MotoGP 2017, tutti in sella con il videogame ufficiale del Motomondiale

Amanti del motociclismo e del gaming è finalmente giunto il vostro momento. Anche quest’anno infatti l’italianissima Milestone porta su Pc, Ps4 e Xbox One il videogioco ufficiale dedicato al motomondiale ossia: Moto GP 2017. Con questo nuovo titolo la software house tricolore non si discosta dai precedenti episodi per quanto riguarda le classiche modalità di gioco, che ovviamente sono incentrate sulla stagione 2017. Con a disposizione tutti i piloti, le moto, le piste e anche 70 campioni storici appartenenti alle diverse classi 4 tempi e 2 tempi, ci si può lanciare nella modalità Carriera cominciando dalla novità di quest’anno, ossia la Red Bull Rookies Cup. Qui si possono acquisire la giusta esperienza per poter salire sino alla categoria più ambita, che è ovviamente la MotoGP. Modalità Carriera a parte, si potrà comunque spezzare il ritmo affrontando i Gran Premi con vecchie moto a due e quattro tempi che rappresenteranno un divertente espediente per ricordare le gare di altri tempi. Ma attenzione, per poter vivere tali ricordi sarà necessario sudarseli per cui, mentre il più recente Valentino Rossi è da subito disponibile, il primissimo “Dottore” dell’Aprilia RS125 va sbloccato a suon di vittorie.

Nel gioco non è presente un tutorial, ma una corposa sezione di modalità per gare veloci permette ai giocatori di mettersi alla prova selezionando tra Gran Premio, Campionato, Prova Cronometrata e Schermo Condiviso. Detto questo, una volta avviato MotoGP 2017 il menu principale presenta diverse opzioni fra cui spicca: una campagna single-player molto corposa che offre come novità assoluta la modalità Carriera Manageriale, dove si potrà creare e gestire un team MotoGP con tutte le variabili e le problematiche tecnico-commerciali che ne conseguono. L’obiettivo come Team Manager è arrivare alla classe MotoGP partendo dalla Moto3, e ovviamente non sarà una passeggiata. Per raggiungere questo risultato, infatti, servirà selezionare correttamente non solo i piloti ma anche tutto lo staff che dovrà supportarli. Quindi serviranno ingegneri, tecnici, massaggiatori, cuochi, esperti di marketing e soprattutto i risultati. Solo con vittorie e crediti guadagnati sarà possibile migliorare il team e attirare gli sponsor che aiuteranno finanziariamente la scuderia scelta a raggiungere l’obbiettivo principale. Questa modalità è molto articolata, perché non si basa solo e soltanto sulle corse ma sul gestire la vita dei propri piloti in gara e fuori, il che significa curare la loro salute fisica e la loro immagine anche con campagne marketing e di social PR, inserendo così nel titolo una componente RPG del tutto nuova ed interessante. Qualsiasi modalità di gioco si scelga, MotoGP 2017 risulta subito familiare a chi ha già avuto a che fare con gli ultimi giochi Milestone dedicati alla categoria.

Purtroppo il titolo è ancora basato sul vecchio motore grafico della software house, quindi, mentre sicuramente le motociclette hanno un livello di dettaglio migliorato, ci sono problemi con i tracciati che presentano colori troppo piatti e omogenei. I fondali, le aree che costeggiano le piste ed il pubblico sono uniformi, mancano di dettagli e sono poco credibili. Insomma, tutti quegli effetti realistici e grafici che servono a disegnare tracciati e scenari moderni e credibili sono assenti. La gara non ha quindi lo stesso impatto che ci si aspetterebbe e lo spettacolo non è completo se paragonato ai videogiochi, soprattutto di auto, attualmente in circolazione. Nonostante, dal punto di vista grafico, sembri di giocare a un titolo non molto recente, dove Milestone ha fatto centro con il suo nuovo MotoGP 2017 è sicuramente con il frame rate che resta sempre inchiodato sui 60 fps rendendo l’azione sullo schermo fluida ed estremamente godibile. La fisica, poi, è di buon livello quando si parla di impostazione delle traiettorie e reazione del mezzo a sollecitazioni o piccole collisioni, quello che si vede sullo schermo è assolutamente realistico. Una volta tolti gli aiuti, la differenza tra una dura Ducati e le più agili scuderie nipponiche è decisamente percettibile nella governabilità del mezzo. L’intelligenza artificiale, poi, risulta decisamente migliorata in linea generale rispetto a quanto visto in passato e questo fa sì che il gameplay possa offrire un livello di sfida buono. In MotoGP 2017 per quanto riguarda le personalizzazioni di pilota e mezzi è stato fatto veramente un lavoro eccezionale. I dettagli sono molto soddisfacenti, sia per quanto riguarda le silhouette dei piloti famosi, che per ciò che concerne le personalizzazioni degli accessori e delle livree delle moto. Sicuramente l’accordo di licenza siglato con Dorna Sports, titolare di molti diritti della MotoGP, ha portato all’interno del gioco la possibilità di utilizzare un’infinità di sponsor ufficiali. Ma il lavoro di Milestone sul nuovo MotoGP 2017 non finisce qui, infatti, nuove ed originali campionature dei motori delle moto rappresentano un passo importante nel creare la giusta atmosfera di gara, facendo leva sulle emozioni che possono creare i differenti ruggiti che si possono ben distinguere quando si cambia moto. Per quanto riguarda il multigiocatore, MotoGP 2017 offre la Stagione Co-Op, dove bisognerà gareggiare privatamente solo con gli amici, oppure le classiche modalità Gran Premio e Campionato in cui si potrà creare una partita privata o lanciarsi nel matchmaking e affrontare giocatori da ogni parte del globo. Tirando le somme, con questo MotoGP 2017 Milestone ha fatto centro a metà, infatti nonostante l’aspetto grafico piuttosto deludente rispetto ad altri titoli racing attualmente in commercio, il gioco riesce a divertire parecchio grazie ai 60 fps a un’intelligenza artificiale nel complesso buona e alle tante possibilità di gioco offerte. Se a quanto detto si aggiungono una grandissima varietà di personalizzazioni e la profondità della nuova modalità carriera, si può sinceramente dire che, a patto di essere veramente appassionati di motociclismo, MotoGP 2017 è un acquisto davvero obbligatorio.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 6,5
Sonoro: 7,5
Gameplay: 7,5
Longevità: 7

VOTO FINALE: 7,5

 

Francesco Pellegrino Lise




MXGP 3: fango, salti e corse realistiche nel nuovo titolo di motocross per Pc e console

Se quello che volete sono fango, copertoni, salti incredibili e corse fuoristrada mozzafiato, Milestone ha quello che fa per voi. L’italianissima software house ha infatti lanciato su Pc, PS4 e Xbox One l’incredibile MXGP 3, videogame tutto dedicato all’intrigante quanto spericolato mondo del motocross. L’aspetto più interessante di questo titolo è senza dubbio il bellissimo comparto grafico che merita di essere descritto subito. Tale passo avanti rispetto al suo predecessore è stato possibile grazie all’impiego dell’Unreal Engine 4, favoloso motore grafico che da oltre un anno faceva sospirare i giocatori dei titoli Milestone per il mancato impiego nelle precedenti produzioni, e che finalmente esordisce con un gioco che sembra fatto apposta per mostrarne la potenza e porre delle solide basi per tutto quello che potrebbe significare nei prossimi anni con i capitoli futuri. Lo sforzo congiunto di Milestone ed Epic ha infatti portato alla realizzazione di un comparto grafico da urlo che offre una modellazione di moto, piloti e ambientazioni che lascia letteralmente a bocca aperta, soprattutto sfruttando la visuale dal casco, a nostro avviso la più riuscita e immersiva tra quelle disponibili in MGXP 3. A rendere ancor più convincente l’effetto globale è la deformazione del terreno man mano che le moto vi passano sopra, che si differenzia notevolmente in funzione delle condizioni meteo, così come gli effetti particellari e luminosi, che si rivelano sempre assolutamente convincenti. Il tutto avviene con una fluidità più che accettabile, anche se il frame rate è ancorato sui 30 fps, scelta probabilmente dettata dalla prudenza dell’esordio con il nuovo motore grafico. L’attenzione alla componente fisica Physx, fondamenta dall’utilizzo dell’Unreal Engine 4, è stata in grado di restituire una resa molto più coerente dell’azione della moto rispetto al passato. Aprire completamente l’acceleratore subito dopo l’uscita da una curva lenta non è una soluzione possibile, perché porterebbe a cadere a terra dopo poco tempo. Dosare, aprire il gas in curva per raddrizzare la posizione, spostare il peso del corpo per aderire meglio al tracciato, sono azioni che si incastrano nel modello di guida facendole diventare necessarie ed efficaci se si vuole arrivare al primo posto.

Anche il sonoro è stato rivoluzionato traendo vantaggio dalle novità del comparto tecnico: i ruggiti delle moto, che siano a 2 o 4 tempi, sono stati riprodotti con il metodo procedurale sulla base di campionamenti, e va detto che l’effetto si rivela davvero convincente. Tra le modalità per il singolo giocatore, quella che spicca per quantità di contenuti in MXGP 3 è senza ombra di dubbio la carriera. Il focus è incentrato sulla figura del pilota, tanto che la prima attività da fare sarà proprio creare l’alter ego virtuale con nome e abbigliamento dedicato, scegliendo tra le molteplici opzioni a disposizione. A cavallo delle due categorie principe, MXGP e MX2, partendo come aspiranti campioni dalla seconda, sarà possibile interpretare il ruolo di piloti di una propria squadra personalizzata oppure di una ufficiale. Nel caso in cui ci si trovasse nella prima situazione, sarà premura di chi gioca scegliere la moto, potenziarla con i crediti guadagnati partita dopo partita e affidarsi a degli sponsor. Avendo invece a che fare con la seconda situazione bisognerà semplicemente dare il massimo in pista. Sarà possibile cambiare qualora una squadra dovesse raggiungere un determinato livello d’interesse in seguito alle performance in gara, allora si potrà scegliere se continuare con il team originale, o passare a uno ufficiale, oppure cambiare sponsor. Tutto scorrerà via liscio, senza intoppi vari, con una progressione di questa parte “manageriale” molto semplificata: forse troppo poco coinvolgente da una parte, ma che dall’altra parte avrà il pregio di far dedicare anima e corpo alle corse. Continuando a battere la strada dei contenuti presenti in MXGP 3, sono presenti anche la modalità campionato, gran premio, time attack e infine la Monster Energy Fim MXON. Se le prime sono immediatamente comprensibili, l’ultima consiste in una sfida a nazioni, con l’unico obiettivo di mettere a confronto i migliori piloti della scena internazionale. Nessuna di queste è in grado di eguagliare le potenzialità della sopra descritta carriera, ma permette comunque di affondare le ruote dell’asfalto in men che non si dica, mettendo i giocatori continuamente alla prova secondo le modalità che sceglieranno di volta in volta. Per impratichirsi con le varie tecniche, è anche possibile sfruttare la modalità solitaria Compound, dove ci sarà a disposizione un intero circuito e si potrà percorrerlo come si vuole, senza alcun tipo di limitazione. In MXGP 3 è presente anche la possibilità di sfidare altri giocatori in gare multiplayer online, anche se attualmente la poca presenza di persone sui server fa affrontare partite poco popolate e spesso interrotte per disconnessione dall’host. Tirando le somme, nonostante il titolo appartenga a una categoria poco seguita rispetto a tante altre, MXGP 3 rappresenta veramente un bel titolo, capace di emozionare e di far apprezzare anche ai neofiti la bellezza di uno degli sport più spericolati al mondo.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5
Sonoro: 8
Gameplay: 8
Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 8

 

Francesco Pellegrino Lise




L’iMac Pro arriva anche in Italia a partire da 5.599 euro

Apple lancia giusto in tempo per Natale l’iMac Pro, il nuovo computer desktop svelato alla conferenza degli sviluppatori del giugno scorso e in vendita da oggi, anche in Italia. Pensato per gli utenti professionali, cui offre caratteristiche top di gamma, il pc non è però un regalo alla portata di tutti, il prezzo infatti, parte dai 4.999 dollari negli Stati Uniti – che diventano 5.599 euro in Italia – e arriva fino a oltre 13mila dollari. L’iMac Pro è “il Mac più potente mai creato da Apple, progettato per supportare i flussi di lavoro più complessi degli utenti professionali”, per “editing grafico evoluto, realtà virtuale immersiva e rendering 3D in tempo reale”, spiega Apple. Il computer “all in one” ha un display Retina 5K da 27 pollici che supporta un miliardo di colori, processori Xeon da 8 a 18 core ed elaborazione grafica fino a 22 teraflops, racchiusi in un guscio nel colore grigio siderale. Monta una scheda grafica Radeon Pro Vega, Ram fino a 128 GB e memoria Ssd fino a 4 TB. Insomma, se avete esigenze lavorative particolari con iMac Pro sarà possibile fare qualunque cosa e il costo è sicuramente giustificato, ma se avete intenzione di utilizzarlo per diletto è preferibile navigare verso altri lidi.

Caratteristiche nello specifico

Gli iMac Pro sono disponibili rigorosamente con processori Intel Xeon, fino a 18 core (Turbo Boost fino a 4,5 GHz), con capacità grafiche fino a 22 Teraflops e display 27 pollici Retina con risoluzione 5K (500 nits di luminosità). A queste “macchine” spetta per il momento lo scettro di soluzioni più potenti in assoluto nel catalogo Mac. Gli all-in-one iMac Pro saranno destinabili senza patemi quindi a tutti i carichi di lavoro immaginabili con la grafica 3D, rendering, applicazioni immersive di AR e VR, ma anche flussi di lavoro e testing intensiv per gli sviluppatori, l’elaborazione fotografica di alto livello con file anche di diverse centinaia di Mbyte e ovviamente l’elaborazione video 4K e 8K. Il comparto grafico è alimentato con Gpu Radeon Pro Vega (8 e 16 Gbyte di memoria ad ampia banda – HBM2), sono supportati i dischi fino a 4 TB SSD e fino a 128 Gbyte di memoria Ram ECC. iMac Pro dispone inoltre di 4 porte Thunderbolt, e quattro porte USB 3 oltre allo slot SDXC mentre per la rete è disponibile la connettività 10 Gbit Ethernet e WiFi 802.11 ac, oltre a Bluetooth 4.2. Tanta potenza è erogabile ora anche senza porsi preoccupazioni sulla corretta dissipazione perché Apple ha completamente ridisegnato l’architettura “termica”, così da consentire ad iMac Pro di offrire capacità di raffreddamento fino all’80 percento superiori con un design esterno per nulla rivoluzionato. I nuovi iMac Pro hanno uno spessore di appena mezzo centimetro sul bordo, arrivano completi di Magic Keyboard, Magic Mouse e Magic Trackpad. Gli iMac Pro sono corredati di quattro microfoni e di una Webcam 1080p Face Time HD.

 

F.P.L.




Star Wars: Gli ultimi Jedi, sul grande schermo arriva l’ottavo capitolo della saga

Tanto tempo fa, nel 1977, in una galassia lontana lontana… arrivava nelle sale cinematografiche il primo film della saga di Guerre Stellari, “Una nuova speranza”. Oggi a distanza di 40 anni il mito continua vivere grazie a Walt Disney Studios Motion Picture e Lucasfilm che dopo aver portato al cinema, Star Wars episodio VII, “Il Risveglio della Forza” e lo spin off “Rogue One”, hanno appena lanciato sul grande schermo Star Wars episodio VIII “Gli Ultimi Jedi”, secondo capitolo della nuova trilogia di Guerre Stellari. Solitamente le trilogie hanno quasi sempre un punto debole nel secondo episodio, capita molto frequentemente che lasciano con troppi quesiti e troppe vicende aperte o siano del tutto deludenti. Fortunatamente Star Wars: gli Ultimi Jedi non possiede questa fragilità e riesce a stupire sia dal punto di vista degli effetti speciali che della storia: è un blockbuster bello, complesso, con una buona trama e soprattutto, auto conclusivo nonostante lasci bene intendere che ci saranno degli sviluppi per il nono episodio e la già annunciata quarta trilogia. Quando Gli Ultimi Jedi inizia, dopo che la trionfale musica di apertura svanisce e tutte le scritte scorrevoli si sono rimpicciolite fino a sparire, lo spettatore si ritrova nello spazio, come sempre del resto, dove un convoglio di navi del Primo Ordine è arrivato davanti al pianeta in cui l’ultimo avamposto con gli ultimi ribelli è in fuga. Da questo punto di partenza prende vita una trama bella e profonda intorno alla quale orbiteranno le avventure di tutti, sia di Rey, che era appena arrivata dinanzi Luke Skywalker, sia di Kylo Ren, alle prese con i suoi drammi interiori, sia di Poe Dameron, del generale Leila Organa, di Finn e di un nuovo personaggio femminile. Il cuore pulsante dell’avventura è a bordo dell’incrociatore stellare ribelle che vedrà l’equipaggio della resistenza tentare di sfuggire dalla morsa degli antagonisti. Da questa location quindi vanno e vengono tutti i personaggi, e il progressivo avvicinarsi della minaccia è scandito dal conto alla rovescia che dà gran ritmo ad una storia capace di chiudere molte delle porte aperte da episodio VII ma anche di aprirne tante altre come è giusto che sia per un capitolo “di mezzo” di una trilogia. Venendo ai protagonisti, c’è una crescita esponenziale in tutti, buoni neutrali e cattivi. Durante il film nascerà, sempre nel filone dei grandi dualismi, a cavallo tra odio e amore, tra comprensione e avversione, un rapporto imprevedibile e speciale tra Kylo Ren e Rey. E nonostante sembri dal principio anche questo un cliché, ci saranno parecchie sorprese difficili da prevedere. I due personaggi principali, che rappresentano il lato chiaro e il lato oscuro della forza, maturano, crescono e si scambiano in continuazione emozioni e battute grazie a un legame mistico e per ora ancora senza spiegazione.

Daisy Ridley nel ruolo di Rey era già stata convincente nella prima interpretazione e ora è fantastica. Adam Driver, nei panni di Kylo Ren invece è cresciuto molto, il suo personaggio prende finalmente forma mostrando dei nuovi lati di se e mostrando tutto quello che non si era visto in Episodio VII. Finn, che sembrava il coprotagonista dell’episodio precedente, non dona quel peso che tutti si aspetterebbero. Ovviamente non è colpa dell’interpretazione di John Boyega, che recita il suo ruolo in maniera sempre molto credibile, ma proprio di un personaggio che ancora non si sa bene che ruolo abbia all’interno del tutto. Un plauso invece va a Oscar Isaac che recita un Poe Dameron veramente incredibile. È un mix di passione, esuberanza e coraggio incredibili per un personaggio che non ha poteri speciali, ma riesce sempre ad essere epico e furioso come un vero eroe dei ribelli. Dameron è assistito anche stavolta da una fortuna sfacciata che gli permette di passare sempre indenne tra i colpi dei nemici che abbattono qualsiasi veicolo sia nel mirino tranne il suo. Carrie Fisher, deceduta un anno fa proprio a fine dicembre, è ricordata con affetto nei titoli di coda. L’interpretazione non lascia il segno, ma il personaggio di Leila Organa è tanto pregno di storia e significato da continuare a consacrare Carrie in questa saga immortale. Gli Ultimi Jedi coglie di sorpresa sia per come risolve alcune singole scene, i piccoli o grandi conflitti o i combattimenti, sia per le svolte che fa prendere a tutta la storia. Al di là di tutto, la forza dell’universo di Guerre Stellari si conferma essere quella di aver creato una mitologia i cui caratteri sono così cari al pubblico che ogni cosa accada in quel mondo, ogni svolta, mistero, possibile cambiamento o rivelazione improvvisa, generi grandissimo interesse. Questo è il segreto di Gli Ultimi Jedi, e la regia di Rian Johnson ne abusa in maniera intelligente. Finito il film, dopo ben 152 minuti di emozioni, una valanga di colpi di scena e qualche risata, è infatti decisamente più chiaro comprendere quale sia l’argomento e l’arco di questa terza trilogia, ma soprattutto la direzione che Disney ha intenzione di far prendere alla saga intera.

Tirando le somme, Star Wars: gli Ultimi Jedi è un film da vedere e rivedere, comprendere, capire e amare. La pellicola ovviamente è un tripudio di effetti speciali, colpi di scena più o meno prevedibili e grandi trovate, a nostro parere salvo per un paio di scelte anche i puristi della saga resteranno soddisfatti. Episodio 8 è soprattutto una serie di tributi velati ed espliciti alla primissima trilogia che faranno la gioia dei fan più anziani, aiutandoli a ingoiare il boccone amaro delle nuove generazioni di eroi che inevitabilmente prenderanno il posto da protagonista nell’universo di Guerre Stellari. Disney e Lucasfilm hanno fatto davvero un buon lavoro mettendo su un film diretto a diverse fasce di età, con l’evidente obiettivo di creare eroi ed eroine per le nuove generazioni, ovviamente per vendere merchandising fra vestiario, gadget, giocattoli, videogames e molto altro ancora, ma anche per far sognare e rinnovare il mito che le parole Star Wars rappresentano.

 

Francesco Pellegrino Lise




Destiny 2 si espande con il primo dlc: La maledizione di Osiride

A distanza di tre mesi dal lancio, Destiny 2 (qui la nostra recensione) si espande su Pc, Xbox One e Ps4 con il dlc La Maledizione di Osiride. Gli eventi narrati in questa nuova parentesi del titolo di Activisione e Bungie sono collocati temporalmente un paio di mesi dopo la Guerra Rossa e gli eventi narrati nel gioco base, quindi in seguito al risveglio del Viaggiatore e sarà proprio questo l’evento scatenante che darà il via a tutta la trama principale. All’inizio gli eventi narrati saranno introdotti da una sequenza cinematica di qualche minuto (che potete guardare qualche riga più in basso) che introdurrà la figura di Osiride, stregone e guardiano tra i più potenti in assoluto, alle prese con una battaglia Vex, che in seguito si scoprirà essere una simulazione di questi ultimi. All’interno di questa location, che ai giocatori più fedeli alla saga ricorderà subito la Volta di Vetro, Osiride si imbatterà in un’infelice scoperta: il futuro. Lo stregone scoprirà infatti che i Vex hanno capito come trionfare su bene e male, come spazzare via tutte le forme di vita dal sistema solare e che, soprattutto, sono a conoscenza della sua intrusione. Visivamente scosso, Osiride capisce che se vuole avere una possibilità per impedire che il futuro osservato diventi realtà, deve avvisare i Guardiani, separandosi dal suo fidato spettro Sagira per lanciarlo in un portale. Prima di riuscire a superare tale accesso, Sagira viene però colpita, disattivandosi e non potendo giungere a destinazione. A questo punto ha inizio l’avventura. Un ruolo particolarmente importante in questo dlc lo ricoprirà Fratello Vance, il fanatico numero uno di Osiride che, grazie alle sue conoscenze, consentirà di risvegliare Sagira. È a questo punto che si scoprirà l’esistenza della Foresta Infinita: un’infinita simulazione Vex grazie alla quale queste macchine senzienti possono testare tutti i possibili futuri. Ben presto si verrà anche a conoscenza della vera minaccia che bisognerà affrontare: Panoptes, un’entità Vex diversa da tutte quelle affrontate in precedenza, non soltanto per l’estetica differente dai soliti Vex, ma anche per il suo potere. A costituire una minaccia, oltre ai nemici meccanici, andranno ad aggiungersi anche le loro versioni passate e future, viste in precedenza soltanto nella Volta di Vetro. Il compito dei guardiani in questa espansione di Destiny 2, quindi, non sarà soltanto quello di fermare la mente Vex e impedire che il futuro visto da Osiride si concretizzi, ma trovare anche quest’ultimo per soccorrerlo e per riunirlo con Sagira, che nel corso dell’avventura si impossesserà dello spettro del protagonista.

La durata della main quest si attesta tra le 2 e le 3 ore, a seconda del tempo speso dal giocatore nell’esplorazione, un risultato quindi non paragonabile all’arco narrativo della legione rossa, ma sicuramente un bel passo in avanti rispetto alle appena tre o quattro missioni proposte ai tempi con L’Oscurità dal Profondo e Il Casato dei Lupi. Inoltre, in termini di ambientazioni, fatta eccezione per qualche breve passaggio su pianeti già conosciuti, tutte le missioni si svolgeranno su Mercurio, tra la Foresta infinita e il pianeta nelle sue versioni del presente, passato e futuro, in quelle che sono tra le destinazioni più ispirate e meglio strutturate mai viste in Destiny. L’area di gioco di Mercurio si divide in due aree: una esterna che costituisce la superficie del pianeta e la Foresta Infinita, dall’impronta molto più Vex, che collegherà i giocatori con le versioni passata e futura del pianeta. Qui grazie al pretesto della simulazione, sarà possibile fronteggiare anche i Caduti e l’Alveare. Sul pianeta saranno poi disponibili tutte le attività classiche delle destinazioni, dalle casse regionali dorate nascoste negli angoli più bui ai settori Perduti da scoprire e saccheggiare. E’inoltre presente una nuova tipologia di evento pubblico, creato appositamente per questa destinazione. Per quanto riguarda agli assalti, ne sono stati introdotti due inediti che riprendono molto da vicino alcune missioni della campagna. Entrambi faranno partire i giocatori da Mercurio attraverso la Foresta Infinita, con differenti destinazioni finali da raggiungere e nemici da fronteggiare. Un assalto porterà i gamers nella versione passata di Mercurio e la minaccia da affrontare sarà costituita dai Vex, mentre il secondo farà rimanere nel presente e il nemico finale sarà un leader Cabal. Ovviamente, anche il Crogiolo è stato arricchito con dei nuovi terreni di gioco in cui sfidarsi, per la precisione con tre nuove mappe.

E’ presente anche un nuovo Raid ambientato nella “pancia” del Leviatano. Articolato soltanto in tre step, di cui il primo molto introduttivo e principalmente platforming e gli altri due da completare nella stessa arena e con meccaniche condivise. A colpire innanzitutto è stata la presenza dei Vex; tolta infatti la parte introduttiva saranno loro la minaccia da affrontare. A rendere l’espansione di Destiny 2 ancora più intrigante ci pensano anche le ambientazioni spettacolari: ci si troverà infatti a combattere su una serie di rocce sospese che circondano il Boss, in netto contrasto con le sfarzose stanze del castello di Calus. Anche le meccaniche risultano abbastanza interessanti, l’unica vera pecca sta nella scarsa longevità. Non mancano infine tutta una serie di nuovi equipaggiamenti da ricercare e collezionare. Mentre tra quelli leggendari si trovano molti modelli simili ad alcuni già presenti, tra le armi e armature esotiche invece se ne trovano sia di inedite che di rifacimenti di alcune del primo Destiny 1 . Anche se ciò potrebbe non convincere, viene mantenuto un buon equilibrio tra equipaggiamenti nuovi e vecchi. Introdotte anche le armi prodigiose, ossia bocche di fuoco con contatore di uccisioni e che posseggono un perk aggiuntivo molto utile. Un’interessante novità in questo Destiny 2 è invece la forgia Vex, che di settimana in settimana metterà a disposizione degli incarichi secondari votati al puro grinding e che una volta completati ricompenseranno il giocatore con delle armi leggendarie a tema Vex e sottoquest legate alla lore di Destiny. Tirando le somme, quello che la Maledizione di Osiride offre è senza dubbio diverse ore di divertimento. La campagna è interessante ma a tratti sbrigativa e gli assalti sono curati, ma includerli entrambi nella campagna lascia un certo retrogusto amaro. Infine, il raid è senza dubbio la parte meglio riuscita, ma comunque troppo breve e troppo poco redditizia in termini di ricompense. In ogni caso aumentare il level cap al livello 25 e il livello di luce al 330 + 5 terrà i giocatori sempre molto impegnati e spingerà a fare più cose possibili nell’intero arco della settimana prima del reset attività fissato alle ore 18 di ogni martedì. Destiny 2 rimane sempre un titolo vivo e in continua espansione.

 

VOTO FINALE: 8,5

 

Francesco Pellegrino Lise




L.A. Noire, il poliziesco di Rockstar games torna su Xbox One, Ps4 e Nintendo Switch

Nel maggio del 2011 con L.A. Noire, Rockstar Games lanciò sul mercato un prodotto originale, un titolo d’investigazione dalle tinte free roaming e con qualche pennellata action, ambientato nella Los Angeles del 1947. Il videogame, nonostante la sua natura originale, vendette poco per gli standard di Rockstar, azienda che ricordiamo con prodotti come GTA e Red Dead Redemption ha conquistato milioni di giocatori in tutto il mondo, ma fortunatamente ha poi ottenuto una “gloria postuma” sufficiente a garantirgli una riedizione sull’attuale generazione di console. In questa riedizione di L.A. Noire.

I giocatori si troveranno a vestire nuovamente i panni di un uomo di nome Cole Phelps. Egli è uno dei tanti militari che ha combattuto contro i giapponesi sul fronte del Pacifico durante la seconda guerra mondiale. Al congedo, Phelps ha cercato di lasciarsi alle spalle quel terribile trauma intraprendendo una carriera in polizia e soprattutto cercando di compiere sempre il proprio dovere in maniera zelante. Dalla fase di semplice agente di pattuglia, che funge da tutorial, fino ad approdare alla sezione investigativa, il talento del protagonista emerge con prepotenza e le promozioni arrivano senza grossi intoppi. Tutto bene fino a quando l’ingerenza del dipartimento e il suo passato bellico non torneranno a rovinargli una serenità costruita con fatica e sacrificio. Con questi presupposti L.A. Noire propone una trama sensazionale, profonda, ben scritta e assolutamente coinvolgente che non vogliamo assolutamente svelare per evitare di rovinare l’esperienza di gioco a chi non ha mai provato la versione 2011. Durante la storia Phelps occupa il presente nel portare a galla il marcio della Los Angeles anni ‘40, mentre si scopriranno i suoi trascorsi come militare attraverso alcuni flashback dalla fotografia verdognola che appariranno fra un evento e l’altro della storia.

Attraverso questi ricordi si scoprirà ben presto il tormento del protagonista, nascosto in perfetto stile noir sotto il suo inflessibile senso della giustizia. In sostanza, la trama del gioco non cerca la linea netta tra bene e male, piuttosto invita le persone a riflettere su come il vizio e la depravazione possano tristemente colpire chiunque segnandolo per sempre. Lo stile proposto è quello tipico dei giochi targati Rockstar: graffiante ma non moralista, in ogni momento cerca di fare ironia tanto nei dialoghi quanto visivamente. La sceneggiatura inserisce nel suo 1947 gli echi dei nostri tempi, con dialoghi caustici su politica, guerra, vizio, corruzione, ipocrisia e chi vuole usare la giustizia per i propri scopi. Oltre ai casi che compongono la storia principale, ossia ventuno, questa edizione rimasterizzata per Xbox One, PlayStation 4 e Nintendo Switch ovviamente propone tutti i contenuti pubblicati in digitale, dagli abiti extra ai cinque casi aggiuntivi, che hanno la funzione di far capire meglio alcuni retroscena della storia del detective Phelps. Volendo classificare L.A. Noire, si può posizionare a metà fra un action poliziesco e un’avventura grafica. Phelps infatti non è una sorta di super-poliziotto tutto sparatorie e lampi di genio, ma è una persona comune, razionale, ma dallo spiccato intuito che indaga, esamina, interroga e deduce. E proprio questo è quello che si dovrà fare per buona parte del gameplay. Ogni caso che viene assegnato al protagonista di L.A. Noire si svolgerà secondo i canoni classici dell’investigazione, quindi bisognerà recarsi sulla scena del crimine per esaminare gli indizi, raccogliere prove e sentire le testimonianze. Fulcro dell’attività di Phelps è il suo taccuino: lì saranno immagazzinate tutte le informazioni necessarie al caso, oltre che ai luoghi scoperti e le persone coinvolte. Sempre attraverso di esso passerà il sistema di interrogazione e raccolta delle testimonianze. Questi dialoghi erano e rimangono probabilmente la parte più riuscita della produzione.

Phelps porrà delle domande ai testimoni dei crimini o alle persone coinvolte, e starà al giocatore capire se la risposta è sincera o meno. L’unico modo per farlo sarà osservarli mentre parlano e aspettano, cercando di cogliere nelle loro espressioni e soprattutto nei loro sguardi qualcosa di sospetto. Alla deposizione si può reagire in tre modi: assecondare la risposta, forzare la persona a dire tutto oppure smentirla, accusandola. Va da sé che quest’ultima possibilità richiede che si abbiano prove schiaccianti, pena il rifiuto a collaborare. In sé comunque il gioco non incentiva una condotta aggressiva, spingendo più al dialogo puro. In aiuto del giocatore ci saranno inoltre i cosiddetti Punti Intuito, questi, guadagnati salendo di livello, permetteranno di evidenziare gli indizi o facilitare gli interrogatori rimuovendo una risposta sbagliata.

Nonostante la grande libertà concessa e le diverse strade possibili per concludere ogni caso, il gioco è comunque disegnato in modo tale da non far rimanere mai bloccati o rendersi irrisolvibile. A distanza di ben 6 anni dalla prima pubblicazione, L.A. Noire torna sulle attuali console con una versione potenziata, in grado di sfruttare al massimo le capacità dei moderni hardware per dare nuovo lustro a questa fantastica, ma incompresa opera di Rockstar. Questo su Xbox One e PS4 si traduce in un aumento di risoluzione rispetto al passato: 1080p per le versioni standard, 4K per Ps4 Pro e Xbox One X, un frame rate assolutamente più stabile, tempo atmosferico e una migliore gestione di luci, riflessi e effetti volumetrici. Su console Microsoft e Sony Rockstar ha provato a rendere L.A. Noire non una semplice versione in alta definizione del gioco originale. Oltre ai miglioramenti grafici appena descritti, nel gioco si possono notare alcuni elementi pensati per migliorare e ottimizzare l’esperienza. Per esempio sono state introdotte due nuove visuali che semplificare l’analisi delle scene del crimine, alcuni collezionabili legati a dei nuovi trofei, sono state inserite quattro tipi di palme differenti per migliorare l’aspetto di Los Angeles ed è stato cambiato il nome delle risposte per essere più in tema poliziesco. La riedizione di L.A. Noire ovviamente approfitta delle nuove console per stabilizzarsi tecnicamente. La città di Los Angeles appare ben costruita e assolutamente verosimile. I volti realizzati con il motion-capture non sono stati ovviamente toccati, e la loro estrema cura ancora oggi stupisce. Stesso vale per gli ambienti e le abitazioni, tratteggiati con estremo realismo. Ma nonostante sia sensibile l’aumento di dettaglio e stabilità, è palese che ci si trovi dinanzi a un software del 2011. La linea di grattacieli e macchine appare troppo squadrata, così come il poco dettaglio su vegetazione e terreno erboso possono far storcere il naso ai giocatori più attenti. Ugualmente si nota il diverso dettaglio tra i volti che hanno ricevuto il motion-capture e quelli per cui non era necessario. Fortunatamente, però, la prova attoriale per ogni personaggio è assolutamente impeccabile, e ancora adesso è quel fattore “in più” che dimostra quanto il titolo Rockstar fosse avanti per i suoi anni.

La colonna sonora non è stata ovviamente toccata, nel suo combinare pezzi jazz d’epoca con i giusti archi nelle situazioni più tese. Ancora adesso rimane bellissima e familiare la coppia di note di pianoforte che il gioco riproduce quando ci si avvicina a un oggetto che Cole può raccogliere o esaminare ed è sicuramente destinata a restare nelle menti dei giocatori più giovani. Ottimo anche il doppiaggio che rende l’esperienza di gioco completa e assolutamente credibile. Il primo e ultimo lavoro del Team Bondi è a distanza di sei anni un’opera ancora singolare, affascinante, ma purtroppo non adatta a tutti. L.A. Noire è un gioco serio, che usa la struttura open world come pretesto per un gioco più lineare e guidato, diretto però con una maestria veramente rara per essere un semplice videogioco. Alcuni limiti tecnologici sono stati accentuati con il passare del tempo, ma il restyling grafico che è stato effettuato riesce comunque a rendere il gioco piacevole da osservare anche sui moderni televisori in 4K, nonostante qualche saltuario calo nelle prestazoni. Tirando le somme, come sei anni fa, chi si aspetta da L.A. Noire un GTA ambientato negli anni ‘40, oggi come allora, rimarrà deluso, ma chi vuole un poliziesco scritto e diretto veramente bene o un’esperienza originale e ben confezionata non avrà di che pentirsene. L.A. Noire era ed è tutt’ora un capolavoro, un capolavoro incompreso che ci auguriamo possa essere capito grazie a questa edizione rimasterizzata.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8
Sonoro: 9,5
Gameplay: 10
Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

 

Francesco Pellegrino Lise




iPad, nel 2018 Apple lancerà un modello low-cost

Novità importante per tutti coloro che desiderano un tablet Apple, il colosso di Cupertino starebbe infatti considerando il lancio nel 2018 di un nuovo iPad con display da 9,7 pollici a un prezzo contenuto. Il costo di questo modello dovrebbe aggirarsi intorno ai 259 dollari e sarebbe orientato al settore entry-level.

Una mossa del genere potrebbe attirare verso Apple all’incirca 10 milioni di acquirenti per ogni quarto fiscale, un numero davvero considerevole se si pensa che il mercato dei tablet è attualmente in una fase di stasi. Lo stile di progettazione di questo nuovo dispositivo a basso costo, secondo i rumors del web, potrebbe ricalcare la precedente edizione, quindi con il recupero della scocca di un modello passato e l’inclusione delle penultime generazioni di processori Apple, forse un rappresentante della famiglia A10 Fusion.

Tale mossa da parte del colosso di Cupertino sarebbe mirata a spingere ancora di più le vendite dei suoi tablet e far entrare nella sua “famiglia” molti più utenti, persone, che se soddisfatte del prodotto, potrebbero pensare in futuro di acquistarne degli altri. Alla luce di quanto detto quindi, una novità di questo livello potrebbe innescare una nuova ondata di competizione con gli altri principali produttori, tra cui Samsung, Huawei, Amazon e Lenovo, facendo iniziare di conseguenza una vera e propria “guerra dei prezzi” con le aziende che sarebbero costrette a rispondere colpo su colpo per primeggiare. Sempre secondo quanto trapelato in rete, Apple dovrebbe lanciare il nuovo iPad nel secondo trimestre del nuovo anno e puntare a ritagliarsi una fetta importante di acquirenti anche nel comparto industriale e dei servizi. Il nuovo modello “low cost” di iPad arriverebbe dopo l’ultimo iPad da 9,7 pollici lanciato a marzo di quest’anno, che in Italia è venduto a un prezzo di 409 euro. Non è chiaro ancora se lo sostituirà o lo affiancherà, fatto sta che se le cose dovessero realmente essere così, acquistare un tablet targato Apple sarebbe possibile anche per quella categoria di utenti che non vogliono spendere cifre esorbitanti e cercano sempre un buon compromesso fra qualità e prezzo. Attualmente le specifiche tecniche della generazione low cost di iPad sono ancora sconosciute e si possono solo fare ipotesi, ma il fattore determinante che decreterà o meno il successo di questo device sarà senza dubbio il prezzo. In attesa di ulteriori notizie non resta che aspettare ancora qualche mese e sperare che il nuovo iPad a basso costo sia un prodotto veramente alla portata di tutti e funzionale.

 

Francesco Pellegrino Lise




Super Lucky’s Tale, il platform in esclusiva per Xbox One e Pc

Amanti del genere platform è il momento di rimboccarsi le maniche, infatti se siete possessori di una console della famiglia Xbox One potrete giocare al nuovissimo Super Lucky’s Tale. Il gioco, amplia la saga dedicata alla simpatica volpe Lucky, già protagonista di “Lucky’s Tale”, titolo che sfruttava la realtà virtuale. Microsoft si fa quindi carico di un nuovo titolo platform che, a differenza di Cuphead, punta sul 3D e sul 2.5D. Grazie al supporto di “Xbox Play Anywhere” si potrà scaricare la versione digitale del titolo in questione su un PC dotato di Windows 10 o su una delle tre varianti di Xbox One presenti sul mercato, certi di avere le medesime performance su tutte le console. Su PC le opzioni permettono di personalizzare una serie di parametri come texture, qualità degli effetti e delle ombre e l’attivazione o meno del Vsync, oltre all’ovvia scelta della risoluzione. Sul fronte dei comandi, invece, quando si gioca a Super Lucky’s Tale bisogna considerare l’uso di un pad come priorità anche su Pc, ma la tastiera è comunque supportata e relativamente comoda anche a seguito di un numero esiguo di azioni da poter compiere. Parlando dell’esperienza di gioco, la trama ripercorre un po’ i classici del genere, infatti tutto ha inizio quando dopo un atterraggio di emergenza, Lyra, sorella maggiore di Lucky, può finalmente mettersi a studiare il magico “libro delle ere”. A creare scompiglio però ci pensa “la cucciolata”, ossia una temibile banda di gatti interessata proprio al libro. Nella zuffa fra Lyra e i felini il libro si apre e il povero Lucky insieme alla banda vengono risucchiati al suo interno. Il tomo catapulta così in un universo parallelo i protagonisti e gli antagonisti di questa rocambolesca avventura, dove il simpatico volpino dovrà affrontare ben quattro mondi per poter sistemare le pagine del libro e ritornare alla sua realtà. L’obiettivo del giocatore, che ovviamente vestirà i panni del giovane Lucky sarà quello di raccogliere più quadrifogli possibili, risolvendo minigame, semplici puzzle o compiendo azioni particolari, al fine di rendere fluida la progressione, aprire le porte delle zone bloccate e tentare di soddisfare tutti i requisiti richiesti per non avere improvvise battute d’arresto. In Super Lucky’s Tale funziona un po’ come nella maggior parte dei platform, ma in questo caso saranno visibili solo i quadrifogli totali, che sono novantanove per mondo, e non quelli utili per superare l’area. Per ottenerli tutti bisognerà dunque andare a zonzo e cercarli, consapevoli che taluni sono ben nascosti e complicati da raggiungere, mentre altri sono reperibili all’interno dei sottolivelli che compongono ogni singolo mondo, precisamente quattro per ciascuna di queste mini aree. Il primo lo si otterrà superando semplicemente la zona, il secondo trovando un’area distaccata, solitamente posizionata sottoterra, il terzo accumulando trecento monete e il quarto, infine, collezionando le cinque lettere dislocate in aree difficili da scovare che compongono il nome del protagonista.

Questa struttura, assieme ad alcune sezione in 2.5D, ricordano molto serie storiche come Donkey Kong, e in effetti sono queste le parti più riuscite di Super Lucky’s Tale. Purtroppo però quando sarà necessario muoversi liberamente all’interno di ambienti tridimensionali, emerge qualche problema che farà storcere il naso ai puristi del genere. Nel gioco purtroppo non si potrà muovere la telecamera a trecentosessanta gradi come ormai è consuetudine in quasi tutti i titoli contemporanei; al contrario, si potra solo spostarla verso le tre direzioni previste dagli sviluppatori complicando di molto la vita ai giocatori che spesso e volentieri si troveranno a fallire salti decisivi che gli faranno perdere preziose vite. Questa è anche la causa di molti “reload” e, se non fosse che la difficoltà di Super Lucky’s Tale non si attesta mai a livelli elevatissimi, per quanto sia tale da risultare comunque impegnativa, risulta comunque frustrante l’idea di perdere per una colpa non del tutto da addebitare a chi gioca. A livello di tempo, ogni sottolivello ha una durata media di circa cinque minuti, salvo ovviamente che non si muoia e si debba ricominciare. Fin dai primi momenti di gioco si avverte anche un senso di estrema ripetitività delle piattaforme, che non sono particolarmente caratterizzate, per quanto svolgano la loro funzione. Graficamente parlando Super Lucky’s Tale è davvero molto gradevole da vedere, coloratissimo e in grado di presentare personaggi sempre aggraziati e carini, ma nonostante questo i personaggi mancano totalmente di profondità perché a conti fatti sembrano solo delle macchiette che recitano frasi scontate e mancano di personalità. A conti fatti, dopo averlo provato a lungo possiamo dire che questo gioco lascia un retrogusto amaro, di quelli che fanno dire che con un po’ più di accortezze il gioco sarebbe potuto venir fuori decisamente meglio. Tuttavia ,se si è amanti del genere vale comunque la pena dargli una chance. Infatti se si riuscirà a chiudere un occhio con i difetti sopra descritti, tra le mani potrebbe piombarvi un prodotto valido che nasconde indubbie qualità, ma che deve ancora mostrare il suo reale valore mafari con l’ausilio di qualche patch correttiva. Alla luce di quanto detto, tirando le somme, Questo Super Lucky’s Tale nonostante non impressioni per giocabilità e profondità si difende bene dal punto di vista grafico e della sfida. Riuscire a completare il titolo al cento per cento infatti non sarà affatto semplice e i giocatori più incalliti sicuramente apprezzeranno tale peculiarità.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5
Sonoro: 6,5
Gameplay: 6
Longevità: 6,5

VOTO FINALE: 6,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Stasera tutti con il naso all’insù, arriva la Superluna

Appassionati di astronomia, poeti, innamorati e sognatori, questa sera non dimenticate di guardare il cielo perché l’appuntamento più affascinante dell’anno è fra le stelle.

Quella del 3 dicembre 2017 è infatti la notte della “Superluna”, ossia una Luna piena, l’unica di quest’anno, che appare nel cielo circa il 7% più grande e il 16% più brillante perché si trova nel punto della sua orbita ellittica più vicino alla nostra terra (perigeo).

Questo fenomeno è avvenuto altre quattro volte nel corso del 2017, ma trattandosi di “Lune nuove” è stato impossibile vederle. Nuvole e pioggia permettendo, lo spettacolo è assicurato ovunque: basta alzare gli occhi al cielo.

Purtroppo le luci delle città potrebbero rendere più difficile apprezzare la maggiore brillantezza, ma si può comunque distinguere chiaramente la dimensione anomala del satellite naturale del nostro pianeta.

Parlando di numeri, stasera la distanza dalla Terra è infatti pari a 357.495 chilometri, contro la distanza media di poco più di 384mila chilometri.

Al confronto, la più piccola Luna piena nonché la meno brillante del 2017, quella del 9 giugno, era distante dalla Terra 406.268 chilometri, vale a dire la Superluna piena del 3 dicembre è circa 50mila chilometri più vicina.

Il prossimo appuntamento con la Superluna sarà nel 2018, precisamente la notte del 2 gennaio.

Il 31, sempre di gennaio, invece, sarà la volta della così detta “Luna Blu”, ossia la seconda luna piena dell’anno.

 

Come fotografarla? L’intensa luminosità di questa Luna dalle dimensioni extra, potrebbe non rendere abbastanza reale e nitide le fotografie.

Per questo motivo è consigliato usare al minimo la sensibilità ISO se si possiede un obiettivo zoom. Se si vuole fotografare non solo la Superluna ma anche uno spazio di cielo più ampio, è preferibile usare un obiettivo quadrangolare.

Non usando la giusta attrezzatura e nel modo più idoneo, si rischia di scattare foto dove l’immagine della Luna non è definita nei contorni, una raccomandazione, lo scatto deve essere fermo e rapido.

Il posto giusto dove osservare l’evento, è all’altezza di una collina o comunque nella parte più alta degli edifici, insomma, più in alto si è, meglio sarà la visione e più sarà reale la grandezza eccezionale della Luna.

Il fenomeno si potrà fotografare anche con lo smartphone, ma non uno con sensore e funzioni base, altrimenti il risultato sarebbe molto deludente. Per fare uno scatto degno di nota con il proprio cellulare è quindi necessario avere una fotocamera con un ottimo zoom ottico e con una messa a fuoco pressoché perfetta, ci vorrà anche una particolare abilità nel centrare l’attimo giusto del click per evitare un’immagine sfocata.

 

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Francesco Pellegrino Lise




Call of Duty WWII, il re degli sparatutto torna sul trono

Con Call of Duty WWII Activision ha fatto centro. Dopo diversi capitoli futuristici, ambientati in realtà dove i militari erano in grado di correre sui muri, spiccare doppi salti in volo e avere il supporto di apparecchiature e armi altamente tecnologiche, finalmente si torna con gli stivali per terra e soprattutto si torna ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Questo particolare periodo storico è stato proprio il punto di partenza del brand che negli anni, nel corso della sua evoluzione, ha poi abbracciato la guerra contemporanea con la splendida saga “Modern Warfare” e poi successivamente si è spinta, forse troppo più in la, verso un futuro hitech che non ha mai convinto pienamente la community. Dopo aver esplorato negli ultimi 5 anni un possibile lontano futuro, è toccato a Sledgehammer Games sviluppare Call of Duty WWII su Pc, Xbox One e PS4, ma soprattutto provare a guardarsi indietro per andare avanti introducendo qualche piccola ma funzionale novità durante tutto il corso della campagna più una zona social e una modalità a obiettivi per il multiplayer. Ma andiamo ad analizzare il tutto da principio. A livello di narrativa, la trama è ben realizzata e senza mai troppo eccedere nel patriottismo targato Usa, i personaggi si muovono in situazioni e scenari assolutamente credibili e mai esagerati. La Seconda Guerra Mondiale è una di quelle pagine della storia di cui parlare risulta sempre difficile. Gli atroci eventi che hanno portato alla morte milioni e milioni di persone sono stati trattati in un numero altissimo di prodotti tra pellicole, libri e videogiochi. Un argomento sviscerato ormai in tutte le salse e sotto diverse chiavi di lettura, argomento che porta con sé il rischio di apparire come qualcosa di già visto. Ma fortunatamente il team di Sledgehammer, come già aveva fatto in Advanced Warfare, batte molto sui concetti di “fratellanza” ed “eroismo” costruendo per Call of Duty WWII una storia di guerra appassionante, in puro stile hollywoodiano, che diventa sempre più interessante man mano che si procede nel gioco. Nel titolo sono presenti momenti dal forte impatto che non hanno paura di mostrare la brutalità della guerra, ma anche momenti in cui il cameratismo prende il sopravvento e il lato umano dei soldati viene fuori.

Call of Duty WWII offre una campagna che può durare anche una quindicina di ore se giocata al livello di difficoltà massimo e l’intera storia si svolge attraverso 11 avvincenti missioni. Il protagonista dell’ultima fatica di Sledgehammer è il soldato scelto Ronald “Red” Daniels, della Prima Divisione Fanteria, che insieme alla sua squadra sbarca in Normandia il 6 giugno del 1944 per aprire un secondo fronte in Europa e riuscire a proseguire la marcia degli Alleati verso il cuore della Germania nazista. Il team è formato da diverse personalità, ognuna caratterizzata dalle proprie peculiarità e attraverso alcuni stereotipi. C’è Robert Zussman, uno trai i protagonisti principali divenuto ben presto il migliore amico di Daniels; Drew Stiles, soldato-fotografo col sogno di finire sulle pagine di LIFE una volta uscito dall’inferno della guerra; Frank Aiello, un po’ bigotto, razzista ma tra i sopravvissuti della campagna di Tunisia; William Pierson, sergente tecnico scontroso e duro e il “paterno” primo tenente Joseph Turner. Gli eventi di gioco si svolgono con molta frenesia, passando quasi senza sosta da una missione all’altra dove però si alternano tipologie differenti di approccio come la guida di mezzi terrestri, veicoli aerei, missioni stealth, di copertura col cecchino e una missione di infiltrazione dove il ritmo cala e si smette di imbracciare il fucile e si deve agire pensando. Durante la campagna la costruzione dell’empatia con i propri commilitoni passa attraverso due momenti. Il principale è ovviamente quello delle scene di intermezzo, dove si approfondisce la conoscenza dei protagonisti, il loro passato e dove verranno messi a nudo le loro paure e i loro sentimenti. Il secondario invece avviene grazie alla possibilità di chiedere munizioni, granate, fumogeni per l’artiglieria, medikit o l’uso del binocolo per segnalare i bersagli sul campo di battaglia ai compagni. Questo escamotage è stato sfruttato sia per spingere il giocatore a stare vicino ai propri commilitoni, solo in questo modo, infatti, si sarà nel raggio d’azione utile per ricevere l’approvvigionamento, sia per garantire la fluidità del gioco, nonostante una certa verosimiglianza dei combattimenti. Come accennato qualche riga sopra, per quanto riguarda la campagna, tornano a gran richiesta i medikit, quindi, una volta colpiti non basterà mettersi al riparo e aspettare che la vita si rigeneri, sarà quindi necessario centellinare i kit medici e farsi colpire il meno possibile, specialmente al livello di difficoltà più alto, dove la sfida diventa davvero dura. Non mancano poi momenti ad hoc creati per dare la sensazione di essere nel bel mezzo di una battaglia reale. Durante alcuni momenti, infatti, sarà chiesto di compiere delle Gesta Eroiche, ovvero di abbandonare per qualche secondo la battaglia per salvare un compagno, non importa che questo sia sotto attacco nemico o ferito ed esposto al fuoco nemico. In altri frangenti, invece, alcuni tedeschi potranno arrendersi e toccherà a noi decidere se farli prigionieri o freddarli sul posto. Insomma, la campagna di questo Call of Duty WWII, nonostante le solite limitazioni dovute al percorso obbligatorio per arrivare a fine livello e nonostante l’intelligenza artificiale dei nemici che non brilla molto, è un’esperienza assolutamente da provare perché è in grado di emozionare e soprattutto perché, grazie alla grafica straordinaria, dà proprio l’impressione di vivere il secondo conflitto mondiale in prima persona.

Ovviamente l’anima di CoD è sempre rappresentata dalla componente multiplayer, componente che quest’anno torna, è proprio il caso di dire, con i piedi per terra. Dimenticatevi quindi wallrun e jetpack d’ogni genere. Call of Duty WWII recupera il feeling dei migliori capitoli del brand. Time to kill in pieno stile CoD ma comunque bilanciato, reso ancor più tollerabile da armi interessanti, capaci di offrire sempre una valida alternativa, eccezion fatta per un paio di bocche da fuoco leggermente più sbilanciate di altre. Ci sono poi le Divisioni, ossia il nuovo sistema di classificazione dei soldati che instaura anche una progressione ben più stratificata, scindendo le Divisioni dal livello del giocatore e proponendo classi differenti, con caratteristiche e ricompense uniche legate alla tipologia d’arma utilizzata. Entrare in confidenza con queste nuove features non sarà da subito immediato, ma si verrà aiutati dalla possibilità di recarsi nel Quartier Generale, la nuova zona social raggiungibile in qualsiasi momento e senza tempo di caricamento, con la sola pressione di un tasto (options/start). Qui si possono incontrare altri giocatori, visitare alcuni NPC che daranno accesso agli Ordini e ai Contratti (taglie/obiettivi da portare a termine entro un certo periodo di tempo) e fare pratica con le nuove serie d’uccisioni, piuttosto che sfidare qualche altro soldato in un virtuoso 1vs1. Quest’area social funziona principalmente da hub centrale, proprio come accade con la Torre in Destiny, durante le sessioni di gameplay, dando la possibilità di capire al meglio le nuove funzioni e azzerare in qualche modo i tempi morti. Il comparto multiplayer di Call of Duty WWII è estremamente solido e, cosa più importante, completo: il gameplay viene esaltato da un ecosistema di attività ricco di opzioni, sempre stimolanti. Specializzarsi in una Divisione, “prestigiare” (ossia raggiungere il livello massimo e riazzerare tutte le abilità e le armi sbloccate in cambio di un emblema che lo dimostra), portare a termine gli Ordini, ottenere tutte le armi speciali, insomma nell’ultimo lavoro di Sledgehammer ci sono davvero molte cose da fare e annoiarsi è davvero difficile. Fiore all’occhiello della produzione è sicuramente la modalità Guerra, che al contrario del classico PvP, caratterizzato da una forte anima competitiva suggerisce un approccio più scanzonato e cooperativo. Prendendo spunto da “Rush” della serie Battlefield, Guerra divide i team in attaccanti e difensori, con i primi che non dovranno solo conquistare il punto A, B o C, bensì saranno chiamati a svolgere obbiettivi dinamici che variano sempre, di mappa in mappa. Al day one ne saranno disponibili tre diverse, ma altre arriveranno sicuramente con i DLC futuri. Guerra è una modalità incredibilmente divertente, che gode di dinamiche e di uno stile davvero unico. Oltre a quest’innovativa modalità di gioco, in Call of Duty WWII sono disponibili anche altre modalità come deathmatch, team deathmatch, postazione, dominio, uccisione confermata, cerca e distruggi, cattura la bandiera e Football. Quest’ultima modalità vedrà due team affrontarsi sul campo di battaglia con lo scopo di segnare con il pallone nella porta nemica, unica differenza con il rugby è che al posto dei placcaggi sono ammessi fucili, bombe e armi di ogni genere.

Se ancora non foste soddisfatti dell’offerta del titolo di Activision e Sledgehammer, sappiate che torna anche la famosissima modalità Zombie Nazisti. Nazi Zombies in Call of Duty WWII ha un concept horror e, anch’esso, molto cinematografico, visto che fra le fila del cast può vantare attori come Elodie Young e David Tennant. In questa tipologia di gioco si verrà catapultati in un villaggio della Germania dove, immersi in un contesto da brividi, bisognerà affrontare mostri d’ogni genere. La principale novità, oltre al concept, riguarda l’impossibilità di riparare finestre e accessi vari, obbligando i giocatori a prestare davvero molta attenzione a quello che li circonda. Al solito lo scopo sarà quello di avanzare nelle varie fasi della quest superando e uccidendo i vari zombi che compongono le diverse ondate, sempre più potenti. L’estrema collaborazione richiesta sarà al contempo uno sbarramento e un grande divertimento, in grado di dare vita a sessioni di gioco davvero impegnative e appaganti. Giocando Nazi Zombies il feeling è assolutamente positivo: setting riuscito e dinamiche di gameplay interessanti e ricorrenti, come la possibilità di potenziare alcune caratteristiche del personaggio acquistando power up di vario genere, oppure migliorare il proprio equipaggiamento acquistando le armi disponibili. Presente anche un sistema di consumabili molto utili nelle situazioni più intricate, unito alla progressione canonica del personaggio. Insomma Nazi Zombies appare rifinita e ben concepita, migliorata nell’aspetto e potenziata nell’esperienza; farà certamente felici i fan accaniti e siamo certi saprà avvicinarne di nuovi. Per quanto riguarda il comparto audio le musiche e il doppiaggio in lingua italiana sono resi in maniera davvero straordinaria, inoltre il rumore delle armi e di sottofondo in generale trasportano il giocatore nel bel mezzo della seconda guerra mondiale donando ancora di più credibilità al titolo. Dal punto di vista grafico e tecnico Sledghammer non ha rivoluzionato il motore di gioco, ma ha continuato a limare e perfezionare gli strumenti già a sua disposizione, rendendo sempre più impercettibile la differenza tra le parti giocate e quelle filmate. In generale l’effetto globale è d’impatto, grazie all’ottima regia con la quale ogni scena è stata confezionata e alla spettacolarità degli scenari scelti per ambientare le diverse battaglie. Quasi sempre sembrerà di trovarsi in una scena di Salvate il Soldato Ryan o Band of Brothers, quindi qualità massima e grandi emozioni. Inoltre il frame rate non si abbassa mai sotto i 60fps, di conseguenza possiamo dire che il titolo è in grado di offrire un’esperienza davvero curata. Tirando le somme, il tanto atteso ritorno alla seconda guerra mondiale ha fatto sicuramente bene a Call of Duty. Con WWII Activision e Sledgehammer Games non reinventano la ruota e tantomeno rivoluzionano una serie che, per più di un motivo, continua a rimanere assolutamente fedele a se stessa, ma riescono a migliorare le varie modalità e le tante risorse sotto praticamente ogni aspetto. La campagna è spettacolare, suggestiva e a tratti emozionante, il multiplayer è stato rinfrescato dalla modalità Guerra e dallo spazio sociale del Quartier Generale, gli zombi, a loro volta, tornano più cattivi che mai e danno quel senso di completezza che rendono grande una produzione. Insomma, quest’anno Call of Duty ha fatto centro in tutti i sensi e siamo assolutamente certi che questo capitolo resterà impresso nei cuori e nelle menti di tutti i gamers. Non avere Call of Duty WWII nella propria libreria di giochi sarebbe un vero peccato.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

 

Grafica: 9,5
Sonoro: 9,5
Gameplay: 9,5
Longevità: 9,5

 

VOTO FINALE: 9,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Need for Speed Payback, la saga racing di EA torna a brillare

Need for Speed Payback arriva su Pc, Xbox One e PlayStation 4 con l’obbiettivo preciso di riportare in auge lo spirito che ha reso grande la serie grazie alle corse clandestine, al tuning estremo, ma anche gettandosi alle spalle tutte le criticità venute fuori nel precedente capitolo della saga. Il nuovo titolo, sviluppato da Ghost Games, abbandona l’oscura Ventura Bay trasferendosi nella soleggiata Fortune Valley. Quest’ambientazione è resa dinamica dai molti eventi messi a disposizione sull’enorme mappa ed è resa ancora più accattivante grazie al ciclo giorno/notte che cambia faccia a canyon, superstrade e alle intricate vie cittadine che fanno da sfondo all’esperienza di gioco.

 

Per chi non lo sapesse, Need for Speed è una delle serie di corse d’auto più longeve di sempre. Nata nel 1994 su Panasonic 3DO con “The Need for Speed”, il titolo ha dettato le regole dei racing games simul-arcade con i suoi innumerevoli capitoli e spin-off che venivano rilasciati quasi a cadenza annuale. NfS è una serie che ha visto i suoi fasti durante la sesta generazione di console con i capitoli della serie Underground, tra i più apprezzati in assoluto, ma anche con Hot Pursuit II e Most Wanted, ma che negli ultimi anni s’è un po’ persa per strada con capitoli abbastanza sottotono come ProStreet del 2007 ed il più recente reboot del 2015. Con l’arrivo di concorrenti sempre più validi e agguerriti nel settore, come Forza Horizon, The Crew e Test Drive Unlimited, la serie targata EA aveva bisogno di qualcosa di più per primeggiare, e c’è da dire che con Need for Speed Payback, le novità sono davvero moltissime. La trama attorno cui ruota tutto il gameplay è semplice quanto coinvolgente e sembra proprio essere scritta per una produzione cinematografica in stile “Fast and Furious”.

 

Una banda composta da tre talentuosi piloti (Tyler “Ty” Morgan, Sean “Mac” McAlister e Jessica “Jess” Miller) che si danno alla macchia, mettendo a segno qualche colpo qua e là. La loro ultima impresa, rubare la fuoriserie di uno degli uomini più ricchi di Fortune Valley, viene però compromessa dal tradimento di una collaboratrice, Lina Navarro, che si scopre essere al soldo della Loggia, una potente organizzazione che fa soldi anche e soprattutto truccando le corse clandestine che si svolgono nella zona. Inseguito dalla polizia, Tyler non ha alternative: stringe un patto con l’uomo che voleva derubare ed entrambi si impegnano a vendicarsi nei confronti della Loggia. Per riuscire nell’impresa, però, bisognerà riunire la vecchia banda. Sei mesi dopo il tradimento di Lina Navarro, Tyler, spinto dal bisogno di denaro e dalla voglia di correre, decide finalmente di agire: si mette in mostra durante una gara per ottenere un ingaggio con la Loggia, quindi partecipa a una delle corse truccate dall’organizzazione solo per mandarla a rotoli, tagliando il traguardo per primo e facendo perdere un bel po’ di soldi ai propri nemici giurati. Scoperte le carte, la faccenda si fa seria e vengono dunque richiamati in azione Mac e Jess, la cui funzione nel gioco non è unicamente narrativa ma anche e soprattutto pratica, infatti, laddove Ty è specializzato nelle gare tradizionali e di accelerazione, Mac può guidare offroad e nelle sfide di derapata, mentre invece Jess è una maestra delle fughe, specie dalla polizia.

 

Tipologie diverse di eventi che nell’ampio open world di Need for Speed Payback richiedono l’uso di vetture specifiche, divise in cinque categorie: corsa, accelerazione, derapata, fuoristrada e fuga. Quando la squadra si riunisce e la storia ingrana, la mappa di Fortune Valley si riempie progressivamente di un gran numero di attività: alle missioni principali, che ruotano attorno a dieci gang da sconfiggere per arrivare infine a sfidare la Loggia, si aggiungono svariate quest secondarie, nella forma di semplici gare di velocità, autovelox da superare a tutta birra, collezionabili di vario genere e infine i “catorci”. Questi ultimi sono auto gloriose, dallo straordinario potenziale ma ridotte in condizioni pessime, che bisogna rimettere in sesto dopo averne trovato i componenti all’interno dello scenario, in una sorta di caccia al tesoro che spesso e volentieri implica salti spettacolari e un’approfondita esplorazione dell’area. Need for Speed Payback offre una storia principale che si completa nel giro di venti ore, ma se a queste si aggiungono tutte le attività collaterali di cui abbiamo parlato qualche riga più in alto e il multiplayer competitivo per otto giocatori, allora il tempo da passare in compagnia con la creazione di Ghost Games aumenta in maniera esponenziale. A livello di giocabilità, l’impostazione del titolo EA è open-world, e si tratta del mondo di gioco più vasto di sempre della serie Need for Speed. Fortune Valley offre chilometri e chilometri di autostrade, strade statali, strade di montagna e di campagna tutti da percorrere ad altissima velocita, ma non finisce qui, infatti oltre a queste zone si aggiunge anche la grande città di Silver Rock, metropoli viva e pulsante che ricorda alla lontana Las Vegas. La vastità di questo mondo si avvicina quasi ai livelli di quello proposto da GTA V, ma stavolta differentemente da ciò che accadeva in passato, c’è la possibilità di andare praticamente ovunque con la propria auto. Scalare montagne, correre attraverso una pianura sterrata o seguire vie secondarie nascoste fra immense sequoie sarà infatti sempre molto utile per scovare tutti i segreti celati nell’enorme area di gioco.

La modalità carriera di Need For Speed Payback ha inizio con un prologo lungo quasi un’ora in cui i giocatori potranno provare le varie tipologie di auto in eventi story-driven, per poi finalmente mettersi alla guida di una vettura di basso profilo. Da questo momento ci si potrà dedicare alle gare della missione principale oppure prender parte ad eventi e gare secondarie. Queste ultime sono fondamentali se si vuole progredire bene nella trama principale non solo perché utili a guadagnare punti Reputazione e denaro per comprare altre auto e potenziamenti, ma anche perché hanno integrato un sistema di scommesse che invogliano il giocatore a ripetere la gara con l’obiettivo di turno (che cambia ogni volta). Inoltre grazie all’ormai collaudato Autolog, battendo il miglior tempo registrato dalla community per quell’evento si potrà ottenere un ulteriore bonus. Vincendo le gare oltre a guadagnare punti reputazione e denaro sonante in proporzione al piazzamento al traguardo, si potranno ottenere come premio anche le così dette speed card, ossia delle carte a cui è affidato il sistema di upgrade delle prestazioni dell’auto. Ce ne sono di diversi tipi: Turbo, Testata, Freni, Nitro, Scarico e via dicendo. Ognuna di esse ha impatto su due o tre caratteristiche di rendimento della vettura, e ogni categoria è disponibile di diversi livelli che ne accrescono l’efficacia. Inoltre, ci sono diversi marchi di Speed Card, ed associandone tre o sei della stessa etichetta si possono ottenere importanti bonus sulle prestazioni della vettura. Le Speed Card possono essere montate immediatamente appena si ricevono come premio, oppure vendute, spedite al garage per applicarle ad altre auto, o ancora scambiate per tentare la fortuna e riceverne una migliore. Poiché le Speed Card possono anche essere comprate in officina con crediti di gioco a un prezzo non proprio economico, questo sistema invoglierà i giocatori a gareggiare tanto al fine di ottenerle gratuitamente. Le carte di potenziamento possano essere anche comprate con denaro reale tramite le famose micro-transazioni, ma a nostro avviso il modo più divertente per godersi il gioco è vincere le corse con quello che si ottiene col sudore della propria fronte e delle mani in pista. Sempre a livello di giocabilità, è importante sottolineare che in Need for Speed Payback esistono cinque categorie differenti di vetture, e di conseguenza di gare. Ogni tipologia di auto può infatti prendere parte esclusivamente agli eventi relativi alla sua classe, ma ognuna di esse può essere utilizzata liberamente per l’esplorazione del mondo di gioco. Le tipologie sono: Sprint (per le gare su asfalto), Derapata (per le gare in cui lo scopo è guadagnare più punti derapando), Off-road (per le gare su sterrato), Accelerazione (per le classiche gare drag in cui è obbligatorio usare il cambio manuale) e Fuga (spettacolari inseguimenti con la polizia in cui si vestiranno i panni della bella Jess). Suddividendo in questo modo le corse, a nostro avviso, EA e Ghost Games hanno fatto la scelta giusta perché così facendo ce n’è davvero per tutti i gusti e chiunque saprà sempre a che cosa va incontro e come affrontarlo. Lo stile di guida dichiaratamente arcade offerto da Need for Speed Payback risulta essere semplice e soddisfacente al tempo stesso. Il sistema di derapate è molto divertente e il comportamento delle vetture che varia a seconda della categoria è decisamente appagante, indipendentemente dal tipo di terreno su cui si corre. Va ricordato però che Need for Speed è anche sinonimo di grande personalizzazione, di tuning e del pimping più estremo e sregolato. In questo capitolo Ghost Games ha curato molto questo aspetto, dando la possibilità agli utenti di potersi sbizzarrire come preferiscono e di modificare pressoché tutte le parti del veicolo, rendendolo unico, esagerato e arrogante.

Need for Speed Payback non è un simulatore di corse e non fa assolutamente niente per nasconderlo. La fisica del gioco è a tratti improbabile, gli incidenti spettacolari si risolvono quasi sempre con ben pochi danni e ci sono vetture modificate che tengono testa a costosissime fuoriserie. Ma il gioco è bello proprio perché è così! Se si vuole vincere si deve lasciare a casa l’indole da guidatore corretto: ogni gara, che sia su strada o su sterrato, richiede un gran numero di sportellate e gesti scorretti, coadiuvati da una discreta conoscenza del terreno di scontro visto che è possibile sfruttare rampe e scorciatoie di vario genere magari per accorciare le distanze tra un checkpoint e l’altro. Il gioco funziona e diverte perché incoraggia chi sta con il pad in mano a comportarsi proprio come non farebbe nella vita reale: spinge ad andare contromano, a sfiorare le vetture che intralciano la strada durante le corse e non e a derapare selvaggiamente per affrontare curve anche tagliando la strada ai nostri avversari, anche a costo di danneggiare la carrozzeria del proprio bolide. A proposito dei danni, ovviamente questi sono presenti, ma si tratta di una caratteristica di natura solo estetica che non fa altro che enfatizzare la vena arcade del gioco. La vettura infatti si distruggerà mano a mano che si colpiscono ostacoli o avversari, senza però mai influire sulle performance della vostra vettura. Gli impatti comunque risultano sempre molto spettacolari, specialmente durante le gare o le missioni della tipologia Fuga che, un po’ sulla falsa riga della serie Burnout, permettono di effettuare degli spettacolari “takedown” su vetture della polizia o della Loggia. Graficamente parlando il Frostbite Engine, fiore all’occhiello delle produzioni targate EA, offre una solidità generale e le prestazioni in termini di frame rate non hanno mai cali improvvisi. Buona anche la resa artistica della città, con macro aree ben diversificate e la possibilità di percorrere le strade di montagna di Mount Providence, zone semidesertiche o ammirare il tramonto da Silver Canyon. I modelli delle vetture fanno egregiamente il loro lavoro mettendo in mostra la bellezza dei bolidi presenti in game, tutto questo è possibile in quanto le carrozzerie sono sempre ben popolate di poligoni e riflessi. Le ambientazioni sono anch’esse ben realizzate ma purtroppo i paesaggi si rivelano quasi anonimi, con textures troppo ripetute, anche se la mappa è correttamente suddivisa in macro aree molto diverse fra loro. Generalmente buono è anche il comparto sonoro. A rendere l’azione adrenalinica c’è una lunga selezione di brani rock, indie rock, elettronica e rap perfetti per gareggiare e percorrere i chilometri da una location all’altra. Il doppiaggio italiano, realizzato da professionisti del settore, è nel complesso buono e credibile. Ottimi invece i suoni emessi dai bolidi e gli altri effetti che caratterizzano l’azione al volante. Tirando le somme, questo Need for Speed Payback, nonostante non sia il miglior gioco di guida attualmente in commercio, a nostro avviso è un titolo che merita di essere giocato perché diverte. Tutto questo grazie alla sua natura arcade che non si perde in lunghe sessioni di regolazioni di assetto e preparazioni pre corsa, ma lancia il giocatore direttamente nell’azione rendendolo protagonista assoluto delle corse. Nonostante la modalità multigiocatore presente sia totalmente di contorno, le tante cose da fare e la possibilità randomica di ottenere le carte corsa rendono l’intera esperienza di gioco assolutamente godibile da ogni tipologia di giocatore. Quindi se amate le corse d’auto, lo stile alla Fast and Furious e una guida tipicamente arcade, Need for Speed Payback è tutto ciò di cui avete bisogno.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

 

Grafica: 8
Sonoro: 9
Gameplay: 8,5
Longevità: 8,5

 

VOTO FINALE: 8,5

 

Francesco Pellegrino Lise