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7 anni faon
Una vecchia saggezza contadina sintetizza, più di mille simposi, il concetto che si intende esprimere con questo breve scritto. Diceva il detto popolare: “Non tagliare il ramo su cui sei seduto”.
Il concetto è di una tale saggezza, oltre che ovvietà, che la sua semplicità viene snobbata dai burocrati della politica e da tanti studiosi impegnati in convegni persino anche in quelli di altissimo spessore. Ci fu un accenno a questo saggio del “ramo tagliato” quando si discuteva il concetto di economia di montagna e in un breve passaggio, trattando “lo sviluppo sostenibile” si è molto discusso di fare economia del taglio dei boschi, studiare il rimboschimento ed altri argomenti inerenti all’industria del legno e ai fattori ecologici di protezione del territorio. Discussioni validissime, andavano fatte e si è fatto bene a sollevarle, però, la filosofia di quel detto popolare è più profonda e non può essere incamiciata esclusivamente nell’argomento “sviluppo sostenibile” come si era inteso in quel convegno.
Qualcuno può domandarsi: che c’entra il ramo tagliato dell’albero con la crisi occupazionale? A parere di chi scrive c’entra e qui si cerca di dare una spiegazione. Quel ramo segato e bruciato è la causa prima della crisi. Se si vuole considerare l’albero in un paese come il simbolo della crescita, della produzione, della vita sociale, non si può non pensare ai suoi rami raffiguranti le varie imprese e le imprese non sono altro che l’espressione dei mestieri, dell’artigianato. Ad ogni ramo corrispondeva un mestiere che è stato reciso, bruciato oppure si è assisto forsennatamente e passivamente al suo esportare in altri paesi. Non è scopo di questo scritto suscitare nostalgie per la sparizione delle attività dell’acquaiolo, del lattaio, del venditore di ghiaccio, che ogni giorno attraversavano il centro cittadino per soddisfare le primarie necessità dei residenti, tutte attività sorpassate dai tempi e dal progresso.
Altri mestieri invece sono stati fagocitati dall’industrializzazione e dalla globalizzazione non essendo più remuneranti, rendendo iniquo l’impegno del lavoro altamente specializzato e così si è assistito alla scomparsa dei numerosi artigiani che svolgevano le loro attività insegnandole successivamente ai volenterosi apprendisti. Fra questi si trova la sparizione del bottaio, del ramaio, dello stagnaro, del falegname, dell’idraulico, del fabbro, del sarto, del calzolaio, dell’elettricista e tanti altri.
E’ stato fagocitato dalla globalizzazione anche l’artigianato femminile come le cappellerie, le lavanderie, le materassaie, le ricamatrici, le tessitrici e tanti e tanti altri artigianati. Tutte queste attività oggi sono state assorbite dall’industria dell’“usa e getta” ed il lavorato è concentrato nelle mani delle multinazionali che lo mettono sul mercato come prodotto già finito a disposizione della clientela con il metodo “self service”.
Sono tutti rami tagliati dall’albero della produzione che significa la perdita di tanti mestieri e per conseguenza tante persone a spasso intorno al tronco dell’albero spogliato.
Ad aggravare la situazione c’entra anche la preparazione scolastica ed universitaria. Non si deve avere paura di dire che a tanti giovani d’oggi manca la voglia oppure sono mal disposti ai lavori manuali-usuranti. Molti sono attratti dalle luci dello spettacolo e sognano carriere da cantanti, da veline, da ballerine, da segretarie oppure, molto gettonata, una carriera nel mondo dell’informatica.
Encomiabile l’iniziativa di certi licei che effettuano “l’alternanza scuola lavoro”. Perché non si risolverà la crisi occupazionale con slogan roboanti ed altisonanti di provenienza estera come “internet marketing”, “car sharing”, “accountability”, “start up”,“sharing economy” e l’industria 4.0 su cui il governo investe 13 miliardi. Quest’ultima molto comunemente la possiamo definire come la produzione industriale del tutto automatizzata e interconnessa. Ancora ci piacerebbe vedere quanti posti di lavoro abbia prodotto. Fa veramente piacere leggere, con vera soddisfazione, che ancora c’è chi crede che i rami dell’albero non dovrebbero essere mai tagliati. Al contrario andrebbero curati e fatti prosperare. E’ ciò che fanno ancora con successo alcuni artigiani come, per esempio, il laboratorio dei mestieri perduti di Sauro Alberto Manchia a Trevignano di Roma. Ci si augura che nuovi laboratori sorgano nuovamente per rinvigorire l’albero dell’occupazione, dando nuova vita ai mestieri, linfa ai rami, che irrobustiti raffredderebbero la crisi occupazionale che incombe sul paese.
Emanuel Galea
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