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Cronaca

Strage di Erba, riapertura del caso: il 21 novembre l’incidente probatorio

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Il prossimo 21 novembre, davanti alla Corte d’appello di Brescia, si terrà l’incidente probatorio su alcuni reperti mai analizzati da cui potrebbero arrivare novità riguardo la posizione di Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati all’ergastolo per la strage di Erba in cui furono uccise quattro persone, tra cui un bambino di due anni, e una quinta rimase gravemente ferita. Si tratta di accertamenti su formazioni pilifere, un accendino, un mazzo di chiavi mai analizzati che potrebbero portare a una richiesta di revisione del processo. All’udienza davanti alla Corte d’appello di Brescia per l’incidente probatorio su alcuni reperti mai analizzati sulla scena del delitto della strage di Erba sono invitati a comparire anche Olindo Romano e Rosa Bazzi. “Non so ancora se riterranno di partecipare”, ha detto uno dei loro legali, Fabio Schembri, il quale ha aggiunto che l’esito di questi accertamenti “sarà molto importante” per decidere se presentare la richiesta di revi-sione del processo la quale è ammissibile in presenza di nuovo elementi che potreb-bero comportare l’assoluzione. L’avviso di fissazione dell’udienza è firmato dal presi-dente della Corte d’assise d’appello di Brescia, Enrico Fischetti, lo stesso che si è occu-pato del processo di secondo grado a Massimo Bossetti, per il quale è stato confermato l’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio.

 

Le due ipotesi iniziali Undici anni fa, era l’11 dicembre del 2006, all’indomani della strage di Erba due le ipotesi iniziali degli investigatori e due le piste seguite per cercare di risalire agli autori di quella terribile carneficina in cui fu trucidato anche un bimbo di appena due anni, Youssef Marzouk. Una pista era quella della vendet-ta trasversale, maturata negli ambienti criminali dello spaccio di sostanze stupefacenti, attività a cui si dedicavano Azouz e i suoi parenti; l’altra era quella familiare, legata ai Castagna. I carabinieri di Como si stavano occupando dei conflitti esistenti all’interno della famiglia di Raffaella, sorti a seguito dell’ingresso in famiglia di Azouz, extracomunitario e spacciatore. Questi dissidi si erano ulteriormente acuiti di recente a causa della scarcerazione di Marzouk e dell’annuncio da parte di Raffaella ai suoi familiari dell’intenzione di trasferirsi in Tunisia nel giro di poche settimane per avviare nel Paese natale del marito un’attività imprenditoriale. Risulta sempre dagli atti che Raffaella chiese alla sua famiglia ingenti somme di denaro per poter realizzare questo progetto, suscitando l’ira dei parenti. Unico anello di congiunzione tra Raffaella e la sua famiglia era rappresentato dalla signora Galli, moglie di Carlo Castagna e madre di Raffaella, anche lei vittima della strage, che fungeva da paciere e che era ben disposta ad aiutare la figlia.
Tra i numerosi testi non ammessi dalla Corte di Assise figura anche la mamma di Azouz, Ferichici Ep Marzouk Souad, costituitasi parte civile, la quale riteneva che il delitto si potesse ricondurre ai turbo-lenti rapporti familiari all’interno della famiglia Castagna e che il suo autore fosse uno dei fratelli di Raffaella. Ma Ferichici non fu ammessa come teste, nonostante fosse la nonna di una delle vittime.

A portare gli inquirenti ad investigare su questa pista soprattutto altri pesanti indizi oltre ai conflitti familiari: Il tunisino Chemcoum Ben Brahim riferì ai carabinieri di Erba di avere visto la sera della strage, mentre la palazzina bruciava, tre individui in piazza del Mercato – davanti alla corte in cui avvennero gli omicidi – e che uno dei tre individui era una persona che aveva rivisto in caserma quella stessa sera. Chemcoum individua questa persona in Pietro Castagna, fratello di Raffaella. Le dichiarazioni dettagliate del tunisino trovavano riscontro in quelle di Fabrizio Manzeni, residente in via Diaz, anche lui sentito la sera della strage. Manzeni, essendosi affacciato alle ore 20:20 al balcone posto davanti all’abitazione di Raffaella, vide due individui, presumibilmente extracomunitari (come Frigerio stesso descrisse in un primo momento il suo aggressore) più un terzo individuo che si dirigeva verso i primi due, proprio in piazza Mercato. Ma anche Manzeni è uno di quei testi revocato immotivatamente dalla Corte di Assise, dunque non fu sentito in dibattimento.

Entrambe le piste iniziali vennero però abbandonate dagli investigatori di fronte alla sola intuizione del luogotenente dei carabinieri di Erba, Gallorini, che si convince di leggere nello sguardo stranito di Olindo la sua colpevolezza. E fu lo stesso luogotenente a decidere di non inviare subito all’Autorità giudiziaria le importanti dichiarazione rese da Chemcoum, bensì solo dopo le confessioni dei coniugi Romano.

