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Call of Duty Vanguard, la Seconda Guerra Mondiale come mai vista prima d’ora

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Call of Duty Vanguard è il nuovo capitolo della famosissima saga shooter in prima persona disponibile per Pc e per le console della famiglia Xbox e PlayStation. Nonostante i problemi che molti studi di sviluppo hanno dovuto affrontare a causa della pandemia di Covid 19, Sledgehammer e Activision sono riusciti anche quest’anno a proporre un nuovo avvincente capitolo della saga con tanto di Campagna, Multiplayer competitivo e Zombi co-op. Call of Duty: Vanguard riporta i giocatori alla Seconda Guerra Mondiale seguendo le orme del precedente titolo del team californiano, COD: WW2, riprendendo motore grafico e giocabilità di Modern Warfare; Il parziale riutilizzo di asset e tecnologie dovuto a queste scelte unito all’aiuto ricevuto da Treyarch per la modalità Zombi, ha consentito al gioco di presentarsi puntuale all’appuntamento di novembre senza dover tagliare contenuti come accaduto in passato. Iniziamo quindi la nostra analisi dalla Campagna, nella quale si seguono le vicende di un gruppo di soldati speciali provenienti dai diversi paesi alleati contro la Germania: il britannico di colore Arthur Kingsley, la cecchina russa Polina Petrova, l’esperto in esplosivi Lucas Riggs dall’Australia, il pilota di caccia statunitense Wade Jackson e altri. La loro dovrebbe essere una missione d’infiltrazione mirata a rubare alcuni progetti segretissimi dei nazisti, ma ben presto qualcosa va storto e vengono catturati dai tedeschi. Tra parti giocabili e curatissimi filmati CGI, la campagna si concentra sul giocare una serie di flashback di ciascun personaggio potendo così capire meglio le loro motivazioni e gli eventi chiave delle loro vite, come per esempio una traumatica esperienza durante il lancio della centounesima divisione la notte prima dello sbarco in Normandia per Arthur, o la distruzione di Stalingrado che ha decimato famiglia ed amici di Polina. In sostanza, questa campagna di Call of Duty ha solo un gran difetto, ossia durare troppo poco. Dopo aver completato le nove avvincenti missioni, quello che resta è una sensazione di voglia che la storia continui. A livello di giocabilità ci si trova dinanzi a una campagna Call of Duty dura e pura, in Vanguard infatti ogni missione è estremamente lineare, con numerosi scenari in cui deviare anche di pochi metri dal percorso equivale a un game over immediato. Totalmente inesistenti anche i collezionabili, con le pochissime strade “secondarie” che portano a qualche munizione o arma in più. Questo, unito a una narrativa completamente lineare, non offre molti spunti per rigiocare la campagna, dato che sono davvero poche le missioni dove è contemplato cambiare approccio. Fortunatamente la presenza degli obbiettivi è un’ottimo spunto per ripercorrere la trama del gioco e compiere determinate azioni. Da un punto di vista tecnico, questa campagna prosegue l’eccellente lavoro fatto da Infinity Ward con Modern Warfare (2019). Ambienti aperti resi estremamente realistici da effetti di luce ed ombre incredibilmente curate, zone chiuse con livelli di dettaglio davvero impressionanti sui singoli oggetti, con per esempio tazze, piatti e vasellame nella casa di Polina che godono di un dettaglio e riflessi invidiabili da quasi tutta la concorrenza. Su Xbox Series X in particolare lo spettacolo è garantito, e si tratta di un passo avanti di dimensioni enormi anche rispetto a Black Ops Cold War dello scorso anno, visto che di fatto il titolo Treyarch usava un motore più vecchio rispetto a Modern Warfare. Ovviamente il titolo non rinuncia ai 60 frame al secondo che sono ormai un caposaldo della serie, mantenuti in maniera eccellente sia nella campagna che in multiplayer e Zombi. Insomma, la Campagna di Call of Duty Vanguard è un’esperienza davvero imperdibile, emozionante, splendida da vedere, ma che purtroppo dura davvero poco, anche a livello “veterano” non ci vorranno più di sei ore per finire il tutto. Di altissimo livello il doppiaggio tutto in lingua italiana, ma anche il comparto sonoro che è stato curato in maniera impressionante. Tutto questo rende l’intera esperienza di gioco assolutamente godibile da qualsiasi tipo di player.

