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Editoriali

BASILICATA, DONNE E PARI OPPORTUNITÀ: 70 ANNI DALLA CONQUISTA AL VOTO, 70 ANNI DI ARRETRATEZZA

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Tempo di lettura 2 minuti "Realtà, le nostre, che tradiscono la storia, le conquiste e le lotte delle madri costituenti"

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di Domenico Leccese
Potenza – Quest'anno la Festa delle Donne ha coinciso con la ricorrenza del settantesimo anniversario del primo voto delle donne in Italia. Dopo anni di battaglie e nettamente in ritardo rispetto alle altre donne europee e statunitensi, il 10 marzo del 1946  le donne italiane furono chiamate al voto per la prima volta. 
E così la Basilicata a tutt'oggi è ancora un esempio di arretratezza in tema di rappresentanza di genere nelle istituzioni locali. Una regione, come affermato dalla stessa la Presidente della Camera, dove “la voce delle donne non c’è”.

Sull'importante tematica interviene l'avvocato Luisa Rubino Commissione Pari Opportunità Centro Democratico della Regione Basilicata

Dopo l’8 Marzo 2016 e la giornata internazionale dedicata alla donna, qual'è il compito della Commissione Pari Opportunità Centro Democratico della Regione Basilicata?
Dopo l’8 Marzo e la giornata internazionale dedicata alla donna, la Commissione pari opportunità del Centro Democratico vuole proseguire il clima di attenzione in relazione ad un importante anniversario. Era il 10 Marzo 1946 e, per la prima volta in una nazione ancora segnata dal dopoguerra, le donne italiane si allontanavano dal focolare domestico per recarsi alle urne.

Ricordiamo l'anniversario del 10 marzo 1946.

Per la prima volta, mosse da entusiasmo e senso di responsabilità, le DONNE esercitavano il diritto di voto. La guerra e la resistenza, dunque, stavano cambiando la natura della democrazia e la natura della sfera privata e della sfera pubblica.

Il 10 marzo 1946 è una data importante?
Una data importante non solo per ricordare, ma anche per riflettere su quanta strada ancora le donne devono fare per la vera affermazione della vita paritaria. Il processo di crescita, iniziato da battaglie lontane e rigorose, è ancora tutto in divenire.

Dopo 70 anni cosa è cambiato realmente?

Sono trascorsi settanta anni dalla conquista del suffragio universale e la società, oggi, ci rimanda realtà di donne ancora troppo discriminate nel mondo del lavoro, più esposte alla violenza rispetto agli uomini e meno presenti nelle istituzioni politiche.

La  Regione Basilicata come è rappresentata?

Recentemente la Presidente della Camera, ha citato la Basilicata come esempio di arretratezza in tema di rappresentanza di genere nelle istituzioni locali: una regione, ha affermato, dove “la voce delle donne non c’è”. Il mondo della politica è ancora lontano dal considerare la rappresentanza di genere un dato naturale e scontato e, se progressi ci sono stati nell’arco degli anni, sono il risultato della introduzione di specifici obblighi di legge, spesso inspiegabilmente disattesi. Norma e prassi, infatti, non camminano di pari passo: una distanza grave ed inspiegabile che di sovente Tar e Consiglio di Stato sono chiamati a risolvere.

Esempi concreti, la composizione della Giunta Comunale di Potenza?
A riguardo ne è un esempio la composizione della giunta del Comune della città di Potenza, viziata di illegittimità a fronte della mancata applicazione del principio di parità di genere e silente dinanzi alle sollecitazioni di intervento in tal senso. Realtà, le nostre, che tradiscono la storia, le conquiste e le lotte delle madri costituenti. Per questo, oggi come allora, il traguardo tagliato nel 1946 costituisce l’occasione per nuovo impulso verso la sostanziale democrazia paritaria.
 

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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