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Il tempo cancella la memoria, dice un vecchio detto popolare. Probabilmente questa è stata la convinzione che ha guidato Emanuele Filiberto, quando a seguito del ritorno in Italia dei resti di Vittorio Emanuele II e della consorte, la regina Elena di Montenegro, si è dichiarato insoddisfatto della destinazione scelta, il santuario di Vicoforte, in provincia di Cuneo. Il desiderio del rampollo di casa Savoia era quello di vedere le spoglie dei propri bisnonni in quello che è diventato il massimo sacrario dello Stato Italiano, il Pantheon, che ospita già i feretri dei primi due re d’Italia, Vittorio Emanuele II e Umberto I, rispettivamente nonno e padre dell’ex sovrano che, fino all’altro giorno era sepolto ad Alessandria d’Egitto, città dove morì nel 1947.
Forse il discendente della famiglia Savoia, prima di esternare tali dichiarazioni, avrebbe fatto bene a valutare quale fosse stata la considerazione che il suo progenitore ha lasciato nell’opinione degli italiani. Re “sciaboletta”, come era chiamato per via della sua bassa statura non ha certamente lasciato una buona impressione nei suoi ex sudditi. La fuga a Brindisi, il giorno dopo l’armistizio nel settembre 1943, è stato solo l’ultimo episodio che ha minato irrimediabilmente la reputazione dell’ex re.
Non possiamo esimerci dal ricordare, tra le colpe di Vittorio Emanuele III, quella di non aver minimamente compreso il fenomeno fascista, tanto da aver di fatto provocato le dimissioni del governo Facta che spianò la strada a Mussolini, di aver, per pavidità (come afferma lo storico Mauro Canali) avallato tutte le decisioni del duce, fino alla promulgazione delle leggi razziali del 1938 e dell’entrata in guerra a fianco dell’alleato tedesco.
Non si vuole dire qui che la salma del re non avrebbe dovuto tornare nel suolo italiano, così come hanno chiesto le comunità ebraiche. Se ha diritto a restare nel suolo italiano, nel cimitero di Predappio, colui che fu il maggiore artefice degli scempi compiuti, non appare necessario tanto ostracismo nei confronti di chi è stato solamente un pigro notaio delle decisioni mussoliniane.
Tumularlo però al Pantheon non avrebbe certamente elevato la memoria del sovrano al rango di benemerito della Patria. Al contrario, avrebbe rischiato di appannare i meriti dei suoi predecessori, meriti che peraltro non trovano concordi gli storici. Seppellirlo in una basilica della provincia piemontese non lede certamente l’immagine di Casa Savoia. Tutt’al più ha il merito di salvaguardare la parte migliore della famiglia, evitando di contagiare il nome sabaudo col germe delle colpe dell’ultimo regnante.
Silvio Rossi
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