Latina
BORGO SABOTINO E GARIGLIANO, NUCLEARE: NO A UN DEPOSITO NAZIONALE PER LE SCORIE
Tempo di lettura 6 minutiRichiesto urgentemente un "Tavolo della Trasparenza" anche per la Regione Lazio
Published
12 anni faon
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ggiardino
Angela Carretta
Latina – I temi bisogna conoscerli a fondo per poterne parlare con cognizione di causa ai lettori. Nella zona del sud pontino a Borgo Sabotino c'è una centrale nucleare, una struttura in cemento armato lunga 128,5 metri, larga 35,5 e alta 24. Sono iniziati in estate 2012, i lavori di demolizione dell’edificio, con un volume di 120 mila metri cubi, che durante l’esercizio ospitava le turbine dell’impianto, 3 principali e 2 ausiliarie, hanno prodotto circa 14 mila tonnellate di cemento. Nel dicembre 2012, Sogin ha emesso i bandi di gara per la riqualificazione dell’area antistante il pontile, demolito nel 2011, e per il ripristino e la manutenzione straordinaria dell’opera di presa dell’acqua dal mare. Sogin spa è la società nata nel 1999 con la mission di smantellare le centrali chiuse dopo il referendum del 1987. A Garigliano La procura di Santa Maria Capua Vetere ha aperto, l’anno scorso, un procedimento penale nei confronti dei responsabili della disattivazione della centrale nucleare del Garigliano, in provincia di Caserta. L’accusa è disastro ambientale e irregolarità in materia di sicurezza nucleare. La centrale venne fermata nel novembre 1979 per un'esondazione: l'acqua del fiume travolse gli impianti in piena funzione. Il sito di Garigliano è stato una volta per tutte nel 1982, ma trent'anni dopo i rifiuti radioattivi sono ancora all'interno e gli scoli del reattore vengono sommersi dall'acqua ogni volta che il Garigliano rompe gli argini. Per monitorare il territorio fortunatamente esistono dei Comitati oltre che le istituzioni preposte. Questa volta abbiamo voluto intervistare Massimo Penitenti e Giovanni Mallozzi per il Comitato antinucleare Garigliano.
Qual è la “mission” del Comitato Antinucleare del Garigliano?
Il Comitato antinucleare Garigliano (AG) nasce per iniziativa popolare il 9 aprile 2010 in seguito alla decisione del Governo italiano di tornare a produrre energia elettrica da centrali nucleari (Legge 99 del 23.07.09) e come forma spontanea di mobilitazione dal basso per contrastare la ventilata ipotesi di costruire il deposito nazionale per le scorie nucleari nel sito della ex centrale nucleare del Garigliano.
Ad oggi, quali obiettivi raggiunti?
Il principale obiettivo raggiunto, insieme agli altri comitati e alle associazioni ambientaliste, è stato quello del raggiungimento del quorum per il referendum del 12 e 13 giugno 2011, dove vinsero, con oltre il 90%, i “SI” di coloro che volevano allontanare l’Italia dallo spettro di nuove attività elettronucleari.
Un altro obiettivo raggiunto, con le diverse manifestazioni organizzate, è stato quello di sensibilizzare le amministrazioni dei comuni del Sud Pontino e dell’Alto Casertano sulle tematiche riguardanti il nucleare, tematiche che a parere del Comitato, le varie amministrazioni, devono affrontare in sinergia tra loro. Unico comune che ancora non si era espresso contro il nucleare era quello di Formia di cui era sindaco Michele Forte al quale, però, strappammo la sua prima dichiarazione antinucleare in occasione della Marcia organizzata dal Comitato il 5 giugno 2011 chiamata “Si Marcia per i Referendum” la quale si svolse snodandosi da Gaeta fino ai terreni confiscati alla camorra e gestiti dalla cooperativa “Al di là dei sogni”, terreni prossimi alla centrale, nella frazione sessana di Maiano, passando per Formia, Scauri, Minturno, SS. Cosma e Damiano e Castelforte e che, nonostante una pioggia che ci accompagnò per l’intera giornata, coinvolse migliaia di persone e conducendone almeno mille fino all’arrivo. Nel corso del 2012 AG è stato riconosciuto interlocutore ufficiale al Tavolo della Trasparenza della Regione Campania. AG ha inoltre organizzato diverse iniziative pubbliche che hanno visto la partecipazione di associazioni ambientaliste, scienziati, esperti in materia di energia atomica, giornalisti, organizzazioni impegnate sul tema della lotta al nucleare come mezzo di produzione di energia elettrica ma anche come strumento di produzione di ordigni di distruzione di massa. Infine AG ha contribuito alla stesura di “Bidone Nucleare” di Roberto Rossi edito da Rizzoli nel 2011 e ad alcune inchieste giornalistiche nazionali.
Quali le domande che attendono ancora risposte?
