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ANGUILLARA: ECCO TUTTI GLI ERRORI DEL PARTITO DEMOCRATICO

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Tempo di lettura 4 minuti La debacle alle comunali del 5 giugno non è una sorpresa, ma la naturale conseguenza di scelte scellerate

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di Silvio Rossi

Anguillara (RM) – Nel 2009, dopo la caduta della giunta di Emiliano Minnucci, e il semestre guidato dal Commissario Prefettizio, il Partito Democratico di Anguillara sembrava al collasso, tanto da aver candidato una persona a sindaco su cui non credeva. Un professionista, Antonio Di Gioia, del quale dal punto di vista umano non si può eccepire nulla, ma che non aveva certo l’immagine del leader.

Bastava osservarne i manifesti elettorali, e il riferimento con il confronto TV alle presidenziali americane del 1960 veniva spontaneo. Un’immagine che appariva per certi versi trasandata, come la ricrescita della barba e proprio come avvenne a Nixon quando fu sconfitto da Kennedy, erano sintomi indicativi di come le comunali del 2009 fossero giocate da parte del centrosinistra sulla difensiva. Di Gioia non era un candidato sindaco, ma un agnello sacrificale da consegnare all’altare delle urne, convinti che la vittoria non sarebbe scaturita dai seggi, ma dall’aula del Tribunale cui era stata consegnata la denuncia di incompatibilità del neo primo cittadino Antonio Pizzigallo.

Occorreva a quel punto lanciare basi nuove, creare un progetto politico, rifondare il partito. Bisognava ridare fiducia a quel popolo di riferimento che doveva accorrere alle urne per sostenerne il progetto politico. E l’occasione non tardò a presentarsi: due anni dopo la disfatta, grazie all’incompatibilità del sindaco, e alle sentenze della Magistratura, Anguillara tornò di nuovo al voto.

Una occasione buona per ripartire, con un centrodestra spaccato, grazie alla scelta effettuata da Pizzigallo di correre da solo, e l’immagine dell’amministrazione uscente che risentiva della decadenza della passata giunta. Un favore ricevuto dal centrodestra, che permise a Francesco Pizzorno, candidato a sindaco espresso dal locale PD, di riuscire a conquistare il comune pur avendo una percentuale inferiore al 40% dei voti.

Un risultato che non avrebbe dovuto far dormire sugli allori. Con poco più di quattromila voti si può vincere in caso di fortunate coincidenze e l’elezione a turno unico, ma ben sapendo che la prossima consultazione sarebbe stata col sistema elettorale del doppio turno, previsto per i comuni oltre i 15.000 abitanti, sarebbe stato opportuno lavorare per estendere il bacino elettorale.

Il partito avrebbe dovuto, a questo punto, supportare l’amministrazione, fare da pungolo per renderne migliore l’azione, creare una massa critica, compenetrarsi con quella società civile, dalla quale ha invece ritenuto opportuno tenersi alla larga. Un partito, a livello locale, che è stato impegnato, in questi anni, non tanto a creare un’osmosi con i cittadini, con le associazioni, ma al costante e continuo controllo tra le due componenti interne, sempre in perenne lotta tra loro.

Un partito che riesce a mobilitare le masse solo per sostenere le lotte interne, prova ne è che, mentre alle primarie del 20 marzo scorso, i votanti sono stati circa millenovecento, domenica 5 giugno sono stati solo 1608, e se anche dovessimo contare tutti i voti assegnati al candidato sindaco, questi non raggiungono neanche una volta e mezza il numero di persone mobilitate dalle due fazioni per sconfiggere il nemico interno.

Un numero particolarmente basso. Basti considerare che a Roma i sostenitori di Giachetti alle comunali sono stati sei volte quanti hanno votato alle primarie (la totalità dei votanti alle primarie), proporzione simile anche a Milano, a Napoli circa tre volte e mezzo (e quello partenopeo è stato un risultato deludente domenica scorsa).

Un partito dove la tattica conta più della strategia, non può andare lontano, e non andrà lontano finché sarà guidato da chi, invece di ricercare la maggiore coesione, spende le sue energie per sopravanzare la componente “nemica”. Non si possono ottenere risultati se invece di valorizzare le persone di competenza che vogliono mettersi a disposizione, ci si ostina a scegliere la classe dirigente esclusivamente in base alla fedeltà al proprio capobastone.

Se scendere sotto al risultato del 2009, con poco più di tremila voti e una percentuale poco inferiore al 30% sembrava il punto più basso ed era difficile peggiorare questo dato, grazie alla cieca visione della società che lo circondava, l’attuale dirigenza del partito è riuscita in questa impresa. Hanno fatto di tutto per riuscirci. Lasciando un’amministrazione silente che non è mai riuscita a valorizzare quel poco di buono che ha realizzato, nominando i segretari del partito senza un piano condiviso, ma solo in seguito di un braccio di ferro per dimostrare all’altra componente di “avercelo più duro”, candidando a sindaco chi nei quinquennio precedente ha ricoperto il ruolo di assessore all’evanescenza, che ha scoperto il marketing territoriale solo a poche settimane dalle elezioni, illuminato da chissà quale visione superiore.

Il non raggiungimento del ballottaggio non coglie di sorpresa l’osservatore attento. Non è colpa di un voto di protesta. Non era certo imprevedibile. È la naturale conseguenza di tutte le scelte scellerate effettuate dal locale circolo da alcuni anni a questa parte. In seguito a questo risultato, se segretario e consiglieri hanno un minimo di dignità, dovrebbero dimettersi dal ruolo, e farsi da parte. Ma considerato che in molti casi le loro scelte sembrano eterodirette, non accadrà nulla.

L’unica soluzione, a questo punto, può arrivare solo dall’alto. Il commissariamento del circolo diventa imprescindibile. Solo una persona che viene da fuori, che abbia una visione politica più lungimirante dei signorsì locali, può salvare quel poco che rimane. Probabilmente sarebbe stato opportuno che questa soluzione fosse stata adottata già in passato. Forse se Fabrizio Barca, invece di concentrarsi solo sulle sezioni della capitale, avesse potuto estendere la sua azione anche in provincia, il risultato di Anguillara sarebbe stato diverso, e non sarebbe stato il solo nel territorio sabatino.

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Costume e Società

Il magico Maestro della Pizza a Fregene: un tributo di Francesco Tagliente a un pizzaiolo straordinario

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Il Prefetto Francesco Tagliente ha recentemente condiviso sulla sua pagina Facebook una commovente testimonianza, raccontando l’incredibile esperienza culinaria vissuta al ristorante Back Flip Da Moisè di Fregene. Questo racconto non è solo un omaggio a una pizza straordinaria, ma anche un tributo a Michelangelo, il pizzaiolo settantaquattrenne la cui dedizione e passione hanno trasformato un semplice piatto in un’opera d’arte.

Seduto al ristorante con sua moglie Maria Teresa, Tagliente ha descritto la pizza come “la migliore che abbia mangiato negli ultimi cinquant’anni”. Tuttavia, ciò che ha reso questa esperienza davvero speciale è stata la scoperta della storia dell’uomo dietro la pizza. Michelangelo, un ex contadino che si sveglia ogni mattina all’alba per curare il suo orto, dedica le prime ore del giorno alla coltivazione delle piante e alla cura della famiglia. Solo dopo queste attività, si prepara per andare al ristorante e mettere tutto se stesso nella preparazione della pizza.

L’Arte di Michelangelo: Tradizione e Passione

Michelangelo non è solo un pizzaiolo, ma un vero e proprio maestro dell’arte culinaria. La sua vita semplice e laboriosa, fatta di dedizione e umiltà, è un esempio di come l’amore per il proprio lavoro possa trasformare un piatto comune in un’esperienza indimenticabile. La sua capacità di fondere la tradizione contadina con la sapienza artigianale nella preparazione della pizza è un’arte rara e preziosa.

Tagliente ha scritto: “La dedizione e l’umiltà di quest’uomo, che dalla vita contadina riesce a creare una delle migliori pizze che abbia mai assaggiato, mi hanno colpito profondamente. Il suo nome rimane anonimo, ma la sua storia di passione e impegno è qualcosa che merita di essere raccontata.”

L’Umanità di Francesco Tagliente

Il racconto del Prefetto Tagliente non solo mette in luce le straordinarie qualità culinarie di Michelangelo, ma riflette anche le qualità umane dello stesso Tagliente. Conosciuto per la sua sensibilità e il suo impegno sociale, Tagliente ha sempre dimostrato un profondo rispetto per le storie di vita quotidiana e per le persone che con il loro lavoro contribuiscono a rendere speciale ogni momento.

La sua capacità di cogliere e apprezzare la bellezza nascosta nei gesti quotidiani e nelle storie semplici rivela un’anima attenta e sensibile, sempre pronta a riconoscere il valore degli altri. Il tributo a Michelangelo è un’ulteriore testimonianza della sua umanità e del suo desiderio di dare voce a chi, con passione e dedizione, arricchisce la vita di chi lo circonda.

Un Esempio di Vita

La storia di Michelangelo, come raccontata da Tagliente, è un potente promemoria di come la passione e l’impegno possano elevare il lavoro quotidiano a forme d’arte. “La sua pizza è un capolavoro che continuerà a risuonare nei miei ricordi, così come la sua storia di dedizione e umiltà,” ha scritto Tagliente, riconoscendo il valore di un uomo che, nonostante l’età e la fatica, continua a regalare momenti di gioia e piacere attraverso la sua cucina.

Questo tributo non è solo un omaggio a un pizzaiolo straordinario, ma anche un invito a riflettere sull’importanza del lavoro fatto con passione e amore. Grazie, Michelangelo, per averci mostrato che dietro ogni grande piatto c’è una grande storia, fatta di lavoro, passione e amore per la semplicità. E grazie, Francesco Tagliente, per aver condiviso con noi questa storia ispiratrice, ricordandoci di apprezzare le piccole grandi cose della vita.

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Roma

Roma, maxi-rissa metro Barberini. Riccardi (Udc): “Occorrono misure decisive”

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Dopo l’ennesima maxi-rissa tra bande di borseggiatori che ha portato alla chiusura della stazione metro di piazza Barberini provocando, tra l’altro panico e paura tra i cittadini romani ed i tanti turisti presenti in città, la politica della Capitale non tarda a far sentire la sua voce.
“Questa ennesima manifestazione di violenza e illegalità non può più essere tollerata. Richiamo con forza il Governo ad un intervento deciso e definitivo. È inaccettabile che i borseggiatori, anche se catturati, possano tornare ad operare impuniti a causa di leggi troppo permissive, che li rimettono in libertà quasi immediatamente.
L’Italia è diventata lo zimbello del mondo a causa di questa situazione insostenibile.
È necessario adottare misure più severe e immediate per garantire la sicurezza dei cittadini e dei turisti. Proponiamo una revisione delle leggi esistenti per introdurre pene più dure e certe per i borseggiatori, rafforzare la presenza delle forze dell’ordine nei punti critici della città e migliorare la sorveglianza con l’uso di tecnologie avanzate”
.

il commissario romano UdC, Roberto Riccardi

A dichiararlo con decisione è Roberto Riccardi, commissario romano dell’UdC.
Da sempre attento ai problemi sulla sicurezza Riccardi fa notare con estrema chiarezza che tali situazioni non fanno altro che portare un’immagine della capitale sempre meno sicura agli occhi dei molti turisti che sono, per la capitale, una fonte di ricchezza economica oltre che di prestigio.
La fermata della Metro A Barberini a Roma è stata teatro di una maxi-rissa tra bande di borseggiatori sudamericani, che ha richiesto l’intervento delle forze dell’ordine e il blocco della stazione per circa 40 minuti. La violenza è scoppiata a seguito di una serie di furti e scippi ai danni dei passeggeri.
Riccardi ha poi concluso: “Non possiamo permettere che episodi come quello avvenuto alla Metro Barberini si ripetano. È ora di passare dalle parole ai fatti, con azioni concrete che ripristinino l’ordine e la sicurezza nelle nostre città. I cittadini hanno il diritto di vivere in un Paese sicuro e il dovere del Governo è garantirlo”.
Molti cittadini ci scrivono ogni giorno preoccupati da questa escalation di violenza e di insicurezza ma soprattutto preoccupati per la poca attenzione che il governo cittadino e quello nazionale stanno avendo nei riguardi di questa situazione ormai alla deriva.

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Cronaca

Roma, metro Barberini: una rissa provoca la chiusura della stazione

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Tragiche le notizie che arrivano in un torrido sabato sera romano.
La stazione metro Barberini viene chiusa per questioni di sicurezza.
All’origine del fatto, avvenuto tra le 19 e le 19,30 una rissa tra nord africani e sudamericani con almeno 15 persone coinvolte. Molti passeggeri spaventati dalla situazione si sono rifugiati nella cabina del conducente fino all’arrivo delle forze di polizia allertate dalla centrale di sicurezza di Atac Metro.
Per ora sono ancora tutti da decifrare i motivi che hanno portato a ciò.

Un’estate romana che sta diventando ogni giorno più bollente.

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