MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross

Come ogni anno, anche per questo 2019 è finalmente arrivata l’ora di MXGP 2019: il titolo Milestone per Pc, Xbox One e Ps4 dedicato all’adrenalinico mondo del motocross che arriva, con questa edizione, alla sua quinta apparizione sul mercato. MXGP 2019, differentemente da quello che i più potrebbero pensare, non è affatto un prodotto di nicchia: la grande cura dei dettagli che la software house milanese riversa in ogni sua produzione, specialmente in quelle più recenti, rende il titolo un qualcosa di godibile per ogni giocatore, dai casual gamers fino ai piloti più esperti. C’è da dire che già dal primo avvio del gioco è difficile non rimanere colpiti da ciò che si vede sullo schermo. Non c’è componente di MXGP 2019 che non abbia ricevuto limature consistenti, ed i frutti del lavoro di miglioramento si possono notare fin dal primo momento in cui ci si confronta con i menù, i tutorial, l’interfaccia e la colonna sonora, tutti protagonisti di un evidente e notevole balzo qualitativo. Ciascun elemento appare curato fin da principio, e questa piccola attenzione tecnica si riflette nella caratterizzazione di tutte le moto e delle componenti, che siano le finiture in carbonio di una marmitta della Arrow o le saldature sul metallo dell’Akrapovich. La licenza ufficiale del campionato Motocross ha permesso, come è ovvio, di riprodurre fedelmente piloti, livree, sponsor e tracciati, per una modalità carriera che ricalca le sequenze della stagione in corso. Ad ogni modo, è possibile anche “saltare” l’ostacolo, almeno in termini di personalizzazione dell’esperienza, affidando le fortune del pilota virtuale, creabile attraverso un editor, ad uno sponsor piuttosto che ad un altro. Si tratta, è bene precisarlo, di un’opportunità prettamente estetica, che garantisce all’utente di gestire a proprio gusto i “colori” e lo stile di moto, abbigliamento e accessori. Il vero modificatore dell’esperienza risiede però nella scelta di approccio. In pratica, è possibile tanto affrontare la campagna in modalità Standard, per un gameplay evidentemente arcade, quanto giocare di “fino” e, quindi, in modalità Realismo, per una fisica, specie quella legata ai pesi di moto e pilota, ben più intransigente. Proprio per queste ragioni, come accennavamo prima, il titolo può essere giocato e apprezzato da qualsiasi tipo di gamer. Ovviamente trattandosi di un gioco di motocross in gara bisogna badare non certo solo alla velocità, ma alla gestione dei salti e, quindi, al posizionamento del bolide piuttosto che del pilota. Insomma, la conoscenza dei tracciati, ma anche la corretta lettura delle varie situazioni, tra piloti avversari e ostacoli presenti a bordo pista, è essenziale per il raggiungimento delle prime posizioni. Anche ai livelli di difficoltà più bassi.

Oltre alla modalità Carriera MXGP 2019 offre anche un
simpatico editor dei tracciati. Imparando a utilizzarlo è quindi possibile
creare la pista dei propri sogni sfruttando una serie di strumenti e preset
estremamente semplici ed efficaci, ma il risultato finale corrisponde raramente
alle aspettative, perché la totale assenza di dislivelli e piccoli
“fronzoli” estetici finisce per disegnare piste eccessivamente piatte
e prive di una reale varietà. Per testare la propria moto poi esiste l’area
Playground dove è possibile correre in una zona collinare della Provenza. Qui non
solo è possibile confrontarsi con una simpatica serie di challenge capaci di
toccare la destrezza in sella, l’abilità nel trial e la pura velocità, ma
addirittura creare piccole gare “waypoint” artigianali attraverso le quali
sfidare altri membri della community. Insomma, il Playground si è rivelato
quella tavolozza che mancava all’editor dei tracciati, e risulta
particolarmente affascinante perché riesce a deviare efficacemente
dall’esperienza tradizionale, consentendo di scalare il fianco delle colline o
di lanciarsi a tutto gas in un downhill suicida. La ciliegina sulla torta, poi,
sta nella presenza di una “modalità finale” destinata esclusivamente
a coloro che riuscissero a completare ogni sfida presente fra boschi e
laghetti. Oltre a quanto elencato fino a ora, sono presenti altre modalità:
dalla classica prova a tempo alla gara veloce, dove si potrà decidere se
utilizzare il proprio pilota o uno dei campionati MXGP e MXGP 2. Insomma, a
livello di offerta ludica il titolo non delude. A livello tecnico ed estetico,
MXPG 2019 è il titolo di Milestone con la caratterizzazione del rider più
convincente in assoluto, e le decine di piccoli movimenti pensati per
accompagnare ciascun sobbalzo in gara fanno un ottimo servizio al realismo. Realismo
che si ritrova nell’estetica dei circuiti, ormai divenuti visivamente
impeccabili, impreziositi da un gradevole sistema d’illuminazione e da
immancabili effetti particellari. Gli skybox e gli sfondi regalano un’identità
ed una palette cromatica proprie a ciascuna location, dai monti di
Pietramurata, passando per le sterpaglie della Turchia, per arrivare infine
alle piccole superfici acquatiche che fanno capolino fra i dossi di Shangai ed
in Lettonia. Anche gli elementi storicamente più spigolosi, come le comparse
fra il pubblico ed i modelli scenografici, sono arrivate a presentarsi in forma
smagliante. La fase di gara scorre discretamente liscia, e non solo per merito
dell’ottimo comparto visivo; al di là degli spigoli, abbiamo particolarmente
apprezzato la marcia indietro fatta sul reset istantaneo al momento dell’uscita
dal tracciato, sistema che penalizzava l’immersione e che ha finito per essere
sostituito da un pratico timer. Le tanto discusse collisioni, invece, sembrano aver
trovato finalmente la quadra, e capita molto raramente di trovarsi con la
faccia nel fango senza una ragione precisa. Tirando le somme, si può senza
dubbio affermare come MXGP 19, al netto di qualche imperfezione come un frame
rate non sempre stabilissimo (unica vera pecca del gioco), risulti un titolo
più che godibile figlio di anni e anni di esperienza da cui Milestone è
riuscita a imparare dai propri errori. Lo specializzarsi in un genere
perfezionandolo sempre di più è ciò che, da sempre distingue l’azienda milanese
da molte altre presenti sul mercato. Grande varietà, possibilità di essere
goduto sia dai casual gamers, ma anche da chi cerca un’esperienza realistica,
un editor di mappe e la possibilità di affrontare sfide nel Playground fanno sì
che questo MXGP 2019 sia un titolo da tenere da conto. Fango, salti, velocità e
adrenalina vi aspettano.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Gameplay: 8

Sonoro: 8

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Galaxy Fold in arrivo a settembre, ma Samsung pensa già al successore

Samsung è ormai in dirittura d’arrivo riguardo al rilancio
ufficiale del suo primo smartphone pieghevole, ossia il Galaxy Fold che è stato
inizialmente rinviato a causa di problemi di progettazione. Il dispositivo potrebbe
debuttare sul mercato sudcoreano il 6 settembre, giorno di apertura dell’Ifa,
la fiera tecnologica di Berlino. La notizia è stata riportata dal quotidiano
coreano Yna, ma al momento non c’è una data della commercializzazione nei
mercati internazionali. Il Galaxy Fold è stato presentato a febbraio e l’arrivo
sui mercati era previsto ad aprile. Ma il lancio è stato rinviato dopo le
recensioni negative di alcuni esperti di tecnologia. Il colosso ha riposto
molte speranze nel dispositivo pieghevole, con il quale punta ad arrivare fra
le prime nel settore e imporsi. Il Galaxy Fold chiuso misura come uno
smartphone da 4,6 pollici, mentre aperto è come un tablet da 7,3 pollici. Tra i
cambiamenti apportati al dispositivo dopo la “bocciatura” degli esperti, uno in
particolate riguarderebbe la pellicola protettiva dello schermo, ora inserita
nelle cornici in modo da impedirne la rimozione. Stando alle ultime
informazioni trapelate in rete e riportate da Bloomberg, Samsung sarebbe anche
al lavoro su un nuovo pieghevole più piccolo e più sottile di Galaxy Fold: ci
si aspetta infatti un pannello da 6,7″ ed uno spessore più contenuto. Questo lo
renderebbe più maneggevole rispetto al primo pieghevole del produttore
sudcoreano. Sempre secondo Bloomberg, il nuovo smartphone integrerebbe un
sensore fotografico nella superficie interna, ovvero quella sulla quale si
piega il device, e due sensori posti su quella esterna. Il design dello
smartphone sarebbe caratterizzato da una forma quadrata, quando piegato, e
Samsung l’avrebbe commissionato al noto designer Thom Browne. Al momento non è
noto se il fatto che sia più “contenuto” rispetto a Galaxy Fold contribuirà a
renderlo più economico.

F.P.L.




Age of Wonders Planetfall, è tempo di colonizzare

Cercate un titolo strategico ambientato nel futuro e che
preveda la colonizzazione di nuovi pianeti? Volete un videogame in grado di
offrire ore ed ore di divertimento fra combattimenti a turni, raccolta di
risorse e la creazione di un pianeta governato come si desidera? Bene, allora
Age of Wonders Planetfall è il prodotto che fa per voi, sia che siate giocatori
Pc che Xbox One e PS4. Parlando di trama, pensate a una società evoluta
tecnologicamente che ha avuto modo di espandersi per il cosmo colonizzando
centinaia di pianeti, un impero in grado ti mantenere pace ed ordine tra le
numerose razze e fazioni diverse presenti nel cosmo. Ora immaginate che un
misterioso cataclisma di proporzioni cosmiche faccia crollare tale impero,
mandandolo in frantumi e rispedendo le civiltà che lo compongono centinaia di
anni indietro dal punto di vista tecnologico. Ecco, questo è a grandissime
linee il tetro in cui si svolgono le attività di Age of Wonders Planetfall. Nel
gioco si vestiranno i panni di un comandante impegnato nella ricostruzione del
proprio impero, facendolo risorgere dalle ceneri di ciò che era una volta
l’Unione Stellare Intergalattica. Ma per raggiungere tale scopo bisognerà
prendere con saggezza le proprie decisioni e valutare ogni mossa attentamente. Con
la caduta dell’Unione, la galassia ha visto le sue principali razze
organizzarsi in gruppi indipendenti, aventi come obiettivo quello di riportare
la propria civilizzazione a prima del cataclisma. E qui inizia il gioco,
infatti, ci sono ben sei fazioni selezionabili con cui intraprendere l’avventura,
ognuna con caratteristiche uniche che ne determinano i punti di forza. Ci sono
i Vanguard, la fazione umana, gli Assembly, una razza cibernetica votata alla
ricerca della perfezione fisica attraverso il massiccio utilizzo di impianti
biomeccanici, i Dvar, una specie nanica spaziale votata alla ricerca mineraria,
i Kir’ko, uno sciame di insetti senzienti, il Sindacato, razza dotata di poteri
psionici e infine le Amazzoni, razza guerriera specializzata nell’uso di armi
biologiche. Detto ciò è bene sottolineare che oltre che per il diverso
background, queste fazioni si distinguono tra di loro in maniera evidente per
una serie di caratteristiche che le rendono uniche, differenziando in modo
molto marcato l’approccio in-game e tutta una serie di dinamiche fondamentali.
Tale vastità di scelta nella giocabilità dona al titolo un alto tasso di rigiocabilità
a patto però di avere la pazienza di seguire il tutorial (esclusivamente in
inglese) e di non aver fretta. Age of Wonders Planetfall non è un gioco per
casual gamers e per raggiungere risultati concreti è necessario applicarsi.

Entrando nel vivo dell’azione, subito dopo l’atterraggio
della nave-colonia sulla superficie del pianeta, si inizia a prendere
confidenza le numerose dinamiche offerte dal titolo. L’interfaccia di gioco appare
fin da subito chiara e permette di visualizzare sullo schermo le informazioni
principali ma nonostante ciò lascia la maggior parte dello spazio libero per la
visualizzazione della superficie del pianeta. Il mondo di gioco è diviso in una
serie più o meno numerosa di settori, inizialmente oscurati e visibili solo nel
momento in cui si invieranno degli scout in avanscoperta. Ciascuno di questi
settori si differenzia dagli altri per morfologia, fertilità, clima o per la
presenza di strutture o variabili naturali che possono conferire allo stesso
dei bonus o dei malus in quelli che sono i fattori chiave per lo sviluppo della
colonia: ricerca, produzione agricola, industria. I piani di espansione del
giocatore, infatti, dovranno tenere in considerazione molto attentamente queste
variabili, in quanto i settori, una volta annessi ad una colonia, sono
determinanti per lo sviluppo della stessa e la generazione delle diverse
risorse fondamentali. Ogni colonia che si fonderà nasce con un determinato
numero di coloni, numero che nel corso dei turni di gioco andrà a crescere
permettendone la progressiva espansione: risulta importante gestire
correttamente le risorse, per far sì che i coloni prosperino felici, e non incorrere
in possibili sommosse dettate da un morale troppo. Il numero dei settori che
ciascuna colonia può controllare dipende dalla dimensione della stessa:
maggiore sarà il numero di abitanti in una città, maggiori settori potranno
essere controllati, in una meccanica che lega a doppio filo colonie e settori.
Oltre che allo sviluppo di questi settori, sarà necessario anche provvedere
alla costruzione di strutture all’interno della colonia vera e propria: caserme
e centri di addestramento avanzati sono essenziali per la costruzione di unità
da guerra sempre più efficienti, torrette e difese perimetrali conferiranno
alla colonia difese extra in caso di invasione, i centri ricerca aumenteranno i
punti generati sotto questa voce e così via. Ogni elemento che verrà aggiunto
alla coda di costruzione ha un numero prestabilito di turni necessario al
proprio completamento, turni che nel corso del gioco, con l’evoluzione
tecnologica o l’emissione di determinati editti potrebbero venire ridotti,
velocizzando considerevolmente la creazione di strutture o truppe. Insomma, l’attento
sviluppo della colonia, le scoperte scientifiche, il numero di abitanti e le truppe
militari, sono tutti fattori necessari per il controllo dei settori e del
pianeta stesso.

A questa complessa parte gestionale, che richiederà diverse ore per essere padroneggiata in maniera efficace, si aggiungono altri elementi altrettanto complessi tra i quali spicca la gestione delle truppe in battaglia. Sulla superficie del pianeta le truppe vengono mosse come pedine sulla mappa in base al loro numero di punti azione, che dipendono sia dalla tipologia di unità sia dalla conformazione del terreno su cui si stanno muovendo. Capiterà quindi durante gli spostamenti di imbattersi in gruppi di unità ostili non necessariamente legate a qualche altra fazione rivale, ma anche in gruppi di semplici banditi o più semplicemente creature selvagge che vedono le unità del giocatore come forze osili. Questi gruppi vengono evidenziati, sugli esagoni che compongono la mappa di gioco, con la riproduzione della loro unità principale, ma sono spesso composti da diverse tipologie di creature, fino ad un massimo di sei elementi per gruppo, discorso che vale naturalmente anche per le truppe del giocatore. Una volta venuti in contatto con le unità ostili starà a chi gioca gestire la situazione nel migliore dei modi: si potrà ad esempio decidere di attaccare con un singolo gruppo di unità, piazzandolo sulla casella adiacente a quella occupata dagli avversari per poi fare partire lo scontro vero e proprio, oppure decidere, qualora si abbiano a disposizione più gruppi di soldati, di attaccare con unità multiple, posizionandole sul bordo di due o più lati dell’esagono del nemico. Ovviamente nel caso in cui si ritenga che lo scontro sia fuori dalla propria portata, è anche possibile scegliere di ritirarsi per fortificare le proprie unità e procedere in un secondo momento con l’attacco. Caricare sempre i nemici a testa bassa, infatti, non è mai la soluzione migliore. Una volta che si decide di ingaggiare i nemici, ha inizio la fase di combattimento vera e propria. In Age of Wonders Planetfall, prima di iniziare a scontrarsi sul campo di battaglia viene data la possibilità di scegliere se scendere in campo controllando direttamente le truppe oppure lasciare che sia la CPU a calcolare l’esito dello scontro sulla base della potenza totale degli schieramenti. La scelta più appagante rimane ovviamente la prima, perché permette di godere delle tantissime soluzioni tattiche messe a disposizione dal titolo. Nel caso in cui quindi si scelga di giocare la battaglia, le unità vengono disposte sul campo in base alla loro collocazione nella mappa principale, offrendo la possibilità di creare strategie complesse per tentare manovre a tenaglia o accerchiamenti. Ogni truppa al comando del giocatore ha un numero determinato di movimenti, che ne costituiscono il range di spostamento: il numero di spostamenti dipende dal tipo di unità, con le unità leggere più agili e quindi più mobili. Ogni unità può utilizzare i punti a propria disposizione per spostarsi ed attaccare oppure può spenderli tutti semplicemente in uno spostamento di maggior portata. Il terreno di scontro offre sempre punti di riparo o zone di particolare vantaggio, come aree sopraelevate, che conferiscono bonus aggiuntivi a precisione o difesa. Una volta raggiunta la posizione desiderata si potrà sferrare l’attacco che in base a svariati fattori avrà una percentuale diversa di successo, l’attacco va a buon segno l’avversario subisce un danno e può ricevere, in base all’armamento in possesso, anche danni extra dovuti da status come avvelenamento, elettrocuzione, danni da esplosione o bruciatura. La vittoria va allo schieramento che elimina completamente
gli avversari o li costringe alla resa. Age of Wonders Planetfall unisce quindi
elementi strategico gestionali a una struttura di combattimento estremamente
complessa ed appagante.

I combattimenti, è bene sottolineare, non si riducono solo
alla caccia di gruppetti sciolti di banditi o creature del luogo, infatti il
gioco si fa molto più duro nel momento in cui si entrerà in contatto con
un’altra fazione. Oltre che mostrando la propria superiorità bellica il
giocatore avrà anche la possibilità di interagire con gli altri comandanti utilizzando
la sottile arte della diplomazia, cercando di stringere accordi commerciali,
patti di non aggressione o alleanze al fine di avere appoggio e maggior potenza
di fuoco in caso di guerra contro un nemico comune, spendendo oculatamente i
punti influenza che vengono guadagnati nel corso dei turni. Nel gioco potrà
capitare di essere contattati da gruppi “neutrali” che chiederanno alla fazione
del giocatore aiuto nel completamento di differenti compiti, grazie alle quali
ricevere ricompense costituite da punti ricerca, energia o persino unità
supplementari o armamenti migliori con i quali equipaggiare i propri comandanti.
In Age of Wonders Planetfall, ovviamente, per potersi imporre sugli avversari è
necessario dare ampio spazio al progresso scientifico e tecnologico. Il titolo
infatti presenta un albero tecnologico molto variegato; mano a mano che i punti
ricerca generati dalle colonie aumentano si può accedere ad una vasta gamma di
ricerche, che non si limitano a nuove unità o mod con cui potenziare le truppe,
ma consentono anche di aumentare la produttività delle fabbriche, la resa delle
colture, permettono di accedere ad attacchi missilistici di precisione, in
grado di indebolire strutture o unità nemiche, di mettere in atto strategie di
spionaggio e controspionaggio e via dicendo. Ovviamente più si avanza con la
ricerca, maggiori sono i vantaggi offerti da questa, quindi è sempre bene dare
una buona fetta di priorità a scienza e tecnologia. In Age of Wonders
Planetfall oltre alla modalità Campagna, attraverso la quale è possibile
seguire le vicende delle varie fazioni in un susseguirsi di mappe da completare
raggiungendo obiettivi precisi, si potrà decidere di affrontare il gioco in
modalità “scenario”, selezionando e personalizzando completamente uno dei
pianeti disponibili stabilendo il numero di avversari (da un minimo di 2 a un
massimo di 12) e stabilire se siano umani o controllati dalla CPU. Interessante
la possibilità di giocare una partita in tale modalità sfidando o collaborando
con un compagno umano sulla stessa console. Ed immancabile la modalità
multiplayer, che consente di sfidare invece fino a 5 avversari online. Anche
questo aspetto incrementa la longevità del titolo e dà la possibilità di
passare centinaia di ore gioco senza mai annoiarsi. Graficamente Age of Wonders
Planetfall si attesta su un buon livello, anche se, parlando di un titolo
strategico gestionale, la produzione non può essere paragonata a capolavori di
altro genere. Unica grande pecca del gioco è la mancanza totale della lingua
italiana. Tale assenza può risultare un ostacolo importante per chi non mastica
l’inglese, infatti, comprendere le complesse dinamiche di gioco è pressoché
impossibile senza una buona conoscenza dell’inglese. Tirando le somme, Age of
Wonders Planetfall è attualmente uno dei migliori esponenti del genere, ma
prima di procedere all’acquisto è necessario tenere a mente che il titolo non è
un prodotto adatto a tutti. Chi ha fretta di fare le cose, i casual gamers e
chi non apprezza tale tipo di giochi potrebbe trovarsi in grande difficoltà fin
dalle prime battute. Per chi invece è alla ricerca di uno strategico gestionale
che offra un buon livello di sfida, che offra tante cose da fare e che abbia un
gameplay profondo, il prodotto di Paradox Interactive e Triumph Studios sarà un
vero e proprio sogno.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 8,5

Gameplay: 9

Longevità: 10

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




Tanti auguri Hashtag, il simbolo che fa tendenza compie 12 anni

Tanti auguri hashtag: il celebre cancelletto davanti a una
parola compie dodici anni. Fu usato per la prima volta il 23 agosto del 2007 e
a inventarlo fu il paladino dell’open source Chris Messina. Utilizzato su
Twitter per raccogliere sotto un’unica etichetta, cliccabile e navigabile,
tutti i post legati a un tema, è poi emigrato verso altri social network,
sconfinando anche nel linguaggio comune. Oggi ne vengono utilizzati più di 100
milioni al giorno. Tra i più popolari nei primi sette mesi di quest’anno,
quelli legati alla musica, come #Sanremo2019, e alla politica, tra cui
compaiono i nomi dei leader e dei partiti più importanti. Per celebrare il
compleanno, e il contestuale Hashtag Day, Twitter ha rilasciato come sempre
l’elenco degli hashtag più utilizzati nei primi sette mesi dell’anno in Italia,
analizzati fino al 31 luglio scorso. La tv la fa ancora una volta da padrona,
confermando il ruolo del social dell’uccellino come fedele compagno della
visione televisiva o in streaming e in generale come principale canale del
fenomeno del cosiddetto “second screen”. Si va dunque da #Amici18 a
#TemptationIsland passando per il clamoroso successo di #GameOfThrones fino a
un altro reality come il Grande Fratello (#Gf16) o #uominiedonne. Ma anche gli
show della sera fra cui #CiaoDarwin e #Cepostaperte. Si vede la tv o l’evento
del momento su una delle piattaforme come Netflix & co., si commenta in
diretta per apprezzare, deridere, scherzare o commuoversi ma il più delle volte
per fare a gara a chi la spara più divertente. Fra gli altri hashtag popolari
in questi primi sette mesi dell’anno quelli legati alla boyband coreana #Bts
(#Jimin, il cantante Park Ji-min è uno dei componenti, o #bbmastopsocial) e
ancora la musica con l’intramontabile #Sanremo2019, che è in assoluto l’hashtag
più condiviso sulla piattaforma, seguito appunto da quelli legati all’universo
dei Bangtan Boys che, a dispetto del boom, esistono dal 2013 e hanno all’attivo
ben undici album. L’altro grande fronte, forse un po’ meno potente rispetto
allo scorso anno quando dominava l’elenco degli hashtag più popolari (ma sui 12
mesi e non sui primi sette), è appunto quello della politica. Ci sono gli
immancabili #Salvini, #M5S, #PD, #Lega, #dimaio e #conte. Scomparsi, rispetto
all’anno precedente, #Roma e #Renzi (che tuttavia, visti gli ultimi sviluppi
della crisi di governo, promette di tornare a fioccare nelle bacheche degli
appassionati di intrighi istituzionali). Non mancano gli hashtag legati al
movimento #facciamorete, nato proprio su Twitter, o alla complicata vicenda di
#Bibbiano, uno dei casi più miserevoli di manipolazione propagandistica di un
fatto di cronaca e legato sostanzialmente agli ultimi due mesi interessati
dalla rilevazione. Ultimo gruppo è quello dello sport. Il calcio su tutti, con
gli hashtag #juventus, #milan, #inter, #asroma, #juve, #seriea, #calciomercato
e #sarri tra i più condivisi nei primi mesi dell’anno, ad accompagnare la
seconda parte di un campionato a senso unico e gli stravolgimenti dell’estate
sulle panchine della massima divisione.

F.P.L.




Wolfenstein Youngblood, è il momento delle gemelle Blazcowicz

In Wolfenstein Youngblood, spin-off della nota saga shooter
che si rifà a sua volta al capolavoro degli anni ’90, il detto buon sangue non
mente la fa da padrone. Nel nuovo titolo di Bethesda per Pc, Xbox One, Switch e
PS4, sviluppato a quattro mani da Machine Games, autori della serie principale
e Arkane Studios, non si vestiranno più i panni del protagonista storico, B.J.
Blazcowicz, ma delle sue due figlie: le gemelle Jessie e Sophia. Detto questo,
a livello di trama, Wolfenstein: Youngblood trasporta i giocatori all’inizio
degli anni ‘80 e li catapulta in un nuovo universo dove far stragi di nazisti
sarà lo scopo principale. Ma che fine ha fatto Blazcowicz? Bene, dopo aver
contribuito a gettare le basi per la Seconda Rivoluzione Americana ed essersi
ritirato a vita privata insieme alla sua famiglia, il biondo protagonista della
saga scompare nel nulla, o quasi. Jess e Soph, questi i diminutivi con i quali
si fanno chiamare le gemelle, decidono quindi di mettersi sulle sue tracce
partendo dall’ultima posizione nota: Neo Parigi, una delle roccaforti più
importanti del Reich nel vecchio continente. Una volta giunte in città, le due gemelle
si vedono “costrette” a collaborare con la resistenza locale per ritrovare il
padre e a contribuire, più o meno volontariamente, alla liberazione della città
attraverso una serie di missioni, suddivise tra principali e secondarie, capaci
di tenere occupato il giocatore per almeno 15 ore con un intreccio narrativo
semplice ma comunque godibile e perfettamente integrato con il resto della
saga. Detto ciò, per gli appassionati della serie, questo Wolfenstein Youngblood
avrà un’aria piuttosto familiare in quanto la struttura del gioco ricalca in
modo abbastanza evidente quella di The New Colossus, con un hub centrale che
ricopre il ruolo di base operativa dal quale è possibile raggiungere le varie
zone della città e da dove prendono il via quasi tutti gli incarichi.

