Esteri
Catalogna: Puigdemont dichiara l’indipendenza e poi la sospende per favorire il dialogo con Madrid
Published
7 anni faon
All’indomani del discorso al parlamento di Barcellona del presidente catalano Puigdemont, che ha dichiarato l’indipendenza ma l’ha sospesa per favorire il dialogo con Madrid, è il momento delle contromosse del governo centrale. Il premier spagnolo Mariano Rajoy terrà una conferenza stampa alla fine dei lavori del consiglio dei ministri straordinario; dovrebbe parlare verso mezzogiorno. Nel pomeriggio riferirà al Congresso dei deputati. Sul tavolo c’è fra l’altro la possibilità di applicare l’art.155 della costituzione che consentirebbe la sospensione dell’autonomia catalana. ‘Andremo avanti lo stesso‘, dice il portavoce del governo catalano.
Art. 155 e 116 su tavolo di Rajoy – Due articoli della costituzione spagnola, il 155 che consentirebbe di sospendere l’autonomia catalana, e il 116, che permette di istituire lo ‘stato di eccezione’ in una parte del territorio dello stato, possono essere usati dal premier Mariano Rajoy se opta per la mano dura con la regione ribelle. Per l’applicazione del 155 ci vuole il via libera del senato, dove il Pp di Rajoy ha la maggioranza assoluta, per il 116 è necessario quello del Congresso, dove Rajoy è minoritario. La Catalogna ieri si è dichiarata indipendente. Per un minuto. Alle 19.41 il presidente Carles Puigdemont ha proclamato la Repubblica catalana. Alle 19.42 ha sospeso la secessione, per tentare “una tappa di dialogo” con Madrid. Ma in serata c’è stato anche tempo per la firma della dichiarazione da parte delle massime cariche della Catalogna e dai rappresentanti della maggioranza di governo. Un gesto simbolico, visto che, come ha detto anche un portavoce della Cup, l’ala più oltranzista del fronte indipendentista, la dichiarazione firmata “non è ancora valida”. Immediata la reazione di Madrid. Prima con fonti che hanno definito “inammissibile una dichiarazione implicita di indipendenza e poi una sua sospensione esplicita”.”Il governo – hanno aggiunto – non cederà a ricatti”. Poi con la vice di Rajoy, Soraya Saenz de Santamaria, che ha detto che oggi “Puidgemont ha esposto la Catalogna al grado massimo di incertezza”. “Non si può accettare una legge che non esiste o dare validità ad un referendum mai avvenuto”. Domani mattina alle 9 è stato convocata una riunione d’emergenza del governo, ha aggiunto. E questa sera Rajoy ha visto i principali leader politici di Madrid, tra cui il capo dei socialisti Pedro Sanchez. Alla dichiarazione si è arrivati dopo ore di trattative ad alta tensione con le varie componenti del fronte indipendentista. Sommerso dagli appelli da tutto il mondo perché evitasse un gesto “irreparabile”, il leader catalano alla fine ha optato per la ‘formula slovena’. Così aveva fatto Lubiana al momento della separazione da Belgrado: aveva dichiarato l’indipendenza, ma l’aveva sospesa per sei mesi, per arrivare a un divorzio negoziato con Belgrado. Una grandissima incertezza su quanto avrebbe detto incombeva su Barcellona da due giorni. I suoi ministri da domenica hanno tenuto le bocche cucite. La legge catalana del referendum prevedeva una dichiarazione di indipendenza entro due giorni dalla proclamazione dei risultati, in caso di vittoria del ‘sì’ al referendum del primo ottobre. Mille giornalisti di tutto il mondo hanno invaso il parlamento per seguire il suo storico discorso, trasmesso in diretta planetaria. Un discorso iniziato con un’ora di ritardo. Sessanta minuti nei quali ci sono state frenetiche trattative con la Cup, l’ala sinistra del fronte indipendentista, ostile all’indipendenza sospesa. E, sembra, telefonate con una personalità europea impegnata in un’opera di mediazione. Si è parlato di Jean Claude Juncker e del Consiglio d’Europa. Che hanno smentito. C’è stato invece poco prima dell’intervento di Puigdemont un appello del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, che ha chiesto al leader catalano di evitare l’irreparabile. Probabilmente ha avuto effetto. Il cammino già percorso dal governo secessionista catalano è impressionante. Ha potuto tenere il referendum nonostante la repressione di Madrid, ha reso la causa catalana popolare nel mondo, grazie anche allo shock delle immagini delle cariche della polizia spagnola contro la folla ai seggi. Ma sul cammino della vera indipendenza, il difficile inizia ora. Perché la Catalogna possa diventare davvero una Repubblica in grado di reggersi sulle sue gambe, un accordo con Madrid sembra necessario. Come avevano capito i dirigenti sloveni. Puigdemont oggi ha teso ancora una volta la mano a Madrid. “Non abbiamo nulla contro la Spagna e contro gli spagnoli. Anzi, vogliamo capirci meglio. Non siamo delinquenti, pazzi o golpisti, siamo gente normale che vuole poter votare”, ha detto in spagnolo. Il ‘president’ ha ricordato l’infelice vicenda dello ‘statuto catalano’ del 2006, ratificato dal popolo della Catalogna e poi bocciato nel 2010 dalla Corte costituzionale spagnola, “i cui giudici sono eletti dai due grandi partiti” di Madrid, Pp e Psoe. Così la Catalogna, ha accusato, è stata “umiliata”. Da allora sono iniziate le marce oceaniche per l’indipendenza a Barcellona, e la corsa al referendum. La sospensione della dichiarazione di indipendenza deve permettere uno spazio di dialogo, ha auspicato Puigdemont. L’obiettivo è arrivare a un compromesso con Madrid. Non sarà facile. Rajoy ha preannunciato durissime misure se Puigdemont avesse dichiarato l’indipendenza. Senza escludere l’utilizzo dell’articolo 155, che consentirebbe di destituirlo e di sospendere l’autonomia catalana. Puigdemont rischia anche l’arresto per “ribellione”. Ma su Rajoy sono puntati ora gli occhi di tutto il mondo. Che difficilmente accetterebbe nuove immagini di violenza in Catalogna. “L’Italia ritiene inaccettabile la dichiarazione unilaterale di indipendenza e rigetta ogni escalation. Esprimiamo la nostra fiducia nella capacità del governo spagnolo di tutelare l’ordine e la legalità costituzionali e, di conseguenza, di garantire il rispetto dei diritti di tutti i cittadini”, è la posizione di Roma espressa in serata dal ministro degli Esteri Angelino Alfano.
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