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Editoriali

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PERCHE’ IL NOBEL A BOB DYLAN SECONDO ME


DI ROBERTO RAGONE


Ancora una volta gli snob e parrucconi italiani, ammantati di finta cultura, hanno fatto la loro brutta figura. Sabato mattina, in TV, insieme al collega de L'Espresso Riccardo Bocca, un signore di cui preferisco tacere il nome ha detto che 'non ha mai visto in treno qualcuno leggere le canzonette di Bob Dylan', mostrando tutto il pregiudizio e l'ignoranza – etimologicamente intesa – tipica di chi ritiene di essere proprietario del Verbo. Bob Dylan non è 'soltanto' un cantautore, autore di 'canzonette', come qualcuno lo ha voluto intendere e come questo signore lo ha definito. Devo dire che neanche io ho mai visto sul treno qualcuno leggere la sceneggiatura di 'Mistero Buffo'. Ma nessuno s'è mai sognato, in Italia, di contestare il Nobel ricevuto da Dario Fo. Joan Baez e Bob Dylan sono fra i cantanti che più hanno avuto significato nell’animo dei ragazzi degli anni ’60. Joan Chandos Baez, è nata a New York il 9 gennaio del 1941, ed è ancora oggi un’attivista pacifista e cantautrice. Bob Dylan, all’anagrafe Robert Allen Zimmermann, nato a Duluth, Minnesota il 24 maggio del 1941, è un cantautore e compositore americano. E' anche pittore, scultore, poeta, attore, scrittore e conduttore radiofonico; una delle figure più importanti in campo musicale, in quello della cultura di massa e della letteratura, a livello mondiale. La sua biografia è zeppa di premi e riconoscimenti del livello più alto. Sarebbe noioso elencare tutti i premi e i riconoscimenti che ha ricevuto. Basti dire che ha messo insieme 8 Grammy Awards, un Premio Oscar per la canzone 'Things have changed', dal film 'Wonder boys' e un Golden Globe Awards per la stessa canzone. Il Polar Music Prize – l'equivalente di un Oscar musicale -, un paio di 'Hall of fame', un Premio Pulitzer con menzione speciale – che di solito si da' a chi scrive – una laurea 'Honoris Causa' in musica a Princeton, un'altra uguale a S. Andrews University in Scozia, e così via. Il primo volume della sua autobiografia 'Chronicles Volume 1', – parte di una annunciata trilogia –  pubblicato nell'ottobre del 2004, ha raggiunto la seconda posizione nella classifica dei libri del New York Times, esclusa la narrativa, ottenendo la nomination per il National Book Award. Amazon.com e Barnes & Noble hanno segnalato il libro in testa alle loro classifiche. L'editore Simon & Schuster ha confermato nel 2008 che Dylan sta lavorando al secondo volume. Purtroppo nessuna notizia di Dylan è mai arrivata al grosso pubblico in Italia. Questo è il motivo per cui vediamo questo premio come un coniglio dal cappello. Un premio che a noi Italiani ci fa pensare a Pirandello, Carducci, Grazia Deledda, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, e Dario Fo. Non conosciamo l’opera diffusa e poliedrica di Dylan, e questa assegnazione ci ha colti di sorpresa. Ma è un po’ nel carattere dell’uomo defilarsi, anche in questo caso. Pare infatti che la direzione del Premio Nobel non riesca a mettersi in contatto direttamente con lui, ma riesca a parlare solo con il suo agente. Il timore è che Bob Dylan non intervenga alla cerimonia di premiazione, e questo sarebbe perfettamente in sintonia col carattere dell’uomo. Comunque noi che eravamo giovani negli anni 60 vediamo Dylan in una luce particolare, cone le sue canzoni che hanno accompagnato i nostri primi amorazzi, ma che nello sfondo avevano il sapore amaro  della tragedia del Vietnam.  