TikTok dall’app di successo al nuovo smartphone

Annunciato a gran voce come il TikTok Phone, in realtà il “Jianguo
Pro 3” (questo il nome del dispositivo) è soltanto prodotto dalla stessa
società dietro l’applicazione in testa a tutte le classifiche di download del
momento, Bytedance. Ufficializzato per il mercato cinese, il nuovo dispositivo
non dovrebbe avere molte possibilità di giungere fin da noi in Europa ed è un
peccato dato che si tratta di uno smartphone dalle caratteristiche davvero
niente male. Lo smartphone Targato TikTok arriva sul mercato con un prezzo di
ingresso tutt’altro che economico (2.899 yuan, l’equivalente di circa 410
dollari). Ovviamente fra i servizi preinstallati è presente Douyin, la versione
di TikTok destinata agli utenti cinesi: basta passare il dito sulla schermata
di blocco e immediatamente si applicano gli effetti e i filtri dell’app ai
video in memoria. Definirlo lo smartphone di TikTok è però forse improprio,
visto che proprio i portavoce di ByteDance hanno confermato come questo
dispositivo sia di fatto la continuazione dei progetti già in essere prima
dell’avvio della partnership con Smartisan, ma è certo che si tratti di un
apparecchio con caratteristiche tecniche non banali. A livello tecnico il “TikTok
Phone” si presenta con una dotazione da dispositivo di fascia alta, a
cominciare dal processore Snapdragon 855 Plus, cui fa pendant una batteria da
4.000 mAh, per finire con un comparto fotografico forte di quattro camere
posizionate sul retro (un sensore principale da 48 Megapixel, un obiettivo
ultra wide da 13 MP, un teleobiettivo da 8 MP e una camera macro da 5 MP) e un
sensore 20 megapixel per i selfie sulla parte anteriore del display, dove trova
posto anche il sensore per il riconoscimento delle impronte digitali. Il
telefonino di TikTok si troverà nei colori verde, bianco e nero, più che
probabile la sua disponibilità tramite il mercato grigio d’importazione.

F.P.L.




Baldur’s Gate 1 e 2 arrivano su console

Baldur’s Gate Enhanced Edition, pacchetto contenente
Baldur’s Gate 1 e Baldur’s Gate 2 più le relative espansioni è finalmente
arrivato su Xbox One, Ps4 e Nintendo Switch. Questa collezione, ci teniamo a
sottolineare, fa parte di una linea di uscite che ripropongono i migliori gdr
ispirati a D&D, quindi: Planescape Torment, Icewind Dale e Neverwinter.
Dopo questa doverosa premessa, torniamo a Baldur’s Gate. L’importanza del brand
per il medium dei videogiochi è indiscussa. Il capolavoro uscito nel lontano
1998 su Pc fu il primo esempio di come utilizzare le regole di Dungeons &
Dragons in maniera credibile per sviluppare la struttura ludica di un
videogioco. Ambientato nel mondo dei Forgotten Realms, il giocatore si trova a
dover affrontare una vera e propria epopea disseminata di eventi epici e
personaggi memorabili. A prescindere dalla console scelta per godere di questa
storica Enhanced Edition – che pur conserva l’eccellente impronta pixellosa
dell’originale – il lavoro del team di Beamdog è piuttosto evidente, e va ad
impattare soprattutto sui controlli di gioco su Baldur’s Gate II, che poggia
sull’ultima versione dell’Infinity Engine. In particolare, sebbene sia sempre
possibile indirizzare il party verso un punto preciso attraverso la modalità
tattica, adesso è possibile guidare il gruppo autonomamente utilizzando lo
stick sinistro per farlo camminare e lo stick destro per direzionarlo, muovendo
al tempo stesso la telecamera. Il controllo “sui pollici” è un chiaro requisito
da console, che si sposa perfettamente con ciascuna delle piattaforme su cui
approda questa Enhanced Edition. Ciò detto, la modalità tattica con il
puntamento preciso nell’area della location rimane la più adatta quando non si
è in fase esplorativa; ad esempio, dovrete utilizzarla per combattere o usare
magie puntuali. Ovviamente anche l’interfaccia grafica è stata reinventata per
adeguarsi alla navigazione da pad, con menu radiali e non, comandabili tramite
dorsali e grilletti. Ottima anche la telecamera intelligente che, in modo
autonomo, va a puntare sia gli oggetti di interesse che i personaggi,
facilitando un po’ i controlli durante l’esplorazione dei dungeon e
svecchiando, di fatto, un sistema di gioco estremamente rigido e complesso. La
difficoltà di fondo legata al sistema Advanced Dungeon & Dragons rimane
tutta, il che ne fa un titolo adatto soprattutto a chi già ne sa, perché un
neofita andrebbe incontro ad una curva d’apprendimento estremamente rigida e
non paragonabile agli action RPG attualmente in commercio sotto diversi punti
di vista. Tuttavia, chi deciderà di non gettare la spugna dopo alcune ore, da
un certo momento in poi riuscirà a sentire la difficoltà più dolce, complice
sia un party più forte che l’ottenimento di una maggiore esperienza di gioco.
C’è, poi, tutta la gestione delle arti magiche e delle caratteristiche dei
personaggi, che richiedono davvero tanto tempo da investire per padroneggiare a
dovere ogni aspetto di ciascuna avventura. In Baldur’s Gate è fondamentale non
correre: il tempo speso a leggere le informazioni di corredo e a pianificare
ogni attacco risulta essenziale, tanto per non morire dopo poche azioni, quanto
per arrivare a un livello di coinvolgimento e appagamento post-vittoria che
forse non ha ancora eguali. La cosa veramente ammirevole di questa coppia di
giochi importantissima è il sistema di controlli. Adattare un gioco nato e
cresciuto con mouse e tastiera per essere giocato con un controller non è
assolutamente un’operazione semplice. Skybound Games e Beamdog hanno fatto un
lavoro decisamente pazzesco: la mappatura dei comandi è fatta sulla falsariga
di Pillars of Eternity, ma in Baldur’s Gate sembra addirittura funzionare
meglio. Certo, siamo ben lontani dalla precisione e dall’accuratezza che mouse
e tastiera concedono, ma è incredibile pensare di poter giocare in questo modo
un gioco per computer storico come Baldur’s Gate.

Il sistema di combattimento segue delle regole modificate
della seconda edizione di Dungeons & Dragons: per esempio, le battaglie in
Baldur’s Gate sono molto più impegnative, e fanno molto più affidamento sui “roll”,
esattamente come in una qualsiasi campagna di D&D. Non è raro che,
soprattutto all’inizio, il party del giocatore cerchi di sconfiggere un mostro
deboluccio impiegandoci una quantità di tempo forse pure un po’ troppo
eccessiva: si vedono infatti i protagonisti mancare il nemico più e più volte,
allungando la durata dello scontro. Infatti, nonostante la bontà estrema di
questo sistema, è innegabile che sia Baldur’s Gate sia Baldur’s Gate 2 mostrano
decisamente la loro provenienza da un’altra era videoludica. Al giocatore è
infatti richiesto di calarsi completamente nel mondo di gioco, e di viverlo pienamente
così da poter capire le pieghe più nascoste e vederne l’immenso valore. Trattandosi
di videogiochi degli anni ’90, non esistono indicatori sulla mappa, o qualsiasi
elemento che faciliti la progressione: Baldur’s Gate 1 e 2 non perdonano
nessuna disattenzione. Quindi, soprattutto per i neofiti consigliamo caldamente
di salvare molto spesso. Questo elemento può forse rappresentare quello più
difficile da digerire per chi si avvicina a questi capolavori per la prima
volta, ed è assolutamente normale. Baldur’s Gate 1 e 2 sono giochi molto
complessi, che richiedono dedizione, ma che sono in grado di regalare
esperienze che ben pochi altri giochi sono in grado di regalare. Come detto, la
storia in tutti e due i giochi rappresenta uno degli aspetti più importanti, e
il giocatore deve navigarla influenzandola con le proprie decisioni e azioni.
Il mondo di gioco è vivo, vibrante, con un fortissimo carattere, popolato da
una grandissima varietà di personaggi e personalità, alcuni dei quali si
uniranno a noi nella nostra avventura, mentre altri cercheranno di metterci i
bastoni tra le ruote. Ed è esattamente questa una delle qualità maggiori di
Baldur’s Gate: l’incredibile complessità della storia e del mondo di gioco
permettono al giocatore di affrontare l’esperienza dalla propria soggettività,
dal proprio punto di vista. Dal punto di vista estetico, nonostante le
migliorie tecniche, l’Enanched Edition di titoli con alle spalle 20 anni non
può proporre certo miracoli grafici, ed è anche per questo che gli sforzi del
team di sviluppo si sono concentrati sugli aspetti di gioco anziché su texture,
ombre ed effetti di illuminazione. Se il lato tecnico non è stato quindi troppo
ritoccato rispetto all’edizione speciale di qualche anno fa per pc, la versione
console viene impreziosita anche dalla presenza di Siege of Dragonspear e
Thrones of Bhaal, le due espansioni che chiudono l’arco narrativo della saga
Baldur’s Gate. La prima è un’esperienza che va a collocarsi tra i due capitoli
principali della serie, ed è molto importante perché non rientra nella versione
base dell’Enanched Edition pubblicata per PC, anzi, ne è a sua volta uno
spin-off. Thrones of Bhaal, invece, è più vecchiotto, e racconta gli
accadimenti dopo l’epilogo di Baldur’s Gate II. In attesa della modalità
multiplayer, per adesso solo presente nel menu ma senza alcuna proposta, le due
espansioni vi regaleranno ancora tante altre ore di quest interessanti e importanti
per approfondire la storia. Tirando le somme, possiamo dire che la grandezza di
questa coppia di titoli è dimostrata dalla freschezza dell’esperienza,
nonostante siano passati più di 20 anni dalla loro uscita originale. Questa
collection presenta pure le varie espansione, rendendo il totale di ore di
gioco per completare entrambi i titoli quasi incalcolabile. Certo, il prezzo
della collection è un po’ altino considerando che questi giochi vengono
letteralmente dallo scorso millennio; però, il sistema di controlli è stato
implementato in maniera molto convincente, e in aggiunta, la possibilità di
poter giocare in modalità portatile (su Intendo Switch) queste perle è
semplicemente meravigliosa. Unica pecca veramente grave, riscontrata durante la
nostra analisi su Xbox One, è la totale assenza della compatibilità con la
lingua italiana. Elemento davvero devastante se non si mastica l’inglese in
quanto entrambi i giochi sono costellati di dialoghi e testi che devono essere
compresi bene. In entrambi i Baldur’s Gate, infatti, trascurare libri,
documenti o dialoghi, vuol dire non riuscire a completare come si vuole le
quest o addirittura rimanere bloccati. Proprio per tale ragione speriamo che
presto vengano adattati i dialoghi e i testi in italiano, proprio come già
erano presenti più di 20 anni fa. Ovviamente se si è appassionati di Dungeson’s
& Dragons, ma anche di Gdr in generale, questa collezione va assolutamente
giocata. Se invece si è alla ricerca un titolo veloce, di facile comprensione e
poco complesso, I capitoli 1 e 2 della saga di Baldur’s Gate non vanno presi in
considerazione. Detto ciò è bene ricordare che questa collezione rappresenta un
vero e proprio gioiello per chi, come chi scrive, ha amato e giocato le
versioni originali dei titoli, ma è anche un punto d’inizio per tutti quei
nuovi giocatori che vogliono approcciare al mondo dei gdr in maniera seria e
complessa.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8