 

Alla luce di tutto questo le indagini sulla strage di Erba ebbero fin dall’inizio un’unica direzione. Lo stesso gip che ha convalidato il fermo e applicato la custodia cautelare in carcere subito dopo le confessioni non conosceva le dichiarazioni di Chemcoum, che escludono la responsabilità dei coniugi Romano, né che Frigerio avesse indicato come suo aggressore un soggetto a lui sconosciuto e dalle fattezze tipiche da nordafricano, né sapeva che vi era un’intercettazione ambientale tra i coniugi disposta presso il carcere e che, proprio prima di confessare, Olindo spiegava a Rosa il motivo per il quale aveva deciso di confessare anche se non erano stati loro a compiere la strage: ossia l’impossibilità di vivere lontano dalla donna che amava.

 

Anche altri importanti elementi vengono accantonati: la mancanza di un alibi da parte di Pietro Castagna, il quale afferma di essere rientrato a casa tra le 20 e le 20:30, mentre il padre, Carlo Castagna dichiara che il figlio rientra a casa solo alle 22 con la Panda della madre, salvo poi modificare entrambi in fase di dibattimento queste dichiarazioni verbalizzate in corso di indagine, specificando Carlo Castagna che il figlio rientrò alle 21 e specificando Pietro di non essere solo, bensì in compagnia di un amico; la presenza di un guanto in lattice di colore verde sulla scena del crimine, vicino al corpo di Youssef. Tale guanto fu repertato dal Ris di Parma ed analizzato all’esterno, dove fu rinvenuto il Dna del bambino.

 

L’interno del guanto però non fu mai analizzato. Si parlò tanto del guanto in presenza dello stesso Castagna, il quale però si decise a dirne qualcosa solo dopo che Il Giornale del 3 dicembre del 2007 pubblicò la foto del guanto, così il 4 dicembre, un anno dopo la strage, Castagna si recò dai carabinieri di Erba per rendere dichiarazioni spontanee a Gallorini: “Il guanto di cui si parla è del tipo usato da me, nella mia azienda. È un guanto di colore verde in lattice, che usiamo io, i miei figli ed anche gli operai della mia azienda di falegnameria. Un giorno prima dell’evento, io rientrai in casa, con la vestaglia da lavoro e con i guanti in lattice nelle mani, guanti che tolsi in abitazione. Presente in casa era il piccolo Youssef, il quale prese i guanti per giocare e si portò a casa sua i guanti”. Castagna dirà poi durante il dibattimento di non avere dato al bambino i guanti che si era tolto, bensì altri guanti che aveva in tasca. Fu sentito anche Azouz che escluse la presenza in casa di guanti di quel tipo. Ma non solo queste risultano essere le uniche dichiarazioni contraddittorie di Castagna, che riferì di avere fatto due telefonate che però non risultano agli atti, una sul cellulare di Raffaella e l’altra sul telefono fisso della figlia, quando iniziò a preoccuparsi per il mancato rientro della moglie.

 

Altro mistero è la sparizione della Panda della signora Galli, utilizzata da Pietro Castagna quella sera. Fu regalata ad una suora dopo la strage e non fu mai analizzata. Senza ombra di dubbio chi ha compiuto la carneficina utilizzò le chiavi per introdursi in casa. Ed Olindo e Rosa non erano in possesso delle chiavi di casa di Raffaella.

 

Il testamento di Raffaella. Risulta quantomeno particolare, ma non improbabile, che una 27nne, sposata da pochi mesi, ancora senza figli, faccia un testamento di suo pugno e lo dia in custodia al padre col quale non aveva più rapporti. Il testamento, consegnato qualche mese dopo la strage dai Castagna ad un notaio di Erba, risulta essere in favore della madre e, in caso di mancata accettazione da parte di quest’ultima, in favore del figlio del fratello di Raffaella. Si sa anche che era stata stipulata una polizza assicurativa in favore dei genitori della donna. “Tirando le somme, possiamo affermare che la sentenza è quantomeno viziata, in quanto le indagini hanno avuto uno sviluppo unidirezionale tralasciando le due piste alternative”, ha dichiarato Fabio Schembri, avvocato dei coniugi Romano.

Cronaca

Roma, San Paolo: due ladre tentano di investire la commessa di un negozio dopo la rapina

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ROMA – Nel pomeriggio di ieri, i Carabinieri della Stazione di Roma Garbatella sono intervenuti in viale Leonardo Da Vinci, arrestando due donne romane, di 20 e 30 anni, appartenenti a una nota famiglia di nomadi stanziali, con precedenti penali e disoccupate. Le due sono gravemente indiziate di rapina aggravata in concorso.
 
L’episodio è iniziato quando i titolari di un negozio di casalinghi, gestito da cittadini cinesi nel quartiere San Paolo, hanno denunciato che le due donne avevano sottratto diversi articoli per la casa. Una dipendente del negozio, notando il furto, ha cercato di fermarle, ma le due donne, nel tentativo di fuggire, sono salite a bordo della loro auto e hanno cercato di investirla.
 
I Carabinieri, giunti rapidamente sul posto, sono riusciti a bloccare le ladre. La refurtiva, trovata all’interno dell’auto, è stata restituita ai legittimi proprietari. Fortunatamente, la coraggiosa dipendente, visitata dai sanitari del 118, non ha riportato ferite.
 
Successivi accertamenti hanno rivelato che la 30enne era alla guida dell’auto senza patente, mai conseguita, motivo per cui è stata anche sanzionata per violazione al codice della strada. Il Tribunale di Roma ha convalidato l’arresto e disposto gli arresti domiciliari per entrambe le donne.
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Castelli Romani

Rocca Priora, arrestati due uomini sorpresi a sotterrare telai di auto rubate

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I Carabinieri della Stazione di Rocca Priora hanno arrestato due uomini italiani, rispettivamente di 59 e 67 anni, entrambi con precedenti penali, accusati di riciclaggio. L’operazione è avvenuta durante un normale servizio di pattugliamento del territorio, quando i militari hanno notato i sospetti intenti a scavare una buca con una ruspa in un terreno situato lungo la via Tuscolana, al chilometro 32. All’interno della buca, i Carabinieri hanno scoperto quattro telai completi di autovetture, successivamente identificati come proventi di furto.
 
Successivamente, i militari hanno eseguito una perquisizione in un capannone nei pressi del luogo del ritrovamento, anch’esso nella disponibilità dei due uomini arrestati. All’interno del capannone, sono state rinvenute numerose parti di veicoli smontati e privi di matricola, le quali sono state immediatamente sequestrate per ulteriori verifiche.
 
I due uomini arrestati sono stati posti agli arresti domiciliari nelle rispettive abitazioni, in attesa dell’udienza di convalida. Le autorità stanno proseguendo le indagini per chiarire ulteriormente la portata dell’attività illegale e identificare eventuali complici.
 
 
 
 
 
Privo di virus.www.avast.com

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Epidemia di Peste Suina, cresce la rivolta degli allevatori: il Ministro Lollobrigida nel mirino

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Il ministro dell’Agricoltura accusato di non aver saputo affrontare adeguatamente l’emergenza

L’epidemia di peste suina sta mettendo in ginocchio gli allevatori del Nord Italia, con nuovi focolai che si diffondono in Lombardia e Piemonte, alimentando rabbia e frustrazione tra i produttori. Nonostante l’adozione di nuove misure di sicurezza da parte del Commissario straordinario Giovanni Filippini, la situazione continua a peggiorare, con 26 allevamenti contaminati solo in Lombardia, coinvolgendo le province di Pavia, Milano e Lodi.

La diffusione del virus in queste aree altamente densamente popolate da suini, che contano circa 4,5 milioni di capi, ha suscitato un’ondata di proteste da parte degli allevatori, già provati da oltre due anni di gestione considerata fallimentare dell’emergenza. Assosuini, una delle principali associazioni di settore, ha espresso la propria indignazione, lamentando che gli allarmi lanciati dagli allevatori sono stati ignorati per troppo tempo, lasciandoli ora a dover affrontare costi insostenibili e una situazione sanitaria al limite.

La tensione è ulteriormente aggravata dalla critica dei vertici di Coldiretti, che chiedono l’immediata erogazione degli indennizzi alle aziende colpite e certezze sui rimborsi per chi è costretto a sospendere l’attività. Le nuove regole imposte dal commissario includono il divieto di movimentazione degli animali e l’accesso agli allevamenti nelle aree di restrizione, nonché la possibilità di abbattimenti preventivi in caso di rischio di contagio. Tuttavia, l’incertezza regna sovrana, con molti allevatori che si sentono abbandonati dalle istituzioni.

La critica si è rivolta anche verso il governo, e in particolare verso il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, accusato di non aver saputo affrontare adeguatamente l’emergenza. L’Eu Veterinary Emergency Team, gruppo di esperti della Commissione Europea, ha recentemente bocciato la strategia adottata, suggerendo che sarebbe stato più efficace un approccio basato sul monitoraggio e sul contenimento geografico dei cinghiali, piuttosto che sulla caccia.

Dichiarazioni recenti del ministro Lollobrigida, riportate dai media, sottolineano l’impegno del governo nel fronteggiare la crisi, pur ammettendo le difficoltà incontrate. Lollobrigida ha ribadito l’importanza delle nuove misure di biosicurezza e ha promesso un maggiore supporto agli allevatori, ma per molti queste rassicurazioni arrivano troppo tardi.

Con l’aumento dei focolai, l’epidemia di peste suina si sta trasformando in una catastrofe economica e sanitaria, con conseguenze che potrebbero essere devastanti non solo per il settore zootecnico, ma anche per l’intera economia delle regioni colpite.

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