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BANDA DELLA MAGLIA VI

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Tempo di lettura 4 minuti Roma è cambiata e la storia della Banda della Magliana rimane uno dei capitoli più neri della storia italiana densa e impregnata di mistero.

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Angelo Barraco

23 giugno 1986, a quasi 3 anni dalla prima deposizione di Lucioli, la Corte D’Assise condanna in primo grado 37 imputati su 60. La sentenza riconosce principalmente il traffico di stupefacenti, la metà di loro tornano liberi, compreso Enrico De Pedis. La condanna più pedante va ad Edoardo Toscano, dovrà scontare 20 anni di carcere per omicidio. La battaglia con la giustizia è stata vinta ma una nuova minaccia arriva da un affiliato che fino a quel momento aveva agito nell’ombra, si chiama Claudio Sicilia detto “il vesuviano”. Claudio Sicilia è tra i pochissimi scampati all’arresto del 1983, con i compagni in carcere ha preso le redini dell’organizzazione. La sua reggenza finisce nell’autunno del 1986, anno in cui viene arrestato. Temendo per la sua incolumità, Sicilia decide di parlare e conferma i racconti degli altri pentiti e aggrava le posizioni degli altri compagni. Lui parla delle finte malattie di Abbatino. Abbatino vuole riprendere il controllo dell’organizzazione cercando l’appoggio negli amici di sempre, ma viene ignorato. Ha capito che ha Roma non ha più alleati ma nemici. Il 23 dicembre del 1986 Abbatino, che era ricoverato a Villa Gina da molti mesi, evade dalla villa tramite il supporto di lenzuola. Si da alla latitanza e fa perdere le sue tracce, a regnare sulla capitale adesso c’è soltanto De Pedis. 17 marzo 1987, pochi mesi dopo l’evasione di Abbatino, la procura di Roma emette 91 ordini di cattura contro le persone chiamate in causa da Claudio Sicilia. Sembrerebbe la svolta, ma De Pedis e compagni hanno preso le dovute precauzioni.

Secondo Sicilia la Banda è riuscita a corrompere persino i tribunali, ma le sue parole cadono nel vuoto. Quello stesso tribunale che ha accusato respinge le sue dichiarazioni, Sicilia rimane un uomo solo e i suoi compagni, che verranno scarcerati poco dopo, lo metteranno a tacere il 18 novembre 1991 all’Eur, ucciso in un negozio. 14 giugno 1988, gli uomini della Banda della Magliana attendono l’ultimo grado di giudizio di un processo che li vede imputati per reati gravi. Come sempre trovano la strada per uscire liberi. La Corte di Cassazione, presieduta dal Giudice Corrado Carnevale soprannominato “Il giudice ammazza sentenze”, demolisce l’intero impianto accusatorio del processo, le condanne saltano. I ragazzi finalmente sono liberi, Enrico De Pedis si mette a caccia dei suoi nemici. Il suo primo obiettivo è la persona che durante gli anni del carcere ha provato a mettersi contro di lui, ovvero Edoardo Toscano “l’operaietto”.  Mancini racconta che Toscano era andato da un fornaio usuraio per investire cinquanta milioni, De Pedis ha chiesto all’usuraio di avvisarlo non appena fosse arrivato Toscano e in cambio avrebbe dato i cinquanta milioni di Toscano più altri cinquanta milioni di tasca sua, e il fornaio ha accettato. La mattina in cui Toscano si recò presso questo fornaio-usuraio, è arrivata questa moto con a bordo due persone: Angelo Cassani detto “Ciletto” e Angelici, e gli hanno sparato in testa il 16 marzo 1989 ad Ostia.

Agli inizi degli anni 90 De Pedis gestisce un impero economico, a Roma è diventato un intoccabile. A Roma nessuno osa colpirlo, tranne chi voleva vendicare la morte di Toscano. Colafisci all’interno dei manicomi conosce due Toscani, Colafigli voleva uccidere De Pedis e queste persone si adoperano per compiere l’omicidio. Per completare l’opera però ci vuole l’esca giusta, Colafigli come esca per De Pedis convince a collaborare, sotto minaccia, un piccolo criminale amico di del boss di Testaccio. Questa persona prende appuntamento con De Pedis a Campo dei Fiori, usando come pretesto un affare di quadri poiché De Pedis ormai si interessava anche di arte. 2 febbraio 1990, Via del Pellegrino, è il giorno dell’appuntamento di De Pedis per l’affare, De Pedis arrivato in quel luogo ha capito che non era una questione di quadri ma era una vendetta, allora salì in moto e tentò la fuga, una moto gli si è avvicinata e ha iniziato a sparare ed è morto Enrico De Pedis.
Con la sua morte la Banda della Magliana non esiste più. La polizia da anni, da la caccia ad Abbatino, ultimo cane sciolto e pericoloso boss. Abbatino è cercato sia dai suoi ex compagni che dalla polizia, gli ex compagni lo vogliono trovare prima della polizia e potrebbe rivelarsi pericoloso poiché nasconde molti segreti. Per gli ex compagni della Banda, per stanare Abbatino c’è un solo modo, far parlare i familiari. Roberto Abbatino, fratello del boss, è la vittima prescelta. 18 marzo 1990, il corpo di Roberto Abbatino emerge dal tevere, colpito da 30 coltellate. Lo hanno ucciso per sapere da lui dove si trovasse il fratello, ma non ha parlato e ha parlato con la morte.

31 dicembre 1991, la polizia intercetta Abbatino che chiama la madre presso il quartiere Magliana. E’ una svolta! In mezz’ora la polizia ha l’indirizzo di Abbatino. Abbatino è a Caracas, in Venezuela. In tutti questi anni si è rifatto una vita Abbatino, stringendo contatti con la piccola criminalità locale e lo spaccio di droga. Quando Abbatino vede la polizia italiana non oppone resistenza, ma sorride. 4 ottobre 1992, Abbatino arriva in Italia, in manette. Torna in Italia con l’intento di vendicarsi, ma a modo suo per la vendetta del fratello. 16 aprile 1993, scatta l’operazione Colosseo, 500 agenti della squadra mobile si sparpagliano per Roma, vengono effettuati 56 arresti e vengono sequestrati alla Banda della Magliana ottanta miliardi di lire in beni mobili e immobili. L’accusa è associazione a delinquere. Per anni, Abbatino, Mancini e Moretti diventano testimoni in aule di tribunali dei più oscuri misteri d’Italia. Il processo alla Banda della Magliana si conclude con pesanti condanne, questa volta i boss non godono di nessuna protezione.
I protagonisti di questa vicenda, ancora superstiti, hanno quasi saldato il conto con la giustizia e anche Roma è cambiata e la storia della Banda della Magliana rimane uno dei capitoli più neri della storia italiana densa e impregnata di mistero.  
 

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Roma, aggressioni e borseggi in metro. Riccardi (UdC): “Linea più dura per garantire la sicurezza pubblica”

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“Ci troviamo ad affrontare un problema che il Governo non può più ignorare: i borseggiatori operano impuniti nelle metropolitane di Roma. Questa situazione è inaccettabile e richiede un intervento deciso e immediato. Ritengo che la sicurezza dei cittadini debba essere una priorità assoluta e che la moderazione non significhi inazione”.
È assai dura la reazione del commissario cittadino di Roma Capitale dell’UdC, il dottor Roberto Riccardi, circa le continue, ripetute aggressioni e borseggi nella Capitale.

Dottor Riccardi secondo Lei dove bisogna intervenire in fretta nella legislazione italiana in tale materia?
I recenti episodi di furto nei mezzi pubblici mettono in luce una legislazione troppo permissiva. La normativa attuale, che prevede l’intervento delle Forze dell’Ordine solo su querela dei borseggiati, è del tutto inefficace. Questo non solo rallenta l’intervento delle autorità, ma spesso disincentiva le vittime a denunciare, sapendo che le conseguenze per i borseggiatori saranno minime o inesistenti.
Le leggi attuali non sono sufficienti per contrastare efficacemente questo fenomeno. È necessario un cambio di rotta deciso.

il commissario cittadino UdC di Roma Capitale, dottor Roberto Riccardi

E cosa può fare in più, in questo frangente, l’organo giudiziario?
Bisogna smettere di essere troppo indulgenti con i delinquenti. Va adottata una linea più dura per garantire la sicurezza pubblica.
Lei rappresenta uno dei partiti di governo nazionale. Esiste una vostra “ricetta” in merito?
Ecco le misure che proponiamo; arresto obbligatorio per i borseggiatori con l’introduzione dell’arresto obbligatorio per chiunque venga colto in flagrante a commettere furti nei mezzi pubblici. Questo deterrente è essenziale per scoraggiare i delinquenti e proteggere i cittadini.
Modifica della normativa vigente; bisogna consentire l’intervento delle Forze dell’Ordine anche in assenza di querela da parte della vittima, permettendo un’azione tempestiva e decisa contro i borseggiatori.
Inasprimento delle pene ed introduzione di sanzioni più severe per i reati di furto, specialmente quando commessi in luoghi pubblici e affollati come le metropolitane.
Campagne di sensibilizzazione informando i cittadini sui loro diritti e sull’importanza di denunciare ogni atto di borseggio, contribuendo così a creare una comunità più sicura e coesa.
Ma Lei crede che con tali misure si possa mettere un argine alla questione che preoccupa non solo i romani ma le decine di migliaia di turisti che ogni giorno arrivano nella capitale?
Non possiamo più permetterci di essere indulgenti. Dobbiamo agire con fermezza per garantire la sicurezza di tutti i nostri cittadini.
Le Forze dell’Ordine devono essere messe nelle condizioni di poter agire senza ritardi e senza ostacoli burocratici.
Dobbiamo essere determinati nello spuntare le armi dei buonisti ed a ripristinare la legalità nelle nostre strade e nelle nostre metropolitane. Solo con un intervento deciso e risoluto potremo garantire una Roma più sicura e vivibile per tutti.

Risposte chiare e concrete quelle del commissario cittadino UdC di Roma Capitale Roberto Riccardi.
Ci auguriamo che questa volta la politica affronti davvero con tale determinazione questa assenza di sicurezza per i romani e per le migliaia di turisti che si apprestano a giungere nella Capitale per l’imminente apertura, il 24 dicembre 2024, dell’Anno Giubilare.

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