Riders Republic: sport estremi, natura e follia nel nuovo videogame di Ubisoft

Riders Republic è follia allo stato puro, è dinamite, è un brivido lungo la schiena, insomma è il piccolo grande sogno di chi ha sempre sognato di praticare sport estremi senza il rischio di farsi male seriamente. Il videogame targato Ubisoft, disponibile già dal 28 ottobre per PlayStation 4, PlayStation 5, Xbox One, Xbox Series X/S, Amazon Luna, Stadia e PC è il successore spirituale di Steep, titolo prodotto sempre da Ubisoft Annecy pubblicato nel 2016. È ambientato in una mappa enorme contente tutti i tipi di ambiente perfetti per praticare sport estremi come canyon aridi, boschi e montagne innevate, allestiti ad hoc con piattaforme di lancio, dirupi e percorsi. Non sarà certo una novità passare da una strada sterrata ad una asfaltata, o anche dalla bicicletta alla tuta alare in corse frenetiche per il primo posto nel mentre che si eseguono trick stilosi come ciliegina sulla torta. Ma partiamo dal principio: lacosì detta “Repubblica” è un luogo dove chiunque può diventare una superstar in sella ad una bici, con un paio di sci o snowboard, o volando con una tuta alare o uno zaino a propulsione. In un mondo fatto di paesaggi spettacolari che supportano ovviamente le discipline – da monti innevati, passando per montagne inerpicate, strade lisce per l’alta velocità, così come canyon dove esibirsi nelle acrobazie volanti più improbabili, raccontato con alcune cutscene completamente folli – il giocatore è chiamato a diventare una celebrità assoluta. Questo si traduce, proprio come in altre produzioni, nel doversi cimentare in gare e sfide sempre più adrenaliniche e difficili. Alternandosi tra le varie carriere dei relativi sport, si affrontano attività varie in giro per il mondo con l’obiettivo di guadagnare stelle, ovvero i punti necessari ad avanzare di carriera. Portare a termine una sfida garantisce una stella, ma si possono collezionare stelle extra (fondamentali per il raggiungimento del 100%, di completamento del titolo) superando le sfide extra di ogni percorso, che siano vincere ad una difficoltà elevata, totalizzare un minimo di punteggio, fare un tempo record e tante altre richieste particolari. Tra queste, anche alcune davvero improbabili come vincere una gara di biciclette usando una bici per la consegna dei gelati. Il loop di gioco è senz’altro ripetitivo, ma, in tutta sincerità, funziona davvero bene e fa venir voglia di giocare all’infinito. I diversi sport, poi, garantiscono una varietà di gioco non indifferente. Il poter scegliere se si è in vena di sciare, volare o fare acrobazia con la bicicletta, fa sì che ogni sessione di Riders Republic sia un certo senso personale.

Ogni attività di Riders Republic, poi, ha al suo interno alcune discipline differenti, che rendono l’esperienza varia anche con lo stesso mezzo. Le biciclette hanno le gare su strada, le gare su sterrato, e le sfide di acrobazie, idem per gli sci e lo snowboard. Tuta alare e zaino a propulsione sono invece meno vari e, paradossalmente, vista la natura estrema dello sport, ci sono risultati quelli meno divertenti dal punto di vista prettamente soggettivo. In volo ci sono solamente gare e, esclusivamente per la tuta alare, le sfide acrobatiche. Per quanto riguarda le attività, le sfide sono sempre molto interessanti e ben costruite, anche e soprattutto in funzione degli scenari di cui sopra. Nonostante la loro natura è davvero difficile sentire una sensazione di ripetitività e di “già fatto”, e ad aumentare il ritmo di gioco ci sono anche le gare multiple. Come si potrebbe intuire dal nome, queste sfide avvicendano più sport in una sola gara. Durante la discesa in bici da una montagna arriva il checkpoint per la tuta alare, e finita la caduta libera si ritorna in bici, per poi scalare una nuova montagna dalla quale scendere con gli scii e tagliare il traguardo. Ad aggiungere un tocco di divertimento in più, inoltre, ci sono anche le sfide degli Shackdaddy, un gruppo di scapestrati ispirati agli Harlem Globetrotters e un po’ ai folli stuntman di Jackass, che propongono sfide particolari al limite dell’assurdo. In Riders Republic però esiste anche la possibilità di partecipare a delle gare di massa, dove un gruppo di una trentina di giocatori si sfidano a gare su più round e con diverse discipline in tempo reale. Si tratta dell’unico modo per giocare online con degli avversari umani 1:1, perché nelle gare normali i concorrenti sono delle registrazioni di altri giocatori aggiunti a dei bot (con difficoltà aumentabile ovviamente). Si può invece giocare qualsiasi gara solo con gli elementi del proprio party, così da sfidarsi magari direttamente senza dover avere fra i piedi la CPU. E quando non si gareggia? Che si fa? Ovviamente si può girare per la gigantesca mappa della Repubblica. Che sia per prendere confidenza con un nuovo mezzo, girovagare per scoprire nuovi luoghi, fare pratica con le acrobazie, scattare foto con la modalità fotografica, o scovare gli immancabili collezionabili in giro per il mondo. Insomma, in Riders Republic non ci si annoia mai.

In termini di gameplay, Riders Republic, nel suo essere un’esperienza arcade che aggira qualunque legge esistente della fisica, fuga i pochi dubbi che potevano essere sorti davanti a una tale diversità nelle discipline. Ciascuna di queste mette in gioco non solo meccaniche differenti ma, a loro volta, una percezione del rischio o della velocità proprie. Chiaramente guidare una mountain bike non è uguale allo sfrecciare giù per una pista innevata ed è qui che riposa il cuore del gioco, nella qualità del game design unita a un level design in grado di trarre il meglio dalle singole discipline. Non è solo una questione di comprendere i diversi trick e metterli in pratica, ma anche di leggere le varie piste, sapendo quali rischi correre e quali invece è meglio tenere per un secondo momento. Ci sono così tante combinazioni di acrobazie che prima di padroneggiarle tutte ci vorrà del tempo, fosse anche solo perché l’adrenalina generata da ciascuna competizione ci spinge a utilizzare d’istinto le più sicure, sacrificando la spettacolarità per non incorrere in rovinose cadute. A questo proposito, non si possono negare alcuni problemi quando si tratta di integrare comandi di gioco e trick. Ci spieghiamo meglio: all’inizio del gioco viene chiesto di scegliere tra il modello di comandi Trickster e Racer: il primo pensato per i veterani mentre il secondo per meglio accompagnare i neofiti. La differenza principale risiede però nel fatto che la modalità Racer permette di gestire la telecamera con la levetta analogica destra, lasciando l’esecuzione dei trick ai pulsanti; la modalità Trickster, invece, richiama Steep e la possibilità di eseguire i trick con l’analogico destro, andando così a sacrificare il controllo sulla telecamera. All’atto pratico, durante le gare, quest’ultimo approccio di traduce nella concreta possibilità di mandare all’aria l’intera competizione per aver involontariamente dato vita a un’acrobazia. Una simile perfezione la si ha, indipendentemente dalla modalità, con il grilletto sinistro: essendo utilizzato per certe acrobazie in volo ma, al contempo, essenziale per frenare quando si è in bici, capita che un leggero sobbalzo dato magari da un dislivello del terreno venga preso come sospensione aerea e, mentre si pensava di frenare così da regolare la bici, ci si ritrova a compiere senza volere un trick che inevitabilmente porta a una caduta disastrosa, con conseguente perdita di tempo per rimettersi in carreggiata, che sia tramite riavvolgimento del tempo o comando rapido per rialzarsi. Riders Republic si distingue dai “soliti” giochi per l’assoluta libertà con cui si può progredire: nonostante una mappa di notevoli dimensioni, che inevitabilmente si trascina dietro il timore di non avere una vera e propria sostanza con cui riempirla, in questo gioco le attività scorrono così fluide che non ci si trova mai con le mani in mano o annoiati. In ogni momento c’è sempre qualcosa da fare, una nuova competizione da sbloccare o i contratti con gli sponsor da soddisfare e, perché no, nel frattempo si può raccogliere qualche bizzarria (attrezzature, come suggerisce il nome, molto particolari) in giro. Riders Republic si basa sulle statistiche dell’equipaggiamento relativo alla carriera che si sta affrontando: a ogni nuovo livello se ne ottiene uno migliore, che automaticamente si traduce in prestazioni migliori e possibilità di affrontare sfide più impegnative. Basta molto poco a fare la differenza, ma non bisogna assolutamente adagiarsi sugli allori, perché sono comunque le abilità di chi gioca a tracciare il solco tra vittoria e sconfitta. Mezzi più efficaci aumentano solo le probabilità di successo, ma senza un’adeguata preparazione anche con il miglior paio di sci si rischia di finire contro un albero o di schiantarsi di schiena mentre si sta cercando di compiere un salto mortale all’indietro.

Nonostante Riders Republic sia un titolo caotico, pieno di eventi e di giocatori che popolano la grande mappa di gioco, il titolo di Ubisoft offre anche la possibilità di tuffarsi nella modalità “Zen”. Ma in cosa consiste? Come suggerisce il nome, scegliendo zen i progressi sono disattivati, nessun giocatore sarà presente sulla mappa di gioco. Esistono solo il giocatore e la natura, si è liberi di sperimentare in modi totalmente irrealistici, e follemente adrenalinici, ogni anfratto dei canyon e ogni centimetro delle vette presenti nel gioco. L’ottimo motore di gioco utilizzato dal team di Ubisoft Annecy permette di visitare, come dei perfetti turisti, la totalità dell’immensa mappa di gioco in un’esperienza che impressiona ma nello stesso tempo appaga in termini di libertà è quantità di dettagli ricreati in scala. Analizzando l’impianto tecnico di Riders Republic, nonostante sia encomiabile il risultato ottenuto dal team di sviluppo nel ricreare sei parchi in maniera così dettagliata e popolarli in tempo reale da una moltitudine di giocatori reali, graficamente le incertezze sono evidenti e necessiterebbero di un’ulteriore messa a punto. Laddove i modelli poligonali degli atleti sono ben realizzati, e con delle animazioni soddisfacenti, non si può dire lo stesso dei comprimari o il pubblico presente nelle varie competizioni. Sono frequenti, inoltre, degli episodi di evidenti compenetrazioni con gli oggetti presenti nelle aree di gioco, così come si può incappare sovente in piccoli, ma costanti, glitch grafici. Stesso discorso vale per le ambientazioni, tutte magistralmente ricreate in scala 1:1 con una cura dei dettagli maniacale ma che allo stesso tempo presentano episodi di pop-up degli elementi presenti al loro interno, oltre a un caricamento “pigro” delle texture che le compongono. Niente da eccepire, invece, per quanto riguarda il frame rate che si attesta quasi sempre sui 60fps, con piccole incertezze, poco percepibili, in alcune situazioni eccessivamente affollate. A dir poco sensazionale invece la colonna sonora che spazia da galvanizzanti mix tape fumosi e ridondanti alla sempreverde All I Want degli Offspring, offrendo sempre il brano giusto al momento giusto. La localizzazione in Italiano, infine, si applica solo ai testi presenti nei menu e ai sottotitoli che accompagnano l’ottimo doppiaggio in Inglese. Tirando le somme, con Riders Republic Ubisoft ha sicuramente fatto centro. Il titolo infatti, nonostante alcuni piccoli nei, è assolutamente divertente, offre una miriade di attività e riesce a galvanizzare chiunque sia dinanzi lo schermo. Il vero punto di forza di Riders Republic, però, risiede nelle atmosfere che riesce a ricreare, grazie a una ricostruzione fedelissima di alcuni fra i parchi più famosi d’America, una colonna sonora che abbraccia differenti generazioni di fan degli sport estremi e un clima generale all’insegna della celebrazione del cameratismo. Insomma, che vi piacciano o no gli sport estremi, Riders Republic è un “Must Have” per chiunque ami divertirsi con i videogame.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9

Gameplay: 9

Longevità: 9,5

Sonoro: 9

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




Spotify sempre più sicuro con il tasto “blocca”

Spotify vuole tutelare la tranquillità dei propri utenti e fa come Facebook e Twitter, lanciando un nuovo pulsante con cui bloccare gli utenti. La piattaforma stava lavorando da almeno un paio di anni alla funzione, che era poi stata abbandonata per dare priorità ad altri aggiornamenti, più spiccatamente audio. Il team ha deciso di dar seguito a quella che, secondo la compagnia, era una delle principali richieste degli iscritti. É quindi in fase di distribuzione, nei vari Paesi, il nuovo menu che, all’interno del profilo di un amico, presenta l’opzione “blocca”, sopra quella già esistente “non seguire più”. A differenza di quest’ultima, il blocco è riconducibile alla stessa operazione che si esegue sugli altri social network, quando si nascondono tutte le attività di un contatto dalla propria lista di amici. Il tasto per non seguire più invece, presente dal 2019, consente di nascondere l’utente dal proprio flusso di aggiornamenti della musica in riproduzione, visibile sul lato destro dell’app per computer, senza eliminarlo definitivamente e lasciando che lo stesso possa continuare a seguirci. Una volta bloccata invece, la persona non sarà più in grado di accedere alla pagina, playlist pubbliche o alle attività di ascolto dell’ex amico. Spotify ha affermato che la novità fa parte della sua missione globale di dare agli utenti la migliore esperienza possibile, favorendo un ambiente sicuro per l’ascolto di musica e di podcast. La rimozione non sarà definitiva: dopo il blocco, apparirà sotto il profilo del contatto la voce “sblocca”, con cui tornare indietro in caso di ripensamento. Ad ogni modo, i contatti limitati, non essendo più presenti nel flusso di aggiornamenti social di Spotify, dovranno essere ricercati con la lente di ingrandimento, tramite l’icona superiore dell’app.

F.P.L.




Iron Harvest Complete Edition, la guerra con i Mech sbarca anche su console

Iron Harvest Complete Edition, versione estesa e rifinita dell’RTS sviluppato dal team King Art Games e basato sulle avvincenti opere di Jakub Rozalsk, è finalmente arrivato anche su console. Il lancio avvenuto a un anno abbondante di distanza rispetto a quello su PC, dove Iron Harvest è disponibile dal settembre del 2020, permette finalmente anche ai possessori di Xbox e PlayStation di mettere le mani sopra questo videogame strategico dall’indiscusso fascino. Questa versione rifinita e aggiornata della produzione è dotata non solo di tutti i vari miglioramenti usciti dallo scorso settembre a oggi, ma anche di due sostanziosi contenuti aggiuntivi. Il primo prende il nome di Rusviet Revolution e racconta, attraverso quattro nuove mappe per giocatore singolo, le vicende di Rasputin all’interno del titolo di King Art Games, mentre il secondo, ossia Operation Eagle, è decisamente più sostanzioso ed espande di molto sia l’impianto narrativo che quello ludico del gioco grazie all’introduzione di una ulteriore fazione con cui giocare. Ma partiamo dall’inizio: La storia raccontata in questo videogame, è ambientata nel 1920 in un mondo dove la tecnologia ha fatto passi da gigante dal termine del conflitto andando a permettere la costruzione di gigantesche macchine da guerra chiamate Mech che permettono di affrontare la guerra in modi nuovi e diversi. La trama vede coinvolte tre nazioni fittizie ma palesemente ispirate a popoli realmente esistenti. La “Polania” viene invasa dai Rusviet, e successivamente entra in campo anche l’impero di Sassonia e la lontana Usonia. Le interazioni tra queste fazioni vengono raccontate nell’arco di campagne che raccontano una storia piuttosto interessante che coinvolge la ricerca di tecnologie segrete di Nikola Tesla e le azioni di un gruppo che vuole sovvertire la stabilità internazionale per il proprio guadagno personale. Non è nulla che non si sia già visto ma la chimica tra i vari personaggi e la recitazione aiutano ad appassionarsi a quanto sta avvenendo su schermo. Il comparto poi, almeno durante la nostra prova su Xbox Series X, è estremamente convincente: le unità sono ben animate e i mech riescono davvero a trasmettere quell’incertezza nel procedere di macchine da guerra di prima generazione miste alla potenza intrinseca tipica di una macchina da guerra che cammina su due piedi. La presenza di eroi, un gran numero di unità, e un interessante sistema di combinazione tra potenza di fuoco e tipi di corazza fa si che sebbene si tratti di uno strategico in tempo reale l’utilizzo di strategie anche piuttosto complesse sia necessario. I mech stessi sono unità molto potenti ma anche estremamente costose. Hanno il vantaggio sulla fanteria, ma sono caratterizzati dall’avere una corazzatura più debole sul retro e questo permette se si posizionano i propri soldati in modo intelligente, magari sfruttando anche coperture, di avere la meglio con la superiorità tattica se non quella di potenza di fuoco.

