Editoriali
CARO DIRETTORE…
Published
8 anni faon
CARO DIRETTORE…
DI ROBERTO RAGONE
Caro direttore, oggi avevo in mente di scrivere altro, ma il tuo editoriale mi ha profondamente toccato, e non posso fare a meno di risponderti, su queste stesse pagine. Caro direttore – o ‘cara direttora’, secondo il nuovo aberrante lessico boldriniano – la piaga su cui hai messo il dito è di una estrema, vitale importanze. Oggi più che mai, quando il nostro caro don Matteo s’è impadronito, abusando dell’autorità che gli deriva dalla sua posizione, – una posizione illegittima, perché non eletto, e frutto dell’illegittimità ulteriore di coloro che lo hanno nominato, a loro volta eletti contro ogni dettato costituzionale –; s’è impadronito, dicevamo, dei vertici di ogni e qualsiasi istituzione pubblica, condizionando di fatto ogni articolo di giornale, ogni trasmissione TV, ogni conduttore del piccolo schermo, ed epurando invece quelli che avrebbero voluto, per amor di professione, di cronaca, e di verità, continuare per la strada intrapresa; oggi più che mai, dicevamo, è evidente il profondo solco fra i ‘pennivendoli’, coloro che, secondo il Manzoni, ‘tirano quattro paghe per il lesso’, coloro che nei miei tabella definisco ‘asserviti al potere’- perché tali sono, i ‘tengo famiglia’ – ,e invece chi si dedica al giornalismo con un ideale alto, cioè, come scrivi tu fuor dai denti, quello di cambiare le coscienze, quello di mettere la verità sotto il naso dei lettori, mettendo a nudo gli inciuci, i compromessi, le corruzioni, le prostituzioni, i cambi di casacca, le prevaricazioni, gli accordi di palazzo, i poteri occulti, e, last but not least, la grande, altrettanto profonda frattura che la politica ha creato fra ‘noi’ e ‘loro’. Dei ‘loro’ che sono assolutamente tetragoni ai nostri bisogni, alle nostre necessità, al nostro ‘grido di dolore’ che si leva dalla signora Maria o dal signor Rossi, magari pensionati sotto i mille euro, definendo tutto ciò con un termine che nelle loro bocche è diventato sintomo di altre cose squalificate e squalificanti, il ‘populismo’. Sono cresciuto negli anni ’50, con il mito dell’America appena ritiratasi dal nostro bel Paese, lasciando una scia di spacci UNRRA, di scatolette di ‘corned beef’, e un altro mito, quello della libertà, configurata al suo massimo grado nel giornalismo d’inchiesta targato USA; quello alla Washington Post, con Bob Woodward e Carl Bernstein, che hanno tolto il coperchio al vaso di Pandora del Watergate. Quello che, come testimoniano i Giancarlo Siani e i Peppino Impastato, mettono in piazza ciò che cresce e si nutre dell’oscurità, a danno di tutti i cittadini onesti. Penso che ognuno di noi darebbe qualche anno di vita pur di arrivare ad avere in mano un ‘caso’ come quello che ha scoperto le magagne del presidente Nixon. In Italia c’è molto da scoprire, e da mettere in piazza, anche se sono passati trenta o quarant’anni. Caro direttore, molto immodestamente mi riconosco in quest’ultima schiera di gente che ama scrivere su di un giornale soprattutto per passione: non sono succube di alcun carrettino. Affinchè chi legge possa porsi dei dubbi, trovare delle certezze, capire in che mani siamo. Forse sono uno di quelli che rischiano la vita per un articolo in più, anche se, da una parte, spero di non dovermi mai trovare di fronte ad una simile scelta; dall’altra capisco che questa eventualità significherebbe che ho fatto fino in fondo ciò che mi ero prefisso, che ho raggiunto l’obiettivo, che ho colpito il segno. Sono perfettamente d’accordo con te: il giornalismo deve essere inteso come un servizio alla collettività e alla verità, deve servire a smuovere le coscienze, troppo spesso letargiche perché nutrite di cibo avvelenato dai media e dalla TV, – che ormai propone quasi soltanto programmi idioti e destinati ad aumentare l’idiozia di chi li guarda, con lo spauracchio dell’audience, uno spauracchio che ricorda tanto quello dello spread ai tempi di Berlusconi. ‘Ognuno raccoglie ciò che semina’, è vero, ed è anche una citazione biblica. Da mesi, i miei pezzi sono orientati in un’unica direzione, smascherare le bugie e le manovre esterofile del governo Renzi, e a volte mi fa specie dover continuare a ripetere quasi sempre le stesse cose, ma è così: smuovere le coscienze è difficile, specialmente quando hai di fronte un apparato ben costruito sulla menzogna istituzionalizzata, che ogni giorno martella a destra e a manca con grande spreco di mezzi economici. Un apparato che da una parte sbandiera risparmi fantasmagorici e assolutamente inventati, mentre con l’altra mano aumenta silenziosamente tasse e imposte. Un apparato di cui ormai, spero che sia chiaro, non ci si può fidare. Allora, permettimi di lanciare un appello a tutti coloro che avranno la bontà di leggere queste righe: riprendiamoci la nostra Italia. Riprendiamocela. Ora c’è un altro spauracchio, quello del governo tecnico se la riforma non dovesse passare: non facciamoci incantare, Renzi ha dei sondaggisti che, contro ogni regola, gli procurano sondaggi riservati. La paura del governo tecnico è soltanto un alibi per giustificare una eventuale vittoria del SI’, contro le previsioni ufficiali. Sono arrivati anche ad orientare in loro favore i sondaggi ISTAT, secondo i quali la soddisfazione degli Italiani è cresciuta oltre il 45%, ma basta guardarsi intorno per vedere che non è così, a meno che non vai a fare sondaggi solo ai Parioli. Anche i contratti di lavoro a tempo indeterminato sarebbero cresciuti ad oltre 500.000, come 500 sarebbero i milioni di risparmio sul nuovo Senato, mentre la Ragioneria dello Stato parla di 53. Siamo alla follia, siamo al ricovero in psichiatria, e la fibrillazione dei vari Fiano, Romano, Migliore e compagnia cantante quando vanno in TV ce lo testimonia. Se dovesse vincere il NO, come tutti i cittadini di buon senso si augurano, non succederà nulla. È già pronto il piano B, con Renzi sempre al comando e senza un governo tecnico. A meno che Napolitano non decida che il governo di Renzi è arrivato al capolinea. Comunque non facciamoci impressionare, niente sarà peggio di Monti. Votiamo compatti il NO, perché il SI’ consegnerebbe l’Italia mani e piedi legati alle grandi potenze finanziarie mondiali, quelle che stanno alla finestra, aspettando l’esito del referendum. L’Italia ha in sé la capacità imprenditoriale di risollevarsi, dopo il ciclone Monti, con le proprie forze, quello che Berlusconi aveva capito, e per cui è stato messo in condizioni di non nuocere, sostituito dal più disponibile Renzi. L’ex Cavaliere aveva capito che non abbiamo bisogno dei grandi interventi economici internazionali, che ci trasformerebbero in una colonia, con grandi rischi di delocalizzazione, conseguente disoccupazione e distruzione del nostro tessuto produttivo: magari non solo per amor di patria, ma anche per proteggere le sue imprese. Quello che scherzosamente chiamiamo l’italico ingegno, che tutto il mondo ci invidia, esiste sempre, e funziona. La Brexit ha portato una ventata di nuovo in UK, e le borse vanno bene, analogamente a quanto accade in USA, con Trump. Ormai gli Americani si sono accorti che il suo governo porterà soltanto vantaggio alla nazione, svincolandola dalla nuova guerra fredda con Putin, tirandola fuori da una palude politica simile a quella in cui l’Italia è ancora invischiata. L’uscita dall’euro non è un fatto politico, da attribuire ai populisti o alla destra, e come tale demonizzata: l’euro, secondo Paolo Barnard, è nato con vita breve, ed è già stabilito che ad un certo punto debba collassare, con le conseguenze che possiamo immaginare. Uscire dall’euro in tempo, uscire da una Unione Europea delle lobby, sono l’unica salvezza per l’Italia, e l’unico modo per riprenderci la nostra nazione. Lo hanno fatto l’Islanda, l’Inghilterra, e, in un certo modo, l’America: seguiamo il loro esempio, togliamoci questa palla dal piede.