Per quanto riguarda il cuore della produzione, ossia il comparto multiplayer, se vi chiedete: cosa offre l’ultima fatica di Sledgehammer Games per quanto riguarda PvP? Per farla semplice, si può dire che il gioco garantisce una sorta di mix tra il loro ultimo gioco, COD: WW2, e Modern Warfare. Gli armamenti e lo stile della Seconda Guerra Mondiale che si sono già viste nel Call of Duty del 2017, con però il gameplay e l’engine migliorati dell’episodio sviluppato da Infinity Ward. Sono presenti infatti tutte le novità di movimento e mira introdotti nel capitolo del 2019: il doppio scatto, la possibilità di appoggiare la propria arma a numerose superfici per avere più precisione a discapito della mobilità, porte e finestre apribili e così via. Per chi è familiare con Modern Warfare o Warzone, è facile immediatamente sentirsi a casa giocando a Vanguard. il design delle mappe segue invece una filosofia differente, offrendo arene abbastanza simili a quelle di WW2: accantonata la struttura a tre corsie di Treyarch, ma anche la complessità delle mappe di Infinity Ward. Sono quindi presenti mappe prevalentemente molto piccole e chiuse, con diversi percorsi alternativi per arrivare a destinazione, solitamente attraverso corridoi con visuale che si estende in lungo. La principale novità di quest’anno riguarda la possibilità di poter scegliere il proprio ritmo di gioco. Ma che vuol dire? Le mappe sono più o meno sempre le stesse, ma è la quantità di giocatori che stravolge l’esperienza di gioco. Laddove in Modern Warfare e Black Ops Cold War era difficile tarare il numero di giocatori correttamente, con il rischio che il matchmaking ci posizionasse anche in partite molto differenti tra di loro, in Call of Duty Vanguard è possibile scegliere per esempio di giocare solo in 6v6 o 12v12, cambiando così drasticamente il feeling del gioco, la frequenza dei nemici e via dicendo. Le modalità di gioco, invece, sono di quanto più classico ci sia: deathmatch a squadre, dominio, cerca e distruggi e via dicendo. L’unica reale novità da questo punto di vista è la modalità Pattuglia. In questa particolare tipologia di gioco, c’è un’area da conquistare come in altre modalità, ma a differenza di Dominio o Hardpoint, esso è in costante movimento. Non ci si alterna dunque ad attaccare o difendere aree fisse, ma l’area di interesse della partita si muove su un percorso prefissato, costringendo i difensori a doversi sempre adeguare a nuove sfide e a tenersi in movimento. Una variante interessante su una formula classica, mirata tra l’altro anche a ridurre il gioco passivo. Per il resto il titolo offe, più o meno, la stessa esperienza di gioco di Modern Warfare, con il sistema di classi e la possibilità di modificare le proprie armi con aggiunte e mod varie che ritornano quasi pari-pari. La grossa differenza nelle partite la fa la presenza di certe superfici distruttibili, con muri in legno e coperture che possono avere fori causati dai proiettili ma anche essere spazzati completamente dal fuoco nemico. Ritornano anche alcune novità tecniche importanti degli ultimi anni: il cross-play opzionale tra Xbox, PlayStation e PC, il supporto mouse e tastiera ma anche la possibilità di cambiare il FOV (l’ampiezza della visuale), alzandola anche fino a 120. Giocare a Modern Warfare con mouse e tastiera ma con FOV ridottissimo non era una bella esperienza, fa quindi piacere vedere finalmente realizzato il sogno di giocare correttamente con il metodo di input migliore anche su console. Già presenti al lancio due delle mappe storiche “Dome” e “Castle”, mentre recentemente è stata rilasciata l’amatissima “shipment” in versione Seconda Guerra Mondiale. Detto ciò quindi, gli appassionati del multiplayer avranno di che divertirsi anche quest’anno. Sledgehammer e Activision sanno bene ormai cosa vogliono i fan e ogni anno cercano di migliorare l’esperienza aggiungendo qualcosa di nuovo al calderone, senza dimenticare però quanto di buono è stato fatto in passato. Il risultato? Un comparto PVP che piace a tutti gli appassionati di shooter in prima persona.