Come vi abbiamo già detto, in Iron Harvest sono presenti diverse fazioni con cui potersi divertire: Polania, Sassonia, Rusviet e Usonia. Scegliendo di prendere le parti della Polania ci si troverà con tutta una serie di unità dedite al combattimento a distanza e alle azioni di gioco veloci, dotate di scarsi punti vita ma dal recupero celere. Il tutto unito a degli edifici con un costo maggiormente ridotto rispetto alla concorrenza, che rendono la Polania la fazione perfetta per uno stile di gioco mordi e fuggi. La Sassonia è invece una civiltà diametralmente opposta, dai ritmi lenti e compassati ma dall’incredibile potenza di fuoco. Una macchina bellica che tarda a carburare, ma che una volta entrata a pieni giri è in grado di rivelarsi una spina nel fianco anche per il più navigato degli strateghi. I Rusviet danno invece il meglio di sé negli scontri ravvicinati e proponendosi come la fazione più adeguata a dare filo da torcere a nemici arroccati nelle proprie postazioni. Nella versione per console è presente anche Usonia, la fazione aggiunta più recentemente nella versione per Pc. Tale nazione (ovviamente ispirata agli Stati Uniti), essa esiste come una nazione indipendente, lontana dall’Europa dalla quale è divisa dall’oceano. Sebbene il loro sistema di governo non sia specificamente menzionato, probabilmente vivono sotto una repubblica costituzionale. Consiste di una porzione importante del continente nordamericano. Il loro simbolo è la testa di un’aquila circondata da stelle, che è ben visibile sul petto della loro uniforme militare. Alcune delle loro unità, tuttavia, sventolano bandiere di battaglia di una singola, grande stella bianca. Ciò che si sa delle loro tattiche o armi è che sembrano avere la capacità industriale e militare di eguagliare le potenze europee. Usonia possiede grandi dirigibiliarmati simili a mech che non esistono tra le fazioni attualmente rivelate di Europa. Le unità usoniane enfatizzano la potenza di fuoco a raffica pesante – con unità che possono scatenare devastanti raffiche iniziali di area di effetto. I loro bunker possono essere potenziati per far cadere la fanteria direttamente sul campo di battaglia, migliorando la loro enfasi sulle tattiche di reazione rapida. Nonostante questi vantaggi, le tattiche usoniane tendono a trascurare la resistenza; mancano di unità con il tipo di armatura pesante e la loro dipendenza dai danni da scoppio a volte può metterli in situazioni vulnerabili. Apparentemente consapevoli di questa debolezza, possono in qualche modo mitigare questo con una rapida riparazione sul campo in prima linea tramite le esotute Ward. Sebbene King Art Games si sia quindi limitata a queste sole fazioni per il proprio Iron Harvest, è innegabile come sia riuscita a inglobare in esse quattro differenti anime di gioco, andando così a comporre un piatto magari non troppo ricco sul piano contenutistico, ma sicuramente efficace e, alla fine dei conti, tutto sommato anche equilibrato. La peculiare scacchiera pianificata dallo studio tedesco è protagonista anche di ben tre differenti campagne, una per ognuna delle diverse fazioni in gioco. A rendere particolarmente intrigante tale componente narrativa, che si fregia di una sinossi discretamente interessante e di missioni sempre diverse e accattivanti, è poi il fatto che è dotata di tutta una serie di cutscene dedicate e non ricavate meramente dal motore di gioco. Le missioni della campagna sono ben strutturate, spesso accompagnate da un’analisi tattica della mappa di gioco e da obiettivi dinamici che si modificano andando avanti nel conflitto. Una missione che inizia semplicemente con la necessità di andare in un luogo, o avvertire qualcuno, può rapidamente trasformarsi in una battaglia epica per la difesa strenua di un obiettivo. Non mancano inoltre obiettivi secondari da raggiungere che possono offrire ricompense che aiutano a occuparsi della missione principale. In generale la struttura tecnica della campagna è assolutamente convincente. C’è da dire che le missioni però, come già accennato, sono piuttosto lunghe e articolate. Se si termina la campagna o si vuole fare pratica in scontri privi di trama si possono creare degli scontri online o contro i bot fino a sei giocatori scegliendo le fazioni coinvolte, il livello dell’intelligenza artificiale dei bot e alcuni parametri come darsi volontariamente degli handicap come un malus alla salute delle proprie unità. Abbiamo trovato questa modalità piuttosto divertente e un buon modo per acquisire familiarità coi meccanismi di gioco, quindi consiglio di farci un paio di partite anche se l’interesse è soprattutto per la campagna principale. Una terza modalità di gioco sono le “sfide”, che mettono il giocatore in situazioni obiettivamente difficili e danno un punteggio al termine a seconda di quanto bene si riesce a superare la missione. Anche in questo caso è possibile complicarsi la vita con l’aggiunta di malus e penalità assortite.

Iron Harvest nel suo gameplay e nelle meccaniche ricorda molto Company of Heroes, titolo che ogni appassionato del genere ha sicuramente ben chiaro. Le somiglianze sono evidenti sin dai primi minuti di gioco, un po’ per l’interfaccia e un po’ per lo stile di gioco, soprattutto per la meccanica della copertura; ovvero, muovere le unità vicino a dei ripari come muretti, recinzioni, oppure i classici sacchi di sabbia, conta come bonus alla difesa. La mappa di gioco è disseminata di punti di controllo che se conquistati garantiscono risorse, ferro oppure petrolio, necessarie alla costruzione del proprio esercito. Gli edifici per la produzione di truppe sono tre: Quartier generale (fanteria base), Caserma (fanteria specializzata), e Officina (Mech). Mentre nella campagna ci sarà un largo uso della fanteria, soprattutto nelle prime missioni in cui i Mech non sono ancora disponibili, per quanto riguarda il multiplayer tendenzialmente si passerà direttamente alla produzione di Mech nella maggior parte dei casi. La fanteria offre una meccanica interessante: ogni unità ha la possibilità di cambiare ruolo velocemente sul campo semplicemente raccogliendo i resti di un’altra unità diversa o raccogliendo equipaggiamento diverso da quello predefinito. Il livelllo di realismo però è molto alto e ovviamente quando si ha a che fare con i mech anche la fanteria equipaggiata con piccoli cannoni anti-macchine, in realtà viene spazzata via piuttosto velocemente se non si gioca d’astuzia. Per quanto riguarda la produzione dei robot, ci teniamo a sottolineare che in Iron Harvest non basta non basta creare Mech pesanti a ripetizione per poter vincere la battaglia, ma serve sempre il supporto di Mech medi e artiglieria, con genieri al seguito per le riparazioni. Bisogna insomma creare una forza di attacco mista per poter avere la meglio, e questo è senz’altro un pregio che va riconosciuto al titolo e che lo rende un RTS degno di nota. Dal punto di vista strettamente estetico, Iron Harvest è una gioia sia per gli occhi che per le orecchie. King Art Games è infatti saggiamente riuscita a trasportare nel titolo l’incredibile potenza visiva delle opere di Jakub Rozalsk, restituendoci delle ambientazioni vive e curate. A concorrere alla riuscita di tale scenario è poi un comparto audio decisamente all’altezza, sia per quanto riguarda la soundtrack che gli effetti sonori. Tirando le somme, il titolo del team King Art Games è un prodotto che, nonostante la sua natura per Pc, è assolutamente in grado di offrire tante ore di divertimento, ma soprattutto riesce a convinvere e ad appassionare sia gli amanti del genere che i neofiti.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro:9

Gameplay: 8,5

Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise




Telegram a pagamento per eliminare la pubblicità

Il Ceo di Telegram , Pavel Durov, ha annunciato lo sviluppo di una versione a pagamento dell’app, in arrivo entro la fine di novembre. L’abbonamento, i cui costi sono al momento sconosciuti, permetterà di fare a meno delle pubblicità ufficiali dell’azienda, all’interno di gruppi e canali di conversazione, già attive. Nulla cambierà per le chat individuali, dove non sono presenti banner di alcun tipo. “Molti utenti hanno suggerito di introdurre la possibilità di disabilitare le pubblicità ufficiali sui canali di Telegram” ha scritto il fondatore. “Abbiamo già iniziato a lavorare su questa nuova funzionalità e prevediamo che verrà lanciata questo mese. Potrebbe assumere la forma di un abbonamento a basso costo, che consentirebbe a qualsiasi utente di supportarci direttamente e finanziariamente lo sviluppo di Telegram, senza vedere annunci nei canali”. Telegram ha presentato la propria piattaforma pubblicitaria alla fine di ottobre di quest’anno. Come spiegato, i banner appaiono solo nei canali di grandi dimensioni, il cui supporto si associa ai costi più elevati per lo sviluppatore. Un post sponsorizzato è composto da un testo e da un pulsante; facendo clic su quest’ultimo, l’utente accede al sito web promosso o al canale dell’inserzionista. Non ci sono immagini, mentre l’etichetta “sponsorizzato” lo distingue da un post normale. Al momento, i messaggi pubblicitari ufficiali sono disponibili su tutti i canali con un’audience di oltre 1000 utenti. La preoccupazione maggiore per gli iscritti riguarda le informazioni personali e la privacy. Dubbi fugati sul nascere da Durov, che ha sempre chiarito come gli annunci non saranno personalizzati, ossia non analizzeranno il comportamento dei singoli per costruire campagne di marketing mirate.

F.P.L.




House of Ashes, il terzo capitolo della Dark Pictures Antology

House of Ashes è il terzo capitolo della Dark Picture Anthology, raccolta horror diretta e confezionata da Supermassive per le console next gen e old gen di casa Microsoft, Sony, ma anche per Pc. Il titolo come da tradizione prevede un’avventura dove il o i giocatori vestono i panni dei protagonisti facendo svolgere loro scelte e azioni che si ripercuotono sulla trama e che possono cambiare in bene o in male il corso degli eventi. Ma andiamo a scoprire di più: il titolo stavolta è ambientato in Iraq, precisamente nel 2003. La Guerra del Golfo si è conclusa e un gruppo di soldati altamente addestrati è pronto a cominciare una missione impegnativa: recuperare ogni traccia di arma chimica dal suolo nemico. Nemmeno a dirlo, l’operazione si trasforma in un vero e proprio incubo che strizza l’occhio a pellicole come Aliens, Predator e The Descent; ispirazioni cinematografiche nemmeno troppo velate, a dire il vero, dal momento che lo stesso team di sviluppo le ha dichiarate. Comincia in questo modo il terzo videogioco della collana di racconti dell’orrore, che questa volta abbandona la cittadina di Little Hope e la nave fantasma per abbracciare un setting ancora una volta diverso: un tempio celato sotto un’antica grotta mesopotamica. Come in ogni buona storia che si rispetti, anche House of Ashes prova a tratteggiare un cast molto sfaccettato, caratterizzato come sempre da un pesante tono adolescenziale che conferisce alla produzione un aspetto da teen horror. E come per ogni capitolo della raccolta c’è almeno una presenza di rilievo all’interno del gruppo: abbiamo visto Shawn Ashmore in Man of Medan (qui la nostra recensione), Will Poulter in Little Hope (qui la nostra recensione), e adesso possiamo dare il benvenuto alla famosissima Ashley Tisdale, nota per la Serie TV MacGyver e per tantissimi altri ruoli cinematografici. Sin dalle prime battute, House of Ashes mostra un ritmo più accelerato in confronto ai precedenti atti dell’antologia. La sceneggiatura galoppa, il montaggio è serrato, e l’azione controbilancia con intelligenza le sequenze di maggior stasi. Dove Supermassive Games centra il bersaglio è nella costruzione dell’atmosfera: anche House of Ashes, al pari dei predecessori, digitalizza con perizia il suo sottogenere di riferimento, edificando un’ambientazione claustrofobica in cui la tensione è una compagna costante e i jumpscare sono ridotti all’osso. Il team di sviluppo ha scelto di rappresentare l’horror esplorativo, tuttavia non manca qualche variazione di stile volta a confondere il giocatore e a scombussolarne le certezze. Sotto questo aspetto, a nostro avviso, House of Ashes pecca un po’ di scarsa coesione nelle battute finali (che arrivano dopo circa 7 ore di gioco), inserendo alcuni colpi di scena non sempre ben amalgamati. La sorpresa conclusiva non risulta certo banale, eppure non l’abbiamo trovata del tutto travolgente. Alti e bassi si riscontrano anche nella sceneggiatura: ci sono frangenti in cui le conversazioni tra i protagonisti appaiono verosimili e coerenti con i loro tratti caratteriali, mentre altri nei quali le reazioni agli eventi e le diramazioni della trama richiedono troppa sospensione dell’incredulità. Non tutti i rapporti di causa-effetto ci sono parsi dunque adeguatamente equilibrati, e in alcuni punti la scrittura mostra il fianco a soluzioni un po’ trascurate.

Come già detto in apertura, a seconda delle esigenze della trama i giocatori si alterneranno alla guida di uno dei cinque protagonisti, muovendosi lungo l’ambientazione, completando sporadici eventi in tempo reale, mirando ai nemici quando necessario per crivellarli di colpi e portando a termine l’ormai immancabile minigioco che chiede di premere col giusto tempismo i tasti a schermo per mantenere regolari i battiti cardiaci. Tutto funziona allo stesso modo degli scorsi episodi, permettendo all’antologia di mantenere una sua coerenza interna in termini di gameplay. In House of Ashes, Supermassive Games ha però introdotto qualche timida novità pensata per rinfrescare un po’ la formula. Il risultato, al netto della buona volontà, non è sempre quello sperato. È vero che l’andamento più ritmato rende l’alternarsi dei quick time events maggiormente adrenalinico, ma le azioni da compiere restano pur sempre abbastanza elementari: ecco perché, allo scopo di complicare un po’ la vita degli utenti più smaliziati, Supermassive ha inserito differenti livelli di difficoltà. L’aggiunta più rilevante, in ogni caso, consiste nella possibilità di muovere liberamente la telecamera per spostarsi con più accuratezza lungo lo scenario. Le animazioni dei personaggi sono purtroppo ancora un po’ legnose, e riducono inevitabilmente la piacevolezza dell’esplorazione. Infine, l’anima investigativa della produzione si ripresenta con un’enfasi più accentuata: le grotte di House of Ashes sono infatti piuttosto ricche di segreti, collezionabili e documenti opzionali, inseriti per approfondire la lore e fornire importanti dettagli che aiutano a far chiarezza sulla cornice narrativa. A livello tecnico, House of Ashes è un gioco cross gen, ed è evidente sin dai primi minuti. La continuità visiva con gli altri capitoli dell’antologia è pertanto pienamente comprensibile e accettabile, benché non manchino alcune migliorie nelle versioni per PlayStation 5 e Xbox Series X. L’edizione per le ammiraglie di Sony e Microsoft presenta due modalità grafiche (Qualità e Prestazioni), è nobilitata dai riflessi in ray tracing e beneficia di una risoluzione nativa in 4K. La resa dell’illuminazione è di certo il pregio maggiore dell’opera, con un’alternanza di luci e ombre che non solo appaga lo sguardo ma contribuisce anche a valorizzare l’angosciante e soffocante atmosfera. Purtroppo, a fronte di questi passi in avanti, permangono ancora alcune approssimazioni nella realizzazione dei modelli poligonali e nelle animazioni dei personaggi. Non tutti i protagonisti posseggono lo stesso livello di dettaglio, e anzi l’espressività facciale, a tratti fin troppo grottesca, mette in evidenza i limiti di un lavoro di motion capture che si sarebbe potuto svolgere meglio. Buono l’accompagnamento sonoro, mentre il doppiaggio in italiano è buono ma non fa gridare al miracolo. Tirando le somme, The Dark Pictures Anthology: House of Ashes non delude, ma non stupisce nemmeno. Si tratta di un titolo graficamente appagante, con un’attenzione al dettaglio ambientale quasi maniacale e un gioco di ombre e luci che lasciano lo spettatore a bocca aperta ad ogni angolo. Tuttavia, forse per la troppa attenzione a questi dettagli, alcuni elementi di gioco ne hanno risentito. Gli appassionati del genere e i fan della serie lo apprezzeranno senza dubbio, mettendo da parte eventuali problemi tecnici, cosa che potrebbe far storcere il naso ai neofiti. A nostro avviso, però tali problemi non inficiano il gioco, ma anzi, la trama accattivante e l’alta tensione che si respira li renderanno del tutto invisibili ai giocatori. Se cercate qualcosa di simpatico per passare una bella serata o volete un gioco da fare con i vostri amici, House of Ashes non vi deluderà.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 8

Gameplay: 7,5

Sonoro: 8

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Il Natale di Microsoft con il meglio della tecnologia Surface

Il Natale è dietro l’angolo e Microsoft propone tutta una serie di idee per poter essere più produttivi sul lavoro, ma anche per poter migliorare la qualità del proprio tempo libero, dello studio e di tutto ciò che concerne l’uso della tecnologia.

Surface Go 3: perfetta portabilità per il 2in1 pensato per tutta la famiglia

Regalo perfetto per studenti di tutte le età e per le famiglie che desiderano avvalersi di un dispositivo versatile, costruito appositamente per passare da un’attività all’altra in maniera fluida e veloce, il nuovo Surface Go 3 è il Surface touchscreen 2in1 più versatile della gamma, che arriva sul mercato con un veloce processore Intel® Core™ e un’autonomia in grado di coprire un’intera giornata di lavoro. Surface Go 3 è inoltre dotato del nuovo sistema operativo Windows 11, permettendo all’utente di essere produttivo anche in mobilità, e ha un peso minimo di 544 g, con touchscreen da 220 ppi ad alta risoluzione e sostegno regolabile. E, per un’esperienza ancora più completa, è possibile avvalersi di Surface Pen e Surface Go Type Cover, in vendita separatamente.

Prezzo Surface Go 3: a partire da 449 euro

Prezzo Surface Pen: 114,99 euro

Surface Go Type Cover: 99,99 euro

Surface Laptop Go: perfetto equilibrio tra stile, performance, durata e leggerezza

Per gli utenti che non vogliono rinunciare all’iconico formato laptop, Surface Laptop Go racchiude tutte le caratteristiche più amate della linea Surface in un prezzo contenuto. Disponibile nella colorazione Platino, Laptop Go offre infatti il perfetto equilibrio tra stile, performance, durata e leggerezza, nel laptop Microsoft più economico di sempre. Dotato di uno display touchscreen PixelSense da 12,4”, un ampio trackpad di precisione e una tastiera full-size con una corsa dei tasti di 1,3mm, Surface Laptop Go è l’idea regalo perfetta per rendere felici i propri cari e se stessi, senza rinunciare all’esclusivo ed inimitabile Surface Style.

Prezzo Laptop Go: a partire da 649 euro

Surface Headphones 2: il miglior modo di ascoltare

Cosa c’è di meglio di un’esperienza di ascolto premium, da regalare a sé stessi e ai propri cari in occasione del Natale? Surface Headphones 2 sono progettate per essere indossate comodamente e per consentire un’immersione completa, grazie a una spettacolare qualità del suono e a 13 livelli di riduzione del rumore ambientale. Le cuffie targate Surface offrono, inoltre, una maggiore autonomia e una migliore qualità sonora, garantendo fino a 20 ore di utilizzo e permettendo di regolare la cancellazione del rumore attraverso i quadranti collocati sulla cuffia esterna per bloccare o amplificare le voci umane.

Prezzo: a partire da 279,99 euro

Ocean Plastic Mouse

L’arrivo dell’Ocean Plastic Mouse rappresenta un piccolo passo avanti nel viaggio verso la sostenibilità già intrapreso da Microsoft. Il guscio di questo mouse eco-friendly è costituito al 20% da plastiche riciclate recuperate dagli oceani, un’innovazione nella tecnologia dei materiali che ha inizio con la rimozione dei rifiuti di plastica dagli oceani e dai corsi d’acqua. In più, il packaging utilizzato per il nuovo Ocean Plastic Mouse è privo di plastica ed è stato realizzato con legno riciclabile e fibre naturali di canna da zucchero.

Prezzo: 27,99 euro

F.P.L.




Crysis Remastered Trilogy, il ritorno dello shooter che ha segnato un’epoca

Crysis Remastered Trilogy è una raccolta di tutti i capitoli della saga per le console next Gen (Xbox Series X/S, PlayStation5), old gen (Xbox One, PlayStation4) e Pc. Il titolo comprende non solo il primo gioco, ma anche i due sequel (creati con versioni migliorate dell’engine e più facilmente scalabili). Ma veniamo subito al vero nodo cruciale: Crysis Remastered Trilogy è un prodotto dotato di una propria dignità o stiamo parlando di un qualcosa che dovrebbe essere rinchiuso nell’armadio delle vecchie glorie? Senza alcun dubbio, per motivi diversi, ognuno dei tre capitoli di cui si compone la saga ha tuttora qualcosa da dare all’utente in cerca di un’esperienza adrenalinica e in generale stuzzicante in termini narrativi. L’uso del termine “in generasle” è figlio, da una parte, di una trama ricca di colpi di scena, dall’altra di tecniche narrative abbastanza superate, applicate ora a scene d’intermezzo che registicamente reggono ancora, ora a dialoghi in-game raffazzonati e spesso recitati da modelli poligonali dalle espressioni facciali piuttosto ingessate. A tratti insomma, Crysis Remastered Trilogy fa quasi venire un tuffo al cuore in quanto rappresenta uno spaccato di un’epoca che non esiste più, cancellata dalle nuove frontiere, tecnologiche e di scrittura, conquistate da team di sviluppo sempre più all’avanguardia. Eppure, potendo contare tra l’altro sull’intero arco narrativo incluso in un unico pacchetto, è facile appassionarsi a questa storia di alieni e cospirazioni internazionali che ruota attorno all’utilizzo della portentosa nanosuit, esoscheletro che rende i protagonisti dei giochi delle implacabili macchine da guerra. L’armatura non è unicamente il fulcro della storia, l’elemento che alimenta di continuo l’intreccio, ma è il motore del gameplay, ciò che all’epoca rendeva così originale la saga. In ogni episodio di Crysis, la nanosuit dona una velocità superiore al suo occupante, gli permette di saltare più in alto del normale, all’occorrenza si irrigidisce così da assorbire l’eventuale danno subito, oppure rende il soldato praticamente invisibile. Attorno a queste abilità, i ragazzi di Crytek hanno organizzato level e mission design, offrendo una certa libertà d’azione al videogiocatore che, di volta in volta, salvo casi specifici, poteva e potrà decidere se approcciarsi ai nemici con sfrontatezza o se preferire un basso profilo, eseguendo esecuzioni silenziose o raggirando semplicemente le linee nemiche. Da questo punto di vista, ogni capitolo offre riletture specifiche al concept di base. Il primo Cfrysis, per esempio, mette in campo un’ambientazione di discrete dimensioni liberamente esplorabile, teatro tra le altre cose di missioni secondarie e di micro-habitat che presentano ostacoli, ma anche opportunità, diverse tra loro. Tra villaggi pronti ad essere rasi al suolo da potenti scariche di mitra, in cui si apprezza tutt’ora la distruttibilità degli ambienti, e bunker fortificati, è sempre necessario adattarsi e adattare di continuo le proprie strategie. Il sequel, dal canto suo, propone una struttura più lineare, che concede una maggior libertà di movimento solo in alcune zone. D’altra parte, è anche vero che una maggior precisione nel sistema di input, oltre che la complessità di alcune strutture che si possono esplorare, rendono particolarmente interessanti alcuni scontri e alcune infiltrazioni. Il terzo capitolo, infine, si pone a metà strada tra i due approcci, guadagnando ulteriore appeal grazie all’arco, nuova arma tanto inflazionata, quanto in grado di ampliare ulteriormente gli approcci tattici consentiti al chi sta dinanzi lo schermo.

Ma andiamo ad esaminare i titoli presenti in questa remastered. Crysis esce nel 2007 su PC, solo anni dopo arrivò su Xbox 360 tramite un remake che non rendeva giustizia all’originale. Siamo nel 2020 e il Dr Rosenthal invia un messaggio criptico che spiega di alcune scoperte che possono cambiare il mondo e qui il nostro protagonista, Jake Dunn, nome in codice Nomad, dovrà scoprire cosa rappresenta questa scoperta e cosa sta succedendo nel mondo. Il gameplay è strutturato sulla base di 11 livelli divisi per capitoli, per dare maggior enfasi alla storia narrata e vede il protagonista sfruttare un nuovo tipo di tecnologia per combattimento e infiltrazione, la Nano-Muscle Suit, dove in ogni momento di gioco è possibile scegliere quattro diverse modalità d’uso della tuta: “corazza”, “forza”, “velocità” e “infiltrazione”. La prima modalità permette di assorbire maggiormente i danni provocati dai nemici, utile quando vogliamo buttarci nella mischia con tenacia e determinazione, mentre la seconda di aumentare la forza fisica permettendoci di fare dei salti molto più grandi rispetto alla norma e di aumentare la forza muscolare, scagliando via i nemici con maggiore semplicità. La terza modalità d’uso è quella di correre di più e ricaricare più velocemente le armi, utile quando ci si vuole spingere in mezzo alla folla con una velocità maggiore per sorprendere i nemici e cercare un approccio strategico diverso, mentre la quarta attiva una invisibilità parziale che ci permette di infiltrarci senza farci vedere, anche se toccherà sempre a noi riuscire nell’impresa. Crysis 2 è sempre stato considerato l’anello debole della trilogia e ancora oggi a distanza di anni, quando lo si gioca ci si chiede come sia possibile fare così tanti passi indietro rispetto al primo capitolo. Certo, per Crytek il mondo console era praticamente sconosciuto, quindi qualche scivolone ci poteva stare, ma non che limitasse anche il mondo PC e soprattutto le possibilità del gioco. La storia qui vede come protagonista Alcatraz, marine statunitense il cui compito è quello di trovare il Dr Nathan Gould, che ha importanti informazioni sull’epidemia aliena che sta colpendo New York City. Le cose non vanno come dovrebbero andare e la nave di Alcatraz viene quasi distrutta da una navicella aliena, uccidendo praticamente tutta la squadra e rendendo il protagonista ormai in fin di vita, ma proprio quando sembra che tutto sia finito arriva in suo soccorso Prophet che gli dona la Nano-Tuta 2.0, capace di curare tutte le sue ferite. Qui la struttura dei livelli è lineare e chiusa, anche profondamente limitata ed è questo che ha fatto infuriare la schiera di fan che attendevano come il messia questo capitolo. Sul fronte della remastered, Crysis 2 rimane comunque un bel vedere, ma basta avviarlo per sentire quel profumo di occasione sprecata, perché nonostante il lavoro di svecchiamento funziona, rendendo il titolo graficamente bello da vedere e con una New York City che brilla, il suo game design è invecchiato così male che, nonostante i miglioramenti tecnici, risulta un gioco vecchio che non può dare di più. Da segnalare la colonna sonora scritta da Hans Zimmer che sul piano del sonoro dona una marcia in più rispetto agli altri capitoli. Crysis 3 si svolge nel 2047, ben 24 anni dopo gli eventi del secondo capitolo. La forza militare C.E.L.L ha il pieno comando di New York dopo gli eventi del prequel e ormai l’umanità per sopravvivere alle problematiche dovute a causa del virus alieno, deve lavorare per loro per non morire. Washington è in ginocchio e l’umanità sempre più povera. Il protagonista, di cui non facciamo nome perché rappresenta uno spoiler, ha delle visioni che mostrano l’umanità mondiale prossima all’estinzione e insieme a un suo compagno, cercherà di evitare questa previsione, anche se, pare, sia impossibile da evitare. La differenza di Crysis 3 è che rappresenta un ibrido perfetto tra il primo e il secondo capitolo: I livelli sono ancora chiusi se paragonati al primo capitolo, ma sono decisamente più aperti rispetto al secondo. Questo dà maggiore possibilità di approccio e di sfruttare al meglio anche le abilità della nano-tuta. Dal punto di vista del lavoro di rimasterizzazione, Crysis 3 è senza dubbio quello graficamente più bello da vedere e quello più vicino alle produzioni odierne. Graficamente, rispetto agli altri due, mostra delle sequenze davvero spettacolari e migliora veramente tanto il comparto tecnico del gioco rispetto alle controparti Xbox 360 e PS3. Tutti e tre i giochi presentano infine la localizzazione italiana di testi e voci come in origine, quindi anche chi ha problemi con l’inglese potrà goderseli appieno.

Dal punto di vista tecnico, scendendo nel dettaglio, il lavoro svolto sull’illuminazione globale è notevole nonostante l’assenza del ray tracing, con effetti di luce e riflessi tutto sommato gradevoli alla vista. Purtroppo giocando ai titoli si nota che alcune texture sono rimaste praticamente intonse, ma si tratta in fin dei conti di pochi – e talvolta trascurabili – elementi, nel quadro di un upgrade tendenzialmente generoso, compiuto col supporto di scansioni 3D delle location reali. I dettagli su strade, pareti e altre superfici del mondo di gioco ne sono una lampante testimonianza, e contribuiscono a definire i pregi di un lavoro attento e meticoloso, che non può essere in alcun modo ignorato ma che allo stesso tempo non riesce a convincere sempre al cento per cento. Le ombre sono probabilmente l’aspetto meno efficace dell’insieme, ed ereditano i limiti delle edizioni originali con gli interessi. Statiche e prive di gradazioni, queste sembrano far parte di un curioso tiro alla fune tra passato e presente con l’unico risultato di non restituire quell’artificioso senso di profondità che, per assurdo, si percepiva di più in origine e a risoluzione inferiore. In questo interessante gioco di percezioni, le texture a risoluzione superiore possono paradossalmente aggravare le cose, per via dei tagli decisamente più netti che si osservano nei cambi di superficie. La rinnovata scelta di non intervenire sui poligoni denota poi un approccio conservativo che, per nostra fortuna, negli ultimi due capitoli della saga pesa decisamente meno. Eccezion fatta per il primo capitolo, che consente di scegliere tra prestazione e qualità, gli altri due episodi puntano a un preset grafico unico senza grandi margini di manovra; solo in Crysis 3 si può decidere se attivare o meno i riflessi. Tirando le somme, possiamo dire che La Crysis Remastered Trilogy consente di rivivere un prodotto che all’epoca aveva tratti a dir poco pionieristici per l’industria e che forse proprio per questo aveva ancora ampi margini di miglioramento. Pur restituendo a tratti un’impressione da freno tirato, la storia rimane godibile e l’approccio scelto permette di rivivere un’esperienza aggiornata ai parametri delle console attuali. Ottima l’acustica, così come le meccaniche di gioco e proprio quest’ultimo aspetto permette all’opera di non stonare del tutto nel contesto attuale grazie alla possibilità di utilizzare approcci stilistici più variegati. Crysis Remastered Trilogy è un acquisto doppiamente valido per gli amanti degli FPS. Da una parte, difatti, rappresenta l’occasione ideale per (ri)scoprire una saga che ha rappresentato una tappa evolutiva importante per il genere di appartenenza e non solo in termini grafici. Dall’altra, perché – nonostante tutti e tre i giochi tradiscano la loro appartenenza ad un’altra epoca – ognuno di essi riesce in qualche modo a tenere incollato il videogiocatore sino ai titoli di coda. Insomma, Crysis ha ancora tutte le carte in regola per tenere incollati dinanzi lo schermo, rappresenta un gradito ritorno per chi ha già giocato i titoli all’uscita, ma soprattutto rappresenta un’ottima occasione, per tutti i videogiocatori più giovani o per chi non ha mai potuto giocare la serie, per riscoprire un vero e proprio colosso del genere.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8,5

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise




Alexa compie 3 anni in Italia e premia chi le fa gli auguri

Alexa, l’assistete vocale di Amazon, spegne oggi la sua terza candelina in Italia, la settima negli Stati Uniti. “Nei primi tre anni dall’arrivo in Italia gli utenti attivi che utilizzano Alexa sono cresciuti oltre l’80% anno su anno e nel solo 2021 si contano oltre 5 miliardi di interazioni tra gli utenti in Italia”, afferma Gianmaria Visconti, Country Manager di Amazon Alexa. In tre anni ha registrato 10 miliardi di interazioni, 450 milioni di ore di musica ascoltate, 28 milioni di chiamate. Una curiosità: oltre 7 milioni di volte, solamente nell’ultimo anno, gli utenti le hanno detto “ti voglio bene”. Tra le altre richieste gettonate ad Alexa: cosa c’è in tv, quanti giorni mancano a Natale, il santo del giorno. Sono oltre 140.000 in tutto il mondo i dispositivi per la casa intelligente compatibili con Alexa. Le funzionalità di Alexa in Italia sono frutto dell’impegno di una community di sviluppatori composta da oltre 54.000 membri. “Non avremmo ottenuto questi risultati senza la combinazione di più fattori – conclude Visconti – in primis il lavoro svolto dal team italiano: 50 colleghi, tra Language Engineer e Data Scientist, del nostro centro di Ricerca e Sviluppo a Torino, che in questi anni hanno migliorato la comprensione linguistica di Alexa del 70% circa”. Nella giornata di oggi (6 novembre) è possibile fare gli auguri all’assistente vocale, ricevendo in cambio un piccolo regalo. Basta dire infatti “Alexa buon compleanno” entro la fine della giornata. Dopo avervi ringraziato, l’assistente vocale si premunirà di mandarvi una sorpresa via email. Si tratta di quattro mesi di abbonamento ad Amazon Music Unlimited, la piattaforma per ascoltare la musica in streaming di Amazon.

F.P.L.




Far Cry 6, è ora della rivoluzione

Far Cry 6 arriva su Pc, ma anche sulle console della famiglia Xbox e PlayStation dopo più di 3 anni dall’uscita di Far Cry 5 e dopo 2 dall’uscita dello spin off Far Cry New Dawn. Ubisoft propone così il sesto titolo principale della sua famosissima saga FPS. Fin dal reveal trailer Far Cry 6 è stato in grado di incuriosire i fan della serie, mostrando subito il nuovo antagonista del gioco; che, come in ogni Far Cry, rappresenta un elemento importante e fondamentale sul quale si basa buona parte della riuscita del titolo. Ambientato nella splendida isola caraibica di Yara, il gioco racconta la storia di una piccola nazione indipendente controllata col pugno di ferro da uno spietato dittatore, il presidente Anton Castillo, impersonato da un intenso e convincente Giancarlo Esposito (Attore famoso per aver recitato in Breaking Bad e The Mandalorian). Castillo, la cui cosa più preziosa è indubbiamente suo figlio Diego, soggetto a un’educazione a dir poco severa, ha una salda visione per il futuro di Yara e pretende che la popolazione aspiri a raggiungerla soffrendo i sacrifici necessari, costi quel che costi. La formula per riuscire nell’impresa si chiama Viviro, un miracoloso farmaco contro il cancro che può essere prodotto solo a Yara, ma la cui coltivazione intossica e uccide gli abitanti dell’isola costretti ai lavori forzati nelle piantagioni di Castillo. I giocatori in Far Cry 6 vestiranno i panni di Dani Rojas, un protagonista che può assumere sembianze femminili o maschili, sopravvissuto miracolosamente alla Noche de la Muerte, una vasta purga tesa a imprigionare o ad uccidere i pochi dissidenti ancora rimasti ad Esperanza, la capitale di Yara. Dani, almeno inizialmente, non ha alcuna tendenza rivoluzionaria e anzi, non desidera altro che una vita tranquilla in Florida, le cui coste sono a pochissimi chilometri da quelle dell’isola. Dopo una fuga rocambolesca il sogno di una vita tra gli “yanquis” scorre come sabbia tra le dita del protagonista, che decide allora di combattere per liberare il proprio popolo unendosi a Libertad, una fazione di ribelli che è la principale antagonista del regime di Castillo. Per certi versi la storia di Far Cry 6 ricorda quella di Far Cry 4 dove la nazione di Kyrat, alle pendici dell’Himalaya, era sotto il giogo di Pagan Min e il giocatore era chiamato a combattere una rivoluzione per defenestrarlo. Però, rispetto a quel capitolo della serie, in Far Cry 6 le conseguenze che ci si trova a vivere hanno cause più “pesanti” e moralmente nebulose; un elemento che aggiunge un certo spessore al copione. Il presidente Castillo è figlio di un altro dittatore, deposto e ucciso nel 1967 in una precedente rivoluzione e i cui combattenti, noti come le Leggende del ’67, vivono nascosti e disillusi nella giungla. Le fazioni in guerra per la libertà, fra cui quella a cui si unisce Dani Rojas, Libertad, devono scendere a compromessi con una realtà di corruzione, fatalismo e crimine che cresce come muffa sulle rovine dell’isola. Il mondo esterno sembra cieco di fronte a quanto sta succedendo, e il regime stesso spende molte risorse per promuovere l’idea di una Yara forte, libera e giusta. Insomma, in Far Cry 6 non basta prendere un fucile e scendere in strada per riportare diritti e democrazia. Ma tutto ciò rappresenta solo un buon punto di partenza verso tutto ciò che è necessario compiere per tornare a liberare Yara.

Chi ha giocato i precedenti giochi della serie targata Ubisoft si sewntirà come a casa. Ovviamente l’ambientazione è tutta nuova, ma le attività presenti ricalcano da vicino la ricetta dei vecchi capitoli della serie, concentrando magari l’attenzione su alcuni aspetti ma senza mai uscire davvero dal solco che ormai caratterizza il brand. Per combattere il regime bisogna indebolirlo alla base, erodere metro dopo metro la terra sotto i suoi piedi, e per farlo si possono seguire le Operazioni, che sono le missioni vere e proprie che portano avanti la trama, o assaltare i posti di blocco, gli obiettivi strategici e gli insediamenti. A differenza di Far Cry 5, dove la conquista delle posizioni occupate dal nemico indeboliva direttamente i luogotenenti di Joseph Seed, queste attività non impattano in modo visibile sulla forza del regime di Castillo, anzi lo pungolano e lo spingono ad aumentare la sua presenza. Rimane però un ottimo modo per ottenere dei punti di viaggio rapido e per raccogliere risorse da utilizzare nei campi base della guerriglia. Il tutto nell’ottica di ottenere la lealtà delle tre fazioni che controllano le zone in cui è divisa l’isola e che si oppongono ai pezzi grossi del regime. Queste fazioni sono dislocate in tre aree diverse della vasta mappa di gioco: a ovest c’è la famiglia “Montero”, in lotta contro il nipote di Castillo che gestisce le coltivazioni di tabacco modificato. Al centro dell’isola “Maxima Matanza”, gruppo a metà strada fra movimento culturale e guerriglia attiva che rappresenta la voce della resistenza e del dissenso opposta a quella del Ministero della Cultura. A est, infine, nella folta vegetazione della sierra, si nascondono le “Leggende del ’67”, simbolo di resistenza del passato ora chiamate a colpire l’apparato militare ed economico di Castillo. Durante l’avventura si può decidere di portare avanti in parallelo le Operazioni di tutte tre le fazioni, oppure di dedicarsi fin da subito alla fine ad una sola fazione prima di passare alle altre. L’unica cosa a cui è davvero importante prestare attenzione sono i gradi delle diverse aree: maggiore è la differenza fra il grado dell’area e il livello del giocatore, più sarà difficile uscire vivi dai faccia a faccia con i soldati di Castillo. In tal senso, la gestione del protagonista di Far Cry 6 è quella che più si discosta dal passato della serie: non ci sono più punti talento con cui sbloccare nuove abilità e salire di livello serve semplicemente a sbloccare nuove armi e armature dai mercanti clandestini. Tutta la crescita del personaggio è stata concentrata sulla gestione delle armi e del vestiario, con particolare enfasi sul sistema di armi fai da te e sul “Supremo”. Oltre alle armi più convenzionali il giocatore può ottenere dei particolari ed eccentrici strumenti di morte assemblati da Juan, braccio destro della leader di Libertad Clara Garcia. Si passa così dalla sparachiodi, ottima per le azioni furtive, al cannone EMP che spegne mezzi e velivoli, dal fucile di precisione caricato a razzi ad una balestra che spara vinili come fossero lame. Su tutto, però, spicca il Supremo, uno zaino che oltre a poter essere potenziato con modifiche recanti svariati bonus differenti, costituisce la scorta degli oggetti da lancio e la mossa speciale da sfruttare nelle situazioni più concitate. Di Supremo ce ne sono diversi tipi e ognuno offre una mossa differente. In Far Cry 6 però anche le armi più convenzionali possono essere modificate in molti modi. Il giocatore ha infatti la possibilità di dotare ogni bocca di fuoco di diversi tipi di mirino, silenziatori, modifiche con bonus e, soprattutto proiettili speciali. Questi ultimi sono il cuore pulsante del sistema di combattimento di Far Cry 6, in quanto i nemici si dividono non solo secondo le armi che usano ma anche secondo le protezioni di cui sono dotati. Un cecchino, per dire, sarà vulnerabile ai proiettili antiuomo, mentre un artigliere dotato di elmetto è meglio affrontarlo con i proiettili perforanti. I lanciafiamme sono vulnerabili ai proiettili velenosi, mentre particolari nemici che spruzzano il concime tossico alla base del Viviro cadono urlando tra le fiamme. Ora, sia chiaro, tutti i nemici poissono essere uccisi con il giusto quantitativo di proiettili, ma sfruttare le debolezze di ogni nemico risulta essere la tattica migliore per eliminarlo in fretta e risparmiare pallottole. Ovviamente anche i nemici possono sparare con diversi tipi di proiettili, proprio per tale ragione nell’inventario di Dani Rojas si possono trovare, dopo averli raccolti o comprati, pantaloni, guanti, elmetti e giacche di ogni foggia e funzione. Anche in questo caso, non è essenziale muoversi sempre con i vestiti calibrati a puntino, ma tutto questo rappresenta in ogni caso un bonus extra. A completare il materiale utilizzabile dal protagonista di Far Cry 6 ci sono i veicoli, equipaggiabili con torrette, speroni, corazze extra, clacson divertenti e Arbre Magique.

In Far Cry 6, poi, ci sono anche gli “amigos”, ossia compagni per lo più a quattro zampe gestiti dalla CPU ai quali è possibile dare semplici ordini di movimento o ingaggio. Ogni amigo ha caratteristiche uniche e abilità che lo rendono più utile in determinate situazioni. Tutto questo, dalle armi alle armature, dai mezzi agli amigos, può essere potenziato e migliorato presso i Campi Base di Libertad, cedendo in cambio risorse e materiali unici. Il più comune, per esempio, è la polvere da sparo, necessaria per creare le modifiche delle armi e del Supremo. Ma ci sono anche vetro, ferro, medicine e plastica, che non impattano direttamente sulla dotazione del giocatore ma che possono essere spese per costruire e migliorare delle strutture da creare nei campi base. Ogni capanno (in tutto sono 6) offre bonus specifici, che impattano sulle attività di caccia, pesca, sulle armi a disposizione, sulle dotazioni dei guerriglieri in giro per Yara e, infine, sulle operazioni dei Bandidos. Queste ultime, altra novità di Far Cry 6, possono essere viste come un piccolo, semplice e limitatissimo, esempio di gameplay gestionale all’interno del gioco. Queste missioni possono essere gestite dai tabelloni presenti negli accampamenti. Ma come funzionano? E’ molto semplice: ogni giorno al giocatore vengono proposte delle operazioni a cui assegnare dei Capi. Una volta assegnato un leader ci si trova di fronte ad una serie di scelte. Ognuna descrive una possibile strategia adottata dal contingente in missione, ed ognuna legata ad una specifica ricompensa e ad una percentuale di successo. Superare tutte e tre le fasi di un’operazione ne decreta il successo e l’ottenimento della ricompensa finale. Attenzione però: a seconda delle scelte fatte si investono risorse o uomini e il fallimento ne comporta la perdita. Come se non bastasse, Far Cry 6, offre molte altre attività. Alcune più improntate al semplice divertimento, che portano a ricompense per lo più estetiche, altre utili ad accumulare risorse e, appunto, uomini da spedire in missione con i Bandidos. Oltre alle prevedibili corse in auto, ci sono le attività di caccia, pesca (con alcune prede speciali come sempre), le partite a domino e i combattimenti fra galli. Quest’ultima, particolarmente sfiziosa, risulta essere un vero e proprio beat em’up in miniatura, dove si prende il controllo del gallo scelto per lo scontro e tramite tre diversi attacchi e una mossa speciale si deve sconfiggere il pennuto avversario. Un passatempo sfizioso e ridicolmente divertente. Per chi non ritenesse abbastanza varia l’offerta di Yara, c’è anche la possibilità di lanciarsi in operazioni speciali, in singolo o in cooperativa, che costituiscono dei veri e propri scenari a parte e che offrono crediti da spendere al mercato nero. Sono missioni della durata di poco meno di venti minuti, che trasportano il giocatore in una mappa creata ad hoc e pongono come obiettivo quello di trovare e rubare un’arma sperimentale dalle mani dell’esercito yariano. Durante la fuga, bisogna però stare attenti ad evitare fonti di calore e la luce diretta del sole, perché l’arma è instabile e, se surriscaldata oltre il limite, trasforma Yara in un enorme cratere fumante. Ovviamente in Far Cry 6 tutte queste attività che abbiamo appena elencato si affiancano alle missioni principali e a quelle secondarie. Tutte le cose extra trama servono sostanzialmente per arricchire e rafforzare la guerriglia, una cosa che nei precedenti Far Cry era meno marcata. Per esempio: liberare i prigionieri che vengono deportati nei campi di tabacco fa aumentare il numero di soldati a disposizione per le operazioni dei Bandidos. Uccidere gli animali leggendari offre pezzi unici per il Supremo. Risolvere le missioni chiamate Storie Yariane arruola i capi dei Bandidos, e così via. Nonostante Yara sia nominalmente divisa in tre aree, ognuna dotata di una morfologia particolare, il gameplay è più vario e non è raro trovarsi di nuovo nelle aree già liberate per portare avanti obiettivi e attività. Insomma, in Far Cry 6 le cose da fare non mancano proprio e annoiarsi è davvero molto difficile.

A livello di gameplay, Fin da Far Cry 3, questo non è stato eccessivamente modificato poiché continua a divertire tutti i giocatori e gli lascia sempre la scelta su come affrontare le differenti situazioni. Infatti proprio come la novità più grande inserita in Far Cry 6, anche le varie missioni ce le si crea da soli, come se fossero un lavoro fai-da-te, decidendo quale approccio usare, quali armi, da dove attaccare e molto altro. Una scelta molto interessante che potrebbe essere accolta in modi diversi a seconda del tipo di fruitore si approccia a questa meccanica. Tra le varie novità infatti si può ad esempio anche rinfoderare le armi per rendersi meno sospetti agli occhi delle guardie; inoltre facendo ciò si può riuscire ad avvicinarsi ad alcune di loro per corromperle e farsi dare delle informazioni utili per il prossimo assalto o la prossima missione. Un grado di personalizzazione molto alto e significativo che dona quasi una sfumatura sandbox al titolo. Bisogna anche stare attenti a non causare troppo disordine nelle varie zone dell’isola poiché facendolo si farà salire il livello di allerta. Quest’ultimo alzandosi farà si che quella determinata area diventi piena di nemici sempre più forti fino a raggiungere il livello massimo dove arriveranno le temibili forze speciali di Antón Castillo. Quando arriveranno loro, ci sarà solo un modo per risolvere il problema: lo scontro a fuoco. All’inizio dell’avventura, a causa del grado basso e delle poche armi a disposizione, sarà consigliato un approccio più silenzioso usando le uccisioni stealth e nascondendo i cadaveri. Questo metodo sarà agevolato anche dalla scarsa intelligenza artificiale che va un po’ a smorzare la tensione, anche a causa di bug minori che vedono i nemici suicidarsi o bloccarsi. Nell’approccio stealth ovviamente non mancheranno i soliti indicatori di allerta presenti negli ultimi titoli della serie, inoltre si potrà usufruire di alcune coperture per affacciarsi e sbirciare i movimenti degli avversari . Inoltre è presente la, ormai ben nota ai fan, camera per segnalare i bersagli che in Far Cry 6 si rivela sempre essere utile, ma questa volta con una marcia in più. Quest’ultima, infatti, oltre a segnalare i soldati nemici, indicherà anche il suo grado, i punti deboli e le eventuali abilità. A livello estetico l’ultima fatica di Ubisoft non stupisce, infatti nonostante il gioco sia in sviluppo da molti anni, prima ancora dell’arrivo delle console attuali, graficamente non fa gridare al miracolo. Nulla di mostruoso ovviamente, ma comunque nel complesso deludente. Su Xbox Series X, nonostante il download del pacchetto di textures HD, il risultato finale è di poco superiore a quanto già visto in Far Cry 5. I dettagli sono moderatamente notevoli sulla breve distanza, e scendono a livello di texture piatte nel raggio di una trentina di metri. Salire su una posizione elevata significa vedere un bel pezzo del panorama in stile 2009, se non peggio. Ci sono momenti visivamente intriganti, soprattutto di notte, e il gioco è sempre fluido durante l’azione, ma la next-gen sarà sicuramente come si deve nel prossimo capitolo della saga. Guardando invece i filmati in game sono evidenti due fattori: le ottime interpretazioni del doppiaggio originale e l’espressività dei volti che lascia assai a desiderare. Un difetto che può anche essere visto come marginale, ma che comunque va segnalato. Far Cry 6 presenta testi, menu e sottotitoli in italiano ma il parlato è in inglese. Un grosso cambiamento rispetto ai capitoli precedenti, tutti doppiati nella nostra lingua e quindi molto più comprensibili a livello di trama specialmente da chi mastica poco la lingua di oltremanica. Tirando le somme Far Cry 6, nonostante i difetti elencati, è un titolo che ha cercato di rinnovarsi e ha provato a integrare il solidissimo gameplay con alcune interessanti aggiunte. La trama segue gli standard dei capitoli precedenti con molti colpi di scena ed uno scontro interessante tra un gran protagonista ed un gran antagonista. Tutto questo unito alla classica caccia ai collezionabili, componente amata dai completisti, e alle tantissime cose da fare dà vita a un ecosistema interessante e assolutamente godibile per molte e molte ore di gioco.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 8

Gameplay:

Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Il Nokia 6310 “rivisitato” arriverà in Italia e ci sarà anche Snake

Nokia dà il via alla sua “operazione nostalgia” con il cellulare 6310. Presentato ufficialmente la scorsa estate, l’azienda ha ufficializzato l’arrivo anche in Italia del telefonino, in versione 2021. Il design riprende la livrea dell’originale anche se sotto la scocca emergono un paio di elementi di differenziazione con il modello apparso per la prima volta nel 2001, venti anni fa. Il successore ha un display da 2,8 pollici e una batteria rimovibile da 1.150mAh. Il Nokia 6310 permette di navigare sul web e di scattare foto con il sensore da 0,3MP. Non mancano il jack audio da 3,5 mm, il doppio slot SIM, la radio FM e il riproduttore di file MP3.

Spazio anche per l’iconico videogame Snake, già apparso in veste rinnovata sulle precedenti operazioni nostalgia di Nokia, che negli anni scorsi ha dato nuova forma ai vari 3310, 8110, 6300 e Nokia 8000. Il 6310 è un cosiddetto ‘feature phone’, senza la possibilità di accedere ad app avanzate come i comuni smartphone ma può comunque contare sulla connettività 4G, Bluetooth 5.0, 16 MB di RAM e 8 GB di spazio di archiviazione a disposizione dell’utente, espandibili fino a 32 GB con MicroSD. Dietro la realizzazione del cellulare c’è HMD Global, azienda finlandese che ha acquisito il marchio Nokia nel dicembre 2016, due anni dopo il primo passaggio dello storico brand, sull’orlo del fallimento, a Microsoft. Nokia 6310 è già in vendita a 59 euro nei colori Black e Dark Green. “Il nuovo Nokia 6310 riprende l’iconica silhouette dell’originale e lo aggiorna con alcune nuove aggiunte come un grande schermo curvo, una migliore leggibilità e accessibilità, oltre a una serie di funzionalità classiche. È costruito con un guscio resistente, quindi può sopportare gli urti della vita” ha spiegato l’azienda.

F.P.L.




Call of Duty Black Ops e Warzone celebrano Halloween

Call of Duty abbraccia ancora una volta la paura celebrando l’evento di Halloween 2021. Il periodo più terrorizzante dell’anno torna ancora una volta, e con sé si porta dietro tutta una serie di eventi unici a tema “Dolcetto o Scherzetto?” ma che strizzano l’occhio ai classici dell’horror hollywoodiano. L’evento The Haunting ha debuttato in Call of Duty Warzone e Black Ops Cold War il 19 ottobre, e offre ai giocatori dei due FPS tutta una serie di contenuti fra cui diversi cambiamenti nelle modalità multigiocatore sia nel battle royale che in Zombies. Non mancano anche nuovi oggetti estetici a tema horror e un paio di nuove skin che si rifanno a due icone del genere horror amatissime. Parliamo di Ghost Face della saga di Scream e Frank, il coniglio presente in Donnie Darko.

Nello specifico, durante l’evento sono presenti modalità esclusive in Zombies, Warzone e nel multiplayer classico di Black Ops Cold War oltre alla solita serie di sfide il cui completamento consente ai giocatori di accaparrarsi gratuitamente progetti per le armi, ciondoli e orologi. Proprio come il pugnale “Sai” nell’evento I Numeri, questa volta verrà messa in palio anche una nuova arma, ovvero il fucile d’assalto Lapa, il quale potrà essere sbloccato anche in un secondo momento tramite il completamento di un obiettivo in qualsiasi modalità del gioco. Anche il negozio accoglie dei bundle a tema Halloween e verranno proposte le skin di Scream e Donnie Darko, entrambe collaborazioni con importanti pellicole. Il team di sviluppo pubblicherà anche costumi inediti come Necro Queen, Disciple of Mayhem e Ghost of War. A differenza di tutte le altre skin, Ghost of War sarà completamente gratuita per tutti i giocatori che preordineranno la versione digitale di Call of Duty Vanguard nel periodo compreso tra il 22 ottobre e il 2 novembre 2021.

F.P.L.