Longevità: 9

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Facebook si rinnova e cambia il logo aziendale

Facebook si rifà il look grazie a un nuovo logo aziendale “che aiuta a fare miglior distinzione tra la società e l’app”.  Si tratta di una scritta tutta maiuscola “FACEBOOK” e sarà anche in vari colori, non solo nel classico blu. Il marchio, infatti, contraddistinguerà app come Instagram e WhatsApp, si troverà nelle pagine iniziali o nelle impostazioni, o in prodotti come i visori per la realtà virtuale “Oculus” e l’altoparlante intelligente Portal. Tale mutamento non avverrà invece nel social network, che manterrà l’attuale scritta in minuscolo nel colore blu. L’azienda non possiede solo Facebook, ma da tempo è proprietaria anche di Instagram e WhatsApp e questo sarà evidente anche dal cambio di look del logo dell’azienda annunciato in via ufficiale sul blog della società.  “FACEBOOK” a carattere tutto maiuscolo si colorerà infatti anche delle tonalità calde di Instagram e WhatsApp, “facebook” a caratteri minuscoli in bianco e blu rimarrà invece al social network. Ma la lettura di questo cambiamento va oltre quella comunicata ufficialmente. Ciò che ne emerge è una sempre maggiore interconnessione tra le tre applicazioni, già culminata con l’annuncio nello scorso aprile della volontà di creare un unico ambiente di comunicazione condiviso tra Instagram, WhatsApp e Messenger. Un disegno che si delinea sempre più come un processo di accentramento. E guardando ancora più indietro appariva già chiaro che l’addio dei due fondatori di Instagram, Kevin Systrom e Mike Krieger, fosse legato a una sempre minore indipendenza garantita al social acquisito da Facebook nel 2012. Ma prima era stata già la volta del passo indietro dei fondatori di WhatsApp, Brian Acton e Jan Koum, in disaccordo con i progetti di Mark Zuckerberg. In ogni caso, è probabile che l’azienda voglia separare chiaramente tutte le altre app da Facebook (social network), soprattutto per via delle numerose controversie che ha dovuto affrontare. In questo modo Facebook sottintende che compagnia e servizio sono due cose diverse, e le varie applicazioni – sebbene strettamente legate all’azienda – non hanno le stesse finalità del social network.

F.P.L.




Ghost Recon Breakpoint, tornano i “fantasmi” di Ubisoft

Ghost Recon Breakpoint arriva su Pc, Xbox One e Ps4 a due anni e mezzo di distanza dal lancio del suo predecessore. Questa volta Ubisoft ha proposto un titolo che ha preso quanto di meglio ci fosse dal capitolo precedente, Wildlands (qui la nostra recensione), lo ha ampliato con meccaniche interessanti e gli ha donato una grafica del tutto più curata e ancora più bella da vedere.

Visto che squadra che vince non si cambia, la formula di gioco di Ghost Recon Breakpoint rimane fedele all’originale, offrendo un vasto open world liberamente esplorabile che fungerà da ambientazione per la nuova missione di Nomad, capitano della squadra Ghost che si trova ad affrontare in questo capitolo una situazione del tutto inedita, almeno per gli standard della serie.

Il palcoscenico è l’esotico arcipelago di Auroa nel sud dell’Oceano Pacifico, centro nevralgico delle operazioni della Skell Technology, azienda miliardaria e tentacolare che qui ha stabilito la sua personale Silicon Valley, libera da qualsiasi vincolo giuridico.

In questo paradiso in cui le migliori menti del pianeta si sono riunite per studiare e progettare la tecnologia del futuro che avrebbe dovuto migliorare la qualità di vita dell’uomo però, non tutto è andato come ci si aspettava.

Jace Skell, capo della Skell Technology si ritrova prigioniero delle sue stesse creazioni. L’isola di Auroa viene totalmente isolata dal resto del mondo dopo un colpo di stato militare ad opera di Cole D. Walker, ex Ghost interpretato da Jon Bernthal (lo Shane di The Walking Dead).

La scoperta della situazione avviene però dopo che una nave della marina americana affonda misteriosamente nelle acque vicine ad Auroa, e la CIA invia una squadra di circa 30 Ghost ad indagare.

Purtroppo anche questa spedizione non va per il meglio: gli elicotteri che trasportavano gli agenti vengono abbattuti da qualcosa di praticamente invisibile non appena entrano nello spazio aereo dell’isola. Adesso sta a chi gioca vestire i panni del Ghost Nomad, uno dei pochi sopravvissuti a questo attacco, per scoprire la verità dietro al tradimento di Walker e sventare una potenziale minaccia per il mondo intero.

Con queste premesse Ghost Recon Breakpoint è pronto a offrire ore e ore di gioco fra sparatorie, agguati, inseguimenti e molto altro ancora di cui a breve andremo a parlarvi.

Fin dalle primissime battute di gioco è possibile notare alcune importanti differenze che rendono Breakpoint sostanzialmente molto diverso dal precedente capitolo.

La prima cosa che inevitabilmente salta all’occhio è la posizione della telecamera alle spalle del protagonista, percettibilmente più vicina rispetto al passato. Questa scelta rende l’avventura di Nomad più personale, intima, anche perché Ghost Recon Breakpoint affida il sostentamento e la sopravvivenza del Ghost come mai la serie aveva fatto in passato. Gli elementi survival di cui parleremo in seguito rappresentano una graditissima novità, così come il rinnovato sistema delle armi che avvicina questo capitolo a un looter shooter, per non parlare dell’assenza dei compagni di squadra gestiti dal computer, che tra polemiche e ripensamenti non sono in ogni caso presenti in questa nuova avventura.

Tutte queste novità sul fronte del gameplay non vanno a intaccare la limpidezza dell’infrastruttura di gioco, molto coerente con quanto già visto in Wildlands nel 2017.

La nuova fatica di Ubisoft Paris non è altro che uno sparatutto in terza persona con elementi tattici, dotato di un sistema di coperture fluido e non legato alla pressione di un tasto, che può essere giocato dall’inizio alla fine da soli o in compagnia di altri tre amici.

Come fu per il capitolo precedente, anche in Ghost Recon Breakpoint l’elemento di gameplay principale è rappresentato sempre dalla minuziosa pianificazione e dallo svolgimento degli attacchi agli avamposti controllati dai Lupi e dai contractor della Sentinel, che punteggiano le 21 provincie in cui si divide Auroa.

La fase preparatoria che precede un assalto vede ancora come protagonista indiscusso il drone da ricognizione, che può identificare e marcare i nemici che sono segnalati sulla mappa con un generico alone rosso. In queste fasi l’HUD diventa un preziosissimo alleato, con cui tenere d’occhio la posizione dei soldati ostili e le informazioni su armi e attrezzature. Anche se l’uso della forza bruta è sempre un’opzione, la prassi largamente riconosciuta nel franchise Ghost Recon prevede che i giocatori operino in religioso silenzio, ed è proprio in queste situazioni che il gioco dà il suo meglio.

Questo risultato viene raggiunto in larga parte grazie al lavoro svolto sul gunplay, che si presenta all’appuntamento con la recensione in gran forma e privo di sbavature.

Complici alcune animazioni che ricalcano i movimenti tipici delle forze speciali, ripulire soldato dopo soldato un accampamento nemico è l’attività più piacevole che Ghost Recon Breakpoint possa offrire, specialmente se ci troviamo in squadra con altri giocatori.

Se da un lato i nemici non sono adeguatamente caratterizzati, una grossa variabile di gameplay è costituita dalla massiccia presenza dei droni, chimere tecnologiche costruite dalla Skell Technology e che popolano il gioco in tanti modelli diversi.

Oltre a droni di piccole e medie dimensioni, in alcune località dell’arcipelago si nascondono i Behemoth, le macchine più letali mai realizzate dalla compagnia, messe a difesa di tesori inestimabili. Affrontarli sarà molto impegnativo, esaltante, ma soprattutto anche molto appagante.

Parlando della componente survival in questo Ghost Recon Breakpoint, la prima, nonché più importante delle novità risiede nella rinnovata gestione della salute di Nomad.

Il protagonista infatti durante il combattimento può subire degli infortuni di tre diverse entità, che limiteranno progressivamente la capacità operativa sul campo del protagonista.

Per riprendersi da questi ferimenti, che riducono in via definitiva la barra della salute, saremo costretti a metterci al riparo per bendarci e curarci, un’operazione che dura momenti interminabili quando si è sotto il fuoco nemico.

Ad avere un impatto sull’esito dei combattimenti è anche la stamina, che può velocemente esaurirsi correndo e saltando da un riparo all’altro. Non è una buona idea trovarsi senza resistenza nel bel mezzo di uno scontro a fuoco, soprattutto quando si ha a che fare con terreni scoscesi, e questo aspetto, in concomitanza con l’introduzione degli infortuni, evolve secondo noi di tantissimo le fondamenta del gameplay della serie.

L’idea che Nomad abbia debolezze e vulnerabilità intensifica la percezione d’immersione, convincendoci di avere tra le mani la sopravvivenza di un vero soldato in un ambiente ostile e pericoloso. Le dinamiche survival di Ghost Recon Breakpoint orbitano poi attorno ai bivacchi, i piccoli accampanti disseminati per Auroa che i giocatori possono utilizzare per rifocillarsi, prepararsi e armarsi, ma anche e soprattutto per servirsi del viaggio rapido attraverso le diverse località dell’arcipelago.

Raggiungendo un bivacco si ha la possibilità di richiamare un veicolo, di consultare il negozio delle armi e delle attrezzature, ma anche di dedicare del tempo a una delle sei diverse attività che offrono buff consistenti alle statistiche di Nomad. Ad esempio, mangiare aumenta la resistenza agli infortuni e idratarsi fornisce un bonus alla stamina, mentre fare stretching garantisce più resistenza. Controllare armi e droni migliora le performance di entrambi, oppure è sempre possibile optare per un bonus all’ottenimento di punti esperienza con il quale livellare più velocemente.

Altra grande novità proposta in questo Ghost Recon Breakpoint è rappresentata dalle classi, ossia ruoli che ricalcano quelli che ognuno finisce con l’interpretare sul campo di battaglia. Le classi sono quattro, Medico da Campo, Assalto, Pantera e Tiratore, e danno accesso ad una serie di abilità e perk specifici che aiutano a rendere significativamente più variegato il gameplay di squadra. Ciascuna classe mette a disposizione un’abilità e un gadget unici, che nella classe Medico sono naturalmente orientati al curare i compagni, in quella Assalto a ridurre i danni subiti e a rendere più letale il Soldato, in quella Pantera a essere più furtivi e in quella Tiratore a visualizzare e a eliminare con più efficacia i nemici distanti.

Completando una serie di compiti sarà inoltre possibile livellare una classe per sbloccare perk aggiuntivi, aspetto che favorisce l’immedesimazione del giocatore nel suo ruolo. Naturalmente, tanto in PvE quanto in PvP si potrà passare in ogni momento da una classe all’altra, senza subire penalizzazioni di sorta. Insomma, scegliere quella adatta al proprio stile di gioco sarà uno dei piaceri offerti da Ghost Recon Breakpoint, che sotto questo aspetto riesce a offrire una nuova meccanica dall’indiscusso fascino.

Oltre al leveling delle classi, il giocatore può scalare ben 30 livelli ottenendo di volta in volta punti abilità, che possono essere investiti sui rami di un albero delle abilità non dissimile da quello di Wildlands ma molto, molto più folto, composto da oltre 50 perk attivi e passivi con cui personalizzare ulteriormente le abilità di Nomad sul campo di battaglia. Il titolo di Ubisoft può anche essere definito un vero e proprio loot shooter, infatti, tra le infinite influenze che hanno caratterizzato lo sviluppo di Ghost Recon Breakpoint è evidente la volontà della casa francese nel riprendere alcune caratteristiche dal suo The Division.

Infatti l’isola di Auroa è letteralmente disseminata di casse tramite le quali ottenere equipaggiamenti di ogni tipo.

https://www.youtube.com/watch?v=_RE1dX-9NQE&list=PLw5Dt8Rh0GQfeDqnHn6hMAF8AK3ap1Xna

Il livello di combattimento di Nomad viene definito dalla qualità del suo equipaggiamento, per cui è sempre una buona idea cercare di aprire più casse possibile nella speranza di trovare qualche arma, cappello, guanti e così via con statistiche migliori e magari qualche bonus passivo per essere sempre pronti ad affrontare nemici sempre più impegnativi… più o meno.

Qui infatti Ubisoft non sembra aver bilanciato benissimo il tutto, e la differenza tra armi che nella realtà hanno potenze di fuoco anche molto diverse è abbastanza minima, quasi da non giustificare l’impegno nell’esplorare e magari rischiare di essere scoperti pur di raggiungere una cassa; ben presto la voglia di cercare loot viene meno e ci si limita a raccogliere solo le casse che si trovano sul proprio cammino, senza impegnarsi più di tanto nella ricerca.

Interessante invece è il level system armi/equipaggimento. Esso è calcolato sulla media aritmetica dei valori di armi e vestiti inseriti negli 8 slot disponibili, e condiziona l’efficacia del protagonista quando affronta i nemici, anche loro dotati di livello. I modificatori ai danni inflitti e ricevuti dipendono in larga parte dalla difficoltà selezionata tra le quattro a disposizione (Arcade, Regolare, Avanzata ed Estrema), c’è da dire però che anche ad Arcade non sarà possibile caricare a testa bassa un gruppo di nemici, quindi, livello e difficoltà selezionata non salveranno il giocatore da azioni avventate o sciocche.

Per non nuocere al realismo, caratteristica centrale dell’intera serie, Ubisoft Paris ha scelto di applicare questa nuova filosofia del Livello Attrezzatura con alcune limitazioni, per evitare quel fastidioso effetto “bullet sponge” che spesso è una peculiarità di moltissimi looter shooter. In tal senso ogni nemico, anche i membri dei Lupi che sono di livello 150 o più, verranno abbattuti da un singolo colpo alla testa, quindi esiste la concreta possibilità di affrontare un loro accampamento senza i requisiti adeguati.

In Ghost Recon Breakpoint è stato rivoluzionato anche il processo che porta all’ottenimento delle armi, che possono essere acquistate dal negozio, trovate nelle casse nascoste nei punti di interesse di Auroa o ricevute come drop casuale dai nemici uccisi. Dal momento che è proprio attraverso i drop che Nomad sale di Livello Attrezzatura, capiterà spesso di dover aggiornare il proprio setup e utilizzare un vasto numero di bocche di fuoco, che si dividono tra fucili d’assalto, mitragliette, fucili a pompa, mitragliatrici leggere, fucili di precisione, DMR e pistole. Nel corso dell’avventura, non sarà tuttavia necessario affidarsi sempre al caso per giocare con la propria arma preferita, poiché nascosti nel mondo di gioco sono nascosti i progetti relativi a ognuna di esse, che una volta ottenuti offrono la possibilità di “forgiare” il fucile al Livello Attrezzatura corrente.

Questa funzione è utile inoltre per sorteggiare nuovamente le statistiche di un’arma: ognuna ha caratteristiche prestabilite, ma gode di due bonus casuali che sono determinati dalla rarità con cui viene ottenuta. Come ogni titolo di questo tipo, anche Ghost Recon Breakpoint offre i fantomatici livelli di rarità di ogni oggetto. Esistono cinque livelli di rarità, e proprio per questo può essere utile di tanto in tanto cercare di riottenere un fucile con statistiche migliorate, specialmente nella fase di endgame.

Ovviamente non manca il Gunsmith, ossia la sezione del menù dedicata alla personalizzazione delle armi. Le bocche di fuoco possono infatti montare una moltitudine impressionante di accessori ed essere colorante in ogni singola parte con tantissime mimetiche. Tutte le armi, in ottica endgame, possono essere inoltre potenziate attraverso tre livelli di qualità, che vengono preservati quando si scarta e si riceve nuovamente lo stesso fucile. Insomma, Ghost Recon Breakpoint è un titolo davvero molto complesso anche per quanto riguarda la sezione “equipaggiamento e armi”.

Se vi state chiedendo, ma Quanto dura questo Ghost Recon
Breakpoint? La risposta è: solo la campagn principale, circa una 25ina di ore.
Sempre in base poi a che difficoltà si gioca. A contorno delle 28 quest che
compongono la storia principale ci sono tantissime missioni secondarie, la
maggior parte di esse collegate alle due fazioni dell’isola (Coloni ed Esclusi)
che nel corso del supporto post-lancio si evolveranno con nuovi spunti
narrativi. L’unico elemento che riesce a spezzare la monotonia delle missioni è
il taglio investigativo che lo studio parigino ha voluto applicare alla maggior
parte delle attività, che impone al giocatore di trovare indizi, prove e
testimonianze che lo possano portare alla prossima fase della missione. Nel
menù principale è addirittura presente una sezione dedicata alla soluzione dei
grandi misteri di Auroa, che possono essere risolti scovando collezionabili e
altri indizi nel vasto mondo di gioco di Ghost Recon Breakpoint. Ma non finisce
qui, infatti il titolo di Ubisoft offre anche una modalità Multigiocatore PvP chiamata
Ghost War. Questa al momento non include moltissimi contenuti con due sole
modalità (deatmatch a squadre e cerca e distruggi) e sei mappe, ma sarà espansa
nel corso delle settimane e senza dubbio sa offrire spunti interessanti. La
nota positiva è che si può finalmente partecipare alle partite online con il
proprio avatar del PvE, che riceverà oggetti e armi dal multigiocatore in un
sistema di progressione condivisa che era fondamentale per legare
indissolubilmente le due esperienze. Le partite coinvolgono due squadre da
quattro Ghost ciascuna, che cominciano il match agli antipodi di mappe molto
grandi che favoriscono almeno in questa prima fase i cecchini e i tiratori
dalla distanza. Caricare a testa bassa potrà comunque essere molto
remunerativo, poiché risorse come medikit e batterie per il drone possono
essere trovate solo all’interno degli edifici che solitamente sono al centro
dell’ambientazione. Insomma, Ghost Recon Breakpoint è un gioco davvero pieno di
cose da fare e che per venire alla noia ci metterà davvero molto tempo.  A livello grafico/estetico, il gioco naviga
fra alti e bassi. Il colpo d’occhio generale è tutto sommato buono, ma spesso
ci sono momenti in cui si resta quasi a bocca aperta per lo stupore e altri in
cui invece si storce il naso davanti a modelli fin troppo legnosi e con pochi
dettagli, a volte anche nel corso delle stesse cut-scene. Sembra quasi che ci
siano problemi di caricamento delle texture (fortunatamente su Xbox One X
questo fenomeno è marginale e la situazione migliora notevolmente rispetto a
una S). A questo poi si uniscono anche numerosi bug grafici che, se possono
essere perdonati in un open world così vasto, in alcune occasioni hanno
compromesso la mia esperienza di gioco come la selezione rapida degli oggetti
che ogni tanto decide di non funzionare o personaggi chiave con cui parlare che
spariscono misteriosamente, bloccando così la missione e costringendo al
riavvio. Buono invece il frame-rate, che si è sempre mantenuto stabile a 30
fps, mentre su Xbox One X è possibile anche scegliere tra due modalità che si
concentrano di più sulla grafica o sulla fluidità. A livello audio il videogame
offre un ottimo doppiaggio in lingua italiana e sia dal punto di vista degli
effetti sonori che delle musiche il risultato è davvero stupefacente. Insomma,
tirando le somme, nella speranza che con il passare dei giorni Ubisoft rilasci
qualche patch correttiva per i sopracitati bug, Ghost Recon Breakpoint risulta
essere uno dei titoli migliori del momento: lungo, avvincente ed estremamente
divertente. A nostro avviso lasciarselo sfuggire potrebbe essere un vero
errore.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 9,5

Gameplay: 9

Longevità: 9

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




Emoji, in arrivo 168 nuove “faccine”

Sono ben 168 le nuove emoji che si preparano a popolare le tastiere dei nostri smartphone.

