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Brexit: Regno Unito fuori, l’Unione europea non parlerà più inglese

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Tempo di lettura 2 minuti Comprensibile lo sdegno di Theresa May ma è pur vero che il conto da pagare di certe scelte azzardate

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di Paolino Canzoneri

LONDRA – La lingua inglese è sempre stata usata in Europa e nel mondo per via della sua semplicità e schiettezza, scevra da complessi meccanismi grammaticali, per decenni ha assunto un ruolo fondamentale quale mezzo efficace per la comprensione fra diverse popolazioni divenendo una condizione indispensabile ad ogni livello di comunicazione sociale. Prima lingua estera in ogni indirizzo scolastico, ha confermato e confermerà la sua presenza almeno fino a quando le "pratiche" del Brexit potrebbero invertire questa prassi pluridecennale. Sembra infatti che la lingua inglese possa scomparire fra le lingue della Comunità Europea. La presidente della commissione Affari Costituzionali del Parlamento UE Danuta Hubner nonchè grande economista deputata in rappresentanza della Polonia, ha paventato questa ipotesi che lascia stupiti e anche un po preoccuppati perchè in un futuro neanche tanto lontano, nonostante l'inglese sia ad oggi la lingua più usata negli interscambi verbali tra i deputati, potrebbe nel giro di poco uscire anche anche dalle abitudini come già è avvenuto qualche giorno fa quando il capo negoziatore prescelto da Bruxelles, l'ex Ministro degli Esteri francese Michel Barnier, chiamato per condurre la trattativa con il Regno Unito circa le operazioni da condurre per il Brexit, ha chiarito che preferirebbe utilizzare la sua lingua madre per le discussioni e per redigere tutta quella serie di documentazione necessaria per la complessa uscita del Regno dalla comunità europea. Una sostanziale perdita a livello ufficiale dell'uso della lingua inglese. Comprensibile lo sdegno di Theresa May ma è pur vero che il conto da pagare di certe scelte azzardate avrebbero dovuto includere anche tutte quelle conseguenze piccole o grandi che potranno essere che al momento sembra proprio non siano mai state considerate in modo serio. Danuta Hubner ha sostenuto con determinazione: "Abbiamo una norma in base alla quale ogni Paese membro della Ue ha diritto di scegliere una lingua ufficiale; gli irlandesi hanno scelto il gaelico. Malta il maltese. Soltanto la Gran Bretagna ha scelto l'inglese. Perciò, se nella Ue non ci sarà più la Gran Bretagna, non ci sarà più neanche l'inglese". Scapperebbe un sorriso un po maligno nel vedere come tutti gli "effetti collaterali" stiano pian piano togliendo il sonno al Regno Unito che dopo anni e anni di insolente comportamento da viziati d'Europa, stiano accorgerndosi di antipatie e ostilità fra i deputati di Bruxelles che sembra proprio che "non le mandino a dire". Sta di fatto che la Commissione ha già iniziato ad avvalersi di altre lingue come tedesco e francese cosi come riporta lo stesso Wall Street Journal. Effetti del Brexit nonostante sia palese che la lingua inglese giochi ancora un ruolo dominante ma sembra che sia una tendenza che arreca un certo imbarazzo visto che si tratterà di una lingua "extracomunitaria". Rimane tempo a sufficienza per comprendere quanto tutto questo divenga una faccenda seria da risolvere lontani da ripicche personali e sopratutto che non diventi una scusa per un immobilismo in tempi difficili dove risposte e soluzioni garantiranno lo svolgimento corretto delle attività di Bruxelles. "God save the Queen".

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Putin: “Armi Nucleari pronte in caso di aggressione” – Rischio escalation con l’Ucraina

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La nuova dottrina russa minaccia una risposta nucleare anche contro attacchi convenzionali sostenuti da Stati nucleari come gli USA. L’Occidente reagisce con fermezza

Vladimir Putin ha nuovamente alzato il livello della tensione nel conflitto tra Russia e Ucraina, minacciando il possibile utilizzo di armi nucleari. Durante un incontro con il Consiglio di sicurezza russo, Putin ha dichiarato che la Russia si riserva il diritto di ricorrere al nucleare in caso di aggressione contro la Federazione Russa o la Bielorussia, anche se l’attacco fosse condotto con armi convenzionali. Il messaggio non è rivolto solo a Kiev e al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ma anche agli Stati Uniti e al presidente Joe Biden, principali sostenitori dell’Ucraina nella guerra.

Putin ha inoltre esplicitato che anche un’aggressione compiuta da uno Stato non nucleare, ma con il sostegno di una potenza nucleare, sarà considerata un attacco congiunto contro la Russia. Questo è un chiaro riferimento agli Stati Uniti, che continuano a inviare massicci aiuti militari all’Ucraina, come il nuovo pacchetto da 375 milioni di dollari recentemente approvato.

La nuova dottrina nucleare di Mosca

La modifica della dottrina nucleare russa include anche un’ulteriore ipotesi che potrebbe portare al ricorso alle armi atomiche: se la Russia rilevasse un attacco massiccio di missili, aerei o droni contro il proprio territorio. Questa è una diretta allusione alla crescente capacità militare dell’Ucraina, che negli ultimi mesi ha guadagnato terreno, controllando porzioni della regione russa di Kursk e potendo lanciare attacchi in profondità sul territorio russo, danneggiando infrastrutture militari cruciali.

Messaggio agli Stati Uniti e all’Occidente

La minaccia di Putin è anche indirizzata a Washington, che finora non ha dato l’ok all’Ucraina per l’uso dei missili a lungo raggio Atacms contro la Russia. “La situazione politico-militare sta cambiando rapidamente e dobbiamo adattarci. Nuove minacce emergono contro la Russia e i suoi alleati”, ha dichiarato Putin, nel tentativo di scoraggiare un’escalation del sostegno militare occidentale a Kiev.

Negli ultimi mesi, Mosca ha ripetutamente sottolineato la superiorità del suo arsenale nucleare tattico rispetto a quello presente in Europa, sostenendo che l’Europa sarebbe vulnerabile in caso di conflitto nucleare. Il messaggio di Putin giunge a meno di tre mesi dalle sue precedenti dichiarazioni, in cui aveva ricordato la capacità russa di sopraffare qualsiasi difesa europea.

Reazioni internazionali

Le minacce nucleari del Cremlino non hanno mancato di scatenare reazioni da parte della comunità internazionale. Il presidente ucraino Zelensky, che si trova a New York per presentare il suo piano per la vittoria, ha ricevuto il sostegno del capo del suo staff, Andriy Yermak, il quale ha dichiarato: “La Russia non ha più i mezzi per intimidire il mondo, se non attraverso il ricatto nucleare. Ma questi strumenti non funzioneranno”.

Dall’altra parte dell’Atlantico, l’amministrazione Biden mantiene una posizione ferma. Bill Burns, direttore della CIA, ha recentemente ridimensionato le minacce nucleari di Putin, invitando i Paesi occidentali a non cedere al ricatto: “Non possiamo permetterci di farci intimidire da questo rumore di sciabole”, ha dichiarato Burns.

Anche in Europa, i toni sono stati duri. Il ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, ha commentato: “Le minacce nucleari di Putin sono irresponsabili e pericolose. Non ci lasceremo intimidire. La comunità internazionale deve rimanere unita nel condannare qualsiasi uso di armi di distruzione di massa”. In Francia, il presidente Emmanuel Macron ha ribadito l’impegno della NATO e dell’Unione Europea a sostenere l’Ucraina: “Non permetteremo che la sicurezza europea sia minata dalle minacce di Putin. La risposta a qualsiasi attacco sarà ferma e collettiva”.

Nel frattempo, la diplomazia statunitense e europea sta cercando di evitare che la situazione degeneri ulteriormente, ma il clima di tensione resta altissimo. Con il conflitto che si intensifica e l’Ucraina che continua a guadagnare terreno, il rischio di un’escalation nucleare diventa una minaccia sempre più concreta, rendendo ancora più cruciale il ruolo delle istituzioni internazionali e dei leader mondiali nella ricerca di una soluzione diplomatica che scongiuri scenari catastrofici.

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Scandalo a New York: Il Sindaco Eric Adams al centro di un’indagine Federale

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Accuse di corruzione e legami sospetti con la Turchia scuotono l’amministrazione della “Grande Mela”

Il sindaco di New York, Eric Adams, si trova al centro di una bufera giudiziaria senza precedenti. Fonti autorevoli rivelano che il primo cittadino della metropoli statunitense è stato formalmente incriminato per almeno un reato federale, in seguito a un’indagine condotta dalla procura di Manhattan.

L’inchiesta, durata diversi mesi, ha puntato i riflettori sui presunti legami di Adams con funzionari e imprenditori turchi, nonché su alcune donazioni ricevute durante la sua campagna elettorale. Nonostante le specifiche accuse non siano ancora state rese pubbliche, la notizia ha scosso profondamente l’opinione pubblica newyorkese.

Adams, ex capitano della polizia di New York, ha sempre respinto ogni addebito, dichiarando di aver sempre agito nella piena legalità. In una recente dichiarazione, il sindaco ha affermato: “Ho sempre saputo che difendere gli interessi dei newyorkesi mi avrebbe reso un bersaglio. Se venissi accusato, ribadisco la mia innocenza e combatterò con tutte le mie forze per dimostrarlo.”

Secondo quanto emerso, il sindaco avrà alcuni giorni per consegnarsi spontaneamente alle autorità. Nel frattempo, l’atmosfera a Gracie Mansion, residenza ufficiale del primo cittadino, è tesa ma determinata. Adams, apparentemente imperturbabile, continua a sostenere di voler “fare un passo avanti, non indietro” di fronte a questa crisi.

L’incriminazione rappresenta un duro colpo per l’immagine di Adams, che si era presentato come il volto nuovo del Partito Democratico, promettendo un approccio deciso contro il crimine e un rilancio della città dopo la pandemia. Tuttavia, le sue difficoltà nell’affrontare sfide cruciali come la crisi migratoria e la sicurezza nella metropolitana, unite a critiche sul suo stile di vita notturno e su alcune scelte di spesa pubblica, avevano già minato la sua popolarità.

L’indagine ha coinvolto anche figure chiave dell’amministrazione cittadina. Negli ultimi mesi, diversi collaboratori di Adams, tra cui vicesindaci e alti funzionari, sono stati oggetto di perquisizioni e sequestri di dispositivi elettronici da parte degli investigatori federali.

Il caso ha preso una svolta decisiva lo scorso anno, quando gli agenti dell’FBI hanno perquisito l’abitazione di Brianna Suggs, responsabile della raccolta fondi per la campagna di Adams. Successivamente, anche il sindaco stesso ha dovuto consegnare i propri dispositivi elettronici agli inquirenti.

L’indagine si è concentrata anche sui legami di Adams con la comunità turco-americana e sui suoi frequenti viaggi in Turchia. Il sindaco ha sempre sottolineato la trasparenza di questi rapporti, affermando di aver visitato il paese almeno sei o sette volte e di aver firmato accordi di gemellaggio durante il suo mandato come presidente del borough di Brooklyn.

Mentre la città attende sviluppi, cresce la pressione politica su Adams. Sebbene non sia legalmente obbligato a dimettersi, la sua posizione potrebbe diventare insostenibile. In caso di dimissioni, il ruolo di sindaco passerebbe temporaneamente al difensore civico della città, Jumaane Williams, in attesa di elezioni speciali.

Questo scandalo non solo mette in discussione il futuro politico di Eric Adams, ma getta un’ombra sull’intera amministrazione di New York, sollevando interrogativi sulla trasparenza e l’integrità del governo cittadino in uno dei centri finanziari e culturali più importanti del mondo.

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Kamala Harris sfida Trump: nuovo dibattito il 23 ottobre sulla CNN

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La vicepresidente conferma il confronto e supera l’ex presidente nella raccolta fondi di agosto, ma resta prudente sui sondaggi

Kamala Harris ha accettato di partecipare a un nuovo dibattito con Donald Trump sulla CNN, fissato per il 23 ottobre. La responsabile della sua campagna elettorale, Jen O’Malley Dillon, ha dichiarato che la vicepresidente è pronta per questa nuova occasione e che Trump non dovrebbe avere difficoltà a partecipare. Harris ha confermato la sua partecipazione anche con un post su X, esprimendo entusiasmo per questo secondo confronto e sperando che Trump accetti l’invito.

Harris supera Trump nella raccolta fondi di agosto

Nel mese di agosto, Kamala Harris e i democratici hanno raccolto 257 milioni di dollari, più del triplo rispetto ai 85 milioni di Donald Trump, secondo i dati della Federal Election Commission. Questo ha permesso a Harris di iniziare gli ultimi due mesi di campagna prima delle elezioni di novembre con 286 milioni nelle casse, contro i 214 milioni di Trump e del Partito Repubblicano. La campagna di Harris ha praticamente speso tutto quanto raccolto, con uscite pari a 258 milioni, mentre Trump ha speso addirittura più di quanto ha raccolto, con 121 milioni di dollari di spese.

Sondaggi: Harris in vantaggio su Trump

Per la prima volta dalla fine di agosto, Kamala Harris risulta in vantaggio su Trump a livello nazionale, secondo le previsioni di Nate Silver. L’analista dà Harris al 48,9% contro il 46,1% di Trump, evidenziando un lieve margine in una competizione comunque molto serrata. Harris è data in vantaggio anche in stati chiave come Pennsylvania, Wisconsin, Michigan, Nevada e Minnesota, mentre Trump la supera in North Carolina, Georgia e Arizona.

Nonostante i continui cambiamenti nei sondaggi, Harris ha esortato i suoi sostenitori, durante un comizio in Wisconsin, a non dare troppa importanza ai risultati delle indagini demoscopiche. “Mancano 46 giorni alle elezioni”, ha detto, “e sarà una battaglia serrata fino all’ultimo. Non facciamoci distrarre dai sondaggi, perché siamo ancora gli sfavoriti e c’è tanto lavoro da fare”.

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