Terza e ultima, ma non per questo meno importante, parte di cui si compone Call of Duty Vanguard è la modalità cooperativa Zombi. Come già accennato qualche riga più in alto, questa è realizzata dai maestri di tale modalità, Treyarch. Non trattandosi di un titolo della serie di Black Ops, si parte con personaggi e lore da zero, ma la premessa è sempre più o meno la stessa: ci sono quattro soldati che dovranno collaborare per fermare l’invasione di zombi, fatta partire da un diabolico esperimento dei nazisti per cercare di non perdere la Seconda Guerra Mondiale. Un aggancio pure azzeccato, visto che tutto il resto del titolo si svolge negli anni ’40. La struttura di questa modalità cambia però drasticamente stavolta, con i giocatori che dovranno scegliere un equipaggiamento iniziale fatto di un’arma primaria e qualche granata. Non si parte quindi più dalla classica pistola, e non ci sono nemmeno armi da comprare dai muri del livello. Ritorna solamente la cassa misteriosa per riuscire ad ottenere una nuova arma casuale e la macchina “Pack a Punch” per potenziare le armi. Il livello a disposizione è di fatto un’arena in una piazza di Stalingrado, che nel corso dei round si apre automaticamente sempre più, offrendo così l’ingresso a un paio di edifici circostanti. In giro sono presenti perk vari per salute, rigenerazione veloce e via dicendo, in un sistema molto semplificato però rispetto alle iconiche macchinette in stile distributore di bevande. Le munizioni sono acquistabili pressoché in ogni micro area presente nella mappa e i percorsi sono abbastanza ampi e comprensibili, dunque è difficile perdersi in aree piene di cunicoli o finire incastrato in mezzo a un esercito di non-morti. La novità sta però in cosa effettivamente si fa in questi round, dove arrivano zombi che si potenziano sempre più. Nello specifico, ci si troverà nel bel mezzo della piazza, circondati dagli zombie, e bisognerà attivare una serie di portali per prendere parte a missioni di diverso tipo, che possono ruotare attorno alla semplice eliminazione di una serie di ondate di morti viventi oppure al completamento di un percorso. Fra una spedizione e l’altra ci sarà modo di potenziare le armi con i crediti ottenuti, sbloccare perk speciali, creare oggetti di supporto e così via. Giunti al quinto round, volendo si potrà decidere di optare per un’estrazione e combattere un’ultima, disperata battaglia prima di entrare nel varco che riporterà il team a casa; oppure continuare a inanellare missioni caratterizzate da un grado di sfida sempre più alto e da nemici sempre più numerosi e resistenti, allo scopo di ottenere ricompense migliori. Nella modalità zombie di Call of Duty Vanguard ci sono tre tipologie di nemici: i non-morti standard, quelli esplosivi che si muovono molto più rapidamente e quelli corazzati, che ci sparano contro utilizzando mitragliatrici Gatling e compaiono nelle fasi avanzate. Bisogna cercare di sopravvivere ai loro assalti pur potendo contare su di un’unica arma (ma si può tenerne anche una seconda), collaborando con i compagni e rianimandoli all’occorrenza. Il risultato finale, almeno per quanto concerne ciò che sarà disponibile inizialmente (lo Zombie mode verrà arricchito, come da tradizione, nel corso dei mesi), è un mix che abbiamo trovato divertente, con alcuni acuti entusiasmanti che ruotano attorno alla necessità di prendere decisioni molto rapidamente e di coprirsi le spalle a vicenda quando i nemici diventano davvero numerosi e si ha l’esigenza anche solo di ricaricare. Attualmente non è presente nessuna caccia ad easter egg, nessuna costruzione fumosa di oggetti la cui utilità è poco chiara, ma bisogna ricordare che attualmente si gioca in una pre-season, quindi tutte queste cose, amatissime dai fan, potrebbero essere introdotte a inizio dicembre con il via libera alla stagione uno.

Tirando le somme, la campagna single player di Call of Duty: Vanguard riprende la struttura tradizionale della serie, rinunciando alle novità di Black Ops Cold War e puntando piuttosto su di un manipolo di personaggi. Dal punto di vista narrativo l’idea funziona, ma la breve durata dello story mode non consente di riservare spazio sufficiente a ognuno di loro sul fronte del gameplay. Per fortuna ci pensa il comparto multiplayer a risollevare la situazione, grazie ai tanti contenuti già disponibili al lancio, a un approccio divertente e a un sistema di progressione solido. Per quanto riguarda la zombi, la sensazione che si ha e che Der Anfnag (questo il nome della mappa) sia soltanto un preambolo per comprendere le meccaniche di quello che sarà poi effettivamente la vera modalità zombi che dovrebbe partire assieme alla season 1 a inizio dicembre. Detto questo, il titolo è assolutamente da non perdere in quanto oltre alla bellezza estetica e alla fluidità d’azione, ci si trova dinanzi a un prodotto che offre tre strade per divertirsi e che è in continua evoluzione.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9

Sonoro: 9

Gameplay: 9

Longevità: 9

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise

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Luigi’s Mansion 2 HD, il titolo icona del 3DS torna su Switch in alta definizione

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Luigi’s Mansion 2 ritorna, a più di 10 anni dalla sua uscita originale su Nintendo 3DS, in versione rimasterizzata per Nintendo Switch. Questa nuova edizione in alta definizione del piccolo capolavoro del colosso nipponico offre l’opportunità di rivivere una delle avventure più amate del fratello di Mario, con una veste grafica rinnovata e alcune migliorie tecniche. Ma come si comporta questo titolo del 2013 nel panorama videoludico attuale? Analizziamo nel dettaglio questa riedizione per scoprire se il fascino di Cupavalle resiste ancora alla prova del tempo oppure è destinato a soccombere sotto il peso degli anni. Seguendo in modo abbastanza diretto dal primo episodio, uscito su Game Cube nel lontano 2001, Luigi’s Mansion 2 HD (al tempo Luigi’s Mansion 2 o Luigi’s Mansion Dark Moon negli Usa) catapulta i giocatori nuovamente nell’avventura con un incipit decisamente semplice: dopo la vittoria dell’idraulico in verde nel primo capitolo, i fantasmi si sono acquietati e vivono in serenità con gli umani, permettendo al Professor Strambic di continuare i suoi studi con grande efficienza. Un “misterioso intervento esterno”, però, distrugge e frammenta la pietra a forma di luna che teneva sotto controllo gli spiriti, mandandoli in agitazione e costringendo lo scienziato a chiedere il soccorso del miglior acchiappafantasmi in circolazione. Così in men che non si dica quel fifone di Luigi si trova nuovamente impegnato a catturare spettri con aspirapolvere alla mano e gambe tremolanti. Questa volta però non si troverà più in una sola, vasta, magione, ma dovrà spostarsi in differenti aree per recuperare i pezzi del cristallo, scoprire chi si nasconde dietro le quinte e ripristinare tutto alla normalità, assicurandosi che nessuno dei suoi amici sia finito nei guai. Il tutto è possibile grazie al genio di Strambic, che oltre a essere il massimo esperto di fantasmi è anche riuscito a sviluppare una tecnologia chiamata “pixeltrasporto”, in grado di muovere Luigi da una parte all’altra del mondo sfruttando schermi e telecamere come veicolo. Da qui inizia un’avventura tendenzialmente in linea con gli altri episodi, che vede il buon Luigi esplorare ogni angolo delle location da lui visitate alla ricerca di tesori, chiavi, fantasmi e segreti: insomma, tutto il necessario per proseguire di livello in livello e soddisfare le richieste di Strambic. Idealmente la progressione ricorda un po’ quella di un metroidvania, in quanto c’è la libertà di muoversi in aree tutto sommato limitate, da sbloccare di volta in volta, mentre vengono mostrati al tempo stesso tanti passaggi apparentemente inaccessibili, muri misteriosi che sembrano nascondere qualcosa, stanze prive di accesso o sistemi di controllo che sembrano non rispondere alle sollecitazioni di chi gioca.

Luigi questa volta avrà insomma un bel da fare dovendo ripuloire ben cinque magioni infestate nel tentativo di ricomporre la pietra a forma di Luna e domare gli ectoplasmi aiutato dal fido aspirapolvere Poltergust 5000, versione potenziata del modello 3000 comparso in Luigi’s Mansion, e da una torcia multifunzione. Sulla carta per avere la meglio basterebbe “sparaflashare” gli evanescenti invasori per poi pescarli con l’aspirapolvere assecondando i loro movimenti. Nella pratica, però, i dispettosi fantasmi faranno di tutto per vendere cara la melma ricorrendo a trucchetti, armature o alla forza bruta: tutte cose che costringeranno i giocatori a indebolirli, aggirarli o quant’altro prima di poter procedere con la cattura. Su 3DS, come accennato, queste meccaniche soffrivano un poco i limiti del sistema di controllo, ma qui sono una vera goduria e bastano davvero pochi minuti per prenderci la mano e farsi trascinare dalla moltitudine di interazioni escogitata da Next Level Games e Nintendo per spremere fino all’ultima goccia le possibilità del Poltergust 5000 e il pensiero laterale dei giocatori. Il Poltergust 5000 nasce per aspirare i fantasmi, OK, ma nulla vieta di invertire il flusso e/o sfruttarlo per sollevare tappeti, afferrare tende, tovaglie e in generale passare al setaccio le magioni infestate svelandone i vari segreti o espugnandone le ricchezze in modo da potenziare il proprio arsenale. Sempre grazie all’aspirapolvere si può, ad esempio, afferrare oggetti congelati e trasportarli fino alla fiamma più vicina, oppure gonfiare dei palloncini e creare una piccola mongolfiera per raggiungere aree altrimenti inaccessibili; e queste sono solo alcune delle tante interazioni possibili per sfruttare o aggirare i limiti fisici del gioco. La torcia a sua volta non si limita a rendere vulnerabili gli spiriti ma consente di attivare interruttori e meccanismi, mentre l’Arcobaluce – sorta di versione “mariesca” degli ultravioletti – è in grado di svelare porte e oggetti nascosti aggiungendo di fatto una dimensione extra all’avventura, obbligando così il giocatore a prestare particolare attenzione a tubi mancanti, zerbini e persino ai complementi d’arredo apparentemente asimmetrici. Attorno a queste dinamiche gli sviluppatori hanno costruito un sistema di enigmi incredibilmente sofisticato; le missioni inizialmente appaiono circoscritte, ma col procedere del gioco diventano sempre più elaborate facendo “esplodere” il level design delle singole magioni e servendo alcune delle boss fight più creative mai viste in un videogioco Nintendo. Di contro il cuore dell’esperienza resta la caccia, e anche sotto questo aspetto dopo le prime semplici battute è necessario ricorrere all’astuzia e a tutte le opportunità offerte dai propri strumenti, senza contare le occasionali disinfestazioni da ragni, piante carnivore e altre simpatiche creaturine che infestano le aree di gioco.

Se il titolo originale ha proposto una più che discreta esperienza portatile, in questa occasione è opportuno chiedersi se e quanto abbia giovato la transizione a una nuova piattaforma. La risposta è a nostro avviso: decisamente più performante ma meno “peculiare” rispetto alla piccola console portatile della grande N. A livello puramente visivo, nulla da dire: pur non raggiungendo le vette di Luigi’s Mansion 3, questa edizione HD del secondo capitolo risulta comunque molto curata, potendo godere di modelli e texture ricreati da zero e un impatto scenico dovuto al cambio di proporzioni dello schermo decisamente più efficace. Molto bene invece per quello che concerne il lato controlli, che tornano a contemplare l’utilizzo dell’analogico destro (assente su 3DS) per rendere più agile il movimento che su portatile risultava piuttosto sacrificato. Forse il cambiamento più importante che il gioco ha vissuto in positivo. Esplorazione e combattimenti risultano quindi più fluidi e divertenti, così come tutte le prove “speciali” che vedono variare il gameplay. Dove si paga lo scotto è nella trasposizione dell’esperienza “stereoscopica” originale: in particolare basta vedere i boss, comunque tuttora apprezzabili, per cogliere come la messinscena sia frutto di un design collegato allo speciale effetto visivo offerto dallo schermo superiore di Nintendo 3DS, risultando sacrificata, se non quasi banalizzata, quando riprodotta in modo tradizionale. E’ necessario, quando si parla di Luigi’s Mansion 2 HD evidenziare due note sulla longevità e il multigiocatore. Per quanto concerne la durata, il titolo si assesta sui livelli del terzo capitolo, quindi intorno alle 10/15 ore per una partita classica, salendo se si va alla ricerca del completismo, sebbene il tutto possa risultare un po’ allungato per via del continuo “vai e vieni” dovuto alla struttura a missioni. Per quanto riguarda il multigiocatore tocca constatare come il tutto sia in linea con il titolo d’origine, mancando quindi di una modalità storia cooperativa e limitandosi invece alla Torre del Caos in cui collaborare fino a 4 giocatori, in wireless locale o online, per superare le tante e appassionanti sfide proposte. Tirando le somme, poter tornare a giocare a Luigi’s Mansion 2 HD è sempre un piacere, soprattutto perché in termini di level design, struttura degli enigmi e gestione dell’arsenale è sicuramente il capitolo più interessante della serie, persino al netto del terzo. In più il salto in avanti per quanto riguarda il sistema di controllo offerto a suo tempo da 3DS rappresenta una vera benedizione, persino più gradita del passaggio all’alta definizione. Certo, aggiornare anche il sistema dei salvataggi sarebbe stato un gradito cambiamento, ma tutto sommato non possiamo lamentarci. Tuttavia tra gioco base, contenuti extra e tutte le cose da fare per completare il titolo al cento per cento, ci sarà da spassarsela davvero per molte ore.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8,5

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise

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iPhone pieghevole nel 2027, un nuovo brevetto online fa esplodere i rumors

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iPhone pieghevole? Tornano i rumors. Le ultime indiscrezioni arrivano proprio da un nuovo brevetto che Apple ha registrato negli Stati Uniti. Il lancio però dovrebbe avvenire tra qualche anno, non prima del 2027. Il nome del documento, ripreso dal sito Cnet, è “dispositivi elettronici con display pieghevoli durevoli”, depositato nel 2021 ma concesso il 16 luglio di quest’anno. Al suo interno, alcune soluzioni che la Mela potrebbe seguire per realizzare l’iPhone Flip, ossia un telefono che si chiude a conchiglia, come il recente Motorola Razr 50 Ultra. Il testo elenca in modo dettagliato la presenza delle varie componenti del prodotto, dalla batteria alla ricarica wireless, connettività Bluetooth e Wi-Fi, display led o lcd, microfoni e sensori capacitivi, tattili e così via. C’è un riferimento esplicito ad un display pieghevole di 180 gradi, o completamente piatto, in linea con le declinazioni attualmente sul mercato anche a marchio Samsung e Oppo. Se sembra alquanto certo che Apple stia esplorando la possibilità di lanciarsi nel mercato dei pieghevoli, più dubbi sussistono sulle tempistiche. L’analista Ross Young ha affermato che un modello del genere è stato posticipato ad almeno il 2025. Più o meno la stessa tempistica suggerita dall’analista esperto di Apple, Ming Chi Kuo, che ha ribadito la possibile finestra di presentazione. C’è chi va anche oltre: i ricercatori di TrendForce sottolineano che le rigorose procedure di controllo qualità di Cupertino e l’aumento nella richiesta di pannelli flessibili porterà l’azienda a concludere un primo lotto di disponibilità dell’iPhone Flip non prima del 2027, quanto Samsung sarà alla nona generazione di Galaxy Z Flip. Insomma, stando alle nuove indiscrezioni nel futuro degli smartphone della Mela il dispositivo pieghevole sembra essere presente. Non resta altro che aspettare per saperne di più.

F.P.L.

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Elden Ring: Shadow of the Erdtree, molto più che una semplice espansione

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Elden Ring: Shadow of the Erdtree è un’espansione enorme e sorprendente, che conferma la posizione di FromSoftware tra i migliori team di sviluppo in circolazione nel panorama videoludico contemporaneo. Il dlc (anche se chiamarlo così è riduttivo) è ovviamente disponibile su Pc, Xbox e PlayStation, quindi tutti coloro che hanno potuto giocare a Elden Ring (qui la nostra recensione), potranno cimentarsi in questa nuova avventura e proseguire il loro cammino. Ricordiamo a tutti coloro che sono interessati a intraprendere questo nuovo viaggio che per entrare nell’universo offerto da Shadow of the Erdtree è necessario aver ucciso Radahn e Mohg. Una volta fatto ciò si deve interagire col bozzolo di Miquella, parlando prima con un NPC che si troverà proprio lì davanti. Essendo una macro-area da visitare dopo l’endgame, il livello di difficoltà dei nemici al suo interno è piuttosto sostenuto. Questo vuol dire che provare a esplorare stando al di sotto di un livello medio che si aggira attorno al 140, o addirittura di parecchio inferiore, si va incontro alla morte anche coi nemici più insignificanti. Prendere sotto gamba il livello è un errore da non fare in quanto per chi volesse provare l’ebbrezza di addentrarsi nel “nuovo mondo”, l’impatto sarà assolutamente traumatico. Gli antagonisti sono capaci di uccidere con uno o due colpi e le zone più avanzate, assieme a quelle segrete e ai boss facoltativi, risultano quasi impossibili da completare. Eppure Elden Ring Shadow of the Erdtree, così come il gioco principale, non è mai scorretto col giocatore. Ovviamente il titolo impartirà dure lezioni ancora una volta, ma quando si inizierà a comprendere il gioco delle minacce che piagano la Terra delle Ombre, affrontare ogni ostacolo sarà fonte di assoluta soddisfazione. Differentemente da quanto i più possano pensare, l’aumento di livello non è la chiave per poter dominare sul campo di battaglia. Stavolta From Software ha applicato una sorta di sistema di potenziamento interno all’espansione che funziona grossomodo come i pezzi di maschera già visti in Sekiro. Va da sé che le reali differenze durante l’avanzamento, e soprattutto durante gli scontri coi boss, si notano solo raccogliendo i frammenti sparsi per la mappa di gioco, taluni ben nascosti o accessibili solo dopo alcune fasi di sbarramento. Una volta fermi ai Luoghi di Grazia, si potrà consultare il menù arricchito con una nuova voce che consente di migliorare in modo permanente alcune delle statistiche passive. Questa scelta adottata per Elden Ring Shadow of the Erdtree ha una duplice funzione: non rendere il contenuto troppo semplice anche per i veterani e obbligare i giocatori a esplorare davvero a fondo ogni angolo di mappa. L’esperta FromSoftware non ha però reso semplice l’accesso a tutte le aree, e in questa espansione si percepisce un senso della scoperta ancora più meraviglioso e sbalorditivo, reso tale da un design delle aree molto più articolato e complesso.

Il Regno delle Ombre è una mappa affascinante e con un design complesso e raffinato che conquista. Tuttavia è doveroso fare una menzione speciale ai dungeon/legacy, che presentano le medesime qualità. Anche qui il team di From Software è riuscito a creare livelli pieni di anfratti, percorsi alternativi, uscite, scorciatoie e connessioni all’interno di architetture colossali e uniche. Tra quelle esplorate ce ne sono due in particolare che abbiamo apprezzato. Autentiche opere di ingegneria studiate nei minimi dettagli: dalla disposizione dei nemici a quella delle sezioni interconnesse con una naturalezza disarmante. Un altro aspetto positivo positivo di Elden Ring: Shadow of the Erdtree riguarda la significativa riduzione del numero di mini-dungeon. Ora ce ne saranno di meno, ma più interessanti, elaborati e complessi. Spesso con meccaniche uniche e con boss sempre differenti, che garantiranno uno stimolo costante per quanto concerne l’esplorazione. Altro punto di forza della produzione sono i boss. In Elden Ring: Shadow of the Erdtree ce ne sono circa una decina, e sono tutti assolutamente straordinari sia per design che per le meccaniche di combattimento. E’ davvero sorprendente vedere come il team di From Software continui a sorprendere la sua fan base con creature così imponenti e ricche di personalità, capaci di proporre battaglie uniche, intense e sempre molto complesse da affromntare. Oltre a quanto detto, quest’espansione di Elden Ring ha un altro merito, ovvero: riuscire a sorprendere anche per il numero smodato di armi, talismani e magie aggiuntive, oggetti peraltro pensati per modificare sensibilmente lo stile di qualunque giocatore. Si vede chiaramente che l’intento di FromSoftware nella Terra delle Ombre è stato chiaramente uno solo: offrire un gran quantitativo di strumenti adatti a ogni genere di build, dotati di mosse e poteri così unici da spingere i giocatori a testarli anche se non necessariamente ottimali. E se da una parte alcune combinazioni del gioco base restano spettacolarmente efficaci e difficilmente sostituibili, riteniamo che FromSoftware abbia davvero trovato la chiave di volta qui, perché è stato praticamente impossibile non cambiare varie volte specializzazioni ed equipaggiamento dinanzi a certe novità. Ci sono ben otto categorie di armi del tutto nuove, e alcune di queste coprono delle mancanze significative del gioco base. A tutto ciò va anche sommato un discreto numero di ottime nuove stregonerie e un mix incredibile di incantesimi Il risultato finale? Un vero paradiso per chi ama sperimentare con statistiche ed equipaggiamento. Tirando le somme, questo Elden Ring: Shadow of the Erdtree è un’espansione incredibile, un lavoro di grande pregio che torna in parte alle origini dei souls, senza però tradire lo spirito del gioco base né abbandonare le caratteristiche che lo hanno fatto amare da così tanti giocatori. Si tratta di un lavoro impressionante, capace di stupire sia per il suo incredibile map design sia per la varietà delle novità introdotte. Impossibile, davanti a un’opera simile, non confermare il già notevole voto del gioco base. Impossibile lasciarselo sfuggire se avete amato il titolo originale.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9,5

Sonoro: 9,5

Gameplay: 9,5

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9,5

Francesco Pellegrino Lise

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