L’Unicode Consortium ha annunciato la versione 12.1 del suo standard per caratteri digitali che, come noto, include anche le celebri faccine.

Le emoji sono diventate così importanti nella nostra vita da rappresentare la lingua più parlata al mondo, nonché un mezzo per descrivere il nostro stato d’animo utilizzando una semplice segno grafico.

Attualmente nel mondo sono oltre due miliardi le persone che utilizzano le faccine per comunicare.

Del resto, una emoji è molto più semplice da capire e permette a coloro che non parlano la stessa lingua di intendersi a vicenda. L’ultimo aggiornamento delle emoji risale allo scorso luglio quando, in occasione del World Emoji Day, era stato annunciato l’arrivo di nuove faccine dedicate all’inclusività e alle diversità.

Tra queste sono comparsi cani guida, protesi per gli arti e sedie a rotelle, nonché un maggior numero di emoticon dedicate alle etnie e ai diversi generi sessuali. Per ora non è stata annunciata una data ufficiale del rilascio delle nuove emoji versione 12.1, ma è normale supporre che le nuove faccine verranno introdotte durante le prossime settimane attraverso un aggiornamento di sistema sia su smartphone Android sia su iOS.

Come dichiarato dall’Unicode Consortium, i nuovi emoji non sono poi così “nuovi”. Per lo più si tratta di variazioni applicate alle emoji già presenti. In particolare, 138 sono state ideate per rappresentare le persone senza però indicarne il genere, mentre le restanti 30 raffigurano una combinazione tra le faccine esistenti caratterizzate da una diversa tonalità della pelle che si tengono per mano.

Sono solo 26 le emoji inedite che rappresentano diversi tipi di persone con diversi stili di acconciatura. Sono state inserite persone calve, ricce, insegnanti studenti cuochi, meccanici, giudici, agricoltori, cantanti e altro ancora. Tutte le versioni, naturalmente, comprendono entrambe i sessi. Insomma, le emoji sono pronte a rinnovarsi per stare al passo coi tempi e ad accompagnarci ogni giorno in tutte le nostre conversazioni.

F.P.L.




GRID, si torna in pista con la serie racing di Codemasters

Dopo 11 anni di assenza Codemasters torna a calcare le competizioni automobilistiche a ruote coperte con il ritorno dell’attesissimo GRID.

Sarà riuscita la software house Britannica a ricreare quel mix di gare spettacolari e immediatezza che tanti giocatori aveva conquistato nella scorsa generazione?

Secondo noi sembra proprio di si, quindi sia che giochiate su Pc, che su Xbox One che su PS4, ma soprattutto se cercate un racing game che vi faccia provare le stesse emozioni del pasato, GRID è quello che state cercando. Ma andiamo subito a scoprire il perché.

Una volta avviato il gioco, il menu principale offre subito tre modalità: la Carriera, la Gara Veloce e il comparto Multigiocatore.

Naturalmente il fulcro del gioco è rappresentato dalla Carriera, che abbandona completamente l’impostazione cinematografica del primo episodio o quella manageriale del successivo, mettendo sul piatto la classica serie di gare e campionati senza alcuno spazio per divagazioni di qualsiasi altro genere.

Abbiamo quindi a disposizione sei Categorie caratterizzate principalmente dal tipo di vetture coinvolte, ognuna composta da più campionati che si possono affrontare a piacimento.

Per accedere ai campionati successivi, naturalmente, è necessario ottenere buoni piazzamenti e, una volta vinti almeno 10 campionati di una singola categoria, si potrà accedere agli Showdown finali che, a loro volta, dopo averne vinti quattro dei sei disponibili, daranno accesso alle GRID World Series. All’inizio di ogni gara si ha la possibilità di effettuare le Qualifiche Rapide, evento opzionale che decreterà la nostra posizione in griglia e che, se non affrontato, relegherà la vettura del giocatore in ultima posizione.

Aspetto non di poco conto, vista la brevità che coinvolge tutte le gare che il gioco propone e che difficilmente si spingeranno oltre i 5 minuti di durata. Nella carriera si hanno a disposizione tre tipi diversi di gare: la corsa tradizionale dove conta il piazzamento finale, quella da punto a punto su uno dei pochi circuiti lineari presenti e i Time Attack, che sono identici alle gare tradizionali ma che decreteranno il vincitore solo ed unicamente in base al tempo sul giro, ignorando il piazzamento nonostante la contemporanea presenza degli altri piloti in circuito.

Naturalmente vincendo gare si possono ottenere crediti necessari all’acquisto di nuove vetture che bisognerà utilizzare nei campionati successivi, ma oltre a questi si ricevono anche punti esperienza che serviranno per salire di livello dando accesso a nuove livree, oppure a nuovi stemmi e sfondi che ci permettono di personalizzare il profilo pilota e anche a nuovi compagni di team che si possono ingaggiare nella propria squadra. Uno degli aspetti peculiari di questo GRID è inoltre la possibilità di impartire ordini di squadra al compagno di scuderia tramite l’utilizzo della croce direzionale. Ad esempio si può chiedere all’ingegnere di pista di dire al compagno di team di attaccare chi gli sta davanti o di mantenere la propria posizione.

In GRID la Carriera inizia con un breve prologo/tutorial che mette il giocatore alla guida di tre diverse auto in altrettanti eventi nel tentativo di raggiungere il miglior piazzamento entro pochi giri e qui la guidabilità, le scarse differenze tra le tre tipologie di auto coinvolte, le “combo” delle manovre in gara piazzate in sovraimpressione in mezzo allo schermo ed il commento molto marcato denotano come la serie sia passata con questo episodio ad abbracciare completamente la filosofia arcade, abbandonando ogni velleità simulativa senza troppi pensieri.

Lo stile di guida è molto uniforme anche con vetture completamente diverse, ignorando parametri fondamentali come la trazione o anche banalmente il peso delle auto, che si rivelano tutte agilissime e con una rapportatura cortissima tanto da portare ad affrontare curve, che normalmente si dovrebbero affrontare in seconda, anche in quarta.

Discorso analogo anche per il sound dei motori che si rivela molto simile tra i diversi veicoli, anche quando invece dovrebbe avere differenze sostanziali a seconda del tipo di motore utilizzato. Insomma, GRID non è un simulatore di guida, sia ben chiaro, ma un divertentissimo quanto scatenato arcade automobilistico puro.

Passiamo ora però all’aspetto cardine del gameplay, ovvero
la guida e il concept delle gare. Innanzitutto si corre sempre e solo su
tracciati. Niente strade aperte e lunghe traversate. I circuiti sono misti tra
reali come Brands Hatch, Indianapolis, Sepang o Laguna Seca, e cittadini come
Barcellona e San Francisco, per un totale di 13 tracciati che danno vita a 80
diverse variazioni, un numero davvero buono. Su pista corrono fino a un massimo
di 16 vetture contemporaneamente, con tante auto che si sfidano
contemporaneamente in circuiti stretti, è facilissimo che si verifichino spettacolari
incidenti, specialmente alle prime curve. GRID, proprio come il titolo di cui è
il reboot, implementa un sistema di danni avanzato che coinvolge non solo
l’estetica ma anche la fisica, con danni alla meccanica che possono comportare
anche il ritiro dalla gara. GRID però, come abbiamo detto, fa
dell’accessibilità uno dei suoi cavalli di battaglia, e perciò ci sono diversi
livelli di difficoltà che modificano profondamente lo stile di guida. Il
livello medio preimpostato è tarato per i novizi, con traiettorie dinamiche,
freno e accelerazione assistita, cambio automatico, assenza di danni fatali e
possibilità di rewind in caso di errori grossolani. Tarato così, il risultato è
molto abbordabile. In parole povere, è facile vincere le gare di un paio di
giri anche partendo dall’ultima posizione e senza eseguire le qualifiche. Diverso
è il discorso se si imposta il massimo livello di difficoltà, con tutti gli
aiuti disattivati, assenza di rewind, e danni meccanici e fatali attivi. In
questo caso è necessario lottare a ogni curva, facendo attenzione a non
impattare su avversari e muretti. Anche un minimo contatto in curva può provocare
un testacoda, compromettendo quasi sicuramente la gara. In più, senza le traiettorie
dinamiche che indicano anche la velocità consigliata, diventa tassativo
conoscere a menadito i tracciati se si vuole sperare di arrivare sul podio.

 Ai livelli più alti
di difficoltà, anche gli avversari diventano più aggressivi e hanno la propria
personalità grazie a un’IA avanzata; in più reagiscono allo stile di guida di
chi sta dinanzi lo schermo fino a decidere di innescare dei veri e propri
duelli, diventando così la nemesi del pilota. Giocando senza gli aiuti GRID
diventa dunque più realistico, ma il suo DNA rimane sempre arcade. Tecnicamente
parlando GRID utilizza il celebre Ego Engine di Codemasters che, sebbene riesca
ancora ad offrire un discreto colpo d’occhio ed una buona fluidità specialmente
su Xbox One X, comincia a mostrare il peso degli anni. I modelli delle vetture
sono buoni, forti anche di un discreto sistema di danni che ne influenza le
prestazioni e che potrà portare ad una fine prematura della gara dopo aver
subito dei danni irreversibili, ma sono assenti tocchi di classe o cura
certosina nei dettagli degli interni come invece possiedono i titoli più famosi
del genere automobilistico. Discorso analogo anche per quel che riguarda la
realizzazione dei circuiti, infatti, il motore grafico fa il suo dovere senza
però mai spingersi al massimo sebbene l’orizzonte visivo e gli effetti meteo
come i riflessi delle fonti di luce o la pioggia riescano ad offrire un quadro
globale più che discreto. Parlando del comparto multigiocatore, esso non offre
particolari spunti, offrendo solo la possibilità di effettuare una gara veloce
o quello di creare una partita privata. Carina l’idea di creare una sala
d’attesa ambientata in un circuito ad 8 in cui sfidarsi in un rapido
Destruction Derby prima dell’inizio della gara vera e propria. Peccato che la
scarsa popolazione dei server fa si che spesso e volentieri le gare siano miste
fra piloti controllati dalla I.A. e persone vere. Tirando le somme, questo GRID,
nonostante i suoi limiti, è un prodotto per chi cerca un prodotto meno
simulativo e più arcade, con una grafica buona, che mostri i danni ad ogni
collisione e che possa far passare qualche ora di divertimento. Se tutto quel
che si vuole è quanto detto allora il titolo di Codemasters è quello che fa per
voi. Se invece si cerca qualcosa di più simulativo è meglio navigare verso
altri lidi.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 8

Gameplay: 8,5

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Surface Laptop 3 e Pro 7 arrivano negli store italiani

Dopo il lancio dello scorso 2 ottobre, Microsoft annuncia la disponibilità in tutt’Italia di Surface Laptop 3, acquistabile nei formati da 13,5 pollici, da 15 pollici, e di Surface Pro 7.

I nuovi device, nati dall’evoluzione dei due modelli precedenti per offrire all’utente una maggiore potenza e un’esperienza d’uso senza precedenti, vanno ad ampliare la famiglia dei dispositivi targati Surface, la linea di Microsoft sinonimo di eccellenza, qualità e design. Perfetta combinazione tra potenza ed eleganza, Surface Laptop 3, disponibile in entrambe le sue varianti, si propone come il laptop perfetto per ogni giorno, è due volte più veloce e garantisce un’autonomia che consente di utilizzare il dispositivo per l’intera giornata lavorativa. Entrambi i formati sono dotati sia della porta USB-A sia di quella USB-C e supportano un processore Intel Core di decima generazione. In più, per chi desidera prestazioni grafiche senza precedenti, Surface Laptop 3 da 15’’, garantisce performance grafiche migliorate grazie al nuovo processore AMD Ryzen Surface Edition presente nella versione Consumer.

Surface Laptop 3 è disponibile anche nell’elegante colorazione Black, arriva sul mercato a partire da 1.169€ per il 13 pollici e 1.399€ per il 15 pollici. E’ disponibile per l’acquisto anche il nuovo Surface Pro 7, device perfetto per chi non vuole rinunciare al comfort e alla versatilità di un 2-in-1. Pro 7, che include il processore Intel Core di decima generazione e integra sia la porta USB-A sia quella USB-C, garantisce una velocità due volte maggiore rispetto al modello precedente. 

Surface Pro 7 è disponibile a partire dal prezzo consigliato di 919€. Al fianco delle configurazioni Consumer, la linea Surface propone Laptop 3 e Pro 7 anche nella versione commerciale, sfoggiando feature studiate appositamente per le esigenze aziendali, come ad esempio l’inclusione di Windows 10 Pro, Advanced Exchange Service 10 senza costi aggiuntivi e il supporto per Windows Autopilot. Le aziende che desiderano ampliare il proprio parco macchine e scegliere il meglio della tecnologia per incrementare la produttività, possono acquistare Surface Laptop 3 da 13,5 pollici e da 15 pollici sul Microsoft Store e presso i rivenditori autorizzati rispettivamente a partire da 1.269€ e 1.499€, e Surface Pro 7 a partire da 1.019€.

Francesco Pellegrino Lise




Ombre dal Profondo, il lato oscuro della Luna apre l’anno 3 di Destiny 2

Con Ombre dal Profondo, uscito il primo ottobre su Pc, Xbox One e Ps4, prende il via l’anno 3 di Destiny 2. Con questa nuova espansione finalmente lo sparatutto Sci-Fi targato Bungie sembra aver preso la giusta direzione e di seguito vi spiegheremo per filo e per segno tutto quello che c’è da sapere. Prima di esaminare le novità introdotte per questo terzo anno, però, è bene ricordare che il 2019 è stato un anno turbolento in casa Bungie, tra la scissione con Activision e l’acquisizione della totale indipendenza, si sono spalancate le porte a molteplici possibili scenari. Scenari che hanno portato a grosse novità. Destiny 2, infatti, è diventato ufficialmente free to play e per i giocatori pc è approdato su Steam. Ovviamente la versione gratuita è quella base (qui la nostra recensione) che comprende il primo anno di contenuti, e sebbene questa scelta potrebbe sembrare soltanto la naturale adozione di un modello di business differente, rappresenta in realtà una vera e propria presa di posizione sul prodotto attualmente in commercio. Tale decisione fa presumere l’intenzione da parte della software house statunitense di continuare a supportare il brand senza saltare subito, come molti temevano, a un terzo capitolo. Con Ombre dal Profondo, Bungie non offre solo nuovi contenuti e mappe ma un nuovo modo di giocare a Destiny 2 modificando le dinamiche che hanno caratterizzato The Forsaken (qui la nostra recensione) e migliorando il tutto. Questo nuovo dlc riporta i giocatori sulla Luna, quindi per chi è un fan di vecchia data sarà un vero e proprio ritorno alle origini, mentre per i nuovi giocatori ci sarà davvero tanto da esplorare e fare.

La Luna in versione Destiny 2 è una Luna molto simile ma
nello stesso tempo differente rispetto a quella esplorata nel titolo originale.
Un’intensa attività sismica ha attirato l’attenzione dell’Avanguardia e
ovviamente il protagonista viene chiamato ad indagare sulla presenza
dell’Alveare e delle inquietanti presenze dell’Oscurità che hanno invaso nuovamente
il satellite della Terra. L’Alveare ha iniziato a diffondersi su tutta la
superficie e oltre, costruendo l’imponente e inquietante Fortezza Scarlatta. In
Ombre dal Profondo fa il suo ritorno anche Eris Morn, la misteriosa cacciatrice
che ha osservato i movimenti dell’Alveare sin dalla morte di Oryx, il re dei
corrotti. Eris, che ha la funzione di Npc della nuova area di gioco, mostrerà
una piramide nera sepolta sotto la superficie della Luna che sembra generare
una forte Oscurità per contrastare la Luce del Viaggiatore. Lo scopo dei guardiani
in Ombre dal Profondo sarà quindi quello di scoprire i misteri della piramide e
penetrare al suo interno per svelare cosa si celi dietro alle inquietanti
presenze generate dall’Oscurità. La lore introdotta con il nuovo DLC ci è
sembrata interessante e ben realizzata. Bungie ha chiaramente puntato
sull’effetto nostalgia dei giocatori di vecchia data, riuscendo chiaramente
nell’intento. Il ritorno di vecchie ambientazioni e personaggi si incastra
perfettamente con le novità introdotte, accontentando sia i veterani che i neo
giocatori. La “nuova” area è ricca di dettagli e ambientazioni fantastiche che
arricchiscono il già ampio universo di Destiny 2. Le missioni della storia sono
ben equilibrate e si amalgamano davvero bene con le attività sia vecchie che
nuove. Assalti, Cala La Notte, Azzardo, Serraglio, Crogiolo e Stendardo di
Ferro vengono affiancati dalle cacce agli incubi, le Invasioni Vex e il raid
introdotto da una decina di giorni. Insomma il tutto sembra funzionare bene. Se
a questo si affianca un nuovo livello di luce da raggiungere, nuove
caratteristiche e statistiche per le armature e l’introduzione di un artefatto
stagionale che offre vari bonus, il tutto si traduce in moltissime ore di gioco
extra. Se proprio si vuole trovare un difetto in Ombre dal profondo, esso è la
miriade di cose che settimanalmente si devono fare per progredire in maniera
seria con uno o più personaggi.

Durante il passaggio tra il primo al secondo capito di
Destiny, la sensazione era che il target a cui volesse rivolgersi fosse cambiato,
con l’intenzione di aprirsi a un bacino di utenza più occasionale, a discapito
dei player più hardcore che in realtà spendevano tempi di gioco maggiore tra i
mondi del sistema solare. Inutile dire, i risultati di questa scelta si sono
visti e I Rinnegati è stato soltanto il primo passo nel tentativo di cambiare
rotta. Con Ombre dal Profondo, questa inversione di tendenza si potrebbe dire
completata e Bungie sembra avere come primo obbiettivo, quello di dare maggiore
profondità alle dinamiche che regolano la giocabilità. La prima grande novità
di Ombre dal Profondo riguarda le armature, aggiornate ora alla loro versione
2.0. Queste adesso hanno ben sei statistiche, ovvero mobilità, resilienza,
recupero, intelletto, disciplina e forza, e ogni singolo pezzo fornisce
casualmente ognuna di queste sei caratteristiche. Inoltre, ogni pezzo potrà
essere potenziato fino al livello di energia 10, che rappresenta
sostanzialmente il numero di punti spendibili nelle modifiche equipaggiabili.
Perché sì, i pezzi di armatura non hanno più perk casuali, ma solo spazi per le
mod. Queste sono ottenibili dai giocatori semplicemente giocando, tra drop
casuali e ricompense e sbloccabili in maniera permanente. Vien da sé come la
personalizzazione del proprio equipaggiamento e delle proprie build acquisisca
quindi una profondità notevolmente superiore che non in passato, dando piena
libertà ai giocatori di sperimentare a proprio piacimento, a patto naturalmente
di aver ottenuto o acquistato le mod necessarie. La novità più interessante di
Ombre dal Profondo però è senza dubbio il manufatto, da non confondersi con gli
artefatti visti in precedenza nel terzo anno del primo Destiny con i Signori
del Ferro. Questo, piano piano che si potenzierà, consentirà di spendere i suoi
punti per sbloccare modifiche uniche, da utilizzarsi poi nelle proprie armi e
armature. Queste mod varieranno da quelle più semplici, che costano un semplice
punto energia delle armature, a quelle più efficaci, dal costo che raggiunge
persino le 7 unità, ma dagli effetti considerevoli o dedicati solo al raid. Una
volta potenziato al massimo, l’esperienza che viene guadagnata lo farà livellare
ulteriormente, dando ai guardiani livelli di potere bonus, che andranno a
sommarsi al livello luce del personaggio. Sebbene questi valori aggiuntivi non
si rifletteranno nel potere delle ricompense, virtualmente il livello totale
del guardiano potrà ora aumentare all’infinito. C’è da sottolineare una cosa
importante però: questi manufatti sono definiti stagionali, perché dureranno
soltanto il tempo della stagione in corso. Quindi una volta che si darà il via
alla nuova stagione, cambiando l’artefatto, si perderanno tutti i bonus e i
punti luce extra ottenuti e si dovrà livellare di nuovo per guadagnare i
benefici che saranno disponibili.  Tale
escamotage rende Ombre dal Profondo un gioco vivo e che per essere goduto
pienamente avrà bisogno di essere giocato per moltissime ore.

Per quanto riguarda la nuova area di gioco offerta da Ombre
dal Profondo, la Luna, essa è stata integrata perfettamente, ricostruendo
fedelmente tutte le aree esterne e gran parte di quelle sotterranee, con le dovute
modifiche causate dall’attività dell’alveare e con il dettaglio naturalmente
aumentato. Ma non è tutto qui, sono state aggiunte anche un buon quantitativo
di nuove aree, come il Porto del Tormento, o tutti i claustrofobici tunnel
sotto la Fortezza Scarlatta, molto ben caratterizzati, costruiti in puro stile
alveare, amalgamati perfettamente alle vecchie aree e senza dare quella
spiacevole sensazione di distacco tra vecchio e nuovo, e soprattutto sono
sufficienti a giustificare la re-introduzione della Luna. Se la location però
viene promossa a pieni voti, un discorso analogo non si può certamente fare per
la campagna principale, che ha come quasi unico risultato quello di lasciare
una strana sensazione. Ovviamente ogni stagione, differentemente da quanto
visto in The Forsaken, offrirà un pezzo di storia in più, però la storia
raccontata è veramente troppo breve. Era chiaro fin dai primi trailer
rilasciati in estate che gli eventi narrati in Destiny 2 fino al lancio di
Ombre dal Profondo avrebbero portato i guardiani ad affrontare, alcune delle
peggiori minacce che si sono dovute fronteggiare negli ultimi cinque anni, da
Crota fino a Ghaul, e a onor del vero Bungie non ha nemmeno voluto far passare
gli Incubi come una novità: sono quel che sono, degli incubi che ci tormentano,
e gran parte della narrazione ruota attorno a questo concetto. Il problema di
fondo è che nelle circa 6 ore necessarie a completare la storia principale,
composta da missioni principali, secondarie e assalti, si va davvero poco oltre
questo concetto, con un finale che lascia si la curiosità, ma a cui si arriva
con un climax crescente che chiaramente non genera l’esaltazione sperata,
sfociando in una conclusione momentanea che porta inevitabilmente il giocatore
a chiedersi “e adesso?”. La sensazione è chiaramente che la
narrazione non si concluda lì, e a dirla tutta, Bungie ha fatto esattamente
quello che aveva detto che avrebbe fatto, ossia sviluppare la narrazione lungo
tutto l’anno, non limitandosi alle sole missioni principali e non soltanto alla
stagione attualmente in corso. Fortunatamente però il bello di Destiny è che una
volta finita la campagna ha inizio il vero gioco: taglie giornaliere e
settimanali, assalti, cala la notte, crogiolo, azzardo, serraglio e adesso
invasioni vex, caccia agli incubi saranno le attività da svolgere in solitaria
o in compagnia per ottenere armi ed equipaggiamento migliore. Ovviamente poi,
per chi vuole godere del massimo dell’esperienza offerta da Destiny 2, come
ogni espansione “maggiore” che si rispetti, Bungie ha anche lanciato un nuovo
raid chiamato “Il Giardino della Salvezza”. Per chi non lo sapesse, in quest’attività
un gruppo di 6 giocatori dovrà affrontare una missione particolarmente lunga e
dalle dinamiche complesse che richiederanno gioco di squadra, coordinazione e
tanta, tanta pazienza.

Parlando del raid, possiamo dirvi che in “Giardino della
Salvezza” i guardiani dovranno combattere nel Giardino Nero, uno dei
“mondi” più affascinanti ma peggio sfruttati di tutto il brand. La
location è completamente inedita e i quattro step che compongono l’incursione porteranno
i giocatori a sfidare i Vex in una magnifica combinazione di geometriche
strutture amalgamate perfettamente alla straordinaria vegetazione. E’
sorprendente come il team in carico della progettazione di quest’attività,
riesca ancora una volta a creare interessanti dinamiche che ne aumentano sì la
complessità, ma senza sfociare nell’eccesso, integrando addirittura meccaniche
simili ad azzardo con le particelle da depositare o richiedendo ai giocatori di
utilizzare i guardiani come ripetitori per creare flussi di energia tra due
punti. Dovendolo paragonare a quanto visto in passato, il raid presente in
Ombre dal Profondo risulta essere un buon compromesso fra coordinazione e buona
comunicazione tra i players. Farsi prendere dal panico o fare le cose troppo di
fretta non porterà a nulla, quindi è bene aver presente tutte le dinamiche e
non essere mai avventati. L’unico ostacolo al completamento del raid è il
livello di luce che, specialmente per chi si avvicina per la prima volta al
mondo di Destiny, può apparire davvero alto. Sicuramente il Giardino della
Salvezza non è il raid più difficile visto fino a ora, ma in ogni caso offre un
buon livello di sfida, quindi, per chiunque volesse provarlo, consigliamo di
trovare un clan e di partire tutti insieme. Alla luce di quanto detto, vi
riassumiamo che cosa sarà presente con Ombre dal Profondo: nuova campagna, pattuglie
sulla Luna, due nuovi assalti, personalizzazione delle armature 2.0, manufatto
stagionale Occhio del Guardiaporta, nuove mosse finali, aggiornamenti del
Crogiolo, il ritorno di due mappe PvP dall’era di D1: la Corte della Vedova e
la Breccia del Crepuscolo, eliminazione nei Laboratori del Crogiolo, due nuove
armi di punta: una per Azzardo e una per il Crogiolo, ricompense di grado
stagionale gratuite, che includono: la nuova arma esotica, Promessa di Eriana,
tre set di armature leggendarie (uno per classe), due armi leggendarie. Inoltre
sono presenti gli engrammi luminosi Il meglio dell’anno 2, possibilità di avere
un tetto massimo di Lumen maggiore (da 100mila a 250mila) e moduli di
aggiornamento. Tirando le some quindi, con Ombre dal Profonda, Destiny 2 si
arricchisce di tante cose nuove e, se preso seriamente, il titolo riempirà le
vostre giornate senza mai deludervi. Ovviamente trattandosi di un MMO fermarsi
alla sola campagna è riduttivo e non valorizza assolutamente il titolo. Attualmente
il titolo di Bungie è davvero in grado di tenere incollati allo schermo per un
anno intero. Quindi, se avete voglia di un titolo appassionante, con tante cose
da fare e che vi dia la possibilità di stringere nuove amicizie, con Destiny 2
Ombre dal Profondo potreste aver trovato veramente ciò di cui avete bisogno.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 9

Gameplay: 9

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




eFootball PES 2020, il calcio di Konami torna alla grande

Per l’edizione del 2020, Pro Evolution Soccer ha cambiato nome fregiandosi del prefisso “eFootball” che sancisce apertamente la sua attenzione al crescente mondo degli esports. Ma perché un titolo riesca a riunire una vasta community sotto una sola bandiera, c’è ovviamente bisogno di un gameplay che possa incontrare i gusti di gran parte dei giocatori: eFootball PES 2020, in tal senso, rappresenta il capitolo della maturità per Konami, un gioco che migliora praticamente qualsiasi aspetto del predecessore, puntando dritto al trono del miglior titolo calcistico. Prima di addentrarci nell’analisi del gameplay di eFootball PES 2020, è necessario parlare di tutte le novità presenti nelle tante modalità di gioco che Konami ha inserito nel suo nuovo titolo. Partiamo dall’unica, nuova modalità del titolo, ossia: Matchday. Questa tipologia di gioco consiste essenzialmente in un torneo online strettamente collegato alle partite più importanti che settimanalmente si susseguono nei vari campionati europei e non. Matchday prevede dunque l’utilizzo e la scelta di una squadra da supportare durante tutto l’arco del già citato torneo grazie alle vittorie che raccoglieremo durante lo stesso; tali vittorie porteranno dei punti alla squadra ed al giocatore, utili eventualmente a portare il giocatore a cimentarsi in una finale trasmessa in streaming all’interno del titolo in esclusiva per tutti i giocatori di eFootball PES 2020. Ogni partita inoltre porterà al giocatore delle ricompense da utilizzare in MyClub, l’Ultimate Team del gioco di Konami, che si va perfezionando di anno in anno. Tale modalità rappresenta sicuramente un’aggiunta apprezzabile, ma assolutamente non rivoluzionaria; le partite di Matchday infatti potranno essere giocate solo in orari piuttosto precisi e decisi da Konami stessa.

Per quanto riguarda MyClub, possiamo affermare che poche sono le aggiunte apportate da Konami a quella che punta ad essere la vera e propria rivale di Ultimate Team, che dunque risulta essenzialmente identica a quella di PES 2019. Dopo aver creato un allenatore liberamente personalizzabile nell’aspetto, ci si troverà a comandare una squadra composta da perfetti sconosciuti, che bisognerà di volta in volta integrare con giocatori di alto grado da acquisire tramite la valuta ingame, i GP. Ogni giocatore sarà acquistabile tramite dei “palloni”, ordinati per grado di rarità, che garantiranno sempre un calciatore della rarità desiderata; ovviamente il ruolo dell’acquisto sarà praticamente sconosciuto sino all’apertura dei tanto discussi “pacchetti”. Unica vera novità da segnalare nella modalità MyClub è quella relativa alla presenza di una schermata riepilogativa dei vari calciatori disponibili per l’acquisto ad ogni accesso alla stessa. All’interno di eFootball PES 2020 ci sono poi le classiche amichevoli, da giocare contro la CPU, online o contro un amico, i vari campionati e coppe europee, le divisioni online già viste lo scorso anno e la storica e sempre gradita Master League, che è forse la modalità che ha ricevuto le aggiunte più sostanziose. Konami ha infatti provato ad innovare il suo storico e memorabile Campionato Master grazie all’inserimento all’interno dello stesso di una componente narrativa.

