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di Chiara Rai
Albano Laziale (RM) – Tutti i sacramenti celebrati nella “Fraternità San Pio X di Albano” sono nulli. Tuona il vescovo della diocesi di Albano Marcello Semeraro, al quale non vanno giù le messe in latino che i lefebvriani continuano a celebrare nella sua diocesi nonostante il veto della curia e la lettera ai vescovi di Papa Benedetto XVI nel 2009 per mezzo della quale ha ribadito che “la Fraternità non ha alcun stato canonico nella Chiesa e i suoi ministri – scriveva il Papa emerito – non esercitano in modo legittimo alcun ministero della Chiesa”.
Ancora al centro di polemiche dunque, il sito di San Pio X dove un anno fa, di questo mese, venivano celebrati i funerali dell’ex capitano delle SS Erich Priebke che nessuno si era reso disponibile ad officiare. Frequentare le messe in latino dei lefebvriani secondo Semeraro equivale ad interrompere la comunione con la chiesa cattolica, perché da quanto si evince dalla dura notificazione di Semeraro rivolta ai parroci, da parte della Fraternità vi sarebbe una semplificazione o almeno differente procedura verso la ricezione dei sacramenti come le comunioni e cresime che di fatto, per la chiesa cattolica devono essere traguardi conseguiti a seguito di “percorsi formativi per la maturazione della vita di fede”.
In pratica i lefebvriani sembrano essere tacciati di sottrarre fedeli alla diocesi con condotte già condannate in passato. Di tutta risposta la Fraternità non arretra di un passo e, oltre a ribadire che la stessa Santa Sede non ritiene più fuori dalla comunione nemmeno i vescovi della medesima Fraternità, va avanti non curandosi delle parole di Semeraro. Anzi i lefebvriani evidenziano tra l’altro come lo stesso vescovo apra ai “cristiani omossessuali” mentre per la loro Fraternità c’è soltanto una evidente chiusura. Continua dunque un braccio di ferro iniziato negli anni di piombo. L’ istituzione tradizionalista lefebvriana fondata negli anni Settanta vede come “ribelle” il vescovo Marcel Lefebvre, prima sospeso a divinis per aver disatteso al rinnovamento conciliare perché sfidò pubblicamente il Vaticano celebrando la messa in latino quando era proibito e poi scomunicato alla fine degli anni 80 insieme ad altri quattro vescovi da lui illecitamente consacrati senza l'assenso del Papa.
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