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Caos Roma-Giardinetti, il personale riporta Comune e Atac alla realtà

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Tempo di lettura 4 minuti È tornato regolare il servizio nella ferrovia dopo lo stop di ieri

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È tornato regolare il servizio nella ferrovia Roma-Giardinetti dopo il caos di ieri, 4 febbraio, treni fermi in deposito fin dall’inizio del servizio, cancelli chiusi e pendolari appiedati. Una disfatta. Che, comunque, ha avuto il merito di rimarcare l’importanza della linea e scoperto la vulnerabilità del sistema. “Disposti controlli su macchinisti non presenti”, faceva sapere Atac, “dei 48 in organico, cinque risultavano in riposo programmato, sei si sono resi disponibili per il servizio e 37 hanno prodotto vari documenti giustificativi, adesso all’attenzione dell’azienda”. Ma la fritta è fatta, lo smacco è clamoroso, e riecheggia nei corridoi di via Prenestina come in Campidoglio.  

Inevitabili i disagi e le polemiche, forse ancora più pesanti del disservizio stesso. Dal comitato di quartiere Tor Pignattara, Claudio Gnesi esprime solidarietà ai macchinisti, “a loro dobbiamo la sopravvivenza della linea. Vanno rispettati e sostenuti. Sempre”. E aggiunge: “La cosa positiva è che tutta Roma si rende conto di quanto sia importante questo sistema di trasporto pubblico su ferro in sede segregata. Il MIT cominciasse a ragionare pensando a quei 7.000.000 di persone e non a questioni, l’interoperabilità in primis, che, onestamente, lasciano il tempo che trovano”. “La pilatesca versione di Atac e di Roma Servizi della Mobilità nel dare la notizia”, rincara Andrea Ricci dell’Osservatorio Regionale sui Trasporti, “non deve dividere i cittadini dai lavoratori, che mai come stavolta hanno uno scopo comune. Non siamo i soli ad essere preoccupati per il futuro. Della linea come dei lavoratori. Certo la disinvoltura di Atac nel riconvertire in passato i ferrovieri di questa linea ad autoferrotranvieri in forza sulla metropolitana, che è riportata oggi come una delle ostative alla riapertura della Centocelle-Giardinetti, ci conferma che molte cose ci sono da rivedere, ma se il futuro della linea fosse sicuro, nel breve e nel lungo periodo, questi timori non sorgerebbero”. E Fabrizio Bonanni del Comitato Pendolari RomaNord, alle prese con le drammatiche soppressioni giornalieri, chiosa: “La chiusura della ferrovia rappresenta una sconfitta della mobilità sostenibile”.

“Non entriamo nel merito della questione”, è invece il commento del Cesmot, “ma quanto avvenuto, qualora fosse un segnale di disagio da parte del personale, ci preoccupa moltissimo, in quanto finora né la politica né i sindacati sembrano aver mai sollevato alcun problema. Al di là delle considerazioni sulla scarsità di personale non vorremmo che quanto avvenuto oggi sia solo una ‘prova tecnica di chiusura’, ovvero un modo ‘elegante’ per convincere utenza a migrare verso altri vettori e fare definitivamente fuori una linea che da anni è vittima del disinteresse della politica e Delle attuali e ben note inefficienze gestionali di Atac”. Mentre Roberto Sacchi, Presidente di Legambiente Lazio tuona: “La cura del ferro è lontana anni luce, e pensare che l’Amministrazione comunale e gestore hanno raccontato pochi giorni fa l’intenzione di prolungare il trenino della Casilina, certificando però che non c’è nessun progetto esecutivo e non è previsto intanto alcun ritorno dei tram a Giardinetti. Purtroppo sembra evidente che, mentre progetti di tramvie, studi di fattibilità e magnifici rendering, vengono accatastati nei cassetti delle buone intenzioni irrealizzate, a Roma continuiamo a perdere pezzi di mobilità sostenibile e quindi di qualità della vita”.