All’inizio della Master League bisognerà infatti scegliere le fattezze del proprio allenatore che non sarà più liberamente personalizzabile, ma da selezionare tra alcune vecchie leggende del calcio giocato, tra cui spiccano i nomi di Maradona, Gullit, Roberto Carlos (chiamato Larcos per via delle licenze), e così via. Una volta selezionato l’allenatore si verrà trascinati in delle sessioni puramente narrative che, grazie alle scelte fatte, potrebbero cambiare le sorti della squadra. Tali sequenze consistono essenzialmente nella scelta degli obiettivi stagionali, in delle interviste pre e post gara e così via. Tuttavia, se all’inizio il giocatore viene trascinato con forza all’interno di questa struttura, col passare del tempo le sessioni di intermezzo cominciano a lasciare un po’ l’amaro in bocca, in quanto troppo ripetitive e spezzettate. Tanti sono stati inoltre gli aggiustamenti apportati da Konami a questa modalità, che l’anno scorso soffriva di qualche problemino relativo soprattutto alle trattative utili a portare nuovi rinforzi alla propria squadra, che ricordiamo, potrà essere o composta da giocatori reali o da talenti di fantasia. Il Campionato Master offerto da eFootball PES 2020 dunque è sicuramente una delle modalità più riuscite di questo titolo, che speriamo venga migliorato ancor di più l’anno prossimo. Infine, è bene ricordare la presenza della modalità Diventa un Mito, che permetterà di creare un proprio alter ego virtuale il quale, a suon di gol e buone giocate, dovrà scalare le gerarchie di club e nazionali. Tale modalità è essenzialmente identica a quella dello scorso anno; divertente, curata e molto riuscita. In sostanza dunque l’offerta ludica di eFootball PES 2020, nonostante non abbia alcune aggiunte di rilievo assoluto rispetto allo scorso anno, è sicuramente da promuovere. Le modalità disponibili sono tante e ben strutturate, quindi c’è tanto materiale con cui divertirsi su Pc, Xbox One o PS4.

https://www.youtube.com/watch?v=V-mDyfoYYc8&t=13s

Dopo aver descritto le varie modalità di gioco, passiamo
finalmente al vero pezzo forte di eFootball PES 2020: il gameplay. Il titolo
targato Konami è il miglior simulatore calcistico attualmente sul mercato. Il
ritmo di ogni singola partita è parecchio ragionato e praticamente identico a
quanto si vede ogni fine settimana in tv o dal vivo negli stadi. Konami infatti
ha fatto tesoro delle critiche che i fan avevano rivolto a PES 2019, prendendo
di buono quanto fatto durante lo scorso anno e migliorando tutte le criticità
che affliggevano il titolo. Sono stati infatti totalmente eliminati i difetti
riguardanti l’arbitraggio, criticatissimo in quanto eccessivamente severo, e i
portieri, che adesso compiono balzi felini dando sfoggio a parate di altissima
qualità, animate in maniera molto realistica. Una volta avviata la prima
partita, ci si accorge subito di essere dinanzi a un titolo incredibilmente
profondo, realistico, il cui impatto sorprende fin da subito in maniera più che
positiva. Le animazioni di ogni singolo calciatore sono state riscritte e
migliorate, con risultati davvero eccellenti; la fluidità che queste donano ai
movimenti dei 22 giocatori in campo e al gioco stesso è praticamente tangibile,
non solo esteticamente ma anche in termini di puro gameplay. Addio quindi ai
giocatori legnosi e spaesati visti nelle scorse edizioni della saga, e benvenuta
riproduzione praticamente perfetta di quello che è il calcio giocato, fatto di
contrasti, inserimenti, tocchi sbagliati, dribbling e così via. Ogni singolo
passaggio, o meglio, ogni singola azione di gioco, tiene conto della posizione
del giocatore rispetto al pallone, in modo da riprodurre nella maniera più
fedele possibile il calcio giocato. Rari infatti sono i casi in cui un calciatore
mal posizionato o marcato stretto dal difensore avversario riuscirà ad eseguire
un tiro perfetto, uno stop a seguire o un passaggio pulito; per giocare a
questo titolo dunque, è necessario ragionare e tener conto di tanti fattori che
fino a qualche anno fa erano totalmente ignorabili.

A contribuire a questo enorme senso di realismo ci pensa
anche la dinamica della palla, perfezionata in maniera semplicemente fantastica;
deviazioni, rimbalzi, rimpalli e quant’altro hanno un impatto abbastanza
marcato sulla fisica del pallone, che prenderà traiettorie “anomale” ma
tuttavia parecchio fedeli alla realtà. Una delle nuove feature presenti in PES
2020 è quella relativa al cosiddetto Finesse Dribbling, supervisionata da Don
Andrès Iniesta, ex stella del Barça. Utilizzando entrambe le levette analogiche
del controller sarà infatti possibile eseguire trick di vario tipo che il più
delle volte, se correttamente utilizzati, lasceranno gli avversari di turno
inermi e apriranno la strada verso la porta avversaria. Per quanto apprezzabile
e ben costruita, abbiamo trovato questo nuovo sistema di controllo
particolarmente ostico, soprattutto nelle prime partite, poichè l’utilizzo di
entrambi gli analogici con un timing perfetto risulta piuttosto complicato e
artificioso. In sostanza dunque il gameplay di questo nuovo PES rappresenta il
massimo apice raggiunto da una simulazione calcistica negli ultimi anni:
ragionato, appagante, divertente, realistico. Un vero e proprio spettacolo per
chi cerca una simulazione calcistica realistica ed estremamente divertente. L’intelligenza
artificiale del titolo merita un’altra menzione anche per aver ben implementato
il modo in cui l’andamento della partita può influenzare la performance dei
giocatori. Arrivati per esempio a un vantaggio di 3 gol è palese come i
giocatori della squadra vincente giochino con molta più tranquillità,
addirittura diventando leziosi e rischiando talvolta errori banali, mentre chi
è in svantaggio può farsi prendere dalla disperazione con difensori che vagano
senza meta, rassegnati all’impossibilità di fermare le avanzate avversarie. Insomma,
le sensazioni sul campo quest’anno sono davvero positive. E’ forse dai tempi
della PlayStation 2 che un capitolo di Pro Evolution Soccer non aveva un
feeling così fresco e soddisfacente, dimostrando che Konami sembra sapere il
fatto suo su come far evolvere la formula in maniera sensata. Da segnalare che
anche quest’anno la console di Microsoft rimane purtroppo l’unica (a causa
delle policy restrittive del produttore) dove è impossibile importare pacchetti
non ufficiali di licenze aggiornate; pertanto chi vuole sistemare i nomi
“farlocchi” presenti in molte delle squadre dovrà farlo manualmente.
L’editor per farlo è comodo, ma è comunque un lavoro immenso se lo si vuole
fare bene. Per quanto riguarda la realizzazione tecnica, anche questa è
vistosamente migliorata, con una grafica più convincente di prima e con 60
frame al secondo piuttosto stabili. Riguardo alle performance, rimane qualche
caricamento un po’ lungo e le solite attese durante le rimesse o i calci
piazzati, ma complessivamente anche il comparto tecnico ha fatto un vistoso
salto in avanti. Il gioco è ovviamente tradotto per intero in italiano, con la
telecronaca nostrana che anche quest’anno è opera del duo Fabio Caressa e Luca
Marchegiani. Che dire di più, se si vuole giocare a una simulazione calcistica
bella da vedere, divertente e con una giocabilità impressionante, eFootball PES
2020 è la scelta migliore che si possa fare.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 9

Gameplay: 9,5

Longevità: 9

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




WhatsApp al lavoro sui messaggi che si “autodistruggono”

WhatsApp sta sperimentando una nuova, interessante
funzionalità, ossia: i messaggi che si autodistruggono. Ovviamente tale
procedura non comporterà nessuna “esplosione” o quant’altro di pericoloso,
infatti gli sviluppatori stanno lavorando su una feature che permetterà la
cancellazione automatica dei testi dopo un certo lasso di tempo. Il problema di
WhatsApp e delle chat in generale è che i messaggi, anche quelli scritti in
fretta e furia e senza pensare, rimangono lì per sempre. A volte capita di
chattare con leggerezza, come se si stesse parlando, ma tutto quello che si
scrive viene immortalato e può essere usato contro la persona che lo ha
digitato anche dopo anni. Da tempo esistono servizi come Snapchat, dove i
messaggi inviati e ricevuti spariscono dopo qualche secondo o qualche minuto,
esattamente come una battuta detta a voce, ma per la piattaforma di instant
messagging di proprietà di Mark Zuckerberg fino ad adesso tale funzionalità non
è mai stata presente. La feature, avvistata in una versione beta di WhatsApp
per Android, funziona per il momento solo nei gruppi ma verrà probabilmente
estesa alle chat singole. I disappearing messages, così viene chiamata la
funzione in inglese, avranno bisogno di essere attivati tramite una specifica
opzione che permetterà anche di decidere dopo quanto tempo il testo scomparirà.
Al momento ci sarebbero solo due opzioni riguardo la tempistica di
cancellazione automatica su WhatsApp, ossia: 5 secondi o un’ora, ma per quando
tale funzione sarà disponibile, crediamo che la durata del messaggio potrà
essere decisa direttamente dal mittente. Altra cosa molto importante riguarda
il fatto che non dovrebbe più apparire sul display di chi legge nemmeno la
classica dicitura “Questo messaggio è stato eliminato”. Come già detto, i disappearing
message per il momento sono disponibili solo per le chat di gruppo ma crediamo
che, se tale funzionalità dovesse riscuotere successo, verrà estesa anche per
le chat individuali. Stando alle ultime voci, la nuova funzionalità di WhatsApp
potrebbe superare la fase di test ed essere introdotta nel client di WhatsApp
entro la fine dell’anno, sia per i dispositivi iOS che per quelli Android.

F.P.L.




