Google aggiorna privacy e servizi dal 22 gennaio

Google, a partire da martedì prossimo, 22 gennaio, introdurrà alcune modifiche alla privacy.

Ovviamente queste sono in linea con il nuovo regolamento Ue sulla protezione dei dati personali (Gdpr) entrato in vigore nel maggio scorso. Sarà Google Irlanda, sede del quartier generale europeo del colosso del web, e non più la californiana Google Llc, ad essere titolare del trattamento dei dati, responsabile delle informazioni degli utenti e del rispetto delle leggi vigenti sulla privacy.

La sede irlandese di Big G sarà quindi responsabile dell’osservanza del Gdpr, e dovrà rispondere alle richieste sui dati degli utenti, comprese quelle avanzate dalle forze dell’ordine dell’Unione europea.

La modifica interesserà lo Spazio economico europeo formato da Ue più Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. A cambiare saranno poi i termini di servizio. In base alle modifiche, che erano state già anticipate a metà del mese di dicembre, anche i servizi della compagnia di Mountain View saranno erogati da Google Irlanda, dove l’azienda ha il suo quartier generale europeo, e non più dalla Californiana Google Llc. Anche questa modifica riguarderà lo Spazio economico europeo più la Svizzera, e si estenderà a YouTube sia gratis che a pagamento, Drive e Play.

I cambiamenti non altereranno l’esperienza dei fruitori dei servizi di Google, precisa la compagnia. Resterà tutto invariato – si legge in una nota inviata nelle scorse settimane agli utenti – anche per quanto riguarda le impostazioni sulla privacy, la modalità di trattamento dei dati e le finalità del trattamento.

Nel suo post, a firma di Anne Rooney, public policy manager di Google, l’azienda aggiunge: “Stiamo modificando il modo di controllare i dati per facilitare l’impegno con le autorità di protezione dei dati dell’Unione Europea attraverso il One Stop Shop, un meccanismo del GDPR creato per assicurare la coerenza delle decisioni normative riguardanti le aziende e i cittadini europei. È importante sottolineare che queste modifiche non vanno ad alterare in alcun modo il funzionamento dei nostri prodotti o il modo in cui raccogliamo ed elaboriamo i dati degli utenti all’interno dei servizi Google”. In sostanza quindi, per noi utenti cambierà il modo in cui verranno gestiti i nostri dati personali, modifiche amministrative che forniranno una garanzia in più alla nostra sicurezza online ma che non andranno a minare in alcun modo la nostra “user experience”.

F.P.L.




Just Cause 4: azione e adrenalina su pc e console

Arrivata al suo
quarto capitolo dopo più di dieci anni di attività, la serie Just Cause si è
fatta un nome quasi esclusivamente grazie all’incredibile qualità dell’azione
che Avalanche è riuscita ogni volta a imprimere nei titoli del franchise, tra
esplosioni, sparatorie, pericolose acrobazie e scene degne dei migliori action
movie di Hollywood. Anche stavolta, con questo nuovo capitolo per Xbox One, Ps4
e Pc, la software house non si è smentita e ha dato alla sua ultima creazione
lo stesso tocco iperbolico di sempre con l’aggiunta di una marcia in più. Ma
veniamo alla trama, Just Cause 4 è piuttosto semplice per quanto riguarda
l’aspetto narrativo: dopo aver messo a ferro e fuoco diverse regioni del mondo,
rovesciato dittature e molto altro, Rico Rodríguez decide di cercare
informazioni sul proprio padre scomparso, coinvolto suo malgrado in un progetto
segreto capace di controllare gli eventi atmosferici in tutto il mondo. Tale
progetto viene guidato dal leader di una forza militare chiamata Mano Nera, che
controlla al tempo stesso l’intero territorio della regione fittizia chiamata
Solis sotto un regime militare inflessibile, in cui pochi o nessuno sembra
essere intenzionato ad alzare la testa per ribellarsi. Un primo intervento da
parte di Rico innesca un meccanismo di non ritorno pronto ad accendere una vera
e propria rivoluzione, sotto la bandiera del fronte di liberazione chiamato
Armata del Caos. Fantasie sui nomi a parte, da qui ha inizio una sequela di
situazioni strampalate degne di un kolossal di azione, dove gli elementi del
gameplay ormai noto agli appassionati del franchise si fonde abilmente a una
struttura di gioco piena zeppa di cose da fare. Andando a descrivere le
attività più semplici, il gameplay di Just Cause sfrutta gli elementi del
genere action in terza persona, personalizzando per l’occasione gran parte
delle azioni in gioco mediante l’utilizzo del rampino, che può diventare
all’occorrenza un mezzo di trasporto, un modo per avvicinarsi ai nemici e
colpirli con un attacco in mischia, attirare un elicottero e farlo schiantare
su un oggetto (o salirvi sopra) e così via, aggiungendo di nuovo per questo
quarto capitolo alcune feature extra. Una di queste è per esempio il
sollevatore, ovvero un pallone aerostatico che viene attaccato al target del
rampino per farlo sollevare appunto da terra, liberando alcune strade bloccate
oppure per far volare via i nemici che possono essere più fastidiosi. L’altra
funzione del rampino è il riavvolgitore, che può essere sfruttato per aprire
pannelli o porte grazie appunto alla potenzia del rewind del cavo.

L’aspetto divertente
però è che tutte le abilità sopra elencate possono essere combinate tra loro,
creando delle vere e proprie sequenze che sfociano in situazioni incredibili e
paradossali anche solo da pensare e che sono molto lontane dal realismo. Alcuni
dei gadget necessari per compiere le azioni più complesse verranno richiesti
durante lo svolgimento di alcune missioni, ma al di fuori di esse non se ne
sente il bisogno vero e proprio di servirsene, in quanto risulta decisamente
più facile seguire una routine standard e più immediata, che spesso si traduce
nell’utilizzo del rampino basilare, piuttosto che stare a elaborare approcci di
tipo assurdo. Come avrete capito, quindi, la star di questo capitolo è
indiscutibilmente il rampino, che subisce un imponente rework diventando un
vero e proprio strumento creativo in mano al giocatore. Non è più un semplice
gancio con cui muovere Rico, ma lancia ora tre diversi congegni che
interagiscono con il mondo di gioco producendo effetti spettacolari su di esso.
Ciascuno dei tre dispositivi del rampino può essere programmato attraverso una
manciata di opzioni, che ad esempio permettono di aggiustare la potenza del
riavvolgitore o l’altezza del pallone del sollevatore, o ancora la direzione
della spinta dei booster. Si possono applicare fino a 10 ganci simultaneamente,
configurando ognuno di essi perché produca il suo effetto automaticamente, alla
pressione di un tasto o quando questo rimane premuto. Inutile dire che le
combinazioni sono davvero tantissime e che questo sistema metterà alla prova la
creatività dei giocatori più incalliti tenendoli impegnati ore e ore a
sperimentare micidiali combinazioni con il rampino. In Just Cause 4, oltre al
conseguimento delle missioni principali, sarà possibile svolgere anche delle
attività alternative secondarie, che vanno di pari passo al gameplay di stampo
gestionale inserito per portare a termine la rivoluzione dell’armata del caos.
Ma come funziona questo aspetto del gioco? La fase strategica/gestionale è
rappresentata dalla presenza di una mappa generale di Solis che serve a capire
quali territori sono conquistati dal nemico e quali invece sono sotto assedio
per essere liberati. Ogni volta che si porterà a compimento una missione, o si
farà danno alla mano nera, l’esercito accumula dei preziosi punti che servono a
sbloccare un punteggio armata. Questo punteggio serve per conquistare le
regioni limitrofe a quelle già liberate, a patto che però Rico distrugga il
quartier generale della Mano Nera costruito in quella determinata area. Una
volta liberata la base, la zona si sblocca per l’acquisto, regalando anche al
protagonista dei potenziamenti extra da utilizzare nel corso dell’avventura.
Oltre a queste dinamiche più ovvie, il gioco regala anche qualche piccolo sfogo
extra alla ricerca di prove bonus un po’ meno in evidenza, come la distruzione
di alcuni dirigibili.

In Just Cause 4, gli
amanti delle armi saranno molto felici in quanto Rico può contare su un vasto
arsenale composto da circa una quindicina di bocche da fuoco diverse tra fucili
d’assalto, fucili a pompa, lanciarazzi e fucili di precisione e se alcune di
queste sono piuttosto ordinarie, molte sono assolutamente stravaganti e dal
potenziale distruttivo enorme. Insomma, come si evince da quanto scritto, la
carne al fuoco, dal mero punto di vista della quantità, è indubbiamente
parecchia. Soprattutto perché buona parte dell’esperienza è stata confezionata
per essere vissuta facendo semplicemente caos, baccano, seminando morte e
distruzione nelle province dell’isola. Questo aspetto è alimentato dalla
possibilità di richiedere attraverso i rifornimenti qualsiasi tipo di veicolo,
civile o militare, presente nel gioco. Dalle piccole utilitarie ai giganteschi
dirigibili da guerra, dalle fiammanti auto sportive ai caccia ultrasonici,
passando per carri armati, motovedette, risciò cittadini e addirittura aerei di
linea, ciascuno dei veicoli e dei velivoli presenti in Just Cause 4 è
pilotabile è può essere richiesto a piacimento in qualsiasi punto della mappa.
Il catalogo dei rifornimenti è vasto e comprende anche l’arsenale di Rico e
altri oggetti come le postazioni di artiglieria. Per poter utilizzare ogni
giocattolino basterà soltanto completare i requisiti di ciascun pezzo per
poterselo vedere recapitato dopo pochi secondi. Le consegne si sbloccano
liberando specifici territori e man mano che si avanza si ottengono un maggior
numero di piloti e tempi di cooldown sempre minori, il che significa che verso
la fine del gioco si potranno abbinare alle capacità del rampino anche la
potenza di fuoco di mezzi sempre più devastanti. Dal punto di vista tecnico, il
nuovo motore grafico di Avalanche ha un impatto considerevole sul comparto
grafico di Just Cause 4, il migliore dell’intera serie al netto di qualche
scivolone sul livello di dettaglio (troppe texture in bassa risoluzione).
Sorvolando Solís il colpo d’occhio è notevole grazie principalmente all’ottima
qualità dell’acqua e ai convincenti effetti di luce, ed è solo quando si tocca
il terreno che si notano alcuni problemi relativi alle texture, soprattutto
quelle del fogliame. A fare la parte del leone è invece la fisica degli
oggetti, esplicitamente al centro degli sforzi del team di sviluppo e mai così
realistica in un Just Cause. Tirando le somme, con questo quarto capitolo della
serie, Avalanche ha preferito scommettere ancora una volta sul puro gameplay
rispetto al realismo e a una trama dettagliata. Bisogna però ammettere che
nonostante ciò l’esperienza nel complesso porta con se notevoli miglioramenti
in direzione di una maggiore libertà del giocatore in quello che è a tutti gli
effetti un mondo sandbox ricco di spunti. Ciò che secondo noi è un elemento su
cui si poteva lavorare meglio è invece la scarsa varietà delle missioni e un
comparto grafico che non riesce a stupire, almeno nella qualità delle texture.
In ogni caso, Just Cause 4 è un titolo davvero molto divertente, quindi se si è
alla ricerca di un software che riesca a far staccare la spina per qualche
tempo senza doversi preoccupare di trame complesse da seguire o cose da fare
entro tempi limite, Just Cause 4 è il prodotto più indicato in questo periodo.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5

Sonoro: 7,5

Gameplay: 7,5

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise




Nuovi Surface disponibili in prevendita in Italia

I nuovi Surface Pro
6 e Surface Laptop 2, annunciati a ottobre, sono ora in prevendita sul
Microsoft Store e presso i rivenditori selezionati. Inoltre, il nuovo Surface
Studio 2, il device della famiglia Surface più potente di sempre, è per la
prima volta disponibile sul mercato italiano. L’iconico Surface Pro, che ha
decretato il successo della categoria 2 in 1, spinge sull’acceleratore e lavora
il 67% più velocemente grazie ai processori Intel Quad Core di ottava
generazione. Disponibile nell’elegante versione nera, oltre che nel classico
color platino, Surface Pro 6 offre il meglio in termini di portabilità per la
vita digitale di oggi, una connettività sempre affidabile e mobilità senza
eguali, coronati da potenza e prestazioni eccezionali. Il gusto del design e
della realizzazione di Surface Laptop 2, disponibile nella colorazione platino,
è sottolineato dal sapiente accostamento tra il dettaglio raffinato dei
materiali e le linee pulite ed eleganti. Il dispositivo garantisce inoltre il
massimo della produttività, grazie al processore Intel Quad Core di ottava
generazione, alla batteria con autonomia fino a 14,5 ore e alla tastiera più
rapida e silenziosa.

Surface Pro 6 e
Surface Laptop 2 sono disponibili anche nelle configurazioni business, che
offrono feature aggiuntive e ulteriori vantaggi, come: Windows 10 Pro, per una
sicurezza avanzata, semplicità di gestione a livello aziendale e migliori
funzionalità per la produttività. Processore Intel Quad Core di ottava
generazione (8350U) nei modelli i5, che garantisce la migliore performance
possibile. Microsoft Advanced Exchange: un nuovo servizio di garanzia, che
prevede la rapida sostituzione del dispositivo senza costi aggiuntivi. 

Surface Studio,
considerato da molti sinonimo di innovazione e della nascita di una categoria
di prodotti senza precedenti, è progettato al servizio dell’inventiva e
trasforma la postazione di lavoro in una fucina creativa. Con prestazioni
grafiche aumentate del 50%, Surface Studio 2 batte tutti i record di velocità
di casa Surface, con potenza e prestazioni professionali. Il display regolabile
Brilliant PixelSense da 28 pollici trasforma lo schermo in una tela extra large
su cui trasferire le proprie idee. Inoltre, Surface Studio 2 integra sempre il
sistema operativo Windows 10 Pro, che offre il massimo della protezione,
efficaci tool di gestione e maggiore produttività grazie all’app Desktop remoto
e a Cortana.

Surface Pro 6 è disponibile nella versione consumer a partire da 1.069€ e nella configurazione business a partire da 1.169€. Inoltre, acquistando in prevendita sul Microsoft Store il dispositivo nella configurazione consumer, si riceverà in regalo la Surface Pen, per un’esperienza di scrittura naturale e di massima precisione (del valore di 114,99€). Surface Laptop 2 è disponibile a partire da 1.169€ per la versione consumer e 1.369 € per la configurazione business. Le configurazioni consumer con processore Intel Core i7 sono in prevendita in esclusiva sul Microsoft Store. È possibile acquistare in prevendita Surface Studio 2 sul Microsoft Store e presso i rivenditori autorizzati a partire da un prezzo di 4.199€.

F.P.L.




Darksiders 3, l’apocalisse continua con Furia

Dopo il lungo e travagliato percorso della software house che ha ideato la saga, ecco arrivare sulle console di attuale generazione e su Pc Darksiders 3, l’attesissimo nuovo capitolo della serie apocalittica più amata dal grande pubblico. Se in Darksiders il grande protagonista era Guerra, in Darksiders 2 si potevano vestire i panni di suo fratello Morte, stavolta invece i giocatori interpreteranno Furia, definita dai suoi stessi creatori come il più imprevedibile ed enigmatico dei cavalieri dell’apocalisse. A differenza dei fratelli, Furia è una maga e utilizza principalmente armi veloci ed eleganti, elemento questo che rende il gameplay di Darksiders III alquanto diverso da quello visto nei videogiochi precedenti.



Ma veniamo alla trama

Il titolo inizia lì dove la storia si era interrotta nel 2012, con Guerra al cospetto dell’Arso Consiglio che lo accusa di tradimento. Furia, che per sua natura è ambiziosa e desidera ardentemente essere al comando dei cavalieri e riabilitarne il nome, decide di servire ancora una volta il Consiglio e si mette alla ricerca dei Sette Peccati Capitali, entità che mettono a repentaglio il preziosissimo equilibrio tra le forze del Caos e quelle dell’Ordine. La protagonista si dirige quindi sulla Terra, ormai distrutta dalla guerra tra Paradiso e Inferno, alla ricerca di Invidia, Ira, Avarizia, Accidia, Lussuria, Gola e Superbia, nascosti ciascuno agli angoli di un mondo di gioco vasto, denso di pericoli e perfettamente interconnesso. Dopo le avventure di Guerra e Morte era da anni che gli appassionati aspettavano d’interpretare un nuovo cavaliere dell’apocalisse, e Furia, durante le nostre prove, ha saputo conquistarci a partire dalla prima cutscene.

La protagonista infatti è carismatica, tagliente e ironica, un carattere quasi all’opposto di quelli dei suoi fratelli che spesso impersonano il ruolo dell’eroe maledetto.

In Darksiders 3 non solo la protagonista è molto ben caratterizzata, ma una volta in suo controllo viene subito fuori come il team di Gunfire Games abbia voluto confezionare un’esperienza di gioco davvero diversa dalle precedenti senza però stravolgere le dinamiche e i lati positivi che hanno reso famoso il brand. Darksiders 3 si distacca dal secondo episodio tanto quanto questo si allontanava dal primo, e se l’epopea di Guerra era una fusione tra Zelda e un action hack ‘n’ slash, e quella di Morte un misto tra l’epopea di Link, GDR loot based, e i Prince of Persia 3D, il nuovo capitolo della serie decide di mischiare ulteriormente le carte unendo sposando un cammino che strizza l’occhio ai Souls-like, quindi alla moda e in linea coi tempi. Si tratta di una scelta quantomai sensata, visto che la storia di Furia è un altro prequel di sorta, che si svolge nel bel mezzo del primo capitolo (subito dopo la cattura di Guerra per l’esattezza) e si limita a chiarire alcuni fattori della narrativa di fondo, senza andare a stravolgere gli avvenimenti degli altri giochi.

Evitare una struttura eccessivamente dispersiva in favore di una mappa interconnessa è una scelta perfettamente adeguata per un simile pezzo del puzzle; la natura del gioco non significa però che manchi una trama di fondo discretamente interessante: Furia è forse la più “umana” dei cavalieri, e l’intera avventura è una sorta di “arco del personaggio” che la vede superare a suo modo un’iniziale tendenza alla megalomania e alla rabbia ingiustificata. Non si tratta certo di una campagna straordinaria dal punto di vista narrativo, ci teniamo a precisarlo, eppure è piacevole osservare lo sviluppo di una protagonista imperfetta al punto da risultare antipatica durante le prime battute, e tentare di carpire ogni segreto riguardante il complesso background su cui il titolo poggia.

Non è solo la caratterizzazione della protagonista a risultare davvero ben fatta, ma anche l’evoluzione e il ruolo che i vari protagonisti dei capitoli hanno ricoperto nel corso degli anni: se Guerra era il condottiero tutto armatura e forza fisica, dunque, e Morte l’agile assassino, Furia veste gli abiti della maga, e quindi è il personaggio inizialmente più svantaggiato che avanzando ottiene però le abilità più potenti e variegate all’interno della squadra di avventurieri.

In Darksiders 3 si ha in pratica per le mani una combattente inizialmente molto limitata, armata solo di frusta e combinazioni molto semplici, che acquisisce gradualmente poteri estremamente interessanti, capaci di variare notevolmente il gameplay.

Queste capacità si chiamano Hollow, poteri elementali che una volta acquisiti le permettono di utilizzare armi secondarie dedicate, magie che sfruttano una speciale Barra della Collera, ovviamente ricaricabile a forza di nemici uccisi, e abilità di navigazione ben realizzate senza le quali non è possibile gironzolare liberamente per l’estesa mappa del mondo.

La capacità di Furia di cambiare elemento e di sferrare colpi in base alle armi fornite da esso non è il fulcro del combattimento, perché se si va ad analizzare nel dettaglio la sua lista di abilità, si scopre un sistema complessivamente più limitato rispetto a quello più action dei predecessori. Ciò che rende le battaglie di Darksiders III sensibilmente superiori a quelle viste in passato è una netta impennata della curva di difficoltà. La varietà di avversari trovata nel gioco, poi, è impressionante, così come notevoli sono la loro agilità e il numero di attacchi con cui possono colpire Furia di sorpresa. La tendenza Souls-like inserita nel titolo ha perciò influenzato nel profondo lo sviluppo, ad esempio i danni inflitti dagli avversari sono abbastanza importanti da rendere le morti improvvise un’eventualità tutt’altro che sottovalutabile.

Diversamente da quanto visto in passato, poi, non è possibile poter semplicemente travolgere orde di avversari grazie alla potenza degli attacchi: schivare, contrattaccare e memorizzare attentamente i pattern è un obbligo per non diventare carne da macello. Nel corso dell’avventura si potranno incontrare gli esponenti di un vasto bestiario che comprende angeli, demoni, non morti e altre creature, tutti in grado di azzerare la salute di Furia con una manciata di fendenti.

L’intensa letalità dei nemici svela quindi la natura profondamente tecnica del gameplay dove è nettamente preferibile cercare di dividere i gruppi di creature avversarie, affrontandoli uno a uno grazie al blocco della visuale che permette a Furia di concentrarsi sui singoli avversari e di schivare i loro attacchi più efficacemente. Il fluido alternarsi di schivate e combo caratterizza l’intero combat system di Darksiders III, che una volta padroneggiato dona moltissime soddisfazioni tanto ai videogiocatori più tecnici quanto ai neofiti.

Come vi abbiamo accennato qualche riga più in alto, Furia possiede il potere d’imbrigliare gli elementi per scagliarli contro tutti i nemici che le si pareranno dinanzi, ma essi non saranno disponibili da subito. Nel corso dell’avventura un misterioso e criptico alleato della protagonista le dona la capacità di assumere quattro forme (del Fuoco, della Tempesta, della Forza e della Stasi), ognuna delle quali capace di modificare l’aspetto di Furia e di farla accedere a pagine e pagine di inedite combo che rimpolpano un sistema di combattimento che altrimenti, alla lunga, sarebbe potuto diventare monotono.

A disposizione del giocatore ci sono anche due attacchi speciali che man mano che si aumenterà di livello diventeranno sempre più potenti, stiamo parlando della Collera e della forma del Caos. Entrambi dipendono da indicatori posti nella parte superiore sinistra dell’interfaccia, caricati uccidendo i nemici o consumando specifici oggetti. Utilizzando la Collera, Furia sprigiona singoli attacchi influenzati dal tipo di forma che assume, mentre il Caos la trasforma in un demone che libera una mostruosa furia distruttrice in grado di sgombrare in qualche secondo il campo da qualsiasi creatura si trovi nei paraggi.

Le forme concedono inoltre nuove abilità con le quali accedere ad aree inizialmente non accessibili del mondo di gioco, espandendo ulteriormente le possibilità d’esplorazione di Furia. La Forma del Fuoco sblocca il doppio salto, mentre quella della Tempesta il potere di planare da una sporgenza. La forma della Forza permette di aderire a particolari superfici verticali, e infine la forma della Stasi fa camminare Furia sull’acqua. Le forme sono spesso coinvolte nella risoluzione dei numerosi rompicapo che spezzano al momento giusto la frenesia dei combattimenti. Trattasi perlopiù di puzzle ambientali mai troppo complicati, ma che comunque donano al titolo un’ottima varietà. Senza lo stratagemma delle forme e delle loro speciali abilità, i Sette Peccati Capitali sarebbero stati raggiungibili fin dall’inizio di Darksiders III rovinando il senso di progressione che invece si respira addentrandosi nelle numerose aree che compongono l’ambientazione.

Nella sua struttura il mondo assomiglia a quello di Dark Souls, con un’area centrale dalla quale si diramano i percorsi verso i boss. Come in passato, i checkpoint sono gestiti anche in questo capitolo da Vulgrim, il mercante di anime attraverso cui livellare gli attributi di Furia in cambio delle anime raccolte. L’albero delle abilità di Morte visto in Darksiders II lascia spazio qui a tre semplici caratteristiche, ossia Salute, Forza e Arcano. La prima, banalmente, influisce sul numero degli HP della protagonista, mentre Forza e Arcano regolano rispettivamente la quantità di danni che si infliggono con gli Uncini del Disprezzo (la frusta di Furia) e con le armi speciali delle forme elementali. Uccidendo i nemici si ottengono anime, che Vulgrim accetterà volentieri in cambio di punti attributo da spendere in una delle tre statistiche. Ma Vulgrim non è l’unica vecchia conoscenza per i veterani della saga. Si potrà infatti incontrare il Creatore Ulthane al centro del mondo di gioco, dove gestisce una piccola colonia di umani, il quale accetterà di migliorare l’equipaggiamento di Furia in cambio della promessa di soccorrere eventuali sopravvissuti incontrati nel suo cammino. Potenziare gli Uncini e le armi delle forme sarà cruciale per sopravvivere ad avversarsi sempre più pericolosi e agli scontri con i Peccati, quindi esplorare con cura l’ambientazione alla ricerca dei materiali per il crafting non è solo un’opzione, ma una vera necessità.

Graficamente parlando, Darksiders III non è certo il titolo più avanzato dell’anno, ma è la sua precisa identità a far passare in secondo piano certe limitazioni e qualche bug secondario che forse poteva essere risparmiato.

Nel complesso comunque le ambientazioni ricalcano, giustamente, quelle viste nei precedenti capitoli, sono ben curate e sono molto gradevoli nel complesso. A questo se si aggiunge che la fluidità d’azione è davvero squisita, possiamo dire che dal lato grafico/tecnico Darksiders 3 si difende bene. Buoni anche gli effetti sonori e le musiche che accompagneranno i giocatori lungo tutta l’avventura che, se giocata ai livelli di difficoltà più alti può aumentare la durata del titolo davvero di parecchie ore. Tirando le somme, questo terzo capitolo della saga rappresenta senza dubbio una vera gioia per i fan, ed essendo comunque un prequel dei precedenti capitoli può essere un buon punto d’inizio anche per chi non ha mai giocato alla saga. Crediamo che per gli amanti delle sfide e dei videogame in single player Darksiders 3, nonostante non sia il miglior titolo del mondo, può rappresentare un’ottima sfida per mettersi alla prova e per godere di ore ed ore di sano divertimento.

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8
Sonoro: 8
Gameplay: 8
Longevità: 8
VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Con il 2019 arriva JAUMO: l’app d’incontri in nome dell’amore

Il 2018 è agli sgoccioli e cosa c’è di meglio che celebrare il Natale e il nuovo anno con un nuovo amore? JAUMO, app d’incontri con più di 800.000 iscritti solo in Italia, è lo strumento ideale a cui affidarsi durante le festività natalizie per iniziare l’anno con il piede giusto! Le vacanze di Natale potrebbero, infatti, rappresentare il momento ideale per mettersi alla ricerca, in tutta calma, dell’anima gemella.

E un’app di dating come JAUMO è un ottimo metodo per combattere la sindrome del single a Capodanno ed evitare di dover celebrare il nuovo anno tra coppie di amici dal bacio facile.

Con la funzione live streaming di JAUMO, poi, trovare la persona che davvero risponde ai propri criteri non è mai stato così facile.

L’app consente, infatti, di videochiamare il nostro match per capire sin da subito se c’è feeling o meno prima di passare direttamente agli auguri di persona. Jaumo è una parola aramaica e significa un “nuovo giorno”, una “nuova alba”. E chi lo sa, il 2019 potrebbe davvero essere l’anno della svolta per migliaia di single in Italia e non solo…

L’app è facile, sicura e garantita:

Facile perché grazie alla sua iscrizione one tap è sufficiente inserire sesso ed età per entrare subito nel mondo di JAUMO! Non è necessario inserire dati sensibili come la propria mail o utilizzare altri profili social per accedervi.

Sicura perché il suo innovativo sistema antifrode rileva attività insolite sull’app. Inoltre, il team di supporto, attivo 24/7, elabora le segnalazioni di abuso da parte degli utenti in pochi minuti.

Garantita in quanto circa il 90% delle registrazioni sono effettuate da persone reali e i profili fraudolenti vengono scovati entro pochi minuti dalla loro iscrizione alla piattaforma. Gli account fake vengono subito eliminati, così come le loro eventuali conversazioni, foto e attività come visite o match. Insomma con JAUMO trovare l’anima gemella non è mai stato così facile!

F.P.L.




Fallout 76, la grande scommessa di Bethesda

Recensire un videogame sviluppato da Bethesda Softworks non è mai cosa semplice. Se poi questo titolo fa parte della saga di Fallout l’impresa diventa ancora più ardua. Ma se il gioco in questione è un prodotto che non è stato apprezzato da gran parte della critica, l’operazione diventa adir poco titanica. Abbiamo deciso di recensire Fallout 76 dopo averlo esaminato con molta attenzione, dopo aver testato pro e contro, dopo aver cercato di capire come sarebbe dovuto essere interpretato dal grande pubblico e, a distanza di quasi un mese dal lancio possiamo finalmente esprimere il nostro giudizio. Questa premessa era doverosa in quanto ciò che stiamo per raccontare è il nostro modesto punto di vista riguardo a una produzione che ha un grandissimo potenziale, ma che non è stata capita dall’utenza. Bethesda era stata chiara fin dall’inizio, Fallout 76 non è ne sarà mai Fallout 5, il motore grafico sarà lo stesso di Fallout 4, ma soprattutto questo nuovo capitolo della serie è un gioco sostanzialmente differente da quanto visto finora. Ovviamente sembra che in molti non abbiano letto o ascoltato quello che la software house aveva ripetuto nel periodo pre lancio e quindi, a nostro avviso il titolo è stato interpretato male dagli appassionati. Capiamoci bene, non stiamo assolutamente dicendo che Fallout 76 sia un gioco perfetto e privo di difetti, ma sosteniamo che non si possa dare un giudizio estremamente negativo a un prodotto che ha un numero enorme di luoghi da visitare e di cose da fare, offre la possibilità di passare centinaia di ore di gioco in compagnia degli amici, ma che soprattutto ha il coraggio di rompere uno schema che da diversi anni distingue la serie e che a lungo andare sarebbe potuto diventare monotono e ripetitivo. Ma veniamo all’analisi del gioco: Fallout 76 utilizza la sua infrastruttura da MMO e la mette completamente al servizio di una storia che in pochi riusciranno a seguire, vista la grandissima molte di cose da fare, ma che presenta alcuni spunti così interessanti da poter essere a volte paragonati a quelli del quarto capitolo. Nel gioco si vestiranno i panni di uno dei sopravvissuti del vault 76 che, a venticinque anni dall’olocausto nucleare, è chiamato ad uscire in superficie per iniziare a far tornare in vita la civiltà e tornare, quanto più possibile, alla normalità del passato prebellico. Ci si trova quindi di fronte ad un prequel dell’universo di Fallout: si tratta infatti di un titolo ambientato svariate decine di anni prima degli altri episodi della serie. Nessun Vault è ancora stato aperto sul territorio americano e quindi ci si trova ad essere i pionieri di quello che è a tutti gli effetti un nuovo mondo.

Dopo un editor praticamente identico a quello del quarto capitolo, e un breve tutorial di base in giro per il vault quasi completamente deserto, ciò che aspetta i giocatori all’esterno del rifugio nucleare è un mondo devastato, ben lontano dalla bellezza che precedeva il conflitto eabitato da aberrazioni, mutanti e creature infette, irradiate e profondamente ostili. Il compito del protagonista è quindi seguire le tracce del sovraintendente e del suo viaggio per tutto il territorio dell’Appalachia, allaricerca della verità su cosa abbia sterminato ciò che restava della vita umana in superficie. La campagna di Fallout 76 si snoda quindi tramite una serie dimissioni principali che si suddividono a loro volta in un numero enorme disotto quest, ognuna delle quali richiederà di compiere una specifica azione richiesta dal sovraintendente o da uno dei robot e terminali che si possono incontrare sul proprio cammino. E qui veniamo incontro a uno dei difetti maggiori di questo gioco, infatti, in Fallout 76 non sono presenti personaggi con cui dialogare e da cui ottenere missioni. Quest’aspetto può essere giustificato dal fatto che essendo il primo vault ad essere aperto non c’èaltra traccia della razza umana, ma comunque trattandosi di un videogame edessendo abituati a quanto visto in passato, la totale assenza degli NPC potrebbe far storcere il naso a molti. Proprio per tale motivo e per la qualità della caratterizzazione dei robot, i quali nel tempo hanno ovviato allamancanza della specie dominante replicandone comportamenti e coscienze, la prosecuzione nella campagna non nasconde un sottotesto narrativo piuttosto interessante, arrivando a sfociare nella riscoperta di quella tecnologiaatomica che è stata proprio la causa della quasi totale estinzione della razza umana. E’ innegabile un certo livello di ripetitività della gestione degliobiettivi, scritti in maniera tale da permettere al giocatore di visitare buona parte della mappa dell’Appalachia, un territorio enorme e caratterizza totalmente bene da poter essere considerato il migliore fra quelli già vistinella serie di Bethesda. Se è vero che Fallout 76 è un titolo divertente eappassionante quando viene giocato in compagnia, è altrettanto vero chel’infinita quantità di “olonastri” da ascoltare e documenti da leggere rende difficoltoso gestire la comunicazione con il proprio gruppo, portando spesso il giocatore singolo a isolarsi per poter restare in ascolto o leggere. Sottoquesto punto di vista, Bethesda non è riuscita a trovare un compromesso tale darendere l’esperienza sufficientemente fruibile sotto ogni aspetto, con la conseguenza che, si potrebbe avvertire una certa stanchezza se si sceglie diavventurarsi in Appalachia da soli, e una mancanza di approfondimento dell’universo quando si affronta il titolo in gruppo. Detto questo però èassolutamente innegabile che la trama di Fallout 76 è ben scritta e rappresenta un buon passo avanti rispetto al poco mordente di quella vista nel quarto capitolo, regalando un certo quantitativo di brividi e sorprese col passare delle ore e soprattutto per tutta l’ultima fase. Se si deciderà di approfondire il mondo di gioco, le sue premesse e ciò che porterà con il tempo all’universodi Fallout che tutti gli appassionati conoscono, il gioco riuscirà ad appassionare ed emozionare come pochi altri. Anche le missioni secondarie, divise tra semplici compiti di poco conto e vere e proprie digressioni e approfondimenti del mondo post bellico in cui ci si trova, nascondono non pochi momenti in grado di far riflettere e approfondire tutti quegli elementi chehanno spinto l’uomo a combattere contro se stesso, fino alla propria autoeliminazione. Fallout 76, proprio per la sua natura di prequel, riesce adare voce a tutta quella voglia di conoscere le origini di un universo ancorapoco esplorato, mettendo i giocatori nei panni di quegli individui che diverranno i progenitori delle personalità che sono destinati a esistere neiprecedenti titoli della serie. Al netto quindi di una problematica insita nellastruttura di gioco, la campagna e la narrazione di Fallout 76 rappresentano senzaombra di dubbio l’elemento migliore della produzione Bethesda.

Per quanto concerne il gameplay, diversamente da quantoavviene per la storia, il titolo non è assolutamente esente da problematiche.Senza dover necessariamente rimarcare ciò che abbiamo già detto, il titolo mette il giocatore nei panni di un sopravvissuto, tornato in superficie dopoventincinque anni di reclusione in un paradiso sotterraneo nel quale la vita,con tutti i limiti del caso, scorreva facile e senza troppi impedimenti. Il mondo reale invece è brutto, sporco, cattivo e tutt’altro che amichevole. Uccidere bestie mutanti, ghoul, animali radioattivi e ogni tipologia dimostruosità nata a seguito dell’olocausto nucleare, si fonda come la base perpoter sopravvivere. Per farlo ci saranno a disposizione un arsenale di armisostanzialmente infinito, che va dalle pistole costruite con materiali discarto ai fucili a pompa, quelli di assalto, le armi contundenti, armi da fuocoautomatiche, esplosive, granate e mine e persino armi basate sull’utilizzo dilaser. Insomma, per quanto riguarda gli strumenti con cui difendersi eattaccare ce n’è davvero per tutti i gusti. Diverso il discorso per quanto riguarda il feeling che queste armi regalano, la mira fa i capricci, la lentezza neimovimenti non aiuta e la quasi totale inutilità del famoso sistema S.P.A.V.(invero scelta obbligata data la sua natura totalmente online), delineano uncomparto sparatutto che non riesce neanche lontanamente a consegnare nelle manidel giocatore una risposta ai comandi fluida e divertente. Come se non bastasse, l’usura delle armi, a volte esageratamente rapida, provoca un certosenso di noia in tutti quei giocatori che non hanno intenzione di aumentare adismisura una singola specifica solo per vedere aumentare il proprio pesotrasportabile. Per quanto riguarda le armature, in Fallout 76 la gestione è generalmente simile a quella delle armi, con una miriade di possibilità evarianti, aiutate anche dai pezzi unici che si portano in dote specifici perk, ma che soffrono sempre di un’usura a volte frustrante. Questo aspetto sarebbefacile da sopperire, grazie alla possibilità di utilizzare banchi da lavoro eil proprio accampamento per lavorare su modifiche e riparazione, se non fosseche, andando avanti e sbloccando pezzi pregiati, i materiali da spendere persistemare tali pezzi diventano talmente rari da spingere il giocatore adequipaggiare parti meno performanti, piuttosto che ritrovarsi a vagare perdecine di minuti in cerca di quel componente che si nasconde chissà dove. Proprio il crafting, croce e delizia di Fallout, amplificato enormemente conl’uscita del quarto capitolo e riproposto in maniera molto simile in questo Fallout76, rappresenta uno degli aspetti emblematici della situazione attuale di Bethesda. Da un team dalle potenzialità enormi e dalle risorse pressoché infinite, risulta quantomeno anacronistico ritrovare un sistema così datato epoco congeniale. Anche la gestione delle costruzioni, ripreso anch’esso dalquarto capitolo della saga, non convince totalmente, spingendo difficilmente alla costruzione di una propria base, portando molti giocatori a piazzare queipochi elementi utili alla gestione del proprio inventario e lasciando il resto nella“scatola dei progetti”. Per quanto riguarda il sistema di crescita del personaggio, quello presente in Fallout 76 vive di una duplice natura. Se èvero che l’aumento di livello genera i classici punti abilità da spendere suuna delle famose caratteristiche S.P.E.C.I.A.L. è con le carte, veri e propri perk, che si matura la propria build. All’aumentare di livello il gioco vi regalala possibilità di aprire un pacchetto di quattro carte. All’interno si possono trovare abilità di ogni genere, ognuna legata ad una specifica caratteristica.Ogni carta ha un suo costo in base al proprio livello che va ad intaccare ipunti spesi con l’avanzamento. Ciò significa che se si sarà aumentata la”forza” al livello 5, si avranno cinque punti da spendere con lecarte in quella specifica categoria. È possibile anche fondere le carte doppione così da farle salire di livello, aumentando però di conseguenza il loro costo di schieramento. Tutto questo sistema funziona piuttosto bene, lecarte sono un’infinità e la loro interscambiabilità permette creazioni di build sempre diverse in pochi secondi. Ciò che però dà veramente fastidio è la totalemancanza di possibilità di ridistribuire i propri punti caratteristica spesi. Quindi,una volta che si sarà raggiunto il level cap, raggiunto il livello 50, sicontinuerà ad aumentare il grado e a prendere carte, ma si perderà lapossibilità di aumentare ulteriormente una delle statistiche. Pollice verso anche per quanto riguarda l’aspetto survival di Fallout 76, limitato alla necessita di bere o mangiare, che resta quindi troppo semplice e poco profondo.Per quello che concerne le attività, esse non sono un problema per il titolo, in termini di quantità.

A livello di longevità, la campagna principale si attesta infattisulla trentina di ore di gioco, e le attività secondarie sono talmente tanteche completarle tutte richiederà un lasso di tempo a dir poco enorme. Queste sono suddivise in compiti specifici, sotto quest, missioni varie ed eventi. Completare gli incarichi garantirà un buon numero di punti esperienza e tappi (la valuta di gioco), oltre che tutta una serie di oggetti unici. Lo spostamento sulla mappa è rapido, una volta scoperta una determinata zona, previo pagamento in tappi. Ciò che però denota la mancanza di esperienza delteam in un gioco del genere, è l’impossibilità di condividere le quest. Questo aspetto, anche a distanza di quasi dieci giorni, risulta l’elemento menocomprensibile del titolo di Bethesda, costringendo giocatori nella stessasquadra a proseguire costantemente insieme, pena la necessità di compiereognuno la propria quest attiva. Discorso diverso per quanto riguarda eventipubblici e raid i quali, per la loro natura pubblica, possono essere giocati datutti e trenta i partecipanti della “stanza” di gioco. Proprio i raid,generabili dopo il ritrovamento dei codici di lancio delle armi nucleari e delloro dispiegamento sulla mappa, rappresentano per definizione le attività più impegnative. Sganciare un ordigno atomico su una fenditura, luogo già di per sepiuttosto proibitivo, genererà un evento a tempo durante il quale saràrichiesto di uccidere un obiettivo particolarmente duro da abbattere, mentre cisi occupa anche di tutte le creature di contorno. Queste, ovviamente sono leattività più remunerative e in grado di permettere di ottenere l’equipaggiamento migliore. In attesa dell’inserimento delle fazioni e di nuovi contenuti endgame, Fallout 76 rappresenta comunque già oggi un titolo estremamente divertente in gruppo, che è poi esattamente ciò che vuole essere. In Fallout 76i giocatori che si trovano nella stanza possono decidere anche di combattere fra loro, ma è evidente che Bethesda non ha alcuna intenzione di incentrare il proprio titolo sullo scontro tra giocatori, ma anzi vuole spingerli alla collaborazione, per tenere fede all’obiettivo della spedizione in superficie. Anche la gestione di questa meccanica risulta piuttosto particolare. Sia per quanto riguarda l’impossibilità di attaccare gli altri giocatori, che se nonrispondono al fuoco non ricevono praticamente danno, sia per la totaleinutilità dell’uccisione degli stessi. Anche in questo, Fallout 76 è un titoloatipico. Morire non comporterà altro che la perdita dei propri materiali, senzamalus particolari, rendendo poco interessanti gli scontri fra giocatori. Bethesda ha però già specificato che eventi totalmente dedicati al PVParriveranno nelle prossime settimane, quindi per gli amanti del pvp non restaaltro che aspettare. Ma veniamo alla vera nota dolente della produzione Bethesda, il motore grafico. Così come già Fallout 4 risultava vecchio e scarnotre anni fa, 76 non fa che esasperare questa sensazione, al punto da renderloquasi difficile da accettare nell’ambito dei titoli tripla A. Le texture sono scarne,la qualità delle ombre è a dir poco “antica”, le animazioni piuttosto legnose etutti questi elementi mal si sposano a scelte artistiche molto interessanti.Come se non bastasse, la quantità di glitch e bug che il gioco propone sono adir poco innumerevoli, e anche dopo la corposissima patch rilasciata qualchegiorno dopo il lancio, essi continuano ad affliggere il titolo, sia su Pc chesu Ps4 e Xbox One. Tirando le somme, dopo un mese di gioco, in tutta onestà nonci sentiamo di dire che Fallout 76 è un brutto gioco o un prodotto ingiocabile. Contrariamente alla grandissima moltitudine di haters, youtubers e giocatoridelusi, noi non riteniamo giusto schierarci contro una produzione che ha unpotenziale enorme e che nel tempo può solo che migliorare. Certo, moltissimidei difetti presenti in game potevano essere risolti, magari anche ritardandoil lancio del gioco, ma comunque il titolo nel complesso è comunque un prodottoche riesce a divertire e, se si riesce ad andare oltre i bug e i glitch, a dareanche grandi soddisfazioni. Se siete disposti a sopportare tutto questo, asperare che nei prossimi mesi Bethesda corra ai ripari, ma soprattutto se sietedisposti a passare ore ed ore in Appalachia per ricostruire il genere umano siada soli che in compagnia, allora Fallout 76 è un gioco che non dovete ignorare.Se invece vi aspettate un gioco perfetto, avete poca pazienza e non sopportatela presenza di elementi che possono far storcere il naso allora è meglio navigare verso altri lidi.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 8

Gameplay: 7

Longevità: 8

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise




Pocketalk, il dispositivo che traduce 74 lingue in tempo reale

Problemi con le lingue? C’è Pocketalk. Sourcenext, il più grande distributore e produttore disoftware, hardware e prodotti IoT in Giappone, annuncia la disponibilità in Italia del dispositivo portatile per la traduzione vocale istantanea che cambia il modo di viaggiare e conversare con persone che parlano lingue diverse. Dotato di Intelligenza Artificiale, connessione WiFi 4.0, touchscreen a colori da 2.4 pollici e in grado di tradurre nel modo più accurato possibile74 lingue diverse, Pocketalk abbatte le barriere linguistiche e consente di intrattenere conversazioni con chiunque in tempo reale. Dispositivo perfetto per chi ama scoprire culture nuove ed entrare in contatto con persone di lingua straniera durante vacanze, viaggi di lavoro o di studio, Pocketalk annulla le frontiere e apre le porte ai cittadini del mondo, eliminando la necessità di ricercare parole e frasi su dizionari o smartphone. Piccolo, compatto (solo100g) e con una batteria fino a 7 ore di utilizzo, Pocketalk permette di parlare normalmente e pronunciare frasi fino a 30 secondi. È un device appositamente pensato per la traduzione bidirezionale ed è dotato di una copertura globale, grazie al quale non sarà più necessario accedere ad app linguistiche che consumano batteria e traffico dati e costringono a dare il proprio smartphone in mano ad estranei. Pocketalk utilizza i migliori motori speech-to-text, di traduzione e di sintesi vocale, ottenendo in questo modo traduzioni accuratissime – il tutto semplicemente premendo un solo pulsante.

Il dispositivo è inoltre dotato di microfoni di alta qualità, tecnologia noise-cancelling e di potenti altoparlanti per un facileutilizzo anche in ambienti rumorosi.

“Abbiamo sviluppato Pocketalk per aiutare le persone a stabilire tra loro una linea di comunicazione istantanea. In Giappone abbiamo ottenuto un grande successo e stiamo riscontrando i primi risultati, anch’essi molto buoni, negli USA e in Canada. Ora sbarchiamo in Europa e in particolare in Italia, la nazione turistica per antonomasia, esiamo molto fiduciosi”, ha dichiarato Noriyuki Matsuda, CEO and Founder Source next. “La nostra mission è sempre stata quella di promuoverela comprensione e il rispetto tra culture diverse. La necessità di connettere i popoli e ridurre i confini è oggi più forte che mai e questo è esattamente il nostro obiettivo”.

In Italia, Pocketalk include una SIM integrata – a coperturadi 109 nazioni e Regioni del mondo – con due anni di traffico dati e WiFi per connessioni a hotspot personale al prezzo suggerito di 299 euro. Il dispositivo è disponibile, a partire da dicembre, nella colorazione white (gold e blackcoming soon) su siti di e-commerce e punti vendita selezionati. A partire da gennaio 2019 sarà inoltre possibile acquistare Pocketalk presso le maggiori insegne di elettronica di consumo.

Francesco Pellegrino Lise




Spyro Reignited Trilogy, il draghetto torna in HD

Spyro, il famosissimo draghetto viola presente nelle case di tutto il mondo a fine anni ’90, fa un epico ritorno con l’uscita di Spyro Reignited Trilogy. Il videogioco, regala agli appassionati una collezione di giochi completamente rivista, con nuovi personaggi, animazioni, ambienti, luci e filmati, tutto rigorosamente in HD. Con la sua uscita gli appassionati della serie potranno rivivere i tre capitoli che hanno reso il personaggio una vera e propria icona del gaming, ma anche volare verso nuove vette, scatenare terribili attacchi di fuoco ed esplorare oltre di 100 nuove ambientazioni piene di dettagli in grado di far rivivere Dragon Realms e Avalar come mai prima. La trilogia è disponibile per PlayStation 4, e Xbox One al prezzo di 39.99 euro. Con Spyro Reignited Trilogy, quindi sarà possibile giocare a una versione ampliata di Spyro the Dragon, Spyro 2: Ripto’s Rage! e Spyro: Year of the Dragon, i tre titoli originali, migliorati con un tocco moderno che li rendono più freschi, divertenti, ma soprattutto più adatti ai giocatori di oggi. In aggiunta, il doppiatore e attore Tom Kenny fa il suo ritorno nel franchising come voce di Spyro in tutti e tre i giochi. In questa nuova versione firmata Toys For Bob, i fan storici potranno inoltre godersi le colonne sonore originali, e una nuovissima sinfonia del noto compositore Stewart Copeland. Il gioco offre inoltre una funzionalità audio in-game che consente di passare dalla colonna sonora originale a quella rimasterizzata, per coloro che desiderano un’esperienza di gioco più classica. Basterà selezionare tale feature nel “menu delle opzioni” in qualsiasi momento durante il gioco e dar sfogo al loro mood, sia esso nostalgico o eccitato, e tornare poi nel vivo dell’azione senza perdere i dati di gioco salvati.

Con Spyro Reignited Trilogy ci si trova quindi dinanzi a tre grandi classici, tre diverse avventure, simili ma allo stesso tempo diverse, con ogni capitolo che di fatto è l’upgrade del precedente (proprio come è accaduto con Crash Bandicoot, qui la nostra recensione). Una formula vincente impostasi negli anni ’90 che ci portiamo dietro ancora oggi, soprattutto parlando di saghe che devono mantenere uscite annuali o poco più. Ma veniamo all’analisi dei singoli titoli: in Spyro the Dragon, che nel 1998 ha dato inizio a tutto,il perfido Nasty Norc, un essere malvagio a cui è impedito l’accesso al Regno dei Draghi, è stufo di essere insultato in TV da questa razza leggendaria e con un incantesimo li trasforma tutti in statue. Ma il suo incantesimo non riesce del tutto in quanto il piccolo Spyro viene risparmiato e tocca proprio a lui ritrovare tutti i draghi mutati in pietra e liberarli. Per potere accedere ai vari mondi Spyro deve raccogliere un numero di gemme ben preciso con cui letteralmente pagarsi un viaggio in mongolfiera dato che è ancora troppo piccolo per coprire lunghe distanze volando. E nonostante la situazione di emergenza, il pilota non è interessato a far viaggiare Spyro gratis, che gli affari sono affari. Le gemme colorate sono sparse per i vari livelli, a cui si accede attraverso dei portali e che ci faranno attraversare l’intero Regno dei Draghi, fatto di vaste pianure, picchi altissimi, aree desertiche o innevate. Un look fiabesco e coloratissimo, che grazie al lavoro di restyling operato in questa collection, risplende più che mai. Spyro è animato in maniera eccezionale, è pratico da controllare e certe legnosità dell’originale sono state limate. Resta comunque un quadrupede nano, con una visibilità sicuramente ridotta rispetto a chi sa ergersi su due gambe, ma la telecamera è stata sistemata rispetto al passato e quindi non sono presenti tutti quei problemi che affliggevano il titolo nella sua formula originale. In questo primo capitolo della saga si salta, si sputa fuoco, si plana e in alcuni livelli speciali si può persino volare grazie al potere delle fatine amiche di Spyro. Però non si nuota, anzi si affoga malamente dopo aver toccato l’acqua, quindi è necessario fare molta attenzione a dove si poggiano le zampe. Per poter nuotare liberamente sarà necessario giocare alla seconda avventura del draghetto, Spyro 2: Ripto’s Rage, che vede il protagonista giocarsi le vacanze perché risucchiato nel mondo di Avalar da parte del Professore, che ha bisogno di lui per salvare il suo mondo dall’invasore multidimensionale Ripto. Antagonista sopra le righe che fra le altre cose odia i draghi a morte. Chi quindi meglio di Spyro per sconfiggerlo? Mondo diverso, stessa storia. Ci sono i portali da attivare per poter proseguire e raggiungere il covo di Ripto, stavolta raccogliendo sfere magiche invece che liberare draghi, senza dimenticare le gemme. Queste vanno accumulate per poter pagare Riccone, ossia un grasso e peloso signore che donerà a Spyro abilità particolari come la possibilità di arrampicarsi o di nuotare sott’acqua. A volte questo npc semplicemente si farà pagare per abbassare un ponte o per noleggiare un mezzo di trasporto, per la solita regola presente in molti videogames che vede il vil denaro venir prima della salvezza del mondo. A differenza del primo Spyro, dove i livelli sono completabili al 100% sin da subito, il secondo capitolo introduce il backtracking, costringendo i perfezionisti a tornare nelle zone già visitate una volta ottenute le abilità necessarie per raggiungere il completamento perfetto. Il tutto inizialmente viene presentato in modo un po’ confusionario, ma andando avanti nel gioco ci si fa presto l’abitudine, anche se, a nostro avviso, la semplicità del primo capitolo è la formula migliore e meno stressante per godersi l’avventura. Nella terza avventura presenti in questa prestigiosa raccolta, Spyro e la sua amica libellula Sparx devono esplorare i Regni Dimenticati, dove un tempo pare vivessero i Draghi. Queste terre sono governate da una temibile quanto crudele draghessa, la Maga, che per vendetta per l’esilio manda il suo esercito di mostri a rubare le uova di drago dal mondo di Spyro. Il protagonista viene ovviamente chiamato a esplorare in lungo e in largo questo nuovo mondo per recuperare tutte e 150 le uova rubate e sconfiggere la perfida Maga. Grande aggiunta del terzo capitolo è quella che vede l’eroe non più come unico protagonista. In alcuni livelli speciali, infatti, si controlleranno nuovi personaggi come il canguro Sheila, il pinguino soldato Sergente Byrd, lo yeti Bentley, la scimmia Agente 9 o Hunter, felino cacciatore conosciuto nel secondo episodio. Questi personaggi hanno abilità uniche, dai poderosi salti alla forza bruta, passando per il volo. C’è persino la possibilità di controllare la libellula Sparx, in labirinti in miniatura creati apposta per lei. I livelli pensati per i nuovi personaggi sono interessanti, ma oggi come allora appaiono a volte meno curati rispetto al mondo di gioco, e un po’ più imprecisi. Dopo ore passate a controllare il solo Spyro può disorientare trovarsi davanti qualcosa di completamente diverso, ma resta apprezzabile la varietà che Insomniac cercò di infondere in questa terza parte della saga.

A livello tecnico e grafico, le animazioni di Spyro sono solo uno degli aspetti che Toys for Bob ha curato nella ricostruzione del gioco e forse non è il primo che salta all’occhio quando ci si trova all’interno dei livelli. Tutto è stato rifatto da zero e con una precisione maniacale: è stato rivisto il design di ogni singolo personaggio, nemico e animaletto che popola i mondi di gioco mentre gli scenari sono stati arricchiti da numerosi particolari ma senza diventare irriconoscibili. Quello che segna però realmente l’aspetto del gioco sono le luci e l’acqua, perfettamente gestiti dall’Unreal Engine 4. Per quanto Spyro sia sempre stato un gioco molto colorato, e in questo la Reignited Trilogy non si smentisce, quello che mancava totalmente ai tempi era la profondità data dalle ombre, inesistenti. Ora i giochi di luce sono parte integrante dell’ambiente, ricreando non solo un’atmosfera davvero suggestiva ma interagendo con l’acqua in un modo mai visto in Spyro. Immergendosi in acqua si percepisce la consistenza del fluido e la quantità di luce presente nel livello influisce sulla visibilità. Il lavoro di aggiunta e perfezionamento influenza tanto il lato grafico quanto il comparto audio. Gli effetti sonori già presenti nei vecchi titoli sono leggermente diversi ma tutti ben riconoscibili mentre molti altri sono stati aggiunti: tendendo l’orecchio si può sentire il battito d’ali di Sparx, il ticchettare degli artigli di Spyro sulle superfici dure o il rumore di zoccoli del fauno Elora. Perfetta poi la riproposizione delle musiche originali di Stewart Copeland, curate per l’occasione proprio dal compositore. Noi italiani poi ci troviamo, finalmente, di fronte ad una localizzazione efficace con doppiatori all’altezza del ruolo. Tirando le somme, questa Spyro Reignited Trilogy rappresenta un lavoro di grandissimo pregio da parte di Toys for Bob, sottolineato dal fatto che l’intera opera di rimasterizzazione è stata realizzata partendo da zero, senza avere una base sulla quale appoggiarsi. Sebbene per il primo capitolo rappresenta fra i tre il più debole, non c’è davvero nulla da recriminare agli altri due giochi presenti nella collezione, delle piccole perle riproposte con uno stile grafico e tecnico che si esalta al punto tale da volerne sempre di più. Spyro è un platform che merita di essere riscoperto oggi per chi vent’anni fa non ne ebbe l’opportunità, va fatto conoscere alle nuove generazioni e merita di essere rigiocato da tutti quei giocatori nostalgici che rimpiangono i giochi di quegli anni. A Toys for Bob va un plauso per aver saputo gestire un compito per niente facile: donare alle console di attuale generazione un platform dal sapore old-school capace di inserirsi perfettamente al giorno d’oggi. Il prezzo davvero invitante per tre giochi di questo calibro è poi la ciliegina sulla torta! Lasciarsi sfuggire Spyro Reignited Trilogy sarebbe davvero un grave errore.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica:8,5
Sonoro: 8,5
Longevità: 8
Gameplay: 8,5
VOTO FINALE: 8,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Google: Drops migliore app del 2018, insegna 31 lingue

Come di consueto, anche quest’anno Google stila la classifica delle migliori applicazioni scaricabili su smartphone e tablet con sistema operativo Android. A vincere l’edizione 2018 di questa classifica è “Drops: impara 31 nuove lingue”, una applicazione della categoria Istruzione che promette di insegnare “eliminando la noia dall’apprendimento”. Dall’islandese al coreano, dall’hindi al russo, i vocaboli si imparano “in gocce”, appunto “drops”, attraverso immagini e giochi, a un ritmo elevato ma per non più di 5 minuti al giorno. Scaricata oltre un milione di volte, nelle recensioni sugli store online ha un punteggio medio di 4,7 stelle su 5. Sempre a livello di classifiche, la grande G ha incoronato come miglior app-videogioco per dispositivi portatili “Pubg Mobile”, un “tutti contro tutti”, o più correttamente chiamato “battle royale”, ambientato su una piccola isola dove cento persone, dopo essersi paracadutate, dovranno procacciarsi armi ed equipaggiamento finché non ne sopravviverà solo uno. Il videogame, che conta oltre 100 milioni di download e ha un punteggio di 4,5 su 5, ha trionfato anche nella classifica stilata dagli utenti, che come applicazione hanno premiato “YouTube TV”. Big G ha poi stilato la classifica dei 5 migliori film. Al primo posto c’è “Black Panther”, seguito da “Avengers: Infinity War”, “Thor: Ragnarok”, “Jumanji – Benvenuti nella giungla” e “Deadpool 2”. Tra le serie tv, la medaglia d’oro va a “The Walking Dead”, che precede “Riverdale”, “The Big Bang Theory”, “The Flash” e “PAW Patrol”. Tra gli e-book, infine, trionfa “Fuoco e furia: dentro la casa bianca di Trump” di Michael Wolff, davanti a “The Outsider” di Stephen King e a “Paura: Donald Trump alla Casa Bianca” di Bob Woodward. Anche per questo 2018 Google ha detto la sua. E voi siete d’accordo? Cosa ne pensate? Non resta altro che aspettare le classifiche di altri colossi del settore per capire se il trend è comune per tutti o ci sono divergenze per quanto riguarda la migliore app dell’anno che sta per finire.

 

Francesco Pellegrino Lise




Mega Man 11, l’eroe di Capcom non passa mai di moda

Chi è cresciuto negli anni 80’ ed era un fortunato possessore del NES (Nintendo Entertainment System) ha sicuramente giocato a uno dei capitoli di Mega Man. La serie a scorrimento laterale di Capcom ha avuto un successo talmente grande in quegli anni che il titolo ebbe ben cinque sequel per la stessa piattaforma, una cosa mai vista a quei tempi. Con il passare degli anni, però, la serie non è morta, ma anzi, attraverso nuove idee, lanciando una serie parallela chiamata Mega Man X su SNES, poi proseguita su console a 32-bit, e provando esperimenti con Battle Network e Legends, per finire con le immancabili collection per piattaforme moderne e dispositivi mobile, il Blue Bomber non ha mai smesso di essere presente nelle varie epoche del gaming. La serie principale in 2D in stile 8-bit è però rimasta sempre la più apprezzata dai fan e il ritorno alle origini con Mega Man 9 del 2008 prima, e Mega Man del 2010 poi, ne sono una prova inconfutabile. Per celebrare il trentesimo anniversario della serie, Capcom ha realizzato Mega Man 11, che arriva su PS4, Xbox One, Windows e Switch. Testando quest’ultima versione possiamo dire che nonostante l’età, dopo trent’anni di onorato servizio Mega Man ha ancora una grinta da vendere e si rende un titolo appetibile sia per il pubblico odierno, sia per gli amanti del retrogaming e delle console vintage. Ma facciamo un passo indietro, con il nono capitolo della serie Capcom ha segnato un ritorno alle origini, proponendo tale e quale lo stile grafico e di gameplay 8-bit dei capitoli 1-6 per NES, con tanto di colonna sonora in chip-tune. Tale idea ha letteralmente mandato i fan di vecchia data in visibilio poi, sulla scia di quell’entusiasmo, nel 2010 il publisher ha lanciato il decimo capitolo, che sostanzialmente non cambiava le carte in tavola proponendo un titolo esteticamente parlando identico.

Con Mega Man 11 però Capcom ha voluto segnare un punto di rottura con il passato. Viene abbandonato l’approccio degli ultimi capitoli e per la prima volta in tanti anni arriva qualcosa di concreto che tenta di svecchiare la formula classica del gioco a livello estetico. Lo stile grafico di questo undicesimo capitolo, infatti, è 2.5D, ovvero personaggi poligonali su uno schermo bidimensionale con sfondi e animazioni disegnati completamente a mano, una vera gioia per gli occhi, credeteci. Mega Man ora può anche eseguire scivolate, una mossa caratteristica della serie X, e c’è una grandissima novità che riguarda il gameplay: Mega Man ora monta un sistema chiamato Double Gear, idea progettata dal perfido Dr.Wily quando studiava all’università, ma bocciata dal suo collega “buono”, il Dr. Light, in quanto esso riteneva potesse essere una minaccia se fosse caduta in mani sbagliate. Questa feature in sostanza è un sistema che funziona a due vie e che permette alternativamente di aumentare la potenza di fuoco o di velocizzare i movimenti rallentando tutto quel che si muove attorno al protagonista. L’attivazione ha una durata limite e necessita di un cooldown, il sistema inoltre andrà in sovraccarico se utilizzato troppo a lungo, risultando indisponibile per un tempo abbastanza lungo, e in determinate situazioni tale situazione diventa spesso fatale. Una scelta fatta per impedirne l’abuso e facilitare troppo il gameplay. Il Double Gear apre quindi la strada a un modo completamente nuovo di giocare a Mega Man, che si avvicina sempre più a una fluidità d’azione e a feature presenti nei titoli più moderni. Per i puristi della saga sicuramente ci vorrà un po’ di tempo per abituarsi a questo nuovo meccanismo, ma una volta imparato ad usarlo è un vero e proprio spasso. Oltre a risultare decisamente divertente e appagante infatti, andando avanti nei livelli, specialmente in quelli più difficili, il Double Gear diventa indispensabile per non incorrere in morti certe e a ripetizione, alternando con saggezza potenza di fuoco e velocità nei movimenti il protagonista diventa una vera macchina inarrestabile in grado di compiere azioni estremamente difficili ed esaltanti. Uccidendo nemici e sparsi qua e là nella mappa possono essere trovate delle viti che hanno la funzione dei classici crediti, accumulando questi oggetti, prima di iniziare una missione il protagonista potrà acquistare vite, moduli potenziamento e oggetti utili per facilitare il cammino verso la sconfitta del perfido Dr. Wily.

Per quanto riguarda il resto, Mega Man 11 mantiene sempre lo stesso DNA: otto livelli, ognuno presieduto da un boss di fine livello dotato di un’arma particolare e possibilità di affrontarli nell’ordine in cui l’utente preferisce. Una volta sconfitto un boss (e credeteci non è affatto facile anche difficoltà normale) ci si impossessa della sua arma caratteristica, avendo la possibilità di utilizzarla a proprio piacimento negli stage seguenti. Come sempre ogni potere conquistato rappresenta un punto debole per uno dei boss, quindi sta al giocatore scoprire in che ordine conviene proseguire nella storia dopo aver compiuto il primo livello. Vista l’elevata difficoltà che contraddistingue la serie, gli sviluppatori hanno inserito quattro livelli di difficoltà: principiante, facile, normale e Supereroe. Normale è quello standard, da scegliere se si è veterani della serie, visto che è duro da affrontare, molto duro credeteci. Scegliendo questo livello di sfida è un numero limitato di vite per provare a superare un livello, dopo il quale appare uno spietato game over che riporta alla schermata di selezione del robot master da affrontare (senza perdere i progressi fatti). Ogni livello ha pochissimi checkpoint ed è costellato di passaggi che richiedono memoria e precisione tecnica. Insomma, come accadeva negli anni ‘80, i livelli vanno imparati ed eseguiti. Il DNA della serie, del resto prevede una sfida sempre uguale a se stessa, senza gli elementi aleatori e dinamici di Super Mario e soci. Anche in questo caso, Mega Man 11 è un seguito corretto, che dà ai fan esattamente quello che hanno amato nelle vecchie avventure del Blue Bomber. Il livello facile mantiene tutto ciò che rende speciale Mega Man, ma velocizza il processo di apprendimento con una lieve diminuzione dei danni e l’aggiunta di una manciata di checkpoint nei posti giusti. Non è una sfida annacquata, e anzi tutta la soddisfazione della vittoria rimane intatta. Semplicemente, invece che perdere un intero pomeriggio per superare un livello, se siete bravi, riuscirete agevolmente a farne due o tre, salvandovi dalla ripetizione e dalla frustrazione dell’era NES. C’è anche una modalità principianti, resa quasi banale dall’impossibilità di cadere nei fossi e dalle vite infinite, e una modalità difficile al di là di ogni possibile concetto di sfida, ma in ogni caso può essere utile per i giocatori più piccoli o per chi non ha mai avuto a che fare con il Blue Bomber. La modalità supereroe è consigliata solo ed esclusivamente per chi vuole una sfida crudele e che ha piena consapevolezza del fatto che ogni errore, anche il più piccolo, si può pagare con il fallimento. Insomma in Mega Man 11 c’è qualcosa per tutti, dai fan accaniti (che troveranno anche una ricca gamma di challenge separate dalla campagna principale e una modalità time attack dedicata a tutti gli speedrunner) ai retrogamer della domenica. Graficamente parlando il gioco è una vera gioia per gli occhi, coloratissimo, sempre fluidissimo e bello da vedere. E’ un po’ quello che i nati degli anni ’80 sognavano giocando ai vecchi capitoli, ma che non era possibile realizzare a causa della tecnologia di quei tempi. Gradevole anche la colonna sonora che con i suoi toni un po’ metal e un po’ techno si adattano al ringiovanimento della saga. Purtroppo non ci sono brani che sono destinati a restare impressi nella memoria, ma nel complesso, assieme ai suoni di gioco, il comparto audio si difende abbastanza bene. Tirando le somme, Mega Man 11 a nostro avviso è quello che serviva per svecchiare una serie icona del mondo del gaming. Questa trasposizione per Pc, Xbox One, Ps4 e Switch farà la gioia dei vecchi appassionati, ma siamo certi che avvicinerà anche tantissimi nuovi gamers al magico universo del personaggio inventato da Capcom.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8,5
Sonoro: 7,5
Gameplay: 8
Longevità: 8
VOTO FINALE: 8

 

Francesco Pellegrino Lise




LG brevetta un cellulare con 16 fotocamere

In questo ultimo anno, nell’ambito del settore fotografico su smartphone, sono state sperimentate molte soluzioni per migliorare gli scatti da cellulare. Abbiamo assistito auna vera e propria moltiplicazione dei sensori, con la tripla fotocamera posteriore del P20 Pro e poi del Mate 20 Pro di Huawei, cui ha fatto seguito il mese scorso la quadrupla fotocamera del Galaxy A9 di Samsung. Tutto questo fa pensare che nel 2019 si potrebbe assistere a una crescita esponenziale di questo fenomeno, infatti, c’è già chi parla di ben 16 sensori piazzati sul retro del telefono. L’idea, per ora solo sulla carta, ed è stata brevettata negli Stati Uniti dalla coreana LG, che sembrerebbe pronta a rilanciarsi in questo difficile settore. Il brevetto mostra i 16 sensori posteriori posti a mo di quadrato, in quattro file da quattro, con varie caratteristiche e lunghezze focali. Ciascun sensore, infatti, contribuirebbe alla resa delle diverse tipologie di scatto, dal panorama al ritratto, ma offrirebbe anche funzioni inedite, come la possibilità di scattare 16 foto contemporaneamente, scegliere l’angolazione preferita dello scatto o combinare più foto, usando gli elementi preferiti di ognuna. La grande quantità di dati catturata dai sensori del dispositivo LG si rileverebbe utile soprattutto nella post-produzione, per regolare la messa a fuoco, modificare e rielaborare le immagini. Lo smartphone con 16 fotocamere di LG potrebbe però non arrivare presto sul mercato, o non arrivarci affatto perché, come accade sempre, non tutte le tecnologie brevettate si traducono in un prodotto messo in commercio. Quindi se siete amanti delle foto e non vedete l’ora di mettere le mani su un dispositivo di questo calibro non vi resta altro che sperare che questo brevetto si trasformi presto in realtà. Se l’idea di LG dovesse andare in porto, comunque, il dispositivo rappresenterebbe una vera novità e siamo certi che gli appassionati degli scatti da smartphone non potrebbero fare a meno di tale tecnologia.

 

F.P.L.