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7 anni faon
Non si vuole in alcun modo sminuire i meriti dell’inaffondabile, tenace, ostinato e grigio galiziano presidente Mariano Rajoy, meritevole di avere fatto uscire il paese dal tunnel della crisi ereditata dal socialista Josè Luis Zapatero. Ugualmente non è oggetto di questo articolo negare al pluridecorato e blasonato Filipe Juan Pablo Alfonso de Todos los Santos de Borbon, i titoli, i premi, le onorificenze e le sue ascendenze. Tutto quanto accantonato, segregato al passato, lontano e recente, non rimane che il giorno tristemente ricordato come un disastro sociopolitico senza precedenti in Spagna. Esuliamo dall’entrare nel merito che il referendum per l’indipendenza della Catalogna incontrava opposizione nella Costituzione del 1978 e specificatamente dove la Carta fondamentale sancisce: “L’unità indissolubile della nazione spagnola, patria comune ed indivisibile di tutti gli spagnoli, riconoscendo e garantendo il diritto all’autonomia”.
Ci atteniamo ai fatti del contendere, e cioè la violenta repressione del governo del primo ministro spagnolo Rajoy che, snobbando l’evidenza delle scene cruenti trasmesse dai media di tutto il mondo, li ha definiti “inesistenti”. Per Rajoy, il 1 ottobre i catalani hanno “celebrato una farsa”. A questa dichiarazione poco rispettosa si può ribadire: caro presidente, non si contestano le farse con le manganellate! La brevissima conferenza stampa di re Filipe non è stata per niente all’altezza della situazione. Ha dimostrato fragilità ed insicurezza, incapace di parlare alla sua gente. Ha scelto di indirizzarsi alle autorità governative catalane: “Le autorità catalane si sono messe ai margini della legalità e della democrazia” Filipe ha tenuto particolarmente a ribadire che le autorità catalane hanno commesso una slealtà inammissibile verso i poteri dello Stato. Discorso fragile che allarga il dissenso. Il sovrano, volutamente o meno, ha omesso di fare il minimo cenno alle atrocità commesse dai suoi servizi d’ordine, dalla guardia civil . Si parla di un numero elevato di feriti, Madrid contesta il numero di 800 . Il numero è irrilevante. Molti hanno potuto assistere alle scene di enorme inciviltà di quei militari in servizio in tenuta da sommossa, mentre manganellavano donne e persone inermi. Il sovrano Filipe con il suo “duro” ed insicuro discorso ha fatto intendere che non riconosce come suoi cittadini quei catalani offesi dalle sue guardie.
Nulla da eccepire, però ricordiamo che a Strasburgo da tempo è stata costituita la Corte europea dei diritti umani. Fu questa stessa corte ad avere condannato l’Italia per quanto compiuto dalle forze dell’ordine italiane nell’irruzione alla Diaz il 21 luglio 2001 e specificatamente per il pestaggio subito da uno dei manifestanti.
Il 1 ottobre 2017 in Catalogna, nelle scuole per votare al referendum c’è stato più di un cittadino vittima di un pestaggio, più di un cittadino è stato costretto a recarsi al pronto soccorso perché le guardie in servizio non hanno badato ne al sesso e neppure all’età. La domanda è una: c’è ancora la Corte europea per i diritti umani a difesa del cittadino vittima delle guardie di Mariano Rajoy-Filipe Juan Pablo Alfonso de Todos los Santos de Borbon? I diritti umani si misurano secondo la sensibilità di un popolo. Il caso italiano forse fa scuola. Nello sgombero degli immigrati dal palazzo a via Curtatone a Roma, qualcuno di questi gettò da una finestra del palazzo una bombola addosso alla polizia in servizio. Il funzionario che guidava la celere, trovandosi con i suoi tra ferro e fuoco gridava :“Devono sparire, se tirano qualcosa spaccategli un braccio“. A seguito di questa frase la Questura di Roma, la stessa sera fece sapere di avere aperto “una formale inchiesta”. Sta di fatto che per avere solamente pronunciato quella frase il funzionario fu trasferito. Morale della favola, ci sono diritti umani a Roma, ancora non si sa se ce ne saranno a Madrid e intanto la Corte europea dei diritti umani sta a guardare.
Emanuel Galea
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