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Editoriali

Anzianità: l'indifferenza e l'abbandono ai tempi del materialismo indotto

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Tempo di lettura 5 minuti L’aviatrice statunitense Amelia Earhart diceva: “Un solo atto di gentilezza mette le radici in tutte le direzioni, e le radici nascono e fanno nuovi alberi”.

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di Angelo Barraco
 
“La vita, la sventura, l'isolamento, l'abbandono, la povertà, sono campi di battaglia che hanno i loro eroi, eroi oscuri a volte più grandi degli eroi illustri” scrisse Victor Hugo nel 1862 ne “I Miserabili”. Un lapidario quadro prospettico  che descrive perfettamente i drammi esistenzialistici a cui è sottoposto costantemente l’essere umano –indipendentemente dal periodo storico- che mirano ad un crescente cambiamento culturale che  però genera una discrasia evidente tra principi evolutivi esistenzialistici basati sulla cultura e l’intento unico di valorizzare lo status simbolo di un paese che dell’arte e di un certo tipo di approccio alla vita ha fortificato la propria colonna vertebrale, dall’altro lato invece si contrappone un’evoluzione sociale di tipo materialista che scardina notevolmente il valore e il peso che la cultura dovrebbe avere, lasciando spazio invece alla più totale deframmentazione degli ideali che costituiscono l’emblema di un costrutto societario. Lo sviluppo industriale ha indotto la società odierna ad un impoverimento di valori etici e morali, riducendo all’osso quelli che sono i fattori compassionevoli e altruistici per far spazio al materialismo che funge da sedativo costante per l’amor proprio. Ci ritroviamo tutti giorni a leggere sui giornali brutte storie di violenze domestiche in cui l’annullamento costante della vita non è l’esatta conseguenza di un fattore Darwiniano che induce un soggetto a reagire a suo simile per spirito di sopravvivenza dinnanzi al pericolo che incombe ma la maggior parte delle volte è la becera dimostrazione di supremazia di un soggetto che esercita violenza gratuita nei confronti di un altro suo simile. Atteggiamenti che sono il frutto di una società che è lo specchio di un proletario status quo che forzatamente e volutamente viene imborghesito dai cattivi esempi  che imposti dai diversi canali di informazione e dai principi di classificazione mediante modelli volgarmente preposti e costantemente propinati e ostentati da mezzi d’informazione che non esitano a disinformare sui principi e sui valori che costituiscono lo sviluppo sociale. La società odierna dipinge dei modelli sociali e culturali spesso diseducativi dove l’informazione e l’educazione civica viene fuorviata dall’induzione al materialismo quale bisogno indispensabile e primario che viene posto al di sopra di ogni valore umano.  Le radici rappresentano l’elemento tramite il quale un albero rimane ancorato al suolo per molti anni e si fortifica, senza mai spostarsi di un millimetro e per tale ragione sono inamovibili. La nostra cultura è profondamente legata al concetto di radice come elemento di continuità che lega il passato con il presente, e laddove tale inoppugnabile fattore di continuità viene a mancare per volere di un’etica voluttuaria, insorgono inequivocabilmente le imperfezioni di una cultura che presuntuosamente ha cercato di evolversi tentando in vano di nascondere il passato sotto il tappeto, credendo invece di valorizzarsi attraverso il tecnicismo indotto dalla cultura che elargisce benessere attraverso il valore oggettivo. Tali elementi portano spesso gli individui a trascurare il prossimo, a denigrare il “vecchio” preferendo il nuovo e tutto ciò che rappresenta un ostacolo viene semplicemente accantonato, messo in angolo e abbandonato. Tale concetto è applicabile a diversi fattori che rappresentano la società odierna ma l’aspetto che oggi abbiamo deciso di analizzare è il costante problema degli anziani che vengono lasciati da soli in casa dai loro congiunti, senza nessuno che si occupi di loro e senza alcun margine di possibilità di scampare alla morte laddove l’oscura signora dal mantello nero faccia capolino. Storie che fanno riflettere e devono assolutamente scuotere le coscienze di tutti coloro che hanno deciso di sradicare una radice pensando che un albero possa crescere senza di essa, perché un albero, ricordiamoci, senza radici non cresce e i nostri cari meritano le dovute attenzioni, esattamente come quelle che ci hanno dato nel momento in cui siamo venuti al mondo.  Spesso però tale concetto viene sobbarcato dall’indifferenza di molti e tristemente ci si trova dinnanzi a storie in cui gli anziani rimangono da soli e muoiono senza qualcuno a loro fianco. Come dimenticale quanto accaduto a Verona nel settembre scorso, quando un anziano è stato trovato morto in casa con le mani legate e diverse ferite sul corpo, o l’uomo di Milano che lo scorso dicembre è morto nella sua casa in Via Degli Alpini e i Vigili hanno rinvenuto il suo cadavere carbonizzato. Storie di solitudine, di uomini e donne che per dinamiche avverse non sono riusciti a trovare la giusta via di fuga e/o non hanno avuto a loro fianco la persona giusta che li abbia aiutati nel momento opportuno. Come successo a Valdicastello Pietrasanta, dove un uomo di 93 anni è morto nella sua casa a seguito di un incendio. Un incendio che si sarebbe generato mentre l’uomo accendeva il caminetto., o come Reggio Emilia, dove un altro anziano è morto carbonizzato nel suo appartamento, ma il caso più eclatante è accaduto nel maggio scorso a Cagliari, dove il corpo di un uomo è stato rinvenuto cadavere nella sua casa dopo ben cinque anni. L’aviatrice statunitense Amelia Earhart diceva: “Un solo atto di gentilezza mette le radici in tutte le direzioni, e le radici nascono e fanno nuovi alberi”.
 
Il parere di Rossana Putignano Psicologa Clinica – Psicoterapeuta Psicoanalitica -Responsabile della Divisione Sud e della Divisione di Diagnosi Psicodiagnostica e Neuropsicologia Forense del CRIME ANALYSTS TEAM: “È inammissibile che nel XXI secolo ci siano ancora anziani abbandonati a se stessi. A volte mancano i figli oppure questi ultimi sono negligenti e poco grati verso i propri genitori, senza contare l'assenza completa dei servizi sociali. Per tali ragioni les plus âgés, sovente, balzano alla cronaca per le condizioni misere in cui giacciono. Il quadro è quello di case fatiscenti da 'real time', sepolti vivi dall'immondizia o dagli escrementi e umori di chi ormai ha perso la facoltà di intendere e di volere. Nel peggior dei casi, questi poveri anziani, vengono rinvenuti privi di vita, in stato di decomposizione dei corpi senza che nessuno avesse denunciato la loro scomparsa (come nel caso dell'anziano in provincia di Cagliari trovato deceduto nel maggio u.s. dopo 5 anni!!!). Comprensibili, forse, quelle situazioni in cui manca la famiglia, ma la comunità non ha giustificazioni di sorta. Infatti, si è perso quello spirito di solidarietà e di comunità degli anni '80 quando si andava in soccorso dal vicino. Troppo presi dai selfies e dal culto del bello per occuparci della povertà e di chi necessita di assistenza, ovvero del vecchietto della porta accanto. Il 'narcisismo secondario', di cui si parla spesso nei convegni di psicologia e psicoterapia, è il nuovo male del secolo. La depressione viene solo seconda. Questo egoismo cieco non permette di vedere al di là dei nostri bisogni e l'altro non esiste nella nostra mente. È terribile tutto ciò, per poi riscoprirci a natale tutti più buoni e solidali in un clima di completa ipocrisia, in primis verso noi stessi. Durante l'anno cosa abbiamo fatto? Ora è il periodo delle messe, di Telethon, di solidarietà verso le famiglie povere, della dispensa per i meno abbienti ma non dimentichiamo che questi anziani sono stati giovani e hanno cresciuto ed educato figli, hanno lavorato duramente e meritano di essere ripagati nella vita. Se la vita è ingiusta è colpa della nostra aridità, patologia sociale che un giorno potrebbe portare noi stessi in quello stato di abbandono. Nessuno di noi vorrebbe essere trovato morto dopo 5 anni, vero? Meditiamo gente e non solo a Natale. La conversione di 'Scrooge',  protagonista del celebre romanzo 'Carless wisper' di Charles Dickens e dell'omonimo cartone in 3d firmato Walt Disney, ne è un buonissimo esempio per grandi e piccini”.

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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