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di Chiara Rai
Nemi (RM) – Si è veramente arrivati alla pantomima dell’assurdo. L’ultima sceneggiata che ha visto protagonista l’acqua pubblica di Nemi mi ha fatto ricordare gli spettacoli di burlesque, ma quelli inglesi del XVIII° secolo, quando alla comicità si affiancava quella parodia che lasciava trasparire una ridicola tragedia.
La fontanella in piazza De Sanctis a Nemi da ieri 30 ottobre 2013 è di nuovo aperta e francamente sulla questione è difficile venirne a capo, tanta è la confusione. Ciò, dopo che si è brancolato alla cieca per tutta l’estate senza la benché minima informazione da parte dell’amministrazione comunale sullo stato dell’acqua, dopo denunce da parte di associazioni e cittadini si è capito poco e nulla.
A parte qualche delirante manifesto di partito, quindi non istituzionale, che parla di “informazione terroristica” e di “reati”, quasi fosse una carta generata da chi ha poteri giudicanti, ma così non è. Si tratta di un bugiardino capace di ravvivare gli animi della famigerata corte dei miracoli.
L’osservatore laziale, ancora una volta, riporta i quesiti dei cittadini: perché l’acqua viene aperta e poi chiusa in continuazione? Perché l’odore e il sapore dell’acqua è cambiato? Addirittura dalla fontanella non esce più acqua fresca e lievemente frizzantina, bensì acqua non fresca che odora di cloro. Così come anche dai rubinetti di gran parte delle case.
Ma la storia dell’acqua, ahinoi, è soltanto la punta di un iceberg, anzi la rappresentazione di uno spettacolino mal riuscito e improvvisato, a braccio.
L’acqua è buona ma è chiusa. I soldi si trovano per le feste ma per i servizi essenziali come la ludoteca bisogna tirare il collo e chiedere l’intervento di San Bertino che dopo aver fatto vivere l’estenuante climax del purgatorio ti prende per mano e ti porta in paradiso, regalandoti mensilità gratuite.
Prima non c’era un euro, adesso c’è. L’improvvisazione nelle delibere comunali, l’equilibrismo dell’escamotage che come un puzzle s’incastra, faticandoci un po’, e va a dare sollievo a più bisognosi che con la loro riconoscenza perpetueranno l’improvvisazione fino a rimanervi schiacciati.
Intanto il 12 novembre si avvicina e il candidato, ora eletto amministratore, per cui questo giornale ha avuto modo di esprimere libera critica dovrà affrontare la seconda udienza di un processo che lo vede imputato per turbativa d’asta e frode nei confronti dello stesso Comune che amministra.
Già questo sarebbe dovuto bastare come epilogo della pantomima di cui sopra. Ma non basta. Il cittadino, a parte quello “incazzato”, nostro fedele e stimato lettore, abbocca come una triglia gigante a tutte le mistificazioni esposte quotidianamente sul bancone del bravo venditore. Un venditore con le tasche bucate, tanto bucate da avere un impero di immobili e danari ma da riuscire ad apparire talmente tanto mesto e umile da sembrare davvero un inoccupato. Un venditore diretto e diritto che studia la legge e come si dice, trova le proprie maniere per applicarla. Tanto astuto quanto privo di quello spirito di servizio che rende senza tornaconti.
Tante le fiches cambiate e diverse quelle impossibili da cambiare. Ma si va avanti. Alle triglie giganti soporifere, non ai pochi dotati ancora di spirito critico e d’osservazione, piace crogiolarsi nell’improvvisazione. Piace lo show e per questo hanno scelto lo showman.
Quando calerà il sipario però, rimarrà un paese con del calcestruzzo in più, con le tasche vuote, con tanti sogni in testa, con strutture sull’orlo del decesso e una casa, quella più importante, dove il clima è già cambiato da un pezzo.
Mi giro a sinistra e vorrei vedere un partito coeso che fa sentire la propria voce in Comune, in nome di quei valori che non possono soltanto rimanere come velleità intellettuali da spolverare all’occorrenza. La sinistra era a un passo dal traguardo, lo riusciva a vedere, ma ha permesso che il proprio gregge seguisse altri pastori.
Mi giro a destra e vedo quell’impegno che quando è mancato ha lasciato terreno fertile ad un “figlio malato” che ha pugnalato la sua famiglia solo per la sete di potere e di incassare quei consensi che avrebbero permesso il proseguo di un processo bello e maledetto.
Mi guardo allo specchio e vorrei aver “criticato” molto meno di quanto abbia fatto per essere giudicata assolutamente super partes ma l’icona de L’osservatore laziale rappresenta un omino con il binocolo e se quest’omino avesse dovuto venire meno alla sua mission principale, il giornale sarebbe diventato una enorme triglia abboccona. Ma dato che nel mare nostrum di triglie con i binocoli appannati ve ne sono in abbondanza, preferiamo mettere l’omino in bella vista sulla cima di un monte.
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