FIUMICINO: UN INCENDIO HA MINACCIATO L'AEROPORTO. PISTA 1 CHIUSA

 

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di Silvio Rossi

Un altro incendio a Fiumicino ha messo in difficoltà i voli dall’Aeroporto Leonardo Da Vinci. Questa volta però il sistema di sicurezza dell’aerostazione non c’entra nulla. A bruciare è la vegetazione che si trova oltre le recinzioni della struttura, nei pressi di via Coccia di Morto, la strada che costeggia l’aeroporto dal lato del mare, e che è stata chiusa al traffico. L'incendio di oggi la cui conseguenza è stato il blocco dei decolli aerei a Fiumicino "ha interessato alcune zone limitrofe allo scalo, ma esterne al perimetro aeroportuale". Lo riferisce in una nota l'Enac, spiegando che si sta lentamente tornando alla normalità.

In particolare, spiega l'ente, "i voli in partenza sono stati interdetti in quanto la pista 2 è stata chiusa dalle ore 14:20 alle ore 15:45. La pista 3, quella solitamente dedicata agli atterraggi, è sempre stata operativa. La pista 1, invece, è rimasta chiusa per consentire le attività di spegnimento dell'incendio. Dalle ore 15.45 circa lo scalo di Fiumicino sta riprendendo lentamente a operare con flussi ritardati per non interferire con i mezzi aerei utilizzati per le operazioni di spegnimento dell'incendio". 

 


Il denso fumo che si è sprigionato ha però creato notevoli problemi al traffico aereo, che è stato prudentemente interrotto. L’incendio ha interessato un tratto di pineta, ma sembra non mettere direttamente a rischio le strutture aeroportuali. Il fronte delle fiamme è comunque molto esteso, e ha reso necessario l’intervento di Vigili del Fuoco, Protezione Civile, che hanno chiesto l’ausilio di un Canadair.
Le fiamme hanno interessato anche un deposito di auto, che sono andate parzialmente distrutte.

 


Il sindaco di Fiumicino, Esterino Montino, è intervenuto sul posto, e ha valutato particolarmente grave la situazione. I disagi sono previsti per tutta la serata odierna.

 

 

 

(foto: Twitter)




PAPA FRANCESCO: ANGELUS COL TABLET

di Silvio Rossi

Affacciato alla finestra per l’Angelus, come tutte le domeniche, anche questa volta papa Francesco è riuscito a stupire i fedeli assiepati a Piazza San Pietro. A un certo punto ha fatto affacciare al suo fianco due ragazzi, poi ha preso un tablet, definendolo “questo apparecchio elettronico”, nel suo italiano dal simpatico accento castigliano, e si è iscritto online alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù, argomento della giornata.
Un uso della tecnologia che contribuisce allo svecchiamento della Chiesa che papa Francesco sta realizzando in molte forme, tradizionali e innovative. Certamente, l’approccio con lo strumento non è quello di un programmatore provetto, il Papa appare davanti al tablet come il nonno che deve controllare dove tocca lo schermo per evitare l’errore, ma questo non lo penalizza, anzi lo rende “umano” (in fondo quando si parlava di infallibilità papale non esisteva internet).
Il gesto del Papa è un esplicitare da parte del Vaticano, l’uso delle nuove tecnologie, che fino a ieri esisteva solo come messaggi lanciati da un account asettico, un “comunicato ufficiale”, che utilizzava un mezzo più moderno della telescrivente, ma che ne manteneva la struttura creativa. Per la prima volta, con questo semplice gesto si è adattato il messaggio al mezzo.

I social media e i potenti. Per primo è stato Barack Obama, nel 2008, quando mandava messaggini dal suo Blackberry, sorprendendo i media mondiali, troppo autoreferenziali per cogliere il cambiamento di portata universale nel suo vero valore. Le TV e i giornali si sono limitati a sorprendersi di come questa nuova modalità comunicativa potesse avere successo.
Alcuni anni dopo, in Italia, tra tutti i politici che hanno provato a scimmiottare il presidente americano, per mostrare la propria modernità, certamente chi ha dato l’impressione di essere più a suo agio con social network e programmi di messaggistica istantanea è il Primo Ministro Matteo Renzi, che non disdegna di twittare in diretta gli annunci che propina durante le conferenze stampa.
Il Vaticano, con tutta la prudenza che contraddistingue la comunicazione istituzionale della Santa Sede, non poteva rimanere fuori dal “villaggio globale”. Al Santo Padre è stato assegnato un account twitter, @Pontifex, anzi più account, nelle varie lingue, perché quando il Papa parla, non lo fa solamente a una ristretta cerchia di persone. Il primo tweet è stato lanciato da papa Benedetto XVI nel dicembre 2012, tre mesi prima di abbandonare il soglio pontificio. Pochi mesi dopo, quando papa Francesco ha sostituito il pontefice tedesco, i messaggi inviati da casa Santa Marta sono divenuti una consuetudine.

Ma ormai i tweet non fanno più notizia. Non catalizzano l’informazione, caratteristica in cui invece Bergoglio è maestro. Quindi come riuscire a stupire i fedeli presenti in piazza? Iscriversi alla GMG davanti alla folla festante è stato un preciso passo, nella strategia di papa Francesco per riuscire a mostrare una chiesa più umana e al passo coi tempi.




TOUR DE FRANCE. IMPRESA DI NIBALI

di Silvio Rossi

Lo squalo dello stretto ha onorato nel migliore dei modi il numero “1” che indossa sulla magia, grazie alla vittoria al Tour dello scorso anni.
Un Tour, quello del 2015, che per Vincenzo Nibali è partito in salita. Un paio di cadute nelle prime tappe hanno compromesso lo stato di forma del più forte ciclista italiano, che nelle prime tappe pirenaiche ha subito il distacco dai migliori in classifica, arrivando ad accumulare un ritardo superiore agli otto minuti, con il nono posto nella classifica generale.

Nell’ultima settimana di corsa la forma ha iniziato a tornare, e Nibali ha potuto dimostrare la sua classe, con alcune azioni che hanno costretto il leader ella corsa, Chris Froome, a inseguire il messinese per non far aumentare il distacco delle fughe. Non era riuscito però fino a oggi a suggellare questi tentativi con una vittoria di tappa.

Nella tappa odierna, forse la più dura del Tour, con la scalata de la Croix de Fer, una delle salite più impegnative, Nibali ha compiuto l’impresa, staccando tutti i migliori, e vincendo davanti a Nairo Quintana e Chris Froome, recuperando tre posizioni in classifica, giungendo ai piedi del podio (al terzo posto, dopo l’inglese in maglia gialla e al colombiano Quintana c’è lo spagnolo Aleandro Valverde).

Nibali, con la fuga odierna, ha dimostrato come la sua candidatura tra i favoriti del Tour non era un elemento illusorio, dimostrando, innanzi tutto al Direttore Sportivo dell’Astana, sua squadra, Vinokurov, che l’altro giorno aveva messo in discussione la sua leadership nel team, di che pasta è fatto.
Domani, con l’arrivo sull’Alpe D’Huez, cima amata dai corridori italiani, potrebbe riuscire a salire sul podio, recuperando un minuto e venti a Valverde, che sembra in un stato di forma non eccellente a fine tour.




MOLISE: STORIE DI LIBERTA' E DEVOZIONE

di Silvio Rossi

Sarà la giornalista dell’Osservatore d’Italia Simonetta D’Onofrio a presentare il convegno “PESCOLANCIANO 4 NOVEMBRE 1943- STORIE DI LIBERTÀ E DEVOZIONE”, organizzato dal Comune di Pescolanciano per celebrare la liberazione del paese molisano e il rapporto di fratellanza che si è creato tra i residenti e i soldati del II Corpo d’Armata Polacco, che ha stanziato in Alto Molise prima di proseguire verso nord nella campagna d’Italia.

All’incontro parteciperanno il Console della Repubblica di Polonia a Roma, Agata Ibek-Wojtasik, il Presidente della Regione Molise, Paolo di Laura Frattura, il Vescovo di Trivento, Mons. Domenico Angelo Scotti, la deputata Laura Vennittelli, il sindaco di Pescolanciano, dott. Domenico Padula.

Nell’incontro verrà ricordato in particolare il dono, effettuato dai soldati polacchi, di un quadro della Madonna di Czestochowa, molto venerata in Polonia, pochi giorni prima di riprendere l’avanzata verso il fronte. Un dono che ha suggellato l’amicizia tra due popoli che oggi vede rinascere, anche grazie al progetto di realizzazione di un Gemellaggio, che possa cementare questa amicizia.

La presenza del console polacco è il segno tangibile di come questa vicinanza non è venuta meno dopo oltre settant’anni dai fatti ricordati. La concomitanza con la festa di Sant’Anna, patrona di Pescolanciano, e molto venerata anche in Polonia, dove nella capitale Varsavia c’è una cattedrale dedicata alla santa.

Nell’ambito della manifestazione “Storie di libertà e devozione”, verranno proiettati anche due documentari, il primo, questa sera, “Con le periferie nel cuore”, realizzato da Pierluigi Giorgio, che racconta la visita di papa Francesco in Molise lo scorso anno, che verrà presentato da Simonetta D’Onofrio, e il secondo sabato sera, “I senza terra”, di Antonio Plescia, che racconta la storia del II Corpo d’Armata Polacco.




ANGELINA JOLIE RACCONTA LA CAMBOGIA

di Silvio Rossi

Per il suo quarto film da Regista, Angelina Jolie ha deciso di raccontare una storia che le è familiare. Sarà infatti ambientato in Cambogia, terra natale del figlio adottivo Maddox, e racconterà di un periodo particolarmente doloroso per quella nazione: la dittatura dei Khmer Rossi, e le devastazioni nel periodo in cui capo dello stato era Pol Pot.

Il film sarà ispirato al libro di Lpung Ung, un attivista cambogiano per i diritti umani, che da anni si batte per ricostruire la memoria storica di una delle più sanguinarie dittature del ventesimo secolo. Negli anni settanta, il genocidio cambogiano ha visto un numero di vittime che, con tutte le difficoltà nell’attribuzione esatta, varia da uno a tre milioni. Uccisi dalle numerose esecuzioni di massa e dalla carestia susseguente alla folle riforma agraria.

Non è la prima volta che la regista e attrice americana si occupa di temi delicati nei suoi film, in particolare proprio nelle scelte quando è dietro la macchina da presa. Nel 2011 infatti esordisce alla regia con “Nella terra del sangue e del miele”, ambientato nella Bosnia durante la guerra dei Balcani, e lo scorso anno ha girato e prodotto “Unbroken”, che narra una vicenda legata alla seconda guerra mondiale.

Il nuovo film è prodotto in esclusiva per Netfix, il colosso americano dello streaming, e verrà trasmesso a ottobre anche in Italia.




PIAZZA DELLA LOGGIA. UNA CONDANNA FUORI TEMPO MASSIMO

di Silvio Rossi

 

Quando ci fu l’esplosione, che provocò otto morti e più di cento feriti, ero più piccolo della mia figlia minore. L’Italia di quegli anni non aveva quasi nulla in comune con quella odierna. La strage di Piazza della Loggia, avvenuta il 28 maggio 1974, è stato uno dei più feroci atti contro lo stato italiano negli anni di piombo, una bomba piazzata durante una manifestazione antifascista in una piazza piena di persone.
La sentenza di condanna, a carico degli attivisti di Ordine Nuovo Maurizio Tramonte e Carlo Maria Maggi, giunge oggi, dopo oltre quarant’anni, un tempo inaccettabile, che non restituisce certamente giustizia a quanti, direttamente o indirettamente, sono stati danneggiati dall’episodio.
Una sentenza che, purtroppo, non rappresenta un’eccezione nelle cause relative agli attentati eversivi di quegli anni. Nel 2005 le vittime di Piazza Fontana sono state condannate a pagare le spese processuali, perché non si è arrivati a condannare nessuno, la strage di Ustica ha avuto le prime condanne quattro anni fa, le vittime dell’Italicus non hanno ancora avuto giustizia.
La proverbiale lentezza della giustizia italiana non basta a giustificare queste tempistiche inaccettabili. Il coinvolgimento di settori deviati dello stato, di Servizi Segreti che, invece di operare per la difesa dei propri cittadini, tramavano contro le istituzioni democratiche, insabbiavano le prove, costruivano prove false, è stato determinante per boicottare tutti i tentativi di giungere a una verità processuale rispondete con la realtà dei fatti.
Parlare nel 2015 della colpevolezza di personaggi che, dagli anni settata a oggi, hanno condotto una vita regolare, esercitato le proprie professioni, hanno potuto godere di protezioni, in Italia e all’Estero, come Battisti in Brasile o Zorzi in Giappone, è un puro esercizio retorico. Vedere condannato l’esecutore o il mandante di una strage che ha rischiato di generare nel nostro paese una guerra civile, quando questi ha superato gli 80 anni, e probabilmente non sconterà la sua pena se non in forme alternative non paragonabili con la sofferenza da loro inflitta a tante persone, non può certo portare consolazione ai familiari delle vittime.




CESANO: RIAPERTA IN ANTICIPO VIA DELLA STAZIONE

di Silvio Rossi

È stata riaperta nel pomeriggio di ieri Via della Stazione di Cesano, nei pressi dello scalo ferroviario, interrotta dall’11 maggio scorso per una voragine a circa cinquanta metri dalla rotatoria davanti alla stazione.

Con quattro giorni di anticipo sulla tabella programmata, cosa rara in un contesto dove troppo spesso i lavori vanno ben oltre la data prevista, ieri 20 luglio alle ore 15:00 la strada è stata riaperta, alla presenza del Presidente del XV Municipio, Daniele Torquati, degli assessori ai lavori pubblici di Comune e Municipio (rispettivamente Maurizio Pucci e Elisa Paris), e di un piccolo gruppo di cittadini che hanno voluto presenziare al fatidico momento.

“Il risultato è stato possibile grazie ad Acea e agli altri sottoservizi – ci dice Torquati – che hanno lavorato giorno e notte su tre turni, per anticipare la data di consegna dei lavori”.

"A un certo punto si era prospettato addirittura un rinvio di due settimane per la fine lavori – prosegue – proprio per le esigenze dei servizi sotterranei che dovevano predisporre le opere per bypassare la galleria sotterranea che ha generato il problema. L’apertura odierna ha dimostrato come quando tutti gli enti interessati collaborano insieme, il risultato può essere migliore rispetto alle aspettative".

La voragine ha creato diversi problemi alla circolazione stradale nella zona. La strada interessata, infatti, non è importante solo per i cittadini di Cesano che devono raggiungere la stazione ferroviaria per recarsi a Roma. Per molti cittadini di Osteria Nuova, Anguillara e Bracciano, il passaggio per Cesano rappresenta una valida alternativa a via Cassia, che nel tratto compreso tra La Storta e La Giustiniana è notevolmente congestionata. Il ripristino della circolazione sarà molto importante a settembre, quando con la riapertura delle scuole, il numero di veicoli circolanti aumenta notevolmente.




LA TASSA SULLA PRIMA CASA E GLI EQUILIBRI ECONOMICI E POLITICI

di Silvio Rossi

 

L’annuncio di Matteo Renzi all’assemblea del PD, riunita il 18 luglio nella sede dell’Expo milanese, ha ricordato quando, nella campagna elettorale del 2006, un Berlusconi indietro nei sondaggi, riuscì con un «Coup de théâtre», a recuperare gran parte del distacco, portando il risultato della consultazione in sostanziale pareggio.
La tassa sulla prima casa, introdotta da Amato nel 1992, la prima volta in forma “una tantum”, poi regolarizzata l’anno successivo, è uno dei balzelli più odiati dagli italiani. Sebbene essa sia presente nella maggior parte dei paesi europei, nella nostra nazione appare maggiormente vessatoria, perché se in molti posti la casa di proprietà è una scelta, vista la grande disponibilità di case pubbliche, in Italia una politica della casa che ha visto da sempre favorire l’edilizia privata, i residenti in case di proprietà sono quasi l’80% della popolazione.
La proposta dell’abolizione o perlomeno della forte riduzione dell’imposizione sulla prima casa è abbastanza trasversale, è stato un cavallo di battaglia della destra, ma molti settori della sinistra non disdegnano un intervento forte per rendere molto meno incisiva la tassazione, per lasciarla solo agli immobili di lusso.
D'altronde, una delle leggi che hanno caratterizzato negativamente, nell’accoglimento popolare, il governo Monti, oltre alla riforma Fornero, è stata proprio la reintroduzione dell’Imu (al posto della vecchia ICI). Provvedimento preso allora perché l’abolizione realizzata da Berlusconi nel suo governo precedente, aveva provocato un buco di bilancio che solo la tassa patrimoniale avrebbe potuto pareggiare.
La proposta renziana oggi, deve quindi essere accompagnata da un provvedimento strutturale che ne copra i costi. Solo se si riesce a trovare la copertura adeguata, l’abolizione potrà essere la chiave vincente per il premier, l’elemento che nelle passate legislature nessuno è riuscito a far equilibrare.
La tassa sulla prima casa potrebbe rappresentare quindi, per una eventuale prossima ricandidatura di Renzi a Palazzo Chigi, la carta vincente, nel caso riesca ad abolirla senza conseguenze per l’erario, o la classica zappa sui piedi, in caso contrario.




CHIAUCI: MORTO IL SINDACO CARMINE DI VINCENZO

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Chiauci (IS) – Ieri sera è venuto a mancare il sindaco di Chiauci, Carmine Di Vincenzo, eletto nelle recenti consultazioni amministrative, a capo di una lista civica. La morte è avvenuta per una crisi cardiaca improvvisa, mentre si recava in un paese vicino.
Già Presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Isernia, Carmine, sebbene fosse da molti anni residente nel capoluogo della provincia molisana, è sempre rimasto legato al paese di nascita, dove rientrava tutti i fine settimana, e dove era da molti anni un punto di riferimento per la locale Pro Loco, per le feste estive, e per mantenere vivo il ricordo delle tradizioni del paese.
Proprio per amore di Chiauci, lui che era restio alla politica, ha accettato la candidatura a sindaco nel paese che lo scorso anni vide l’arrivo del commissario prefettizio a causa della mancanza di liste alle elezioni comunali. Poco più di un mese fa, Di Vincenzo è stato nominato sindaco del piccolo borgo delle montagne dell’alto Molise.
Di Carmine si ricordano la partecipazione col gruppo folkloristico “I Cap’danniar”, con cui ha cercato di mantenere viva la tradizione delle serenate molisane, partecipando a molte iniziative in Molise e anche fuori regione. Curava anche un blog dove erano conservate una serie di testimonianze fotografiche della vita del piccolo paese, che sono state unite, lo scorso anno, in un libro da lui curato, dal titolo “Chiuci, n’danne”.
Porgiamo il nostro cordoglio alla famiglia e alla cittadinanza di Chiauci per la scomparsa.




CALCIO: ADDIO GHIGGIA, L'EROE DEL MARACANAZO

di Silvio Rossi

Uruguay – Nella città di Las Piedras, nel sud dell’Uruguay, è scomparso all’età di 88 anni il calciatore simbolo della Celeste, con cui disputò solo dodici partite, ma che divennero indimenticabili, perché grazie a una sua rete nella finale dei campionati mondiali del 1950, realizzata in quel tempio del calcio che è lo stadio Maracanà, la nazionale uruguayana vinse il suo secondo titolo mondiale (dopo quello vinto nella prima edizione mondiale del 1930).
Alcides Edgardo Ghiggia, ultimo eroe di quella nazionale che realizzò l’impresa di “rubare” la coppa sotto il naso del Brasile, con una vittoria fuori da ogni pronostico, che è passata alla storia col termine “Maracanazo”.

La finale è stata giocata il 16 luglio 1950, davanti a circa duecentomila spettatori, esattamente lo stesso giorno in cui, sessantacinque anni dopo, il campione del mondo è morto. Al termine della partita Ghiggia fu aggredito da alcuni tifosi brasiliani, tanto da essere costretto a tornare a Montevideo in stampelle, e da dover rimanere a riposo per diversi mesi. Nel 1953 il giocatore si trasferì a Roma, dove disputò otto campionati (miglior risultato un secondo posto nel 1954/55), e vinse nel 1960/61 la Coppa delle Fiere, contribuendo assieme ad altri assi sudamericani, come Schiaffino, Altafini, Sormani, Sivori, al mito degli “oriundi”, giocatori di altre nazionalità, ma di origine italiana, che hanno visto il riconoscimento della nazionalità, e hanno giocato nella nazionale azzurra.
Dopo la Roma, e una stagione al Milan, tornò a giocare in Uruguay, dove indossò gli scarpini chiodati fino all’età di 42 anni, in seguito fece l’allenatore per qualche anno. Ritirato a La Piedras, a pochi chilometri dalla capitale Montevideo, ha gestito un supermercato.
Da tutto il mondo, compreso il Brasile, sono arrivati tanti messaggi di cordoglio, tutti hanno ricordato il gol di Ghiggia che fece piangere milioni di brasiliani. Lui stesso, scherzando, disse una volta: “Solo tre persone nella storia hanno fatto zittire il Maracanã con un gesto: il Papa, Sinatra e io”.




MODA: STEFANO DOMINELLA "STRIGLIA" ALTAROMA

di Silvio Rossi

Roma – Un bilancio a metà, questo in sostanza è, per Stefano Dominella, il quadro di Altaroma, rassegna che la scorsa settimana ha visto tornare le passerelle nella capitale, con la chicca della sfilata della maison Valentino, che come avviene da oltre cinquant’anni, ha incantato i presenti.

La sfilata della casa di moda è stata l’anteprima dell’edizione 2015 di Altaroma, e certamente ne ha rappresentato anche il momento clou, con lo scenario di piazza Mignanelli, dove ha la residenza romana lo stilista, a fare da cornice alle splendide creazioni agli abiti disegnati dal marchio.

Per Dominella, che ha iniziato la sua carriera nella moda a fianco di Gattinoni, e che ha dimostrato negli anni di avere un talento sotto il punto di vista organizzativo e di controllo, partecipando attivamente a molte iniziative nate per divulgare al pubblico il concetto di bellezza legato alla moda, e ricoprendo diverse cariche dirigenziali negli organismi legati al comparto (è presidente della Commissione di “Unindustria” per le attività di sviluppo e promozione della moda nel Lazio), Altaroma è un mezzo che ha una grande potenzialità, ma che forse non viene sfruttata adeguatamente.

Roma è una città che merita molto, che può fare molto, ma nella moda, come d’altronde in tutti i settori, bisogna lavorare sodo, avere un progetto valido, e soprattutto non adagiarsi sugli allori. Se volessimo concentrare il senso di quanto ci ha raccontato Dominella, solo impegnandosi al massimo, con un progetto valido, si può far si che Roma abbia nella moda lo spazio che merita.

Per questo motivo i suoi suggerimenti sono dei pungoli che gli organizzatori delle sfilate romane devono prendere come punti di partenza per migliorare, perché non si può dilapidare un patrimonio rappresentato dal lavoro degli artigiani, dalla bellezza degli spazi che la città può mettere a disposizione per l’alta moda.

Roma è stata da qualche anno defilata rispetto alla moda. Si può dire che quest’anno ha ripreso a puntare sulla moda?

Diciamo no! Diciamo che grazie a Valentino, quest’anno, Roma ha rivissuto un momento importante di moda, bisogna vedere senza Valentino cosa succederà.

In effetti Valentino è stato un gran successo.

Valentino è stato un SUO successo eccezionale, in una città meravigliosa, con una forza di suggestione, di stile, e una forza economica che solo Valentino può portare in questa città. Ma se non ci fosse stato lui, che cosa sarebbe stato questo calendario?

Ma i giovani a Roma non riescono a imporsi?

I giovani sì, ma i giovani sono giovani, c’è bisogno di qualche tutor, che tiri la volata. Roma sta diventando, è diventata la città per il lancio di giovani, ma dovrebbe avere anche un lancio per i senior.

Il fatto che negli ultimi anni molte case di moda italiane siano passate sotto capitali stranieri, ha influito negativamente?  

Assolutamente no, perché Roma è fuori da quel circuito, che riguarda le case di moda di Prêt-à-porter, che sono milanesi, e sono gruppi da uno, due, tre miliardi di euro l’anno. Roma è la città, la patria, e la storia dell’artigianato e dell’alta moda, e io credo che bisognerebbe fare un progetto per ridare spessore e vita alla storia dell’alta moda italiana.

Se però andiamo nella provincia italiana, ci sono molte realtà artigianali che stanno cercando di puntare sulla qualità, nella moda come in altri settori. Roma può fare da collante per queste realtà?

Roma dovrebbe fare da collante per l’artigianato di lusso, per l’artigianato creativo, purtroppo non lo fa.

Cosa manca?

Manca il progetto, manca qualcuno che si impegni per portarlo avanti.

Queste iniziative della Regione, che stanno cercando di aiutare lo sviluppo delle piccole e media aziende, anche nella moda, possono aiutare?

La regione ha già puntato, come hanno detto prima Zingaretti e Calenda, su Altaroma, appunto, che promuove i giovani, ma la regione da sola non può sostituirsi alle aziende.