The Surge 2, lamiere e morte nel nuovo titolo “Souls-like”

Con The Surge 2, gli sviluppatori tedeschi Deck13 tornano
con un’avventura tutta nuova per Pc, Xbox One e PS4 che abbandona l’idea del
protagonista preimpostato e mette sul campo un personaggio creato dal giocatore.
Il titolo dà inoltre maggiore attenzione alla trama e soprattutto
all’ambientazione, sempre più distopica e cyberpunk. Le buone premesse quindi
ci sono tutte e il gioco, specialmente per chi apprezza il genere souls-like è
un buon prodotto per molti aspetti. The Surge 2 si lascia alle spalle l’ambientazione
del primo titolo trasferendo i giocatori nella nuova Jericho City, ossia una
città composta da vari distretti, tutti presidiati da mercenari più o meno
corazzati che hanno avuto l’ordine di tenere le strade sgombre e di eliminare
chiunque si trovi a esplorare la zona. Ma per quale motivo? Difficile dirlo: il
personaggio che si controlla, creato attraverso un semplice editor all’inizio
della partita, è miracolosamente sopravvissuto a uno schianto aereo ma c’è
qualcosa in quell’incidente che ancora non quadra. Ritrovatosi all’interno di
un carcere sotto attacco, il proprio alter ego virtuale riesce a liberarsi e si
pone l’obiettivo di scoprire cosa sia accaduto davvero. Riuscire nell’impresa
non sarà semplice, però: le mura in fiamme dell’istituto pullulano di criminali
assetati di sangue, avversari da sfruttare per fare pratica con un sistema di
combattimento che integra e arricchisce quello del primo episodio. Armati
inizialmente solo di due defibrillatori elettrici, il protagonista di The Surge
2 si dovrà aprire la strada fino alla prima MedBay e lì, finalmente, ci si
potrà equipaggiare con un esoscheletro potenziato. Il collegamento alla
macchina, tuttavia, resetta la situazione dei nemici nell’area e pone chi gioca
di fronte alle stesse minacce che si erano già affrontate: nemici agguerriti e capaci
di uccidere con solo due o tre colpi ben assestati. Una formula ben collaudata
per questo sottogenere degli action RPG, che tuttavia non trova supporto nella
narrazione, anche stavolta poco ispirata e priva di spunti degni di nota.

Nel primo The Surge, uno dei principali difetti lamentati
dal pubblico e dalla critica era proprio un’ambientazione asettica e piatta
dall’inizio alla fine, con pochi guizzi di design. Gli sviluppatori hanno
quindi pensato bene di passare ad un’enorme città piena di vicoli e segreti,
fatta di parchi, zone industriali e altri luoghi. Jericho City è infatti
composta da ben nove settori diversi tra loro, sia per difficoltà che per
design, che variano da una discarica piena di rottami a fogne putride e
velenose fino alla zona più ricca fatta di grattacieli di vetro, parchi per
bambini o, addirittura, aree forestali. Per quanto concerne la trama di gioco,
questa si muove su binari poco lineari e diretti, esattamente come in qualsiasi
altro souls-like che si rispetti. La storia viene raccontata tramite dialoghi
sintetici, registrazioni e documenti da trovare, oltre a delle missioni
secondarie che possono approfondire non poco il mondo di gioco. Incontriamo,
infatti, personaggi con particolari linee di dialogo utili a rispondere alle
nostre domande, ma non tutte avranno una risposta chiara e dettagliata.
Probabilmente una scelta voluta dagli autori visto che questi avevano
dichiarato di voler rendere la narrativa decisamente più contorta e complessa
del primo gioco. Nonostante le premesse, anche se non mancano personaggi sopra
le righe la storia narrata in The Surge 2 si rivela essere sempre meno
incisiva, tanto da non scostarsi molto da quella di Warren nel primo capitolo.
A stimolare il giocatore per arrivare ai titoli di coda, quindi, non è di certo
la narrativa di gioco, bensì la curiosità di affrontare i nuovi pericoli
misteriosi e nascosti di Jericho City. Purtroppo, nonostante si tratti di un
souls-like nudo e crudo, si arriva a fine gioco relativamente presto:
l’avventura non dura oltre le 20-25 ore di gioco, che non sono poche, ma
comunque restano e di molto al di sotto dei capostipiti del genere che possono
durare anche più del doppio del tempo. Sicuramente l’approcciarsi al gioco in
maniera calma e strategica, oltre alla voglia di dedicarsi a tutte le missioni
secondarie o a migliorare la propria build di gioco, rendono The Surge 2 un
gioco interessante da giocare, ma comunque si attesta ben al di sotto di altre
produzioni in quanto ad attività e longevità in generale.

A livello di giocabilità il titolo si difende bene. Risvegliati
dal profondo coma in il proprio personaggio si trova, si sarà liberi di
esplorare e comprendere cosa sia successo alla metropoli di Jericho, che è
ridotta ormai a un futuristico far west. A seguito del disastro generato dalle
nanotecnologie, la regola del più forte regna sovrana, e bisognerà applicarla
al più presto per farsi largo tra i tanti nemici presenti nella rinnovata
mappa, decisamente più ampia rispetto al passato. La progressione segue i modi
che già si conoscevano, e ci si troverà dopo poco tempo a passare dalla
semplice tuta con cui si è stati ricoverati a diventare dei veri e propri Terminator
armati di tutto punto, con tante alternative a disposizione. Anche l’originale
sistema per appropriarsi di armi e armature altrui torna in grande spolvero. Gli
innesti tecnologici che il protagonista possiede nel corpo permettono di
gestire armi e armature in modo calcolato e profondo, infatti, già dopo le prime
ore di gioco, l’inventario si popola di diversi tipi di pezzi e categorie, da
combinare a piacimento per trovare la build più utile allo scenario con cui
faremo i conti. In The Surge 2 è necessario ricordare che è l’energia del nucleo
del protagonista a limitare l’utilizzo di pezzi troppo potenti. Proprio per
tale ragione essi vanno gestiti al meglio per sfruttarne il più possibile.
Riuscendo ad unire più pezzi dello stesso set, poi, si ottengono bonus che
vanno aggiunti alle statistiche di attacco, difesa e cambio di status. In più,
stavolta, il protagonista non sarà da solo, ma avrà a disposizione un piccolo
drone volante che potrà essere richiamato ed equipaggiato a piacere con una
vasta gamma di componenti. Il drone gioca un ruolo interessante in The Surge 2:
si può usarlo per attirare i nemici, per curarsi o anche per lasciare dei
graffiti agli altri giocatori, segnalando minacce e segreti nascosti.

Il sistema di recupero dell’equipaggiamento dei nemici si
conferma essere il punto di forza di tutta la produzione. L’implementazione,
già notevole nel primo episodio, funziona fluidamente durante i combattimenti,
nei quali si può mirare ad una parte del corpo specifica per poi amputarla una
volta ridotto in fin di vita il nemico, e fare l’upgrade della propria build
con i nuovi componenti “rubati”. Il controllo del personaggio è deputato allo
stick analogico destro che si comporta egregiamente, senza complicare e
ostacolare le mosse che si hanno in mente. Torna poi anche la terza barra oltre
a quelle di vita e stamina, quella della batteria, da tener d’occhio quando si
vuole approfittare dei vantaggi degli innesti per recuperare energia o
indebolire i nemici. Insomma, quello di The Surge 2 è un sistema che funziona e
spicca per varietà di soluzioni e situazioni proposte, nonostante un design non
sempre raffinato, ma che riesce ad essere appassionante nell’ottimizzazione
delle build o nel superamento di scenari dove l’impianto giusto farà la differenza
tra la vita e l’ennesima morte. Altro punto forte, della produzione dei Deck13,
è la quantità di strumenti offensivi e difensivi a disposizione. La loro
presenza, infatti, stimola il giocatore ad un farming sì ripetuto e leggermente
ripetitivo, ma appagante quando si completa un set o si riesce a potenziare al
massimo. Per quanto riguarda l’aspetto estetico, The Surge 2 non fa gridare al
miracolo, ma resta comunque gradevole da vedere. Ad esempio, anche se Jericho
City rappresenta una metropoli interessante che si sviluppa anche in verticale,
il passaggio tra i diversi settori è spesso incoerente sia dal punto di vista
dell’art design che da quello narrativo. Si tratta di una costruzione spesso
confusionaria, nonostante la varietà non manchi. Mancano dungeon labirintici,
mancano strade tortuose e soprattutto mancano approcci di gioco diversi in base
ai nemici presenti in zona. L’ambientazione sci-fi cyberpunk è molto
appetibile, ma a nostro avviso poteva offrire molto di più visto il grande
potenziale che essa possiede. The Surge 2 inoltre è graficamente inferiore al
primo capitolo e anche sul piano delle performance il gioco originale ha la
meglio. Scalettature di ogni tipo, texture piatte e scialbe ed effettistica al
minimo storico. In termini di risoluzione e frame-rate, su Xbox One X, il gioco
offre due tipi di soluzioni: qualità e prestazioni. La prima porta il gioco in
4K upscalati e 30 fps con particolari problemi di frame-pacing, mentre in
modalità prestazioni si passa ad una risoluzione FullHD e 60 fps non
propriamente stabilissimi. Insomma, dal punto di vista grafico si poteva fare
sicuramente qualcosina in più. In conclusione, con l’uscita di The Surge 2 ci
si aspettava un salto di qualità rispetto al passato, ma purtroppo il titolo
non decolla più di tanto. Giocandolo ci siamo trovati di fronte ad un titolo
migliorato molto sul fronte del sistema di combattimento, ma ci aspettavamo un
guizzo in più in tutte le aree di gioco. Purtroppo The Surge 2 arranca su altri
aspetti importanti come level design ed art design, presentando peraltro una
narrazione scialba e poco convincente. A chiunque abbia amato il primo capitolo
consigliamo sicuramente di dare una chance a questo successore in quanto
rappresenta un miglioramento in quasi tutti gli aspetti, salve quello grafico.
Per chiunque invece si dovesse avvicinare per la prima volta al gioco,
consigliamo di provarlo prima di acquistarlo in quanto l’alto tasso di
difficoltà e il level design non proprio brillante potrebbero scoraggiare e
stancare presto.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5

Sonoro: 7,5

Gameplay: 8,5

Longevità: 7

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise