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di Maurizio Costa
Sono almeno 60 i giornalisti morti in territori di guerra nel 2014. Il dato è stato fornito dal Comitato per la Protezione dei Giornalisti. Un quarto di loro sono corrispondenti internazionali, ma quelli che rischiano di più sono i freelance che lavorano localmente, meno protetti e meno rinomati.
Rispetto all'anno precedente, il numero dei giornalisti morti in zone di guerra è diminuito di 70 unità, ma le cifre degli ultimi tre anni sono le più alte dal 1992, anno in cui il comitato ha iniziato le sue attività.
Tra tutti i conflitti che hanno caratterizzato quest'anno, il più pericoloso per la categoria dei giornalisti è stato quello in Siria, che ha causato ben 17 morti tra freelance e corrispondenti di guerra. Dall'inizio dei combattimenti, i giornalisti uccisi sono addirittura 79. In Siria sono avvenute le due uccisioni da parte dell'Isis di James Foley e Steven Sotloff, freelance decapitati brutalmente davanti alle telecamere dell'autoproclamato califfato islamico.
Anche il conflitto in Ucraina tra separatisti filorussi e governo statale ha causato 5 vittime tra i giornalisti. Molti di loro sono stati uccisi per sbaglio, ma il confine tra volontà e casualità è molto sottile durante una guerra.
I cinquanta giorni di guerra tra Israele e Palestina nella Striscia di Gaza hanno provocato la morte di 4 corrispondenti e di tre operatori dei media internazionali. Anche conflitti meno famosi, avvenuti in Paraguay e in Myanmar, hanno causato la morte di alcuni freelance.
Gli addetti della stampa, in zone di guerra, sono sempre provvisti di casacche che contraddistinguono i giornalisti dai civili, ma questo sembra non bastare per salvare la vita di alcune persone che stanno solamente svolgendo il loro lavoro. Senza contare che anche l'ebola ha causato la morte di tre giornalisti in Guinea.
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