“I lavoratori della Giardinetti hanno riportato Roma Capitale alla realtà, a quelli che sono i problemi e le esigenze attuali del servizio”, sottolinea la consigliera comunale Svetlana Celli (RomaTornaRoma), “lontani dalle futuristiche slide mostrate l’altro giorno in commissione Mobilità. Dove, tra l’altro, diversamente da quanto dichiarato dalla maggioranza in Aula, non sono stati affrontati i temi trattati nella mozione che avevo presentato. E cioè: trasferimento proprietà a Roma Capitale, riapertura tratta Centocelle-Giardinetti, revisione generale di 5 elettrotreni, certezze al personale e istituzione di un Osservatorio”.

È il Segretario Regionale SLM Fast-Confsal Renzo Coppini a dare una spiegazione: “Quella di Atac non è stata una programmazione intelligente. Si sono accavallati concorsi interni per formare nuovi capitreno e macchinisti da destinare alle metropolitane e ferrovie, senza aprire una finestra al personale della Giardinetti, nel rispetto dell’anzianità di qualifica”. Al centro gli accordi degli ultimi anni sottoscritti da Atac e Cgil, Cisl, Uil e Ugl. Che stanno “saturando l’organico in quelle linee”, obietta l’associazione TrasportiAmo nel comunicato diventato il manifesto della protesta, “e non consente il trasferimento del personale della Giardinetti. Sono almeno tre anni che si discute della conversione della linea ferroviaria in tramvia”, rileva, “sistema che non prevede talune figure professionali. Atac sapeva, Roma Capitale sapeva, la politica sapeva e i sindacali pure, ciò nonostante hanno fatto spallucce”. Dove finiranno, visto che né in metro né nelle ferrovie ci sarà posto? In esubero? “Situazione in confusione”, riprende Coppini, “è da un anno che consigliamo all’Azienda di prendere seriamente in considerazione questa problematica e quella legata alle abilitazioni alle ex-concesse. Che, adesso, con ANSF, devono essere nuovamente certificate”.

Un cortocircuito, insomma, tutto aziendale. L’Assessore alla mobilità Pietro Calabrese ha cercato di gettare acqua sul fuoco. “Voglio pertanto rassicurarli tutti personalmente”, queste parole pronunciate a margine del vertice con Atac, “l’azienda di trasporto pubblico assicurato che saranno garantiti tutti i livelli occupazionali. Non c’è alcun presupposto di un nuovo blocco. Dopo aver ricevuto le prescrizioni da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti siamo impegnati nelle fasi di modifica del progetto. Lo presenteremo entro aprile e, appena avremo la validazione dal Mit, l’iter burocratico sarà concluso, quindi l’Amministrazione potrà dare incarico ad Atac di procedere con tutti gli atti necessari e conseguenti, comprese le qualifiche a macchinisti metro per i lavoratori della Termini-Centocelle. Questo è il motivo per cui non è stato possibile dare seguito amministrativo alle istanze dei lavoratori”.

Per ora tregua. Forse. Oggi e domani incontri serrati con le Organizzazioni Sindacali per cercare una soluzione, ma l’ultima parola spetterà ai macchinisti. E, intanto, proprio sul progetto di ammodernamento, il Coordinamento Roma-Giardinetti, riunitosi presso la sede di Legambiente, fa sapere di essere pronto a interfacciarsi con Ministero e Regione al fine mantenere il progetto così com’è stato presentato e di istituire un comitato scientifico, composto da tre tecnici del settore.

Editoriali

Oriana Fallaci: Il coraggio della verità

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Scusaci Oriana,
non ti abbiamo proprio capito.

Non solo ci avevi messi in guardia ma avevi lasciato che quello che tu chiamavi “alieno che vive in me” ti divorasse perché ritenevi più importante educarci alla riscossa dell’Occidente che salvare la tua vita.

Dopo quasi 20 anni dalla tua scomparsa– te ne andasti via in silenzio quel 15 settembre 2006 – siamo ancora con quell’estremismo islamico mascherato da buonismo che si insinua nel nostro pianeta con la rapidità di un virus al quale non siamo un grado di porre rimedio o, meglio, non vogliamo porre rimedio.

Le tue parole, i tuoi gesti, anche estremi, il chador buttato a terra – cencio da medioevo -, non hanno fatto presa.

Purtroppo un ecumenismo buonista ci copre gli occhi.

Gli Stati Uniti, un tempo custodi di un ordine mondiale democratico, si inginocchiano per l’ennesima volta di fronte alle guerriglie talebane divenendo, ancora una volta, artefici di confusione e non di libertà.

Le donne afgane tornano ad essere al pari di animali da riproduzione e nessuna voce si scaglia più contro questa ignominia.

Il sangue di giovani soldati occidentali sparso sulla terra non grida solo giustizia ma verità e rispetto per la loro missione di democrazia.

Il sangue di troppe giovani vittime colpevoli solo di vivere “nella parte sbagliata del mondo” muoiono sotto “bombe intelligenti” che dimostrano, sempre di più, la “stupidità del genere umano”.

Senza dimenticare la continua corsa ad un riarmo che in apparenza vuole imporre la pace ma poi diventa solo “fabbrica di morti”.

Scusami se mi rivolgo a te solo oggi.

Ma sento attorno a me il silenzio della rassegnazione di un mondo prono alla violenza.
Sento l’ipocrisia di chi vorrebbe un mondo organizzato dall’alto con scelte di chi, nel mondo, ormai non vive più perché abituato alle mollezze di un cultura che vuole essere solo di morte e non più di vita.

Oggi saresti stata l’emblema vivente di una riscossa necessaria ad un mondo senza più attributi né coraggio.

Saresti quel punto di riferimento di chi, come me e tanti altri, crede ancora nella possibilità che questo martoriato mondo possa tornare ad essere luogo di pace, di rispetto reciproco, luogo in cui le “libertà individuali” possano divenire valore aggiunto.

Ma, purtroppo, non ci sei più e sentiamo terribilmente la tua mancanza.
Ci manchi, mi manchi!

15 settembre 2006 – 15 settembre 2024

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Editoriali

Omosessualità, il caso del Vescovo Reina e le ombre sulla formazione nei seminari

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L’inchiesta sul Vescovo Reina getta luce su presunte problematiche all’interno della Chiesa, alimentando il dibattito sulla formazione dei sacerdoti e il trattamento dell’omosessualità nei seminari cattolici

L’omosessualità, la maturità umana e i requisiti per il sacerdozio sono temi centrali di un dibattito che negli ultimi anni ha assunto una dimensione sempre più rilevante all’interno della Chiesa Cattolica.

Questo approfondimento de L’Osservatore d’Italia intende analizzare il contesto che coinvolge il Vescovo Baldo Reina, ex rettore del seminario di Agrigento, accusato di aver adottato pratiche discutibili nella formazione dei seminaristi, in particolare riguardo ai candidati con tendenze omosessuali.

La vicenda è stata approfondita in una recente inchiesta giornalistica, che solleva interrogativi sulle dinamiche di discernimento, il rispetto dei “fori” interno ed esterno e la condotta morale all’interno dei seminari cattolici.

La formazione nei seminari: un quadro confuso

Un primo elemento critico è la mancanza di un progetto formativo univoco che regoli la formazione dei seminaristi in modo uniforme in tutta la Chiesa cattolica.
I seminari, infatti, seguono orientamenti e approcci diversi, il che complica il processo di valutazione dei candidati al sacerdozio. In questo contesto, emergono problematiche legate alla gestione delle tendenze omosessuali e al modo in cui queste vengono affrontate durante la formazione.

La Chiesa Cattolica ha stabilito una distinzione tra due concetti fondamentali nella gestione della formazione: il foro interno e il foro esterno. Il primo riguarda l’intimità spirituale e personale del candidato, tutelato dal sigillo sacramentale e gestito da padri spirituali e confessori. Il secondo concerne la dimensione pubblica e formativa del seminarista, supervisionata da rettori e insegnanti. Tuttavia, il confine tra questi due “fori” non sempre viene rispettato, come dimostrato nel caso del seminario di Agrigento.

Tanto si potrebbe scrivere sulle origini e sviluppo della coscienza ecclesiale di questi due “fori” ma prendiamo un intervento di Papa Francesco che vale a spiegare bene in cosa consista: «E vorrei aggiungere – fuori testo – una parola sul termine “foro interno”. Questa non è un’espressione a vanvera: è detta sul serio! Foro interno è foro interno e non può uscire all’esterno. E questo lo dico perché mi sono accorto che in alcuni gruppi nella Chiesa, gli incaricati, i superiori – diciamo così – mescolano le due cose e prendono dal foro interno per le decisioni in quello all’esterno, e viceversa. Per favore, questo è peccato! È un peccato contro la dignità della persona che si fida del sacerdote, manifesta la propria realtà per chiedere il perdono, e poi la si usa per sistemare le cose di un gruppo o di un movimento, forse – non so, invento –, forse persino di una nuova congregazione, non so. Ma foro interno è foro interno. È una cosa sacra. Questo volevo dirlo, perché sono preoccupato di questo». (Papa Francesco – Presentazione della nota sull’importanza del Foro Interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale, 29 giugno 2019.)

La nota sull’intervento, ovviamente, ci aiuta a capire dalle stesse parole di Papa Francesco l’importanza e la serietà con cui vengono visti i due “fori”, specialmente quello interno.

Il caso di Agrigento: “Libertà” o pressioni?

Nel seminario di Agrigento, sotto la direzione di Baldo Reina, un giovane seminarista con tendenze omosessuali è stato inviato a seguire un percorso noto come “Verdad y Libertad”, un programma di guarigione dall’omosessualità, ampiamente criticato e condannato sia dalla comunità scientifica che dalla Chiesa stessa.

La decisione di sottoporre il giovane a questo programma, che ha provocato disorientamento e danni psicologici, è stata presa nel foro esterno, sotto la supervisione di Reina quando era rettore del seminario di Agrigento.

Questo solleva questioni etiche e pastorali, poiché la proposta di partecipare a tali programmi dovrebbe avvenire con il consenso del seminarista, che però si è trovato di fronte a pressioni implicite per conformarsi.

L’elemento più inquietante è l’assenza di separazione tra foro interno ed esterno: il seminarista, che si è confidato spiritualmente, è stato poi giudicato e obbligato a seguire un percorso di “cura” che violava i principi di riservatezza e rispetto del foro interno. Questo modus operandi è stato fortemente criticato, poiché ha sovrapposto il giudizio spirituale a quello formativo, con effetti devastanti sulla persona coinvolta.

Le critiche a Reina: Un giudice unico?

Reina ha agito come giudice unico nel caso del seminarista, dimostrando una gestione della formazione caratterizzata da un’autorità indiscutibile e da un’interpretazione rigida delle norme. L’inchiesta pubblicata su “Domani” evidenzia come il percorso imposto al giovane seminarista non solo mancasse di fondamento medico e psicologico, ma fosse anche moralmente discutibile. Le pratiche proposte dal programma “Verdad y Libertad” sono state condannate in vari paesi, compresa la Spagna, e ritenute contrarie agli insegnamenti della Chiesa stessa (QUI L’ARTICOLO DEL QUOTIDIANO DOMANI).

Un clima di tensione nella Diocesi di Roma

La nomina di Baldo Reina come vescovo ausiliare di Roma ha sollevato preoccupazioni anche per la gestione della Diocesi di Roma, in particolare per quanto riguarda la gestione del patrimonio immobiliare e le dinamiche interne al Vicariato. La presenza di figure discusse, come Don Renato Tarantelli Baccari, ex avvocato diventato sacerdote, e Mons. Michele Di Tolve, ex rettore del seminario lombardo, ha creato un clima di sfiducia e tensione tra i sacerdoti romani. La mancanza di trasparenza e il rischio di favoritismi hanno alimentato il malcontento.

Il caso del Vescovo Reina solleva questioni profonde su come la Chiesa Cattolica gestisce la formazione dei futuri sacerdoti, soprattutto quando si tratta di tematiche delicate come l’omosessualità. L’assenza di un progetto formativo chiaro e la mancata distinzione tra foro interno ed esterno espongono i candidati a pressioni psicologiche e morali che possono compromettere il loro percorso. La Chiesa dovrà riflettere su questi episodi per garantire un ambiente di formazione più rispettoso e trasparente, evitando che si ripetano errori simili.

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Cronaca

Renato Vallanzasca: L’ex boss della Comasina lascia il carcere dopo 52 anni. Dal mito criminale all’oblio di una RSA

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Affetto da gravi problemi cognitivi, l’ex criminale viene trasferito in una struttura per malati di Alzheimer. Ma il suo passato di violenza e crimini non verrà dimenticato

Dopo oltre mezzo secolo dietro le sbarre, Renato Vallanzasca, un nome che ha segnato la storia della criminalità italiana, lascia il carcere. L’ex capo della famigerata “banda della Comasina” ha ricevuto il differimento della pena per motivi di salute: a 74 anni, Vallanzasca è affetto da una grave forma di decadimento cognitivo che lo rende incompatibile con il regime carcerario. Il tribunale di Sorveglianza di Milano ha accolto la richiesta dei suoi legali, supportata anche dalla Procura generale, di trasferirlo in una RSA per malati di Alzheimer e demenza.

Il mito oscuro di Vallanzasca

Renato Vallanzasca non è un nome qualunque. Negli anni ’70 e ’80, la sua “banda della Comasina” terrorizzava l’Italia con una serie di crimini violenti: rapine, sequestri di persona, omicidi ed evasioni. Nato a Milano nel 1950, Vallanzasca crebbe nel quartiere popolare della Comasina, dove ben presto intraprese una carriera criminale che lo avrebbe reso celebre. Insieme ai suoi complici, organizzò rapine spettacolari, mostrando una spregiudicatezza e una violenza che lo resero uno dei criminali più temuti del Paese.

Negli anni, Vallanzasca divenne una figura quasi leggendaria: un bandito che sfidava apertamente le forze dell’ordine, riuscendo a evadere più volte dal carcere. Il suo fascino, costruito su un mix di audacia e ribellione, lo rese celebre non solo tra i criminali, ma anche in certi settori della società civile, che lo vedevano come un simbolo di resistenza all’autorità.

L’arresto e i processi

Dopo anni di crimini e inseguimenti, Vallanzasca fu arrestato definitivamente nel 1977. Il processo che ne seguì fu lungo e complesso, con testimonianze che svelarono la rete di crimini e connivenze che avevano permesso alla sua banda di prosperare. Condannato a quattro ergastoli per omicidi, rapine e sequestri, Vallanzasca è rimasto in carcere per oltre 50 anni, senza mai beneficiare di una riduzione della pena.

Il declino e la decisione del tribunale

Nel corso degli anni, l’ex boss ha visto il suo stato di salute peggiorare drasticamente. Affetto da Alzheimer e ormai incapace di badare a sé stesso, Vallanzasca è stato descritto dai medici come “disorientato nel tempo e nello spazio” e “incapace di esprimere con il linguaggio ciò che pensa”. Questa grave forma di decadimento cognitivo ha spinto i suoi legali a chiedere il differimento della pena, ritenendo il carcere ormai incompatibile con le sue condizioni di salute. La richiesta è stata accolta dal tribunale di Sorveglianza di Milano, che ha disposto il trasferimento di Vallanzasca in una RSA nella provincia di Padova, dove sarà sottoposto a un regime di detenzione domiciliare.

Un epilogo controverso

Il trasferimento di Vallanzasca in una struttura assistenziale segna l’epilogo di una storia criminale che ha lasciato cicatrici profonde nella società italiana. Nonostante il deterioramento delle sue condizioni di salute, il nome di Vallanzasca rimane legato a un passato di violenza e paura. La sua storia, che in passato aveva affascinato il pubblico per la sua audacia, oggi si conclude con l’immagine di un uomo fragile, incapace di riconoscere il mondo che lo circonda. Ma il ricordo dei suoi crimini, delle vittime e della sua sfida alle istituzioni resterà indelebile nella memoria collettiva.

Il trasferimento in RSA, previsto nei prossimi giorni, segna un momento storico: la fine della detenzione di uno dei più noti e controversi criminali italiani. Tuttavia, le cicatrici lasciate dai suoi crimini sono destinate a rimanere.

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