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Editoriali

Minniti: cellula impazzita della sinistra

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Tempo di lettura 3 minuti Nei primi tre mesi del 2017 in Italia sono giunti, da questi paesi, 24.500 immigrati. A prima vista questo quadro giustifica, in pieno, la strategia di Minniti.

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di Emanuel Galea
Ci spiega la biologia che l’interno della cellula possiede una carica elettrica negativa, mentre nell’ambiente esterno prevalgono le cariche positive. Proviamo a considerare Minniti come se fosse una cellula impazzita, vagante nell’ambiente esterno del Pd, libera da condizionamenti e come tutte le cellule, adattandosi al momento contingente e reagendo alla crisi dell’immigrazione, proporrebbe soluzioni immediate ed a lungo raggio.

Minniti, attualmente si trova ad operare in un quadro politico caotico e privo di qualsiasi via di sbocco. Ad avversarlo trova le organizzazioni non governative fuori dal sistema organizzato per il salvataggio in mare e il solito “fuoco amico”

Nel dedalo in cui tutta la sinistra vagheggia, non si intravede alcuna indicazione verso la via d’uscita. Senza alcuna esitazione si può dire che la sinistra non ci sia più. Del resto non ci sono più nemmeno i partiti. Questi sono tempi del caos politico, del pressapochismo. Si assiste a un vero suq “del sotto vuoto politico”, tanti gruppi e gruppetti, tanti cespugli e nessuna quercia.
L’altro giorno seguivo per radio il dibattito alla Festa del Fatto Quotidiano in Versiliana, un dibattito aperto, confronto molto franco tra un pragmatico Minniti ,un teorico Furio Colombo e Milena Gabanelli, custode di una certa coscienza nazionale. Proprio in quel dibattito il ministro si è rivelato essere una cellula impazzita , libero da condizionamenti di scuderia, deciso ad osare ove il suo predecessore dimostrava riluttanza e la solita e cronica indecisione.

Il ministro spiegava che si era incontrato precedentemente con Milena Gabanelli per sentire le sue proposte in merito al tema della “immigrazione” e durante il dibattito ha dichiarato che il suo progetto aveva accolto gran parte delle proposte di Milena e senza entrare nel merito annunciava un “ piano nazionale per l’integrazione” .
Mentre il ministro ribadiva, giustamente, il suo mantra: “Esistono i diritti di chi è accolto, ma anche quelli di chi accoglie”, non sono mancati i soliti luoghi comuni che senza entrare nel merito del fenomeno, avanzavano la solite proposta di utilizzare gli spazi pubblici, come le caserme ecc..

Furio Colombo invece si è sentito investito a rappresentare le ragioni dell’Ong Msf, contenuti nella lettera inviata ai membri degli Stati europei ed al presidente Gentiloni. Con irruenza Colombo decretava: “Migranti bloccati in Libia sono la seconda Shoah”. Così dicendo Colombo riportava una realtà, la stessa cruda realtà riportata nella lettera di Msf. E’ una realtà ma non è completa la loro analisi. Quella realtà non è affatto da addebitare al “codice Minniti” come vuole fare credere Colombo e Msf sua fonte d’informazione, perché quella realtà esisteva già un anno fa e prima ancora, quando il “codice” non esisteva e quando le navi delle Ong traghettavano i migranti dalla Libia all’Italia, quando nel mediterraneo morivano sepolti tra le onde migliaia e migliaia di povera gente.

Ad essere obiettivi, dove ospita quei poveri migranti Erdogan, assunto dall’Ue per tre miliardi più altri tre miliardi di euro per fare da diga ai profughi che cercano di passare in Europa? Non risulta che li ospiti in alberghi di lusso! Perché Furio Colombo e Msf non li nominano? Le ideologie sono controproducenti perché fanno scordare i veri target da colpire e le mete da raggiungere.
Dopo quattro anni di slogan vuoti della sinistra, ora, che finalmente una cellula impazzita sta facendo qualcosa di giusto, bisogna essere onesti intellettualmente ed ammetterlo. Il ministro dice: “Il primo punto è “investire in Africa” – “Investiamo economicamente e in classi dirigenti, perché è un continente ricco. E una parte significativa della sua povertà dipende dal tradimento della classe dirigente che si è impossessata di quella ricchezza.”. Ha ragione Minniti, l’Italia e l’Europa non possono limitarsi solo alla parola “accoglienza”.

Souad Sbai, giornalista e politica italiana, di origine marocchina, in un interessante articolo apparso su la Nuova Bussola descrive con competenza il quadro politico di alcuni paesi africani da dove partono i migranti:
– Guinea , nessuna guerra in atto, economia povera e in lento sviluppo, grandi risorse minerarie;
– Bangladesh, nessuna guerra in atto, paese musulmano moderato a maggioranza sunnita. Goldman Sachs per il 2025 lo pronosticava tra le prime 11 economie mondiali;
– Costa d’Avorio , paese pacifico, dopo la guerra civile del 2010, economia prospera e di grandi potenzialità;
– Gambia , paese modesto, con un’economia ancora poco sviluppata, ma niente conflitti;
– Senegal , nessuna guerra, una democrazia semipresidenziale stabile, un’ economia in pur lento sviluppo
– Marocco ,monarchia costituzionale, nessuna guerra, economia in lenta ma costante crescita

Nei primi tre mesi del 2017 in Italia sono giunti, da questi paesi, 24.500 immigrati. A prima vista questo quadro giustifica, in pieno, la strategia di Minniti. La soluzione non si dovrebbe fermare ai centri d’accoglienza in Libia come insiste Colombo e quelli che la pensano come lui. Bisognerebbe investire in quei paesi e convincere questi migranti a non lasciare le loro terre perché altrove, il paradiso che sognano è solo un miraggio.

 

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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