Sono molte. Anzitutto quelle legate ai danni che la presenza della centrale nucleare del Garigliano ha procurato ai cittadini ed all’ambiente, durante la sua attività – ed in particolare in relazione ai diversi incidenti che hanno portato alla dispersione di materiale radioattivo nell’ambiente – ed anche successivamente alla sua chiusura, in relazione alla gestione del materiale contaminato. Nel corso degli anni purtroppo sono molti gli interrogativi ai quali non siamo stati in grado di dare risposte certe e questo principalmente perché da parte degli enti e delle istituzioni preposte è mancata la collaborazione necessaria ad appurare anzitutto dal punto di vista dell’evidenza scientifica quali sono stati gli effetti dell’impatto sull’uomo e sull’ambiente della centrale. Questa disarmante realtà vale, purtroppo, sia per quanto concerne informazioni riguardanti la presenza di aree inquinate da radioattività (come la recente inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere ha messo in risalto), sia per i dati epidemiologici sull’incidenza di malattie neoplastiche nei centri abitati vicini l’impianto nucleare. Le principali richieste che infatti rivolgiamo alle istituzioni in ogni incontro del Tavolo della Trasparenza, riguardano proprio la necessità di approntare nuove indagini epidemiologiche comparative storiche ed attuali. Questo, a più di trent’anni dalla chiusura dell’impianto, resta ancora il nodo principale da sciogliere. In assenza di sistemi adeguati di sorveglianza epidemiologica, di banche dati e registri di malattia che prendano in considerazione periodi di tempo adeguatamente lunghi, compatibili con l’insorgenza di malattie attribuibili ad inquinamento radioattivo, in assenza di dispositivi tecnologici stazionari di rilevamento, di presidi medici costanti ed infine di strumenti informatici e di personale qualificato impiegato nell’elaborazione di questi dati, risulta impossibile stabilire un nesso di causalità diretta tra incidenza di malattie neoplastiche ed impianto nucleare. Per gli stessi motivi però è impossibile anche affermare il contrario, ovvero che i numerosi casi di neoplasia presenti nella popolazione residente nei centri abitati limitrofi alla centrale non siano da porre in relazione alla presenza dell’impianto nucleare stesso. La presenza di eventuali fattori di rischio ancora da rimuovere unita a questa grave mancanza di dati medici sono la nostra principale fonte di preoccupazione per il futuro del nostro territorio.
Il territorio istituzionalmente come risponde al problema della centrale?
Come dicevamo con un interesse inadeguato alla portata del problema. Con il passare degli anni forse quest’atteggiamento sta mutando in relazione soprattutto al crescere della sensibilizzazione della popolazione all’argomento. Quasi tutti i sindaci sono attenti agli sviluppi dei lavori di “decomissioning” in quanto devono rispondere all’esigenza di contenere il danno d’immagine di cui il nostro territorio è ancora vittima proprio a causa della presenza della centrale e che si ripercuote non solo sulle attività turistiche ma anche su quelle produttive in particolare quelle legate all’ambiente ovvero l’agricoltura, l’allevamento e la pesca. Dopo anni di silenzio omertoso della politica e probabilmente anche in seguito alla seconda schiacciante vittoria referendaria contro il nucleare, la linea di “accondiscendenza” istituzionale verso il “totem” del nucleare, che inizialmente fu sostenuta dalle credenze sulle magnifiche sorti e produttive dell’era dell’atomo che prometteva energia elettrica a basso costo ed un conseguente glorioso sviluppo industriale, sta lasciando spazio ad una visione più realistica della realtà, soprattutto in relazione agli elevatissimi costi che i cittadini dovranno ancora sostenere per il decommissioning dell’impianto e la bonifica delle aree. Anche i lauti ristori ovvero i contributi economici che i Comuni hanno ricevuto a titolo di ricompensa per la presenza dell’impianto hanno giocato la loro parte nel costruire una rete di “indulgenza istituzionale” verso il problema. Se almeno i soldi dei ristori ricevuti dai Comuni fossero stati spesi per monitoraggi ambientali e studi epidemiologici, avrebbero avuto un senso in qualche modo condivisibile, così purtroppo non è mai stato e tutto questo mentre nostri concittadini continuano ad ammalarsi di forme di tumori del sangue e della tiroide la cui insorgenza è compatibile con l’esposizione ad inquinamento radioattivo.
In un'ipotetica conversazione con il neoeletto presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, cosa chiederebbe quale cittadino e appartenente al Comitato Antinucleare Garigliano?
Che venga organizzato al più presto un “Tavolo della Trasparenza” anche per la Regione Lazio, vista la presenza di ben due centrali elettronucleari da smantellare, così da aumentare la trasparenza, appunto, sulle operazioni di “Decomissioning” gestite dalla Sogin e di avviare al più presto un monitoraggio sulle varie matrici ambientali: aria, acqua, terra, fauna e vegetali e di avviare un’indagine epidemiologica anche storica, sulle popolazioni residenti nelle aree potenzialmente influenzabili dalle emissioni delle centrali di Borgo Sabotino e del Garigliano. Già siamo stati contattati da persone vicine a Zingaretti, siamo in attesa di un incontro.
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