersi placato, Pietrino Vanacore viene indagato nuovamente. Questa volta per favoreggiamento del presunto autore del delitto. Nell’ottobre del 2008 viene perquisita la casa pugliese di Vanacore, gli inquirenti cercano un’agenda telefonica, ma non trovano nulla.

Federico Valle Gli investigatori puntano l’attenzione su Federico Valle, nipote di Cesare Valle, l’architetto presso cui Vanacore aveva trascorso la notte tra il 7 e l’8 agosto. Secondo l’accusa, Vanacore avrebbe provveduto ad occultare le tracce del delitto dopo essere entrato nell’appartamento e aver scoperto quanto accaduto.
Le accuse nei confronti di Federico Valle si basarono su delle dichiarazioni pervenute agli inquirenti nel 1992 da un certo  Roland Voller, un pluripregiudicato. L’uomo raccontò agli inquirenti che nel maggio del 1990, nel corso di una telefonata presso una cabina telefonica, un’interferenza lo mise in contatto con una donna, tale Giuliana Ferrara, l’ex moglie di Raniero Valle, quest’ultimo figlio dell’architetto Cesare Valle. L’uomo riferì che tra i due si istaurò un’amicizia e che la donna aveva confidato inoltre di essere preoccupata per il figlio Federico che soffriva per la separazione dei genitori e per tale ragione si era ammalato di anoressia.
L’uomo ha riferito inoltre che il 7 agosto, nel corso di una conversazione, la donna avrebbe riferito che il figlio si  recò in via Poma a trovare il nonno ma non era ancora tornato a casa. Ma le dichiarazioni dell’uomo si arricchiscono di particolari poiché racconta che, sempre la stessa sera, la donna era sconvolta poiché il figlio Federico era tornato sporco di sangue e con un taglio sulla mano. L’uomo sosteneva inoltre che l’Avv. Raniero Valle, padre di Federico, avrebbe avuto una relazione con una ragazza di vent’anni che lavorava agli ostelli della gioventù e il movente dell’omicidio di Simonetta Cesaroni rappresentava una punizione che il giovane voleva dare al padre. Le dichiarazioni di Voller caddero poi come un castello di carta in quanto Giuliana Ferrara ammise di conoscerlo negando di essersi mai confidata con lui e negando di aver parlato telefonicamente con Voller la sera del 7 agosto del 1990. Emerse inoltre che l’avvocato Raniero Valle aveva si una relazione, ma con un’altra donna. Rilevanti gli esami del dna sul sangue rinvenuto all’interno della stanza. Dagli esami, infatti, è emerso che il sangue di Federico Valle  è incompatibile con il sangue presente sulla porta. In merito alle tracce di sangue presenti sulla porta, i consulenti del PM avevano mosso delle criticità sui risultati poiché il sangue poteva anche essere dovuto alla commistione. Il sangue di Simonetta Cesaroni era del gruppo  0, Gm a+ b+  DQ alfa 4-4. Il gruppo sanguigno di Valle invece A DQ alfa 1.1/1.1. Il sangue rinvenuto sulla porta appartiene ad un gruppo A,Gm a+, DQ alfa 1.1/4, individuo di sesso maschile. Il tutto è stato esaminato con il sistema HLA-DQ alfa.

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