Connect with us

Scienza e Tecnologia

Armored Core VI: Fires of Rubicon, From Software colpisce ancora

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 9 minuti
image_pdfimage_print

Armored Core 6: Fires of Rubicon è l’ultimo capitolo della saga targata From Software che vede il combattimento fra mecha giapponesi al centro dell’esperienza. A 10 anni dall’ultimo capitolo e dopo il successo di Elden Ring, la software house nipponica ha portato su Pc e sulle console della famiglia PlayStation e Xbox un episodio del tutto nuovo che si presenta come uno fra i migliori titoli del suo genere. Ma veniamo al dunque: una volta avviato il gioco si viene subito lanciati nella storia. Sul pianeta Rubicon 3, l’umanità ha scoperto una fonte di energia, chiamata Coral, in grado di incrementare in maniera esponenziale il progresso tecnologico. Come da sempre nelle migliori produzioni mediatiche sci-fi, quando si parla della capacità di gestirsi del genere umano, la nostra razza non è mai molto capace e finisce sempre male. Infatti, in Armored Core VI l’abuso di questa sostanza ha causato un disastro naturale, il quale ha avvolto l’intero pianeta fra le fiamme, segnando la temporanea fine di Rubicon 3. Cinquecento anni dopo, però, il Coral riaffiora sulla superficie di un Rubicon 3 oramai abbandonato e in stato di perenne quarantena. Differenti fronti del genere umano, di fronte a questa scoperta, pensano che sia una buona idea ritornare sul pianeta per combattersi e quindi per avere il controllo della preziosa sostanza, dimostrando chiaramente che la storia non insegna nulla e che la razza umana brama il potere prima di tutto. In questo contesto socio-politico, il quale vede rivoluzionari, terroristi e mega-corporazioni contendersi il controllo del Coral su Rubicon 3, i giocatori vestiranno i panni di 621, un pilota al soldo della compagnia di mercenari gestita da Handler Walter, il quale prenderà incarichi da ognuno dei fronti coinvolti nella guerra per il Coral, rimanendo in una posizione neutrale rispetto al conflitto. Il passato di 621, però, nasconde dei segreti che potrebbero stravolgere tutto. L’incipit narrativo, così come la gestione della progressione della trama di Amored Core VI, sono perfettamente in linea con il passato della saga. Il gioco, infatti, si sviluppa attraverso una serie di capitoli suddivisi a loro volta in molteplici missioni di durata variabile. La storia, per lo più, viene narrata al termine delle varie missioni e durante i briefing preliminari di queste ultime. Le cutscene ci sono, e sono anche ben realizzate, ma tutto viene raccontato attraverso le comunicazioni radio che faranno da colonna sonora all’avventura di 621. Insomma, l’iter di gioco è sempre lo stesso: si avvia una missione, si ascolta il briefing preliminare, si eseguono i vari compiti nell’area di Rubicon in cui si verrà inviati, si ritorna alla base, si contano i soldi incassati e li si spende per migliorare il proprio mecha. Il tutto ascoltando le varie comunicazioni radio, le quali permettono di comprendere di più in merito alla lore del gioco e di capire quanto sia salita la reputazione di 621 come mercenario. Tutto molto classico; tutto molto in linea con il desiderio di FromSoftware di creare un capitolo che riprendesse lo spirito della serie. Se ci si aspetta un titolo open-world, con dinamiche da Souls-Like e una trama intricata, Amored Core VI non fa al caso vostro. Su Rubicon 3 si spara tanto, si legge poco e si modificano i mecha in ogni minimo dettaglio, sia estetico che tecnico. Prima di esplorare il gameplay di questo ultimo titolo targato From Software è bene sottolineare un aspetto legato alla longevità: la prima run di Amored Core VI potrebbe sembrare eccessivamente breve e, per certi versi, inconcludente. Almeno fino a quando non si comprende che per poter sbloccare tutto quello che il titolo ha realmente da offrire in termini narrativi e di contenuti è necessario concludere tre volte il gioco. Non vogliamo fare spoiler di alcuna natura a riguardo, ma sappiate che se volete godere pienamente del titolo, portarlo a termine una volta sola non basterà, ma anzi, così facendo si rischia di perdere molto. Proprio come accadeva in Nier Automata.

Parlando invece di gameplay, Armored Core VI, come già annunciato qualche riga più in alto, ruota attorno a due fattori chiave: l’azione e la personalizzazione dell’AC. Chi è già familiare con la serie sa che non si tratta esclusivamente di ritocchi estetici bensì della messa a punto di vere e proprie build che mai come in questo sesto capitolo sono fondamentali per superare le boss fight. Qui però si presenta il primo neo della produzione. A dispetto della quantità di elementi, da comprare due volte nel caso delle armi per braccia e spalle, ci si rende presto conto che pochi di essi sono realmente efficaci contro i boss di fine missione. Certo, è possibile sbizzarrirsi nel corso della storia con build stravaganti, azzardate e a volte curiosamente efficaci, salvo poi finire in mille pezzi nella battaglia conclusiva con la sua a tratti assurda curva di difficoltà. In particolare c’è un boss che richiede l’uso di una specifica configurazione dell’AC se si vuole uscirne vivi: qualunque altra significa quasi sempre morte certa. Il punto però è che un più che discreto numero di componenti cozza quando si tratta di affrontare la vera minaccia della missione; a volte ci si incastra anche nel corso della stessa ma in genere è dovuto al fatto di non sapere a cosa si vada incontro e non essere equipaggiati a dovere. Ben diverso dalla necessità di assemblare una build specifica per uscirne vincitori. Le difficoltà nelle bossfight di Armored Core VI spaziano dai tempi di cooldown assenti o estremamente ridotti, che non si arriva a eguagliare neppure con l’equipaggiamento migliore, a un consumo dell’energia altrettanto ridotto all’osso. Su quest’ultimo punto pesa di più l’utilizzo dei componenti indicati ma la differenza tra noi e loro è in ogni caso sensibile. Questo fortunatamente non vale per tutti i boss, anzi possiamo dire che succede nello specifico con uno, forse due di essi volendo estendere un po’ la questione, ma nonostante ciò il problema è che accade con quelli obbligatori a livello di trama: se Malenia poteva essere “perdonata” poiché facoltativa, sebbene poi si andasse incontro alla pessima (e obbligatoria) Elden Beast, Armored Core VI offre una serie di boss opzionali risibili laddove invece pochi principali rappresentano un assurdo picco nella difficoltà, sballandone completamente la curva. La difficoltà può concedersi di essere un po’ artificiale, se serve a dare un maggior senso di sfida, ci sono però confini che non dovrebbe superare perché altrimenti si va a vanificare gli sforzi del giocatore: si perde non perché non si è capaci abbastanza ma perché l’IA è inadeguatamente potenziata. Obbligando così a seguire un percorso a senso unico, una build che magari va persino contro lo stile di gioco del giocatore e che rappresenta tuttavia la sua unica speranza di successo. Una logica questa che a volte vanifica la quantità di elementi a disposizione per mettere a punto il proprio AC. A dar fastidio a chi gioca ci pensano poi altri due elementi, ossia: la telecamera, che persino con la sensibilità al massimo livello non riesce a stare dietro alla velocità e frequenza di spostamento di certi nemici, e la gestione dell’hard lock-on, che non sempre resta fissa sul bersaglio costringendo a riattivarla. From Software non è certo nuova soprattutto a una gestione della telecamera discutibile e, seppur vero che in questo caso il Fire Control System (FCS) è un accessorio più che indispensabile per mantenere l’obiettivo sempre sotto tiro a seconda della distanza, la telecamera riesce ancora a creare non poche difficoltà in partita. Non scordiamo inoltre che Armored Core in generale non è un gioco dove si può vincere anche senza aggancio: la mira manuale è un’opzione che si tiene in considerazione solo se si è veterani assoluti della serie e soprattutto se si utilizzano mouse e tastiera. Sperare di ottenere risultati decenti con un controller non è assolutamente consigliabile.

A parte i fattori sopra elencati, comunque, Armored Core VI ha tante belle cose da offrie: ad esempio il movimento omnidirezionale, che aiuta a inscenare battaglie frenetiche in cui la mobilità a terra e in volo risulta fluida e reattiva. Ovviamente se si opta per un Mecha che somiglia a un cingolato pesante è ovvio che esso non volerà veloce e leggiadro come una farfalla. Ne risultano scontri in cui la consapevolezza dei dintorni e la gestione degli stessi sono fondamentali per non subire troppi danni, tenendo conto del fatto che si hanno a disposizione solo tre kit di riparazione a missione (la cui efficacia può essere migliorata). Non si tratta di un aspetto tattico sempre presente, poiché la difficoltà delle missioni non è proibitiva e il giusto equipaggiamento può permettere di decimare le fila nemiche senza preoccuparsi troppo degli spostamenti, ci sono però casi in cui occorre prenderlo in considerazione. In generale, la maggiore mobilità è un aspetto graditissimo che dona agli scontri la giusta immersività limando le vecchie goffaggini. La caratteristica tuttavia migliore del gioco a nostro avviso è la presenza dell’SCA. L’indicatore in questione si riempie in base alla frequenza dei colpi inferti o ricevuti, a seconda che si parli del nemico o di noi, e una volta raggiunto il punto di rottura manda l’AC in stallo per breve tempo; sufficiente, tuttavia, a ribaltare la situazione. Come in Sekiro, l’indicatore si svuota se non si subiscono danni per diverso tempo ma la principale differenza è che “stordire” un nemico non è l’obiettivo: se il Lupo trovava forza, nonché la conclusione dello scontro, nello spezzare la guardia al nemico per mettere a segno il colpo di grazia, in Armored Core VI riempire l’indicatore SCA è una tattica fondamentale per portarsi in vantaggio, non per porre fine immediata a un combattimento. Essendo le armi a disposizione soggette a tempi di caricamento variabili, o a temporanee condizioni di surriscaldamento, è importante pianificare con estrema cura la rottura dell’SCA altrimenti il rischio è di trovarsi davanti a un nemico scoperto e non avere nessun’arma carica per riuscire a infliggere danni seri. Si configura dunque una maggiore necessità strategica, laddove in Sekiro era invece fondamentale mantenere una costante aggressività. In Armored Core VI occorre trovare il giusto bilanciamento tra le parti, poiché lo stordimento è sempre di breve durata, variabile a seconda del nemico, e persino un paio di secondi persi nel caricare le armi fanno la differenza. La questione non è dunque caricare a testa bassa scaricando tutta la potenza di fuoco a disposizione sul memico prima che apra il fuoco su di noi, ma prima di tutto scegliere se puntare sulla rottura dell’SCA e quindi armarsi di conseguenza; in secondo luogo essere sempre consapevoli dello stato del proprio equipaggiamento, così da non sprecare un’occasione che potrebbe non ripetersi. L’SCA infatti non è un indicatore semplice da riempire: ci sono armi più indicate così come nemici che lo ripristinano velocemente rispetto ad altri. Ognuno è a sé, motivo per cui bisogna capire se e in che modo occorre approfittarne, avendo in ogni caso un occhio di riguardo per il proprio: l’IA infatti non perde occasione per approfittarne, infliggendo un discreto quantitativo di danni qualora dovesse stordire il protagonista. Proprio grazie a tale sistema Armored Core è un titolo molto interessante e che spinge a dare sempre il meglio. Passando alle armi da fuoco, è necessario dire che non tutte si rivelano efficaci allo stesso contro i nemici. Ad esempio affrontare mezzi pesanti armati di magnum e mitragliette equivale a morte certa. Il fatto di poter equipaggiare quattro armi, due sulle spalle e due in mano, permette però di equipaggiarsi in modo da poter affrontare un po’ tutte le minacce. Questo è tendenzialmente il tipo di strategia che si adotta la prima volta in cui si affronta una missione, rifinendola poi una volta consapevoli di cosa bisogna affrontare. In generale, a prescindere da come si preferisce mettere a punto il proprio AC, è buona norma avere almeno un’arma per tipo e la ragione non può essere più semplice. From Software ha, per fortuna, deciso di non infierire fino in fondo inserendo la possibilità di ripartire da un punto di salvataggio nel caso si venga sconfitti, specialmente nelle boss fight, ma soprattutto di riassemblare il proprio AC: si tratta di un’opzione disponibile solo in caso di sconfitta e, se non si sta cercando di ambire al grado S, è da cogliere al volo per non dover ricominciare la missione da capo. Tuttavia, ed è logico, si può accedere unicamente all’assemblaggio dell’AC, non al negozio: ciò significa che se si è proprietari di un equipaggiamento migliore, esso può essere montato e si può riprovare lo scontro. Se invece i pezzi da sostituire non sono stati acquistati, è necessario abbandonare la missione, comprare ciò che serve e ricominciarla da capo. Sebbene a volte possa essere frustrante, non avendo alcuna idea di cosa ci sia in attesa a fine livello, giocare d’anticipo spendendo qualche soldo in più è sempre la scelta migliore. Fare in modo di accedere al negozio dopo una sconfitta sarebbe stato fin troppo semplice anche per uno studio diverso da From Software, la cui inclinazione a favorire i giocatori non è di casa. Nel complesso, tenendo in considerazione le critiche in merito alla telecamera e alla curva di difficoltà eccessiva nel corso della trama, una volta presa la mano il sistema di combattimento restituisce una piacevole sensazione di frenesia e di potenza.

Armored Core VI, oltre alla campagna offre anche una modalità multigiocatore PVP. In essa differentemente dalla modalità single player, l’enorme personalizzazione del proprio mecha assume tutto un altro spessore. Ogni giocatore delle due rispettive squadre, difatti, scende in campo con il suo mecha e questo da vita alla creazione delle più disparate build che asservano sia agli obiettivi individuali, che a quelli di squadra. Al momento, inoltre, tutto sembra molto ben bilanciato ma bisogna aspettare di vedere come si svilupperà il PVP non appena la maggior parte dei giocatori avrà accesso alla componentistica end-game. Attualmente, però, il multigiocatore competitivo di Armored Core VI risulta molto cavalleresco con un focus molto elevato sugli scontri 1V1 e con le azioni di squadra confinate ai momenti in cui è necessario sinergizzare le offensive per ottenere dei risultati efficaci. Dal punto di vista estetico Amored Core VI è davvero impressionante, non c’è che dire. Il colpo d’occhio offerto è sempre ottimo, le cinematiche sono ben confezionate e il motore di gioco risulta sfruttato a dovere. Abbiamo provato il titolo su Xbox Series X, in modalità performance, e non ho abbiamo ad alcun calo di frame rate. Artisticamente poi il titolo From Software è squisito e mostra chiaramente perché la software house nipponica, abbia aspettato di avere a disposizione i mezzi tecnici necessari per realizzare quello che aveva in mente da quasi dieci anni. Le ambientazioni reincarnano quella sensazione di solitudine, mista a malinconia, che da sempre accompagnano la serie. Spostarsi in aree desolate, che apparentemente sembrano semplici conformazioni metalliche in rovina, e notare solo successivamente che si tratta di palazzi abbandonati, oramai sommersi dalla sabbia o corrosi dal clima di Rubicon 3, è una sensazione tanto difficile da spiegare a parole, quanto capace di ammaliare quando si notano la moltitudine di piccoli dettagli disseminati qua e la dagli sviluppatori. Le dimensioni imponenti degli AC, e di tutte le altre tipologie di veicoli, vengono restituite da un notevole lavoro di level design, il quale sfrutta elementi della nostra vita quotidiana, come un banale traliccio della corrente, per far realizzare silenziosamente quanto gargantuesche siano le dimensioni del nostro mecha e di alcune delle minacce che andremo ad affrontare. Amored Core VI, infine, come da tradizione per le produzioni di FromSoftware distribuite da Bandai Namco, presenta la localizzazione in Italiano solamente per quanto concerne i testi, lasciando all’utente la possibilità di scegliere fra il doppiaggio originale in Giapponese o quello in Inglese. Tirando le somme, quest’ultimo esponente della saga ha tutte le carte in regola per diventare uno fra i titoli più apprezzati del momento. La grande versatilità dei mecha e la buona longevità fanno di questo titolo una vera chicca per gli amanti del genere, ma anche un ottimo punto di partenza per chi non ha mai messo piede a bordo di un AC.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9

Sonoro: 9

Gameplay: 8,5

Longevità: 9

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise

Continua a leggere
Commenta l'articolo

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Scienza e Tecnologia

Luigi’s Mansion 2 HD, il titolo icona del 3DS torna su Switch in alta definizione

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 5 minuti
image_pdfimage_print

Luigi’s Mansion 2 ritorna, a più di 10 anni dalla sua uscita originale su Nintendo 3DS, in versione rimasterizzata per Nintendo Switch. Questa nuova edizione in alta definizione del piccolo capolavoro del colosso nipponico offre l’opportunità di rivivere una delle avventure più amate del fratello di Mario, con una veste grafica rinnovata e alcune migliorie tecniche. Ma come si comporta questo titolo del 2013 nel panorama videoludico attuale? Analizziamo nel dettaglio questa riedizione per scoprire se il fascino di Cupavalle resiste ancora alla prova del tempo oppure è destinato a soccombere sotto il peso degli anni. Seguendo in modo abbastanza diretto dal primo episodio, uscito su Game Cube nel lontano 2001, Luigi’s Mansion 2 HD (al tempo Luigi’s Mansion 2 o Luigi’s Mansion Dark Moon negli Usa) catapulta i giocatori nuovamente nell’avventura con un incipit decisamente semplice: dopo la vittoria dell’idraulico in verde nel primo capitolo, i fantasmi si sono acquietati e vivono in serenità con gli umani, permettendo al Professor Strambic di continuare i suoi studi con grande efficienza. Un “misterioso intervento esterno”, però, distrugge e frammenta la pietra a forma di luna che teneva sotto controllo gli spiriti, mandandoli in agitazione e costringendo lo scienziato a chiedere il soccorso del miglior acchiappafantasmi in circolazione. Così in men che non si dica quel fifone di Luigi si trova nuovamente impegnato a catturare spettri con aspirapolvere alla mano e gambe tremolanti. Questa volta però non si troverà più in una sola, vasta, magione, ma dovrà spostarsi in differenti aree per recuperare i pezzi del cristallo, scoprire chi si nasconde dietro le quinte e ripristinare tutto alla normalità, assicurandosi che nessuno dei suoi amici sia finito nei guai. Il tutto è possibile grazie al genio di Strambic, che oltre a essere il massimo esperto di fantasmi è anche riuscito a sviluppare una tecnologia chiamata “pixeltrasporto”, in grado di muovere Luigi da una parte all’altra del mondo sfruttando schermi e telecamere come veicolo. Da qui inizia un’avventura tendenzialmente in linea con gli altri episodi, che vede il buon Luigi esplorare ogni angolo delle location da lui visitate alla ricerca di tesori, chiavi, fantasmi e segreti: insomma, tutto il necessario per proseguire di livello in livello e soddisfare le richieste di Strambic. Idealmente la progressione ricorda un po’ quella di un metroidvania, in quanto c’è la libertà di muoversi in aree tutto sommato limitate, da sbloccare di volta in volta, mentre vengono mostrati al tempo stesso tanti passaggi apparentemente inaccessibili, muri misteriosi che sembrano nascondere qualcosa, stanze prive di accesso o sistemi di controllo che sembrano non rispondere alle sollecitazioni di chi gioca.

Luigi questa volta avrà insomma un bel da fare dovendo ripuloire ben cinque magioni infestate nel tentativo di ricomporre la pietra a forma di Luna e domare gli ectoplasmi aiutato dal fido aspirapolvere Poltergust 5000, versione potenziata del modello 3000 comparso in Luigi’s Mansion, e da una torcia multifunzione. Sulla carta per avere la meglio basterebbe “sparaflashare” gli evanescenti invasori per poi pescarli con l’aspirapolvere assecondando i loro movimenti. Nella pratica, però, i dispettosi fantasmi faranno di tutto per vendere cara la melma ricorrendo a trucchetti, armature o alla forza bruta: tutte cose che costringeranno i giocatori a indebolirli, aggirarli o quant’altro prima di poter procedere con la cattura. Su 3DS, come accennato, queste meccaniche soffrivano un poco i limiti del sistema di controllo, ma qui sono una vera goduria e bastano davvero pochi minuti per prenderci la mano e farsi trascinare dalla moltitudine di interazioni escogitata da Next Level Games e Nintendo per spremere fino all’ultima goccia le possibilità del Poltergust 5000 e il pensiero laterale dei giocatori. Il Poltergust 5000 nasce per aspirare i fantasmi, OK, ma nulla vieta di invertire il flusso e/o sfruttarlo per sollevare tappeti, afferrare tende, tovaglie e in generale passare al setaccio le magioni infestate svelandone i vari segreti o espugnandone le ricchezze in modo da potenziare il proprio arsenale. Sempre grazie all’aspirapolvere si può, ad esempio, afferrare oggetti congelati e trasportarli fino alla fiamma più vicina, oppure gonfiare dei palloncini e creare una piccola mongolfiera per raggiungere aree altrimenti inaccessibili; e queste sono solo alcune delle tante interazioni possibili per sfruttare o aggirare i limiti fisici del gioco. La torcia a sua volta non si limita a rendere vulnerabili gli spiriti ma consente di attivare interruttori e meccanismi, mentre l’Arcobaluce – sorta di versione “mariesca” degli ultravioletti – è in grado di svelare porte e oggetti nascosti aggiungendo di fatto una dimensione extra all’avventura, obbligando così il giocatore a prestare particolare attenzione a tubi mancanti, zerbini e persino ai complementi d’arredo apparentemente asimmetrici. Attorno a queste dinamiche gli sviluppatori hanno costruito un sistema di enigmi incredibilmente sofisticato; le missioni inizialmente appaiono circoscritte, ma col procedere del gioco diventano sempre più elaborate facendo “esplodere” il level design delle singole magioni e servendo alcune delle boss fight più creative mai viste in un videogioco Nintendo. Di contro il cuore dell’esperienza resta la caccia, e anche sotto questo aspetto dopo le prime semplici battute è necessario ricorrere all’astuzia e a tutte le opportunità offerte dai propri strumenti, senza contare le occasionali disinfestazioni da ragni, piante carnivore e altre simpatiche creaturine che infestano le aree di gioco.

Se il titolo originale ha proposto una più che discreta esperienza portatile, in questa occasione è opportuno chiedersi se e quanto abbia giovato la transizione a una nuova piattaforma. La risposta è a nostro avviso: decisamente più performante ma meno “peculiare” rispetto alla piccola console portatile della grande N. A livello puramente visivo, nulla da dire: pur non raggiungendo le vette di Luigi’s Mansion 3, questa edizione HD del secondo capitolo risulta comunque molto curata, potendo godere di modelli e texture ricreati da zero e un impatto scenico dovuto al cambio di proporzioni dello schermo decisamente più efficace. Molto bene invece per quello che concerne il lato controlli, che tornano a contemplare l’utilizzo dell’analogico destro (assente su 3DS) per rendere più agile il movimento che su portatile risultava piuttosto sacrificato. Forse il cambiamento più importante che il gioco ha vissuto in positivo. Esplorazione e combattimenti risultano quindi più fluidi e divertenti, così come tutte le prove “speciali” che vedono variare il gameplay. Dove si paga lo scotto è nella trasposizione dell’esperienza “stereoscopica” originale: in particolare basta vedere i boss, comunque tuttora apprezzabili, per cogliere come la messinscena sia frutto di un design collegato allo speciale effetto visivo offerto dallo schermo superiore di Nintendo 3DS, risultando sacrificata, se non quasi banalizzata, quando riprodotta in modo tradizionale. E’ necessario, quando si parla di Luigi’s Mansion 2 HD evidenziare due note sulla longevità e il multigiocatore. Per quanto concerne la durata, il titolo si assesta sui livelli del terzo capitolo, quindi intorno alle 10/15 ore per una partita classica, salendo se si va alla ricerca del completismo, sebbene il tutto possa risultare un po’ allungato per via del continuo “vai e vieni” dovuto alla struttura a missioni. Per quanto riguarda il multigiocatore tocca constatare come il tutto sia in linea con il titolo d’origine, mancando quindi di una modalità storia cooperativa e limitandosi invece alla Torre del Caos in cui collaborare fino a 4 giocatori, in wireless locale o online, per superare le tante e appassionanti sfide proposte. Tirando le somme, poter tornare a giocare a Luigi’s Mansion 2 HD è sempre un piacere, soprattutto perché in termini di level design, struttura degli enigmi e gestione dell’arsenale è sicuramente il capitolo più interessante della serie, persino al netto del terzo. In più il salto in avanti per quanto riguarda il sistema di controllo offerto a suo tempo da 3DS rappresenta una vera benedizione, persino più gradita del passaggio all’alta definizione. Certo, aggiornare anche il sistema dei salvataggi sarebbe stato un gradito cambiamento, ma tutto sommato non possiamo lamentarci. Tuttavia tra gioco base, contenuti extra e tutte le cose da fare per completare il titolo al cento per cento, ci sarà da spassarsela davvero per molte ore.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8,5

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise

Continua a leggere

Scienza e Tecnologia

iPhone pieghevole nel 2027, un nuovo brevetto online fa esplodere i rumors

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura < 1 minuto
image_pdfimage_print

iPhone pieghevole? Tornano i rumors. Le ultime indiscrezioni arrivano proprio da un nuovo brevetto che Apple ha registrato negli Stati Uniti. Il lancio però dovrebbe avvenire tra qualche anno, non prima del 2027. Il nome del documento, ripreso dal sito Cnet, è “dispositivi elettronici con display pieghevoli durevoli”, depositato nel 2021 ma concesso il 16 luglio di quest’anno. Al suo interno, alcune soluzioni che la Mela potrebbe seguire per realizzare l’iPhone Flip, ossia un telefono che si chiude a conchiglia, come il recente Motorola Razr 50 Ultra. Il testo elenca in modo dettagliato la presenza delle varie componenti del prodotto, dalla batteria alla ricarica wireless, connettività Bluetooth e Wi-Fi, display led o lcd, microfoni e sensori capacitivi, tattili e così via. C’è un riferimento esplicito ad un display pieghevole di 180 gradi, o completamente piatto, in linea con le declinazioni attualmente sul mercato anche a marchio Samsung e Oppo. Se sembra alquanto certo che Apple stia esplorando la possibilità di lanciarsi nel mercato dei pieghevoli, più dubbi sussistono sulle tempistiche. L’analista Ross Young ha affermato che un modello del genere è stato posticipato ad almeno il 2025. Più o meno la stessa tempistica suggerita dall’analista esperto di Apple, Ming Chi Kuo, che ha ribadito la possibile finestra di presentazione. C’è chi va anche oltre: i ricercatori di TrendForce sottolineano che le rigorose procedure di controllo qualità di Cupertino e l’aumento nella richiesta di pannelli flessibili porterà l’azienda a concludere un primo lotto di disponibilità dell’iPhone Flip non prima del 2027, quanto Samsung sarà alla nona generazione di Galaxy Z Flip. Insomma, stando alle nuove indiscrezioni nel futuro degli smartphone della Mela il dispositivo pieghevole sembra essere presente. Non resta altro che aspettare per saperne di più.

F.P.L.

Continua a leggere

Scienza e Tecnologia

Elden Ring: Shadow of the Erdtree, molto più che una semplice espansione

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 4 minuti
image_pdfimage_print

Elden Ring: Shadow of the Erdtree è un’espansione enorme e sorprendente, che conferma la posizione di FromSoftware tra i migliori team di sviluppo in circolazione nel panorama videoludico contemporaneo. Il dlc (anche se chiamarlo così è riduttivo) è ovviamente disponibile su Pc, Xbox e PlayStation, quindi tutti coloro che hanno potuto giocare a Elden Ring (qui la nostra recensione), potranno cimentarsi in questa nuova avventura e proseguire il loro cammino. Ricordiamo a tutti coloro che sono interessati a intraprendere questo nuovo viaggio che per entrare nell’universo offerto da Shadow of the Erdtree è necessario aver ucciso Radahn e Mohg. Una volta fatto ciò si deve interagire col bozzolo di Miquella, parlando prima con un NPC che si troverà proprio lì davanti. Essendo una macro-area da visitare dopo l’endgame, il livello di difficoltà dei nemici al suo interno è piuttosto sostenuto. Questo vuol dire che provare a esplorare stando al di sotto di un livello medio che si aggira attorno al 140, o addirittura di parecchio inferiore, si va incontro alla morte anche coi nemici più insignificanti. Prendere sotto gamba il livello è un errore da non fare in quanto per chi volesse provare l’ebbrezza di addentrarsi nel “nuovo mondo”, l’impatto sarà assolutamente traumatico. Gli antagonisti sono capaci di uccidere con uno o due colpi e le zone più avanzate, assieme a quelle segrete e ai boss facoltativi, risultano quasi impossibili da completare. Eppure Elden Ring Shadow of the Erdtree, così come il gioco principale, non è mai scorretto col giocatore. Ovviamente il titolo impartirà dure lezioni ancora una volta, ma quando si inizierà a comprendere il gioco delle minacce che piagano la Terra delle Ombre, affrontare ogni ostacolo sarà fonte di assoluta soddisfazione. Differentemente da quanto i più possano pensare, l’aumento di livello non è la chiave per poter dominare sul campo di battaglia. Stavolta From Software ha applicato una sorta di sistema di potenziamento interno all’espansione che funziona grossomodo come i pezzi di maschera già visti in Sekiro. Va da sé che le reali differenze durante l’avanzamento, e soprattutto durante gli scontri coi boss, si notano solo raccogliendo i frammenti sparsi per la mappa di gioco, taluni ben nascosti o accessibili solo dopo alcune fasi di sbarramento. Una volta fermi ai Luoghi di Grazia, si potrà consultare il menù arricchito con una nuova voce che consente di migliorare in modo permanente alcune delle statistiche passive. Questa scelta adottata per Elden Ring Shadow of the Erdtree ha una duplice funzione: non rendere il contenuto troppo semplice anche per i veterani e obbligare i giocatori a esplorare davvero a fondo ogni angolo di mappa. L’esperta FromSoftware non ha però reso semplice l’accesso a tutte le aree, e in questa espansione si percepisce un senso della scoperta ancora più meraviglioso e sbalorditivo, reso tale da un design delle aree molto più articolato e complesso.

Il Regno delle Ombre è una mappa affascinante e con un design complesso e raffinato che conquista. Tuttavia è doveroso fare una menzione speciale ai dungeon/legacy, che presentano le medesime qualità. Anche qui il team di From Software è riuscito a creare livelli pieni di anfratti, percorsi alternativi, uscite, scorciatoie e connessioni all’interno di architetture colossali e uniche. Tra quelle esplorate ce ne sono due in particolare che abbiamo apprezzato. Autentiche opere di ingegneria studiate nei minimi dettagli: dalla disposizione dei nemici a quella delle sezioni interconnesse con una naturalezza disarmante. Un altro aspetto positivo positivo di Elden Ring: Shadow of the Erdtree riguarda la significativa riduzione del numero di mini-dungeon. Ora ce ne saranno di meno, ma più interessanti, elaborati e complessi. Spesso con meccaniche uniche e con boss sempre differenti, che garantiranno uno stimolo costante per quanto concerne l’esplorazione. Altro punto di forza della produzione sono i boss. In Elden Ring: Shadow of the Erdtree ce ne sono circa una decina, e sono tutti assolutamente straordinari sia per design che per le meccaniche di combattimento. E’ davvero sorprendente vedere come il team di From Software continui a sorprendere la sua fan base con creature così imponenti e ricche di personalità, capaci di proporre battaglie uniche, intense e sempre molto complesse da affromntare. Oltre a quanto detto, quest’espansione di Elden Ring ha un altro merito, ovvero: riuscire a sorprendere anche per il numero smodato di armi, talismani e magie aggiuntive, oggetti peraltro pensati per modificare sensibilmente lo stile di qualunque giocatore. Si vede chiaramente che l’intento di FromSoftware nella Terra delle Ombre è stato chiaramente uno solo: offrire un gran quantitativo di strumenti adatti a ogni genere di build, dotati di mosse e poteri così unici da spingere i giocatori a testarli anche se non necessariamente ottimali. E se da una parte alcune combinazioni del gioco base restano spettacolarmente efficaci e difficilmente sostituibili, riteniamo che FromSoftware abbia davvero trovato la chiave di volta qui, perché è stato praticamente impossibile non cambiare varie volte specializzazioni ed equipaggiamento dinanzi a certe novità. Ci sono ben otto categorie di armi del tutto nuove, e alcune di queste coprono delle mancanze significative del gioco base. A tutto ciò va anche sommato un discreto numero di ottime nuove stregonerie e un mix incredibile di incantesimi Il risultato finale? Un vero paradiso per chi ama sperimentare con statistiche ed equipaggiamento. Tirando le somme, questo Elden Ring: Shadow of the Erdtree è un’espansione incredibile, un lavoro di grande pregio che torna in parte alle origini dei souls, senza però tradire lo spirito del gioco base né abbandonare le caratteristiche che lo hanno fatto amare da così tanti giocatori. Si tratta di un lavoro impressionante, capace di stupire sia per il suo incredibile map design sia per la varietà delle novità introdotte. Impossibile, davanti a un’opera simile, non confermare il già notevole voto del gioco base. Impossibile lasciarselo sfuggire se avete amato il titolo originale.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9,5

Sonoro: 9,5

Gameplay: 9,5

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9,5

Francesco Pellegrino Lise

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti