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LA BOLDRINI COLPISCE ANCORA
DI ROBERTO RAGONE
È di questi giorni la notizia del recepimento, alla regione Sardegna, di un articolo relativo allo sviluppo delle politiche di genere e alla revisione del linguaggio amministrativo, contenuto nella recente legge sulla semplificazione. È quindi prescritto, negli atti ufficiali, l’uso dei termini ‘assessora’, ‘avvocata’, ‘sindaca’, ‘prefetta’, ‘consigliera’, ‘commissaria’ e così via. Se a qualcuno suona male, sappia che a protezione del femminile a tutti i costi c’è un’esponente – o esponenta? – dell’Accademia della Crusca, la professoressa Cecilia Robustelli. La quale, fra l’altro s’è complimentata con l’autrice – o autora? – dell’emendamento passato in Consiglio Regionale Annamaria Busia, valente – o valenta? – avvocata del Centro democratico. Pare, da studi approfonditi, che l’uso del femminile risulti tanto più cacofonico, quanto più la persona a cui è attribuito avanza di livello nella scala professionale. E comunque i nuovi termini sono decisamente brutti, anche se con il placet della Crusca. Sono comunque riconosciuti all’Amministrazione sei mesi di tempo per adeguarsi alle nuove norme, adottando – cit. – “un linguaggio rispettoso dell’identità di genere, mediante l’identificazione sia del soggetto femminile che del soggetto maschile negli atti amministrativi, nella corrispondenza e nella denominazione di incarichi, di funzioni politiche e amministrative”. Se oggi il linguaggio di genere è nell’agenda politica, il merito – manco a dirlo – è di Laura Boldrini, presidenta della camera dei Deputati, secondo la quale utilizzare il termine al maschile è una sottile forma di disconoscimento e di discriminazione. Vogliamo tranquillizzare la Boldrini, che non manca di iniziative a favore delle donne: non esiste un solo genere, come lei teme che accada, e come ha con voce strozzata enunciato in televisione. Siamo coscienti della presenza della donna, anche se mancasse la sollecitudine di cotanto personaggio a rammentarcela. Come potremmo farne a meno, essendo essa una nostra costola? Metaforicamente indispensabile alla nostra esistenza – e non solo metaforicamente? Non tema, signora Boldrini, ormai la donna ha ottenuto la parità con l’uomo, anche se a volte pensiamo che per ottenerla abbia perso un po’ del suo carisma, avendo dovuto discendere qualche scalino pur di raggiungerla. Lei, nel suo zelo femminista, ha perfino voluto – e le è stato concesso, – creare una Sala delle Donne in Palazzo Chigi. Non sono più i tempi in cui le suffragette sacrosantamente manifestavano in piazza, affinchè alle donne venissero riconosciuti i diritti fondamentali, non ultimo quello del voto. Oggi ci sono altre leve. È sacrosanto il diritto della donna di essere considerata professionalmente al pari dell’uomo, con uguale retribuzione. È sacrosanto non essere discriminata e oggetto di stalking e di violenze. È sacrosanto che la donna scelga liberamente cosa fare della sua vita, se dedicarla alla famiglia, in quanto sostegno insostituibile di essa e della società creata con il matrimonio, o dedicarla invece ad una carriera professionale o politica. È sacrosanto che scelga il suo partner per il matrimonio, all’età giusta: non è sacrosanto che venga sposata a otto anni ad un uomo di quaranta, come accade nell’Islam. Non altrettanto sacrosanta è la pretesa proprietà dell’utero e del suo contenuto: un aborto è sempre un omicidio. Oggi le donne sono riconosciute in ogni campo della scienza, dell’arte, dell’imprenditoria, e quindi tutti siamo ben coscienti del loro ruolo. La invito, cara presidenta, a rinfoderare le unghie del suo femminismo esasperato. Il femminismo andava bene quando c’erano diritti da rivendicare. Il sofisma, l’esagerazione, portano all’abuso. E l’abuso non è mai equilibrato. Si tranquillizzi, signora Boldrini, nessuno vuole discriminare la sua femminilità: purchè non lo faccia lei stessa con simili iniziative.
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