Negli anni ’60 vivevamo quell’età meravigliosa che si chiama adolescenza, quando si incomincia ad aprire gli occhi su tutto ciò che ci circonda, e si incomincia a vederlo in una luce nuova, diversa. Quando la tempesta ormonale inevitabilmente incombe, e incominciamo a scoprire come pregi anche i difetti delle ragazzine che prima guardavamo con indifferenza. Noi che ci basta ascoltare un paio di accordi di una delle canzoni i cui dischi in vinile a 45 giri abbiamo consumato sul giradischi;  tutti i sogni ritornano a galla, con tutte le fantasie che avevamo da ragazzi,  spariscono tutte le brutture, e rimangono solo i bei ricordi. Calzine corte, bianche, gonne a campana, viso pulito, scarpe basse. E la voce di Bob Dylan e Joan Baez. La canzone che è un ‘must’ è decisamente quella che è rimasta come un manifesto del pacifismo e dei ragazzi che perdevano la vita in Vietnam: Blowing in the wind. Era un periodo di grande fermento, un periodo in cui noi ci 'permettevamo' di contestare tutto l'establishment degli adulti, rivoltandolo come un tavolo da poker. Tutto ciò che prima era proibito divenne segno di una rivoluzione totale, e fu permesso, compresa la cannabis. Ci fu una grande riunione di figli dei fiori a Woodstock, più precisamente a Bethel, una cittadina nella contea di Ulster, nello stato di New York, a cui parteciparono centinaia di migliaia di quelli che allora si chiamavano hippies. Il termine viene da hipster, che è usato per descrivere giovani bohemien della classe ricca e media: infatti non fu la rivoluzione dei poveri verso i ricchi, ma verso una mentalità ormai da scuotere e cambiare. L'altra epica riunione, che pare continui ancora con cadenza annuale, fu all'isola di Wight, celebrata anche da canzoni dell'epoca. Gli anni ’60 videro la rivoluzione sessuale, i movimenti pacifisti e l’uso diffuso della cannabis. Queste righe non vogliono giustificare l'uso dello spinello, nè dargli una patente rivoluzionaria.  L'abitudine venne soprattutto dai ragazzi tornati dal Vietnam, dove l'uso di droga era una cosa normale, soprattutto per superare lo shock della guerra.  Il tutto sullo sfondo di quella tragedia senza sbocco che fu il Vietnam, in dispregio della vita di tanti ragazzi che la vita la lasciarono lì, nella giungla e nelle paludi, insieme a tutti i loro sogni e le loro aspirazioni. La voce di Dylan e Baez scorreva rauca e un po’ stonata su di noi, un grido di protesta e di dolore per tante vite perse inutilmente in un paese lontano. Quella chitarra suonava proprio come quella che avevamo anche noi, più fortunati, da suonare in cerchio attorno al fuoco, in campeggio. Con tre accordi potevi suonare tutte le canzoni dei favolosi Sixties. Affascinante era anche pensare che “la risposta, amico mio, fluttua nel vento", e che nel vento l'avremmo dovuta cercare, e che nel vento l'avremmo trovata. L’adolescenza è l’età delle domande, tante volte senza risposte. Pensare che la risposta che noi cerchiamo ai perché della vita possa essere nel vento, è decisamente affascinante. Rimane, oggi, un Nobel attribuito ad un artista poliedrico, che ha segnato un’epoca in modo indelebile, insieme a Jack Kerouac e Allen Ginsberg. Era la controcultura, contrapposta alla cultura ufficiale e guerrafondaia delle istituzioni. Chi arriverà dopo di noi e vorrà studiare il fenomeno hippie non potrà prescindere da Bob Dylan e Joan Baez. Per descrivere cos’era il movimento non basterebbero le pagine di questo giornale. Accontentiamoci di sapere che il Nobel non è stato assegnato impropriamente, ma con coraggio ad un artista che ha vissuto sempre un po’ in disparte,  lontano dai grandi riflettori dei media. Ecco, Bob Dylan è tutto questo. Un artista che anche noi in Europa faremmo bene a riscoprire, se non a scoprire.

 

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