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Tempo di lettura 3 minuti La perdita della capacità di ascolto è uno dei mali peggiori del nostro tempo

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di Loredana Leonardi

 

Incontri una persona . Ti chiede come va e tu inizi a raccontare, ma dopo qualche minuto lei ti blocca a comincia a raccontare di sé.  Una scena frequente, una situazione comune, a cui non facciamo nemmeno più caso. Siamo bombardati di parole. Parole che ci arrivano dalle altre persone, dalla radio, dalla tv.  Eppure le parole ci toccano superficialmente, scivolano via.  Le verità è che nella nostra società si sta perdendo la capacità di ascolto. I ritmi frenetici, i minuti contati,  il lavoro, gli impegni, non consentono di avere l'attenzione necessaria per ascoltare gli altri.  Ascoltare richiede impegno, disponibilità, tempo.  E poi ognuno di noi ha un desiderio spasmodico di aprirsi, confidarsi,  parlare, parlare,  perché trovare chi ti ascolti è sempre piu' difficile.  E quando accade di parlare con qualcuno,  si fa fatica a starlo a sentire, perchè l'urgenza di parlare di se stessi è piu' forte.  Siamo una società che sta affidando l'espressione delle sue emozioni alla scrittura.  Ma non alla scrittura profonda,  articolata, esaustiva del passato, ma ad un nuovo modo di scrittura, povero, stereotipato, inespressivo , insoddisfacente.  Quello di WhatsApp, degli sms, delle chat.  Comunicazioni stringate , scarne, che non richiedono più di attivare la capacità di ascolto.  Costantemente connessi, col pc e lo smartphone con migliaia di persone e non ne ascoltiamo neppure una. E nessuno ascolta noi.  Da tempo,  questo nuovo modo di non comunicare ha preso piede nei talk show, in molte trasmissioni tv, in cui ci dovrebbe essere un dibattito, una discussione,  e invece i protagonisti si tolgono la parola di bocca, urlano per sovrastare le parole degli altri, per zittirli.  E alla fine , tutti hanno urlato ma non ha parlato nessuno.  Nessuno ha ascoltato nessuno.  Viviamo costantemente in mezzo agli altri, al lavoro, nel tempo libero, nei locali, sulle spiagge, nei centri commerciali.  Ma gli altri ci passano accanto e non ce ne accorgiamo.  Ci parlano e non li ascoltiamo.  IO, IO, IO.  I Pad. I Phone.  Circondati da barriere invisibili, costituite dai mezzi tecnologici di moderna comunicazione , di cui non sappiamo più fare a meno; dai pensieri delle nostra affannosa vita quotidiana, viviamo in uno spazio in cui c'è posto solo per noi.  L'uomo è uscito dallo stato di ferinità , quando , dopo la scoperta del fuoco, imparò a radunarsi intorno ad esso con i suoi simili,  e a usare la parola per raccontare. E imparò ad ascoltare.  La civiltà è nata dalla capacità di ascolto.  I primi generi letterari dell'umanità erano orali;il mito, la fiaba, la favola. L'Iliade e l'Odissea erano poemi orali e milioni di persone per secoli, li hanno ascoltati, rapiti,  declamati dai rapsòdi ,  i cantori dell'antica Grecia.  E nei secoli successivi, fino a tempi non molto lontani, i cantastorie raccontavano di eventi passati e presenti ,  di personaggi fiabeschi e reali, alla gente radunata nelle piazze.  E ancora, fino all'avvento della tv, il radunarsi di sera, di famiglie, amici,  parenti per ascoltare le storie fantastiche o reali , che ognuno raccontava,  ha riempito la vita di intere generazioni.  Saper ascoltare è un 'arte e un dono.  Si impara a saper ascoltare.  Saper ascoltare è uscire dal proprio sterile egocentrismo e accogliere gli altri , arricchendosi con le loro parole, col racconto delle loro esperienze ed emozioni.  Ascoltare è dare e ricevere. E' una ricchezza infinita.  E la stiamo perdendo.  Proviamo a fare silenzio,  a spegnere il frastuono di parole vacue che ci assorda e non ci dice niente.  Allora potremo sentire la voce di chi ci parla.  E chi ci parla ascolterà noi.  E non saremo più soli nella folla, perchè ogni individuo di quella folla avrà un volto e una storia da raccontare.  Da raccontarci.
 

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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