Questi ultimi non si discostano molto dagli standard del
genere e prevedono la raccolta di specifici oggetti, l’attivazione di meccanismi,
il salvataggio di alcuni personaggi e via discorrendo. A questo si sommano poi
dei veri e propri “raid” ambientati negli edifici cardine del Reich, conosciuti
come Brother, e alcune missioni generate casualmente durante l’esplorazione. E’
bene sottolineare poi che in questo Wolfenstein Youngblood, parlando con uno
specifico NPC è inoltre possibile attivare alcune sfide, giornaliere e
settimanali, o scegliere di rigiocare alcune delle missioni principali, così da
ottenere ulteriori ricompense che possono poi essere spese, proprio come
capitava nel precedente capitolo, per migliorare l’arsenale in possesso o per
attivare dei bonus temporanei che consentono di incrementare per un una decina
di minuti il tasso di raccolta delle munizioni o il livello massimo di salute e
corazza. Nulla vieta inoltre ai giocatori di esplorare liberamente le varie
zone di Neo Parigi per scaricare un po’ di proiettili sui nazisti che
pattugliano le strade della capitale di Francia, per andare alla ricerca di
collezionabili o per sfruttare alcune armi speciali, ottenibili nel corso
dell’avventura, per aprire nuovi passaggi e contenitori inaccessibili fino a
quel momento. E’ bene sottolineare che Wolfenstein: Youngblood è prima di ogni
cosa un esperimento in funzione del futuro terzo capitolo, volto ad accettare
una totale integrazione dell’elemento cooperativo ed innumerevoli meccaniche
ruolistiche. Infatti durante l’intera avventura i giocatori saranno
accompagnati dalla sorella non selezionata, che può essere controllata sia
dall’I.A., non particolarmente sviluppata ma comunque più che sufficiente, che
da un compagno in carne ed ossa, che può essere reclutato tramite invito
diretto o sfruttando il classico matchmaking. Nel secondo caso è inoltre
fondamentale sottolineare che l’edizione Deluxe del gioco contiene il Buddy
Pass, ossia un contenuto aggiuntivo per chi possiede il gioco completo che gli
permette di invitare nella propria partita qualsiasi altro giocatore, senza che
questi debba necessariamente acquistare il titolo. A livello di giocabilità
Wolfenstein Youngblood garantisce lo stesso feeling dei suoi predecessori e
permette nuovamente ai giocatori di decidere di volta in volta quale approccio
utilizzare per superare una situazione, ma con qualche opzione in più. Si può scegliere
infatti per un’incursione silenziosa, sfruttando le capacità di occultamento
delle due protagoniste e la loro letalità negli scontri ravvicinati, tentare di
aggirare gli avversari trovando scorciatoie e passaggi alternativi, magari
sfruttando il doppio salto acrobatico per raggiungere punti altrimenti
inaccessibili, o passare alle maniere forti riversando quintali di proiettili
sugli avversari, che come da tradizione si differenziano notevolmente gli uni
dagli altri per livello di difficoltà, aspetto e punti deboli.

 Insomma, in
Wolfenstein Youngblood le modalità di approccio, le cose da fare e le
possibilità di scegliere come proseguire nell’avventura sono davvero tante. E’
importante sottolineare che la presenza di due protagoniste ha permesso agli
sviluppatori di offrire due diversi stili di gioco, soprattutto nella prima
parte della storia, quando le differenze fra le protagoniste sono più marcate.
Prima di avviare una partita, infatti, si deve infatti decidere quale delle due
sorelle impersonare e selezionare alcuni tratti distintivi, che andranno poi a influire
sull’arma di base e sulle abilità speciali in possesso. C’è da dire però che armi
e abilità peculiari non sono ad appannaggio esclusivo di una delle due sorelle
e potranno comunque essere ottenute nel gioco o sbloccate attraverso un
classico skill tree suddiviso in sezioni dove è possibile spendere i punti
abilità accumulati completando le missioni o salendo di livello. La crescita
del personaggio, oltre a garantire un incremento di alcune caratteristiche
base, è fondamentale quando si tratta di scegliere quali incarichi affrontare e
va ad influire dinamicamente sugli avversari che le due sorelle Blazkowicz
incontrano per le strade della città, così da garantire al giocatore il giusto
livello di sfida in quasi tutte le situazioni. Dal punto di vista estetico
questo Wolfenstein Youngblood si attesta su ottimi livelli, fluidità d’azione,
esplosioni e resa grafica del mondo di gioco sono veramente resi bene e sono
veramente appaganti. Il doppiaggio in italiano e l’avvincente colonna sonora
poi rendono l’esperienza ludica estremamente godibile. Tirando le somme, l’ultima
fatica di Bethesda è davvero un buon titolo, un gioco che diverte sia chi si
avvicina all’universo della famiglia Blazcovicz per la prima volta, ma
soprattutto che appassionerà i fan della serie.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8,5

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise




A.O.T. 2 Final Battle, la lotta contro i giganti continua

Attack on Titan 2: Final Battle è finalmente disponibile su Xbox One, Playstation 4, Nintendo Switch e PC. La terza stagione dell’anime è appena finita e purtroppo bisognerà attendere ancora un anno per vederne uscire una quarta. Nel mentre però, ci si potrà consolare con questo videogame rivivendo in prima persona le battaglie più famose della serie animata giapponese. In Attack on Titan 2: Final Battle infatti vi sono delle missioni prese direttamente dalla terza stagione del manga, cinque nuovi personaggi giocabili e due grosse novità di cui vi parleremo fra poco. E’ bene sottolineare che il titolo si presenta come un’espansione di A.O.T. 2 (qui la nostra recensione) quindi sarà possibile acquistarlo in forma completa (gioco base ed espansione) a prezzo pieno, oppure solo l’espansione a un prezzo inferiore. Final Battle, come vi dicevamo qualche riga più in alto, aggiunge due enormi contenuti di gioco, ovvero, la character mode e la modalità riconquista territorio. La prima di queste due è senz’altro quella più interessante. Selezionandola si potranno rivivere le avventure della terza stagione dell’anime attraverso gli occhi dei vari protagonisti. Strutturata ad episodi, non presenta quasi nessuna differenza a livello di gameplay rispetto alla modalità principale se non per quanto riguarda l’impossibilità di usare il proprio personaggio originale, di non poter esplorare le aree cittadine e la presenza di particolari restrizioni legate ad alcune missioni. Completando un capitolo si sbloccherà quello successivo che presenterà, o un nuovo pezzo di trama, o un nuovo scontro dell’anime. In più verranno dati degli oggetti bonus e dell’esperienza per il personaggio che si è scelto di utilizzare. In particolare, questa modalità, si rivela ulteriormente utile per il farming di materiali e per la possibilità di sbloccare, e quindi utilizzare, i nuovi personaggi aggiunti con questo DLC.

 Purtroppo l’intelligenza artificiale dei nemici non si comporta sempre in modo adeguato, finendo col bloccarsi completamente in certi punti dello scenario facendo quindi storcere il naso. Per quanto riguarda invece la modalità riconquista territorio offerta da A.O.T. 2 Final Battle, questa metterà il giocatore a capo di un esercito personale. All’inizio verrà chiesto quale, tra i personaggi, dovrà svolgere il ruolo di comandante. Una volta fatto ciò bisognerà decidere il nome del proprio esercito e il suo stendardo. Conclusa la fase iniziale ci si troverà nel proprio campo base. Questa parte, che ricorda la modalità storia classica, è al contempo molto differente. A capo dell’esercito bisognerà progressivamente recuperare i territori del Wall Maria e avanzando si otterranno dei punti utili ad espandere la base militare. La fase di espansione si rifà molto ai giochi strategici e, spendendo punti guadagnati in precedenza, si potranno ingrandire o costruire nuovi quartieri per il campo base. Questi ultimi saranno utili anche per assumere nuovo personale, ottenere maggiori risorse e per ricevere diversi bonus in base all’assegnazione dei lavori. Parlando della nuova abilità che permette di trasformarsi in giganti, c’è da dire che questa non è una vera e propria novità, bensì un miglioramento di un’abilità già esistente. Infatti, se prima per poter disporre della trasformazione in gigante era necessario avere il personaggio con tale trasformazione come supporto, ora non è più necessario. Per fare ciò si dovrà avere attiva l’abilità e usare uno specifico oggetto di supporto che, al posto di potenziare il personaggio, lo trasformerà in un gigante. L’aggiunta più interessante di A.O.T. 2 Final Battle sono però le nuove armi, di cui una completamente nuova e le rimanenti versioni migliorate di altre armi. Partiamo parlando delle pistole.

Equipaggiandole si potrà fare uso di un solo rampino, ma a differenza delle lame infliggeranno ingenti danni anche nella forma base grazie anche a diversi tipi di pallottole. Ogni proiettile ha un effetto differente, come paralizzare, avvelenare, rallentare o esplodere a contatto. Una volta compreso il funzionamento dei diversi proiettili si potranno eliminare velocemente, o almeno rallentare, anche i giganti più forti. Grazie alle pistole si potrà anche fare uso della prima arma speciale, ovvero il gatling, versione molto più potente delle bocche da fuoco base e capace di eliminare istantaneamente, o comunque in poco tempo, anche i giganti speciali. Anche le classiche lame hanno una loro versione speciale, senza dubbio meno potente di quella delle pistole ma nettamente più utile. Chiamate Thunder Spear, esse permettono di eliminare agevolmente interi gruppi di giganti grazie agli ingenti danni ad area che possono infliggere. Esse risultano particolarmente utili quando si dovrà uccidere un gigante anomalo speciale. Proprio per via del loro danno ad area, le Thunder Spear sono grado di colpire velocemente tutti i punti deboli e successivamente di eliminarli con un altro paio di colpi. I comandi delle nuove armi all’inizio potranno sembrare scomodi ma, una volta che ci si sarà abituati, in particolare ad andare alla torretta di rifornimento ogni volta che si vuole passare cambiare da pistole a lame, regaleranno molte soddisfazioni. Tirando le somme l’espansione Final Battle non fa che migliorare ulteriormente A.O.T 2, le nuove armi e le nuove modalità risultano molto curate, il che arricchisce notevolmente il gameplay del titolo. Grazie a ciò, Final Battle, più che un DLC sembra un vero e proprio nuovo gioco della saga. In più, sia che siate fan della serie sia che non l’abbiate mai vista, questo titolo sarà capace di farvi vivere tutte le avventure narrate nelle prime tre stagioni dell’anime e, al contempo, sarà in grado di portarvi all’interno del mondo narrativo creato da Hajime Isayama. In ogni caso, se volete saperne di più sul gioco base, sulle dinamiche e su qualsiasi aspetto del titolo originale, che funge da scheletro per quest’espansione, vi invitiamo a leggere la nostra recensione cliccando qui.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 9

Gameplay: 8,5

Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise




Nuovo ransomware minaccia Android

I ricercatori di ESET hanno recentemente individuato la
nuova famiglia di ransomware Android/Filecoder.C, che utilizza la lista di
contatti della vittima per inviare SMS contenenti link malevoli. Android/Filecoder.C
si è diffuso attraverso alcuni topic di Reddit con contenuti per adulti e, per
un breve periodo di tempo, anche tramite forum della nota community di
sviluppatori Android XDA. Android / Filecoder.C si distingue per il suo
meccanismo di diffusione. Prima di iniziare a crittografare i file, il
ransomware invia una serie di messaggi di testo a tutti gli indirizzi
nell’elenco dei contatti della vittima, inducendo i destinatari a fare clic su
un collegamento dannoso che porta al file di installazione del ransomware. Secondo
i ricercatori di ESET, in teoria, questo meccanismo potrebbe portare ad una
grande diffusione di infezioni, tanto più che il malware ha 42 versioni
linguistiche del messaggio dannoso. Fortunatamente, anche gli utenti meno attenti
possono facilmente notare che i messaggi sono tradotti male e che alcune
versioni non sembrano avere alcun senso. Oltre al suo meccanismo di diffusione
non tradizionale, Android / Filecoder.C presenta diverse anomalie nella
modalità di crittografia, escludendo i file di grandi dimensioni – superiori ai
50MB – e le immagini inferiori a 150KB. Nell’elenco di file da crittografare
mancherebbero anche alcune delle estensioni tipiche per Android.   Ci
sono poi altri elementi che caratterizzano Android / Filecoder.C rispetto ai
tipici ransomware per Android: Filecoder.C non impedisce infatti agli utenti di
accedere ai propri dispositivi bloccando completamente lo schermo. Inoltre il
riscatto non è preimpostato e la quantità di denaro chiesto dagli impostori
viene generata dinamicamente usando l’UsdId assegnato dal ransomware alla
vittima, con una richiesta unica per ogni utente, che varia tra 0,01 e 0,02
BTC. Questa scoperta dimostra che i ransomware rappresentano ancora una
minaccia per l’ecosistema Android; per stare al sicuro i ricercatori di ESET
consigliano di mantenere aggiornati i dispositivi, utilizzare una buona
soluzione di sicurezza mobile e scaricare le applicazioni solo dal Google Play
Store o altri store affidabili.

F. P. L.




Redeemer Enhanced Edition arriva su console

Lanciato su Pc nel 2017 Redeemer si è dismostrato una vera e
propria sorpresa nel campo degli indie games. Adesso il gioco è finalmente arrivato
su PlayStation 4, Xbox One e Nintendo Switch con Redeemer: Enhanced Edition,
versione aggiornata e ampliata che permette anche al pubblico console di
provare il titolo di Sobaka Studio. A livello di trama il software offre una
storia semplice ma che funziona e introduce i giocatori in un universo in stile
action movie anni ’80. Vasily è un ex soldato russo il quale ha partecipato a
diverse operazioni militari, non del tutto legali che lo hanno reso
estremamente forte ma al tempo stesso pazzo. Ma non finisce qui perché il
proprio governo ha deciso che doveva subire delle modifiche fisiche, ricevendo
degli innesti cibernetici che lo hanno reso una vera e propria macchina da
guerra inarrestabile. Un giorno Vassily decide di abbandonare questa vita per
sempre, e andare a vivere in un monastero tibetano seguendo la strada della
meditazione e delle arti marziali. La pace però viene a mancare quando un
gruppo di soldati entra all’interno del complesso, uccidendo chiunque gli si
pari davanti. Dopo alcuni anni passati a meditare e creare la pace interiore,
questa viene completamente interrotta risvegliando la feroce sete di sangue che
il protagonista era riuscito a sopire. Da qui ha inizio una spietata battaglia
che vedrà Vassily affrontare migliaia di spietati nemici. La trama di Redeemer
risulta abbastanza interessante e questa viene raccontata tramite dei brevi
filmati, distribuiti in maniera intelligente fra un capitolo e l’altro. Il
titolo è diviso in 20 livelli suddivisi in 3 macrocategorie per indicare
l’inizio, la metà e la fine dell’avventura ed è un vero peccato perché per
quanto sia bella l’avventura, essa non è ricca di contenuti e risulta nel breve
periodo abbastanza monotona. A livello di gameplay la produzione ha svolto un
ottimo lavoro offrendo azioni semplici, intuitive e piuttosto variegate. Grazie
all’ausilio di un setup di comandi estremamente semplice, sarà possibile
eliminare qualsiasi minaccia con una ferocia inaudita.

Con lo stick sinistro del pad sarà possibile far muovere il
personaggio in giro per le tante mappe presenti nel titolo. Quando si
incontrano i nemici si avranno 3 comandi base da utilizzare ovvero pugni, calci
e colpo critico, ma quest’ultimo può essere sfruttato solamente tramite degli
oggetti sparsi per la mappa. La visuale isometrica permette di vedere tutta
l’area di gioco, ma pigiato su un altro pulsante e spostando la levetta
sinistra in alto o in basso, si potrà osservare al di là della telecamera fissa
su Vassily. Una caratteristica interessante è data poi dalla possibilità di
utilizzare delle armi, divise in armi bianche come manganelli, asce e picconi i
quali dopo qualche colpo inflitto si distruggeranno; alle armi da fuoco come
pistole e fucili d’assalto che dopo aver finito le munizioni verranno gettate
via. In Redeemer c’è anche poi una buona varietà di antagonisti da affrontare: si
passa infatti dai poveri e inermi soldati semplici a versioni corazzate ben più
pericolose, sfociando infine in mutanti nati da esperimenti genetici falliti
che rappresentano una sfida più impegnativa, ma nulla che il nerboruto protagonista
non possa ridurre in una poltiglia sanguinante. Il titolo non risparmia sulla
violenza, e una delle caratteristiche principali è proprio il grande feedback
dei colpi che faranno sentire tutta la potenza di Vasily, e permetteranno di massacrare
i nemici in modo dannatamente divertente e appagante. Anche lo scenario gioca
un ruolo importante, infatti si possono sfruttare muri, spuntoni e altri
elementi per uccidere in modo “creativo” i malcapitati. Eliminando gli
avversari inoltre si ottiene della preziosa salute ed esperienza per migliorare
le proprie mosse e diventare ancora più letali. Una delle modifiche presenti in
questa Enhanced Edition rispetto alla versione originale è la divisione delle
abilità in Monaco per quanto riguarda tutto quello che rientra nel corpo a
corpo (calci, pugni, armi da taglio) e Soldato per le varie armi da fuoco, così
da rendere il sistema di progressione più intuitivo e fluido. Potenziando le
proprie abilità si possono creare combo più lunghe, aumentare la salute
derivante dalle uccisioni, aumentare il numero di colpi delle armi da fuoco,
diminuire l’usura delle armi da taglio e altro ancora, inoltre esplorando
l’ambiente si possono trovare delle pergamene e altri collezionabili che
aumentano i punti abilità a disposizione.

La storia di Redeemer si può completare nel giro di circa
6/7 ore, ma un’altra novità di questa Enhanced Edition è la localizzazione in
italiano, introduzione sicuramente gradita da chi non mastica bene l’inglese. Una
caratteristica interessante del titolo è la modalità Arena, nella quale al
momento sono disponibili solamente due mappe ambientate in zone viste nella
modalità storia. In questa tipologia di gioco il compito del giocatore sarà
quello di sopravvivere alle varie ondate di nemici. Quasi l’intero gioco si può
giocare esclusivamente da soli, non c’è un vero e proprio bisogno di giocare in
compagnia se non per puro divertimento. In ogni caso è bene sottolineare che è
presente la modalità coop nella quale due giocatori possono unirsi nella stessa
lobby, una feature interessante ma fine a se stessa. A livello tecnico Redeemer
Enhanced Edition ha risolto i terribili problemi di frame-rate che affliggevano
la versione PC originale, e durante la prova il gioco è sempre stato fluido con
qualche piccolo calo in occasioni sporadiche, ma nulla che compromettesse
l’esperienza come invece accaduto nella prima release. Tirando le somme quindi,
se state cercando un gioco di facile comprensione, che dia la possibilità di
affrontare centinaia di nemici e di sconfiggerli in maniera “creativa”, questo
titolo è ciò che fa per voi.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 7

Gameplay: 7,5

Longevità: 6,5

VOTO FINALE: 7

Francesco Pellegrino Lise




Bloodstained Ritual of The Night, l’erede indiscusso di Castlevania

Bloodstained Ritual of The Night venne concepito nel 2014
quando il celebre producer Koji Igarashi, lasciato Konami, fu subissato di
richieste di fan che chiedevano a gran voce un nuovo gioco in stile Castlevania.
Non potendo usare però il brand, essendo di proprietà di Konami, Koji si
ritrovò nella difficile situazione di dover trovare una maniera per reinventare
il genere di cui per anni fu considerato il padre spirituale. Appoggiandosi
quindi al crowfunding, e di fatto all’aiuto di quei fan che tanto volevano un
degno successore dell’intramontabile Symphony Of The Night, Igarashi cominciò
il lungo, e altri, travagliato, sviluppo di quello che a oggi possiamo
considerare il gioco che in molti avrebbero desiderato da moltissimo tempo.
Inutile dire che se si è fan accaniti dell’originale Symphony of The Night è
obbligatoriogiocare al più presto alla nuova opera di Koji Igarashi perché
Bloodstained Ritual of The Night. Vi diciamo questo in quanto il titolo,
disponibile su Pc, Xboxc One, Ps4 e Switch, altro non è che la summa di tutto
ciò che è stato il ciclo di Castlevania negli anni in cui Iga lo ha diretto. Quindi
non ci si trova solo di fronte a un seguito spirituale ma a una vera e propria
autocelebrazione di un genere per mano del suo stesso produttore, ritrovatosi
orfano della sua creatura ma non per questo deciso a rifulgere il proprio,
storico, passato o a voltare le spalle alla sua fanbase. Se, invece, si è tra
quella schiera di persone che non ha mai potuto o voluto affrontare l’immortale
avventura di Alucard, potete prepararvi a comprendere l’arcana alchimia che
permette a una produzione quale Bloodstained Ritual Of The Night, di risaltare
in mezzo a un panorama ricolmo di titoli pregni di grafiche incredibili e
narrazioni accattivanti, basandosi solo su un gameplay che dal 1997 a oggi ha caratterizzato
un intero genere videoludico. Ma veniamo alla trama: alla fine del settecento,
nel 1783 per la precisione, nel pieno della Rivoluzione Industriale, un gruppo
di demoni attacca l’Inghilterra, compiendo dei terribili massacri. Per
fermarli, una gilda di alchimisti crea gli shardbinder, ossia degli esseri
umani con impiantati dei cristalli imbevuti di potere demoniaco. La gilda, in
collaborazione con la chiesa, riesce a fermare i demoni, ma al prezzo di
migliaia di vittime. Gli shardbinder infatti muoiono tutti nel rito di
purificazione dei cancelli demoniaci. Solo due sono riusciti a sopravvivere:
Gebel, uscito illeso dal rito, e Miriam, addormentatasi poco prima che questo
iniziasse. Da allora sono passati dieci anni e i demoni sono tornati sotto la
guida di Gebel, ormai quasi completamente cristallizzato. L’unica che può
fermarlo è Miriam, perché capace di sfruttare i poteri dei cristalli demoniaci
presenti nel suo corpo. Ad aiutarla il fido Johannes, un ex-alchimista redento,
l’esorcista Dominique e il guerriero Zangetsu, il protagonista di Bloodstained:
Curse of Moon (spin-off stile NES della serie), utilizzabile anche in Ritual of
the Night.

Pad alla mano, sin dalle prime stanze si avverte tutta
l’esperienza di Igarashi. I movimenti di Miriam sono molto simili alle movenze
di Alucard (Il protagonista di Castevania Symphomy of the Night), c’è persino
la scivolata tattica all’indietro e quella d’attacco in avanti. Il sistema di
assorbimento dei cristalli è semplice ma intelligente: ogni volta che si incontra
un nuovo nemico, dopo averlo sconfitto c’è una chance di ottenere un cristallo
che si potrà assorbire acquisendo le sue abilità specifiche. Ci sono tanti tipi
di cristalli, di attacco, di difesa, di supporto e via discorrendo. Essi vanno
equipaggiati e hanno un consumo di MP variabile in base al tipo stesso al
grado. Grado che aumenta in base al numero di cristalli dello stesso demone che
verranno trovati, con un meccanismo simile a un incremento del livello delle
abilità. Nelle prime aree di gioco c’è una grande sensazione di gratificazione,
in quanto si potranno incontrare nemici quasi sempre diversi ogni due tre
stanze e si potranno trovare tanti cristalli, in maniera tale da poter provare
tutte le abilità ad essi connesse. Uccidendo i nemici si potranno trovare come
loot anche tanti materiali e ingredienti che inizialmente non è chiaro come
utilizzare, salvo poi capirne meglio i meccanismi dopo aver incontrato compagni
della Gilda e personaggi che si offrono di aiutare la protagonista nella missione,
che spiegano come combinare gli oggetti e craftarne di nuovi. In Bloodstained Ritual
of The Night, come anche accadeva in Castlevania SotN, consultare la mappa è
sempre essenziale per capire dove bisogna andare, per comprendere la
conformazione delle stanze alte e per trovare punti chiave e stanze segrete.
Queste contengono quasi sempre equip potenti, oggetti per aumentare il cap di
HP ed MP o anche NPC. Tra le diverse aree si trovano, come in ogni Castlevania
che si rispetti, dei corridoi separatori, e ad ogni nuova area corrisponde
anche un cambio di musica in background e set di nemici. Talvolta potrà
capitare di poter accedere contemporaneamente a più aree diverse, e
generalmente il modo migliore per capire se si è scelto la strada giusta è
saggiare la forza dei nemici: se servono più di quattro o cinque attacchi per eliminarli,
generalmente è meglio battere in ritirata in quanto è richiesto un livello di potere
più alto e si andrebbe incontro a morte certa.

Man mano che si andrà avanti nell’avventura ci si dovrà
scontrare con mini-boss e boss di livello. Questi ultimi sono quasi sempre
accompagnati da delle cut-scene e richiedono una buona dose di run ed eventuali
morti per trovare la tecnica giusta per superarli. Il backtracking è presente
in maniera preponderante, ma fortunatamente ci sono i ben noti portali che permettono,
una volta trovati e attivati, di viaggiare velocemente tra gli angoli più
remoti della mappa. E quindi, ogni qualvolta si sblocca una nuova abilità che permette
di eseguire nuove mosse, quasi sempre bisognerà tornare indietro per accedere
alle parti della mappa inizialmente precluse. In Bloodstained Ritual of The
Night però c’è anche spazio per qualche piccola novità. Infatti, strada facendo
si potranno trovare diversi NPC che propongono tante missioni secondarie, come
la vendetta del marito ucciso da un particolare tipo di demone, o la raccolta
di ingredienti e oggetti specifici. Queste missioni aggiungono ulteriore
backtracking e quando se ne accettano più di una sarà facile confondersi o
perdere di vista gli obiettivi. Fortunatamente gli sviluppatori hanno inserito
un sistema di tracking che viene in aiuto con dei segnalini da posizionare
sulla mappa. Bloodstained Ritual of The Night offre poi la possibilità di
eseguire tante abilità e mosse speciali legate al tipo di arma brandita. E di
armi ne esistono di varie categorie: spade corte e lunghe, pugnali, fruste,
pistole mazze chiodate e persino opzioni per il combattimento a mani nude; e
strada facendo troveremo delle librerie che ci svelano mosse segrete che
aggiungono profondità al combattimento. Tra le novità implementate è bene
evidenziare anche un sistema di assegnazione veloce delle abilità legate ai
cristalli, che permette di cambiare rapidamente set di skill, pratica
particolarmente utile nelle parti più avanzate del gioco quando i nemici si
fanno più duri da abbattere e sfruttare le loro vulnerabilità diventa vitale.
Da questo punto di vista il combattimento risulta più tattico e meno piatto rispetto
al passato. C’è ampio margine anche nella customizzazione del personaggio, con
armi, mantelli e accessori che hanno un impatto cosmetico ben visibile su
Miriam. Inoltre, in un punto preciso del castello è presente anche un barbiere
in grado di modificare l’acconciatura ed altri aspetti del look della
protagonista. Come da tradizione poi, non manca nemmeno una vasta enciclopedia
che abbraccia personaggi, luoghi e mostri che appagherà la sete di conoscenza
dei puristi del genere. Immancabili inoltre gli shop di armi e oggetti ed il
mitico barcaiolo in stile Caronte.

In termini di esplorazione e progressione, Bloodstained:
Ritual of The Night è costruito in modo molto simile ad alcuni dei titoli della
serie Castlevania già citati: c’è un’unica grande mappa, di cui molte zone
diventano accessibili solo dopo aver sbloccato alcuni poteri specifici o dopo
aver ottenuto certi oggetti, come il già citato doppio salto. Paradossalmente
più si esplora, più la mappa sembra ampliarsi. Igarashi e i suoi hanno ottenuto
questo effetto aumentando le diramazioni in modo graduale: non si arriva mai a
sentirsi persi come accade in un Hollow Knight, ma in certi momenti non manca
del sano disorientamento. Il tempo necessario per finire il gioco a livello
Normal è noto, perché dichiarato dallo stesso Igarashi: una decina di ore. Si
tratta in realtà di un abbaglio, nel senso che Bloodstained è costruito per
essere esplorato in lungo e in largo e per essere finito più volte a diversi
livelli di difficoltà. Parlando ora del comparto tecnico, il gioco ha fatto
netti passi avanti durante il suo lungo sviluppo. Non poche erano le polemiche
insorte per animazioni legnose, uno stile grafico vecchio ed effetti grafici
non all’altezza della generazione attuale. Igarashi ha però saputo rispondere
bene a queste critiche cambiando tutto a poche settimane dal lancio,
presentando un cambiamento radicale quasi da notte a giorno per effetti e stile
grafico. Alcune aree sono veramente belle a vedersi, con tanti effetti
particellari e oggetti in movimento in background che danno decisamente vita e
spessore allo stile 2.5D. La colonna sonora è chiaramente ispirata a quella dei
precedenti Castlevania ed è sicuramente uno dei punti di forza dell’intera
produzione. Unica nota veramente negativa è da associare alla traduzione in
italiano, davvero di mediocre fattura. Sicuramente farà contenti tutti quei
giocatori che non conoscono altre lingue, ma doversi andare a rileggere dei
testi in inglese per capirli fino in fondo non è affatto una cosa buona. Tirando
le somme, Bloodstained Ritual of The Night non è solamente il successore
spirituale di Symphony Of The Night, o del filone dei Castlevania in due
dimensioni che hanno popolato le console portatili nel primo decennio degli
anni 2000, ma è soprattutto una produzione coraggiosa, fede delle proprie
radici e in gradi di dimostrare che il genere ha ancora molto da dire,
specialmente se al timone c’è uno dei suoi storici fondatori. Con un solido
gameplay in grado di divertire oggi come ventidue anni fa e un level design
sopraffino, l’ultima creazione di Igarashi non solo riesce a tenere testa a
tutti i titoli usciti negli anni precedenti ma anche a ridefinire le basi del
genere così come fu nel 1997 con la storia di Alucard. Se siete fan di
Catlevania non giocare a questo titolo sarebbe un vero peccato in quanto
incarna quanto di buono già visto in passato e lo eleva con alcune buone novità,
con un gameplay fluido e con una trama avvincente.

GIUDIZIO GLOBALE

Grafica: 8,5

Sonoro: 9

Gameplay: 9,5

Longevità: 9

VOTO FINALE: 9,5

Francesco Pellegrino Lise




Huawei lancia in Italia il primo smartphone 5G

Huawei non sembra affatto intimorita dalle controversie con gli Stati Uniti e punta ancora al top della tecnologia con i suoi prodotti. Vi diciamo questo in quanto arriva in Italia il primo smartphone compatibile con le nuove reti cellulari di quinta generazione. Si tratta del Mate 20 X 5G, ed è stato presentato recentemente in un evento a Milano in cui il colosso cinese ha offerto rassicurazioni sulla piena funzionalità – presente e futura – dei suoi dispositivi. Rassicurazioni che arrivano dopo i timori suscitati in questi mesi dalla guerra commerciale tra Usa e Cina che aveva fatto finire Huawei nel mirino di Washington. Lo smartphone è una versione 5G del Mate 20 X, un dispositivo top di gamma con schermo Oled molto grande (7,2 pollici) e ad alta definizione. La differenza sta nella batteria, che si fa un po’ più piccola – da 5.000 a 4.200 mAh, ma promette di durare tutta la giornata – per far posto alle antenne grazie a cui funziona il nuovo chip 5G Balong 5000, sviluppato “in casa” da Huawei così come il processore Kirin 980, con cui lavora in tandem. Il comparto fotografico è composto da una tripla fotocamera posteriore sviluppata con la tedesca Leica (un sensore principale da 40 megapixel cui si aggiungono un grandangolare da 20 megapixel e un teleobiettivo da 8 megapixel). La fotocamera frontale è da 24 megapixel. Il telefono integra 8 GB di Ram e 256 GB di memoria interna, espandibile. Lo smartphone, nella finitura verde smeraldo, è già disponibile in preordine, e arriverà nei negozi degli operatori di telefonia mobile nelle prossime settimane. Il prezzo è elevato: sfiora i 1.100 euro. Proprio per l’imminente lancio in Italia, il produttore ha subito rilasciato il primo aggiornamento dedicato ai modelli commercializzati nel nostro Paese. La principale novità riguarda il miglioramento di uno dei tratti distintivi del terminale, ovvero la connettività 5G. Le nuove infrastrutture di rete muovono solo ora i primi passi nel nostro Paese con le offerte commerciali di TIM e Vodafone e non sorprende che uno dei primi smartphone 5G distribuiti in Italia abbia necessità di qualche affinamento software per sfruttarle al meglio. Per il resto, l’aggiornamento fa riferimento a due novità secondarie: la possibilità di rimuovere l’assistente vocale HiVoice, sostituendolo con Google Assistant, e la rimozione dell’app preinstallata Traduttore di Microsoft. Non manca una generica conferma sul miglioramento della stabilità e delle prestazioni del sistema del dispositivo Huawei. L’aggiornamento è attualmente in distribuzione in Italia, ha un peso di 689MB e può essere scaricato tramite la notifica OTA.

F.P.L.




Crash Team Racing torna in grande spolvero

Con Crash Team Racing Nitro Fueled Activision riporta sulle console di attuale generazione uno dei titoli più amati ai tempi della primissima Playstation, nel lontano 1999. Ma veniamo al dunque, il gioco propone in chiave moderna il Ctr originale, quello più amato e iconico, dotandolo di una grafica in stile cartoon moderna, ma mantenendo sempre il gameplay virtualmente identico al gioco originale, se non per qualche piccola miglioria e un paio di aggiunte per arricchire l’offerta. I poco dettagliati e pixellosi mondi del gioco originale lasciano così spazio a rivisitazioni fedeli nel design ma molto più ricche di colori, varietà e dettagli che regalano nuova linfa vitale a piste che negli anni ’90 risultavano essere spoglie e poco movimentate. Crash Team Racing Nitro-Fueled è assolutamente all’altezza dei prodotti contemporanei, sia come resa grafica, sia come fluidità in game, e il salto qualitativo di 3 generazioni di console, nonché 20 anni di evoluzione tecnica si fanno sentire davvero poco. Per giustificare maggiormente il comunque economico prezzo di 39,99 Euro, il team di Beenox ha inoltre pensato di aumentare ulteriormente il valore del prodotto aggiungendo, tra le altre cose, numerose piste dai sequel di CTR, nonché moltissime opzioni di personalizzazione e un multiplayer online appassionante e spassoso. L’idea di base del titolo originale era ovviamente quella di creare un degno avversario del famosissimo Mario Kart, e così fu. Adesso con questo remake il titolo offre quanto visto in passato ma elevato all’ennesima potenza, qundi: gare di pochi giri all’interno di spettacolari piste in scenari coloratissimi e folli in giro per il mondo, da castelli fino a deserti, dove 8 piloti del roster si affrontano su kart veloci e che possono guadagnare ulteriore velocità con i boost offerti dalla corretta gestione di derapate, partenze e salti. Il sistema di derapate, nello specifico, è molto diverso da quanto visto in giochi simili e vede i giocatori attivare il turbo a più riprese col giusto tempismo ad ogni derapata per sfruttarne al meglio l’effetto. Ovviamente non mancano i famosissimi power-up, componente imprescindibile di questo genere che contribuisce a rendere questi giochi titoli molto divertenti in compagnia: bombe, missili, pozioni trappola, scatole di TNT, scosse elettriche e turbo permettono ai giocatori di rimontare nei confronti di chi si trova davanti, portando spesso a photo-finish a sorpresa dove un giocatore che è stato per buona parte al comando può essere fermato all’ultimo momento da qualcuno che passa ad alta velocità con qualche folle power-up o che lo manda in testa coda con un bel missile. Questo modo di giocare rende Crash Team Racing Nitro Fueled un party game capace di dar vita a divertentissime sessioni tra amici sia in locale che online.

In ogni caso, se non si ha mai avuto l’occasione di provare
il titolo originale, il miglior metodo per prendere familiarità con le
dinamiche di gioco resta la “campagna”. Tale modalità di gioco è strutturata in
maniera molto diversa da quanto visto in altri titoli del genere: qui Crash o
il personaggio che si selezione deve affrontare diverse isole che fungono da
hub, ognuna delle quali presenta varie piste in cui arrivare vincitori per poi
battere i boss dell’area in una letale battaglia uno contro uno. Finito questo,
è possibile affrontare sfide aggiuntive sui livelli già affrontati, come sfide
a tempo dove bisogna cercare di fermare il cronometro il più spesso possibile
raccogliendo casse con secondi bonus o le sfide CTR, dove bisogna battere la
CPU raccogliendo le lettere C, T ed R nascoste in giro per i livelli. Queste
sfide portano il giocatore a trovare le scorciatoie rischiose ma efficaci di
ciascuna pista, preparandoli al meglio per le sfide competitive del multiplayer
locale e online. La campagna di Crash Team Racing Nitro Fueled è davvero lunga
se si decide di completare ogni sfida secondaria, ma come detto è un ottimo
modo per conoscere al meglio ogni pista, diventa quindi molto consigliata a chi
ha intenzione di puntare a competere. Per chi ha tali ambizioni, c’è l’ormai noto
split screen fino a 4 giocatori in qualunque pista o modalità, ma soprattutto
un supporto online abbastanza basilare ma incredibilmente spassoso e molto
gradito, considerando che CTR non ha mai avuto ufficialmente una componente
online. Anche questa componente è giocabile in split screen, permettendo ai
giocatori di portare anche la propria squadra online. Insomma, il videogame ripropone
fedelmente gameplay, campagna e opzioni multiplayer (ma con diverse novità) del
gioco originale, il tutto con un’ottima resa grafica e tanti piccoli
miglioramenti. Possiamo affermare senza timore di essere smentiti che questo
gioco è la versione definitiva di uno dei kart racer più spassosi di sempre,
capace quasi di rendere obsoleto e l’originale. Per chi si avvicina per la
prima volta a Crash Team Racing, il titolo può sembrare come un banale clone di
Mario Kart senza nessuna differenza degna di nota. Ma non è così, soprattutto
per il modello di guida che riesce a combinare in maniera egregia una
maneggevolezza arcade a un impressionante elemento tecnico di bravura. Il
fulcro sta nel riuscire a concatenare derapate cercando di azionare nel momento
giusto il boost generato da queste, per arrivare a passare praticamente tutto
il giro sotto l’effetto del nitro. Anche Mario Kart e compagnia hanno un
sistema di derapate turbo, ma le tante curve a gomito, i dislivelli e gli
ostacoli di CTR uniti a questo sistema più complesso rendono il racer game di
Crash e soci decisamente più tecnico, dove ogni giocatore può costantemente
migliorarsi ed aumentare in abilità partita dopo partita. E vi assicuriamo che
se si vuole dominare sarà necessario un duro allenamento, visto che per
completare la storia al 100% o per avere una chance di vincere contro gli
agguerriti avversari online bisognerà essere davvero a proprio agio con il
meccanismo di derapate. Attenzione però, come già sottolineato più volte, Crash
Team Racing Nitro Fueled non è però solamente una copia dell’originale CTR,
poiché aggiunge anche diversi elementi dai sequel meno riusciti del gioco
portandoli però nella struttura e nel gameplay pluripremiato del primo
episodio. Spuntano così piste da Crash Nitro Kart e Crash Tag Team Racing,
diversi nuovi personaggi, un’abbondanza di elementi cosmetici abbastanza
numerosa ma anche e soprattutto il multiplayer online. La quasi totalità di
questa saga si è giocata su console che nemmeno avevano una porta Ethernet,
figuriamoci funzionalità online degne di questo nome. Bene, adesso grazie alle
nuove tecnologie il gioco permette a giocatori di tutto il mondo di sfidarsi in
qualunque pista del gioco. C’è ovviamente anche il multiplayer locale per
divertenti sessioni casalinghe tra amici, ma il gameplay estremamente tecnico e
caotico del titolo lo rende un’esperienza multiplayer online decisamente
esilarante. Per chi non ha intenzione di mettere le mani sul comparto multiplayer
e desidera godersi solo l’esperienza “classica” di CTR non c’è da
preoccuparsi, visto che ogni oggetto di personalizzazione è sbloccabile anche
in locale e non ci sono obiettivi esclusivi per la modalità online.

A livello di modalità di gioco, Crash Team Racing Nitro
Fueled ne offre davvero tante. La modalità Arcade Locale è quindi quella che
racchiude al suo interno la maggior parte dei contenuti del gioco e li offre
sin da subito senza ulteriori attese. Gli unici elementi bloccati riguardano i
piloti aggiuntivi, un totale di 25, tra cui i boss da sbloccare nell’Avventura,
e le personalizzazioni dei kart, queste ultime puramente estetiche. All’interno
della sezione arcade si potrà disputare una Gara Singola – scegliendo il numero
di giocatori, di giri, il livello di difficoltà e se affrontarla in versione
standard o speculare -, oppure ci si potrà cimentare in una delle 7 coppe
presenti in “Gara di Coppa”, prendere parte alla modalità Battaglia,
partecipare alle Prove a Tempo, gareggiare nella Corsa delle Reliquie, nella
Sfida CTR o nella Sfida dei Cristalli. Chi ha giocato al capitolo del ’99 riconoscerà
ogni singola modalità e si renderà subito conto di come l’offerta di Crash Team
Racing Nitro-Fueled sia assolutamente completa e in linea con l’originale. Per
chi invece si stesse avvicinando al titolo solo ora, ricordiamo che la modalità
Battaglia consente di combattere in una delle 12 piste/arene disponibili
esclusivamente in questa sezione. Qui si può scegliere se gareggiare a punti, colpendo
gli avversari con le armi a disposizione, in una versione alternativa del “ruba
bandiera”, collezionando il maggior numero di cristalli e così via. Insomma, la
modalità Battaglia è a sua volta un gioco nel gioco ed è particolarmente adatta
a tutte quelle sezioni multi player in stile party game senza dover badare alla
qualità della guida. La Sfida delle Reliquie è invece una variazione della
Prova a Tempo, dove si potranno migliorare i propri risultati aprendo le casse
bonus in grado di congelare il cronometro. La Sfida CTR invece è una semplice
gara nella quale, come già detto, bisognerà raccogliere le lettere C, T e R
sparse per il tracciato, mentre nella Sfida dei Cristalli bisognerà raccogliere
i cristalli viola sparsi nelle arene della modalità Battaglia. Ricordiamo che tutto
ciò potrà essere giocato in multi player locale a schermo diviso sino a 4
giocatori, mentre la modalità online consente la partecipazione fino a 8
giocatori. Per quanto riguarda il comparto audio, i puristi potranno infatti
scegliere se utilizzare la colonna sonora remixata o quella classica, inoltre,
a livello di gioco potranno affrontare la campagna in modalità
“classica” o Nitro-Fueled, potranno persino scegliere i modelli
poligonali originali per i kart e i personaggi principali, rinunciando a
qualsiasi orpello estetico che possa alterare l’esperienza. A questo grande
richiamo al passato si contrappone l’aggiunta di personaggi del tutto inediti,
fra cui alcuni che arriveranno nei prossimi mesi, per il titolo, una nuova
schermata di personalizzazione del kart e persino un negozio giornaliero dove
spendere le monete accumulate con le gare per poter acquistare skin, personaggi
e pacchetti bundle.

Dal punto di vista tecnico i ragazzi di Beenox sono stati in
grado di effettuare un lavoro di ricostruzione di livello altissimo. Questo
significa che ogni pista, ogni arma e ogni personaggio sono delle copie 1:1 di
ciò che era presente nel capitolo per PlayStation del 1999, ovviamente
reinterpretati e restaurati in chiave moderna. I tracciati ripropongono lo
stesso feeling degli originali, con curve e dossi ricostruiti con precisione
millimetrica, quindi se si era già degli assi di Crash Team Racing ai suoi
tempi, basteranno pochi minuti per ritrovare le stesse sensazioni dell’epoca e
se la memoria non inganna si potranno anche sfruttare sin da subito tutte le
scorciatoie presenti nelle mappe. Tirando le somme Activision e Beenox con
questo Crash Team Racing Nitro Fueled hanno ridato vita a uno dei videogame più
divertenti di sempre dove competizione, divertimento e adrenalina sono sempre
presenti in ogni metro della pista. Insomma, come avrete dedotto leggendo il
nostro articolo, se siete alla ricerca di un gioco da fare con gli amici, ma
che offra una componente di sfida degna di questo nome, tante modalità e una
grandissima varietà di tracciati, questo remake del classico CTR è proprio ciò
che fa per voi.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8

Longevità: 9

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise