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Dead Rising Deluxe Remaster, a volte ritornano… con grande stile

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Dead Rising Deluxe Remaster, per chi avesse qualche dubbio a riguardo, è la versione rimasterizzata di uno dei giochi più iconici degli anni 2000. Un titolo che ha rinnovato l’idea di survival horror donandogli una vena comica mantenendo però un grande realismo e garantendo tensione e suspance ad altissimi livelli. Uscito per la prima volta nel 2006, il titolo originale di Capcom ha lasciato un segno indelebile nella cultura dei videogiochi, grazie alla sua ambientazione post-apocalittica, al gameplay innovativo e alle chiare ispirazioni cinematografiche tratte dal mondo degli zombie. Ora, con questa remastered disponibile su PS5, Xbox Serie X|S e PC, Dead Rising torna a brillare nuovamente per i fan di vecchia data, ma soprattutto per chi non ha mai vissuto la prima avventura del mitico Frank West. La storia di Dead Rising Deluxe Remaster è ovviamente la stessa del capitolo originale. Protagonista del gioco è il ben noto Frank West, fotoreporter freelance che decide di recarsi a Willamette, città (dal nome inventato) del Colorado. Il giornalista ha infatti scoperto che la città è stata occupata dai militari e messa in quarantena. Intento a scoprire il motivo di tutto ciò, West riesce ad entrare in città calandosi da un elicottero sul tetto di un centro commerciale. Ben presto le cose diventano chiare: Willamette è stata colpita da un’epidemia e la stragrande maggioranza dei cittadini sono diventati degli zombie assetati di sangue. A questo punto lo scopo di Frank sarà quello di sopravvivere per 72 ore, tempo necessario all’elicottero per eseguire una nuova estrazione. L’intero gioco si svolge all’interno del centro commerciale, nel quale i giocatori avranno a che fare con migliaia di zombie, pronti a cibarsi del povero Frank. Fortunatamente però i negozi presenti offrono oggetti di varia natura, oggetti che possono diventare letali. Senza contare che sarà possibile anche trovare alcune bocche da fuoco con cui Frank può contrastare l’orda e con cui proteggere se stesso e gli altri. Detto questo non ci dilunghiamo oltre sul comparto narrativo perché, come già detto qualche riga più in alto, non è mutato rispetto all’originale e, nonostante risulti un po’ di già visto, con vari media che negli anni hanno affrontato l’apocalisse zombie da più punti di vista, esso riesce ancora a tenere incollati davanti lo schermo e a calare il giocatore nei panni dell’indomito reporter senza deluderlo mai. In questo articolo ci concentreremo sulle novità introdotte nella Deluxe Remaster, che segue la rimasterizzazione pura e semplice già disponibile per le console della scorsa generazione da qualche anno. L’elenco delle modifiche apportate dal team di sviluppo è generoso, sebbene, come vedremo, non comprende alcuni dei punti più critici della produzione. Tra le maggiori aggiunte a livello di ribilanciamento e miglioramento della qualità generale di gioco, evidenziamo l’aggiunta di ulteriori libri collegati a nuove skill da imparare, l’introduzione di un moderno sistema di controllo che rende Frank più agile e facile da controllare che include finalmente la possibilità di muoversi mentre si punta, tanto con un’arma da fuoco, quanto con la fida fotocamera di Frank. Inserita inoltre anche la presenza di un indicatore chiaro che segnala il livello di consumo delle armi corpo a corpo, la nuova e più generosa distribuzione dei PP utili a passare di livello, l’opportunità di avanzare il tempo a piacimento, ma soprattutto l’introduzione di una funzione di autosalvataggio, una delle feature più richieste dai fan della prima ora molti dei quali avevano perso ore di gioco in seguito a morti accidentali durante il loro primo contatto con il titolo di Capcom.

Uno dei primi aspetti che colpisce di questa Dead Rising Deluxe Remaster è l’incredibile miglioramento grafico. La versione per Xbox Series X che abbiamo testato a fondo porta Dead Rising a livelli visivi inimmaginabili all’epoca del suo lancio originale. I dettagli delle ambientazioni sono stati rivisti, le texture sono molto più definite e la fluidità del gameplay è migliorata notevolmente grazie ai 60 FPS stabili. Le luci e le ombre sono state rielaborate per creare un’atmosfera ancora più opprimente e inquietante, rendendo l’esperienza nel centro commerciale più immersiva e credibile. Inoltre, questa remaster edition introduce la localizzazione completa in italiano, un’aggiunta che arricchisce l’esperienza in maniera esponenziale per i giocatori nostrani. Il doppiaggio è ben realizzato e i dialoghi restano fedeli all’originale, ma la possibilità di vivere la storia nella nostra lingua è un punto di forza che va sottolineato e che sicuramente farà avvicinare più giocatori. Ovviamente, trattandosi di un gioco di chiarissima ispirazione cinematografica non si può non citare George Romero, il regista che ha rivoluzionato il genere degli zombie con il suo film cult Zombi (Dawn of the Dead). È evidente che il gioco trae grande ispirazione dal lavoro di Romero, soprattutto per l’ambientazione all’interno di un centro commerciale, che ricorda da vicino l’ambientazione della pellicola. Tuttavia, Dead Rising non si limita a essere un semplice omaggio. Il gioco riesce a sviluppare una propria identità, grazie alla combinazione di azione frenetica, umorismo nero, eventi tragicomici e libertà creativa. In un mercato sempre più affollato di edizioni rimasterizzate e remake, Dead Rising Deluxe Remaster si distingue per essere una delle migliori mai realizzate. Gli sviluppatori hanno fatto un lavoro eccellente nel preservare l’essenza del gioco originale, apportando al contempo migliorie sostanziali che lo rendono adatto al pubblico moderno. Il gioco resta unico nel suo genere, grazie alla sua combinazione di azione caotica e narrazione coinvolgente. Il bilanciamento tra rispetto per l’originale e innovazione è impeccabile, rendendo questo titolo imperdibile sia per i fan di lunga data che per i nuovi giocatori. Tirando le somme, possiamo dire senza ombra di dubbio che con Dead Rising Deluxe Remaster, Capcom è riuscita a catturare lo spirito della serie e a rinnovarne l’impatto con il giocatore. Anche il più esigente. Dal punto di vista tecnico il lavoro svolto è lodevole e il gioco potrebbe essere facilmente scambiato per una nuova uscita da un occhio più giovane o meno attento. Nonostante i quasi 20 anni di età con questa edizione rivisitata Capcom ha svecchiato un titolo già all’origine ancora validissimo dando a tutti, nel 2024, l’opportunità di poter vivere una delle avventure survival horror più bella e profonda di sempre. Non giocarlo sarebbe un vero peccato.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9
Sonoro: 9
Gameplay: 9
Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 9

Francesco pellegrino Lise

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Pixel Buds Pro 2, i nuovi auricolari “Pro” di Google

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Google espande il proprio parco dispositivi audio con Pixel Buds Pro 2. Esse sono la seconda generazione delle cuffie true wireless di livello “pro”, compatibili con qualsiasi device ma pensate per l’ecosistema Pixel. Disponibili nelle colorazioni grigio, grigio verde, rosa e verde, queste cuffie si distinguono per un design elegante e compatto. Il design, nel complesso minimalista, si caratterizza per un’aletta fissa che si adatta all’orecchio ruotandola, insieme a gommini in silicone disponibili in varie misure per una perfetta aderenza. Una volta trovata la misura giusta, gli auricolari sono comodi e stabili anche durante l’attività fisica, confermando la buona ergonomia del prodotto. I controlli touch capacitivi permettono di gestire la riproduzione, l’assistente vocale e la cancellazione del rumore. Una funzione interessante è lo swipe orizzontale per regolare il volume, che si adatta bene alla forma circolare degli auricolari. I comandi touch non sono sempre precisissimi, ma nella maggior parte dei casi sono molto semplici da usare e possono essere attivati con la voce. Una delle caratteristiche principali dei Pixel Buds Pro 2 + la possibilità di attivare la versione live di Gemini con la voce, senza toccare il telefono. Bisogna però ricordare che Gemini Live, ovvero il dialogo continuo e senza pause con l’assistente IA, non è al momento disponibile in Italia. La custodia di ricarica, di forma ovale e con una finitura liscia, presenta un meccanismo di apertura a scatto e alloggiamenti magnetici per le cuffie. Da elogiare la scelta di mantenere un pulsante fisico per l’accoppiamento, decisamente più pratico rispetto ai complessi comandi a sfioramento o pannelli induttivi presenti su altri modelli. Le Pixel Buds Pro 2 vantano una certificazione IP54 per la resistenza a sudore e polvere, mentre la custodia ha un grado di protezione IPX4. Queste cuffie sono quindi adatte per l’allenamento e non temono le sessioni più intense e gli schizzi d’acqua. Le Pixel Buds Pro 2 supportano il Bluetooth 5.4 e possono connettersi a qualsiasi dispositivo compatibile, ma per sfruttarne appieno le potenzialità è necessaria l’app Pixel Buds, disponibile solo su Android. Sui dispositivi Pixel, l’app è preinstallata e consente un accoppiamento rapido e una gestione completa delle funzionalità. Su iOS, le cuffie funzionano, ma con alcuni limiti. Uno dei punti di forza delle Pixel Buds Pro 2 è la cancellazione attiva del rumore, decisamente migliorato rispetto alla generazione precedente. L’isolamento dai rumori esterni è molto soddisfacente, e funziona molto bene anche la modalità trasparenza, che consente di amplificare i suoni esterni. Le Pixel Buds Pro 2 di Google sono dotate di una funzione di rilevamento delle conversazioni, che consente di parlare con qualcuno senza dover rimuovere gli auricolari. Il dispositivo passa automaticamente a una modalità di ascolto che lascia entrare i suoni ambientali. Il suono di ciascun auricolare è alimentato da un nuovo driver da 11 millimetri con una camera per le alte frequenze, che lavora in sinergia con il chip Tensor A1 per l’elaborazione audio. Le cuffie supportano inoltre l’audio spaziale con tracciamento della testa, quando utilizzato con tracce compatibili. La qualità audio è molto buona, con bassi profondi e suono bilanciato per ogni genere musicale. In chiamata tutto fila liscio, grazie anche all’IA che si occupa di sopprimere i rumori di fondo.

F.P.L.

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Marvel vs. Capcom Fighting Collection: Arcade Classics, la raccolta definitiva

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Marvel vs. Capcom Fighting Collection: Arcade Classics è una collezione di 7 videogiochi 2D nati dalla collaborazione pluriennale tra Marvel e Capcom. Questa nuova e lucidata Fighting Collection non è solo una riproposizione di alcuni vecchi (seppur amatissimi) titoli, ma rappresenta una svolta pazzesca per il futuro di questo franchise che i fan aspettavano spasmodicamente da anni. Il Valore di questo cross-over risiede nel fatto che è riuscito da sempre ad unire Oriente e Occidente, infatti da un lato ci sono i combattenti dei picchiaduro della software house giapponese e dall’altro i supereroi (buoni e cattivi) dell’americana Marvel. Un insieme di combattenti assolutamente accattivanti e grintosi che hanno sempre attratto l’attenzione dei players di ogni età. L’uscita di questo titolo ci ha riportato alla memoria i giorni spensierati in cui alcuni dei titoli presenti nella collections erano presenti nelle sale giochi e i ragazzini di allora passavano i pomeriggi sfidando amici o il difficile livello di sfida offerto dal cabinato arcade. Insomma questa raccolta è un tuffo nel passato che include ben sette perle, compreso un picchiaduro a scorrimento poco conosciuto (The Punisher). Nel pacchetto c’è insomma la storia della trionfale collaborazione tra Capcom e Marvel prima che esplodesse nello splendido Marvel Vs. Capcom 3: un percorso impreziosito da netti miglioramenti alla giocabilità, funzionalità online e piccoli grandi extra gioco dopo gioco. Come appena accennato, Marvel vs. Capcom Fighting Collection: Arcade Classics rappresenta un percorso evolutivo che segna indelebilmente gli anni ’90 degli ultimi, grandi picchiaduro 2D sviluppati in casa Capcom. L’inizio, in ordine cronologico, non è esattamente dei più sfolgoranti ma la compagnia giapponese l’ha comunque incluso nel pacchetto per amor di completezza. The Punisher esce nel 1993 e diventa subito un grande successo arcade. Capcom ripropone la formula dei suoi Final Fight e Captain Commando, rappresentando fedelmente il personaggio di Frank Castle, antieroe Marvel senza poteri, ma con un’immensa esperienza militare. Nel gioco, il Punitore combatte orde di nemici per arrivare a Kingpin, passando sopra i cadaveri di scagnozzi come Bushwacker o Mosaico, affiancato da Nick Fury. Il picchiaduro, diviso in stage e a scorrimento come da tradizione, si distingueva per la violenza sopra le righe, lo stile fumetto, molto fedele ai fumetti Marvel con tanto di onomatopee, e una tecnologia inedita che permetteva di schierare fino a dieci sprite nemici contemporaneamente. Il gameplay è abbastanza classico: attacchi concatenabili, mosse speciali che consumano l’indicatore della vita, oggetti da raccogliere per guarire o aumentare il punteggio, armi da mischia e da fuoco a consumo. Un arcade d’altri tempi, duro e puro.

Parlando invece di Children of the Atom, il picchiaduro uno contro uno con protagonisti i celebri mutanti creati da Stan Lee, possiamo dire che è il primo rudimentale esperimento di Capcom pensato per trasportare in ambito fighting game dei personaggi dotati di poteri incredibili. Un titolo imperfetto da cui, negli anni, si sono susseguiti altri titoli sempre più ricchi e dettagliati. Collisioni imprecise, combo infinite e un bilanciamento che lascia a desiderare sono sicuramente degli elementi che al giorno d’oggi fanno sorridere. Tuttavia, guardando il titolo con gli occhi analitici di chi vuole comprendere la storia di un franchise, non si può non ammirare l’enorme lavoro fatto da Capcom, l’art design ispiratissimo e le favolose transizioni tra stage che caratterizzano il primo, fondamentale, esperimento di questa saga. Parlando invece di Marvel Super Heroes possiamo dire che resta un prodotto rigorosamente 1v1 ma si sposta nell’universo allargato dei supereroi Marvel, con personaggi come Spiderman, Captain America e Hulk. Il combo system e il sistema di collisioni risultano più raffinati, mentre l’introduzione delle Gemme dell’Infinito, da raccogliere e utilizzare durante gli scontri, aggiunge una componente di imprevedibilità alle battaglie. Impreziosisce l’offerta una eccellente colonna sonora, che crea alcune tra le icone musicali dell’epoca CPS2 con il suo sound tipicamente digitale ma riconoscibilissimo. Seguono i due esperimenti crossover: X-Men vs Street Fighter e Marvel vs Street Fighter, che segnano l’approdo della saga nel sistema tag team. Il primo titolo, entrato nella storia con l’iconica stretta di mano tra Ryu e Cyclops, risulta un netto passo avanti rispetto a tutto ciò che c’era prima. Un’azione decisamente più moderna, combo aeree più raffinate e l’aggiunta di meccaniche tag indicano l’inizio della “maturità” di questo franchise che comincia ad assumere una forma propria. Il secondo capitolo crossover di questa carrellata non differisce molto dal primo se non nel roster e in alcune meccaniche minori, e potremmo quasi considerarlo una sorta di “patch” primordiale dell’epoca dei cabinati. I personaggi dell’universo Marvel e X-Men cominciano ad avere un assetto definito, con un set di mosse migliorate e più funzionali negli scontri. Con Marvel Vs. Capcom: Clash of Super Heroes, dopo diversi esperimenti tra X-Men, Marvel e Street Fighter, Capcom ha capito che poteva riunire tutto in unico pacchetto e senza limiti per via del nome del gioco. In effetti, se nel titolo si inserisce solamente X-Men o Street Fighter, di certo non ti aspetti la presenza di Morrigan da Darkstalkers nel roster. Da qui l’idea di creare un prodotto più ampio e che includesse personaggi proveniente da serie differenti. La formula del 2vs2 funzionava e Capcom ha deciso di adottarla anche per questo capitolo, aggiungendo allo stesso tempo dei personaggi assist non giocabili da poter far intervenire in maniera limitata per creare diverse combo. Ma è con Marvel Vs.Capcom 2: New Age of Heroes che questa raccolta raggiunge il suo culmine. Il titolo infatti è un punto di arrivo e un nuovo inizio, con un roster impensabile di ben cinquantasei personaggi che includono tutti quelli proposti nei giochi precedenti più nuove leve come SonSon e Amingo lato Capcom o Cable e Marrow lato Marvel. Il titolo uscito nel 2000 combina anche sprite 2D e spettacolari scenari 3D con un’effettistica all’avanguardia e animazioni straordinarie a scapito di una definizione sensibilmente più bassa. La realtà è che il gioco è talmente caotico, sfavillante e veloce che neanche si notano le sbavature. Marvel Vs. Capcom 2 infatti permette di formare squadre composte da tre personaggi e rifinisce il sistema Variable Assist del titolo precedente: il giocatore sceglie una versione α, β o γ di ogni personaggio, determinando il tipo di Assist a ogni richiamo. Come se ciò non bastasse, una nuova tecnica permette di forzare l’avversario allo scambio – magari richiamando in combattimento un personaggio che sta recuperando in panchina per dargli il colpo di grazia – e le Hyper Combo possono essere combinate in una devastante super mossa tripla oppure lanciate in sequenza e temporeggiate per buona misura. In virtù di queste aggiunte e manovre, Capcom snellisce anche il sistema di controllo, che ora propone due calci e due pugni invece di tre, stabilendo uno standard per i picchiaduro futuri.

Ad ogni gioco si accompagna la possibilità di inserire uno tra 7 filtri diversi per le scanline o per smussare i pixel, ma sappiate che è tranquillamente possibile godere dell’esperienza vanilla lasciando la grafica completamente inalterata. Se la pixel art è ancora al top, il sonoro non è certo da meno, sia per la qualità degli effetti che per dettagli nostalgici come i doppiatori originali degli X-Men anni ’90, insieme ovviamente a colonne sonore controverse all’epoca ma divenute classicissime come nel caso del jazz e funk di MvC2. Se dobbiamo parlare di qualche mancanza, un rilancio delle opere di questa portata avrebbe dovuto vedere affiancato un tutorial sul come approcciarsi alle partite; quantomeno delle informazioni generali sulla funzione degli assist o sul come costruire un team, magari anche semplicemente mostrando degli esempi di trio sinergici precostruiti. Di certo il sistema di menù utilizzato non aiuta, essendo piuttosto confusionario e con opzioni sparse per varie finestre o talvolta relegate solo a specifici tasti. Nulla di troppo grave, ma un grado maggiore di pulizia da questo punto di vista sarebbe stato ben gradito. Purtroppo il titolo di Capcom è afflitto da due note dolenti, una opinabile e l’altra decisamente no. Il primo ostacolo all’acquisto potrebbe essere rappresentato dal prezzo che è sicuramente alto per una compilation di titoli degli anni passati, anche se questa è una valutazione assolutamente soggettiva. L’altra nota dolente è invece più oggettiva e riguarda il singolo slot di salvataggio rapido condiviso per tutti i giochi: si tratta di una funzionalità accessoria e del tutto facoltativa ma che purtroppo risulta assai limitata poiché ogni quick save andrebbe a sovrascrivere il precedente, indipendentemente dal gioco. Una sbavatura di poco conto che macchia però una riproposta in grandissimo stile. Tutti i giochi nella Marvel vs. Capcom Fighting Collection: Arcade Classics hanno un valore storico non indifferente, anche quelli meno conosciuto o giocati, ma è chiaro che Marvel Vs. Capcom 2 rappresenta il titolo più completo. È ancora oggi uno dei titoli più giocati a livello competitivo ma i titoli che lo hanno preceduto, pur nella loro relativa semplicità, hanno qualcosa da dire e questa Collection li ripropone con una qualità sfavillante. Ogni titolo incluso nel pacchetto esiste in due versioni, giapponese originale e inglese, con gli aggiustamenti del caso. Ogni titolo è altamente personalizzabile. Una nutrita schermata di opzioni iniziale permette di modificare l’esperienza, andando addirittura a impostare il numero di gettoni “virtuali” a partita, il livello di difficoltà, la velocità del timer o la disponibilità dei personaggi segreti, oltre al sistema di controllo e all’assegnazione dei tasti, che include le famigerate scorciatoie per i giocatori più casual. Una seconda schermata di opzioni, accessibile dopo aver selezionato ogni gioco, consente di cambiare il formato dello schermo e le illustrazioni nell’eventuale cornice, oltre agli immancabili filtri grafici che sono tanti e, naturalmente, includono un’imitazione del nostalgico CRT. Tra le aggiunte più interessanti spiccano sicuramente la modalità Museo, in cui è possibile riascoltare ogni singola traccia musicale o ammirare le illustrazioni promozionali dei vari giochi, e la schermata delle Medaglie, praticamente una sorta di elenco di achievement per gli amanti dei collezionabili e dei traguardi. La modalità di allenamento è poi completissima e include hitbox, simulazioni di latenza, dati a vista e moltissime opzioni che permettono ai giocatori più navigati di impratichirsi alla perfezione. Detto ciò come avrete capito, Marvel vs. Capcom Fighting Collection: Arcade Classics è un titolo che a noi è piaciuto moltissimo e ci ha convinto pienamente nonostante non sia un gioco perfetto. Siamo certi che nostalgici della saga e new players potranno passare ore ed ore in compagnia dei protagonisti di ognuno dei 7 titoli. Unica vera pecca piuttosto grave a nostro avviso è la mancanza del titolo sulle piattaforme Xbox. Un prodotto del genere meriterebbe di essere giocato da tutti a nostro avviso e non soltanto dai possessori di Pc, Switch e PlayStation.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8
Sonoro: 9
Gameplay: 8,5
Longevità: 9

VOTO FINALE 8,5

Francesco Pellegrino Lise

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Privacy a rischio, gli occhiali Meta riconoscono l’identità delle persone

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La privacy va tutelata e le nuove tecnologie possono rappresentare potenzialmente una minaccia per l’identità e i dati sensibili di ognuno di noi. E il recente caso legato agli occhiali intelligenti di Meta ne sono la riprova. Due studenti di Harvard hanno recentemente dimostrato come le lenti intelligenti Ray-Ban Meta, combinati con la tecnologia di riconoscimento facciale e IA, possano essere utilizzati per ottenere illegalmente informazioni personali come identità, numeri di telefono e indirizzi. La demo, chiamata I-Xray, utilizza tecnologie già esistenti e facilmente accessibili, sollevando serie preoccupazioni sulla privacy. AnhPhu Nguyen, uno dei due studenti, ha pubblicato un video che mostra il processo in azione, poi ripreso dal sito 404 Media. Il sistema funziona sfruttando la capacità degli occhiali di Meta di trasmettere video in streaming su Instagram. Un programma al computer monitora la diretta e, tramite l’intelligenza artificiale, identifica i volti. Le immagini vengono poi confrontate con i database pubblici per ottenere informazioni sensibili, che vengono visualizzate su un’app. Nel video dimostrativo, gli studenti riescono a identificare in tempo reale compagni di classe e perfetti sconosciuti, ottenendo i loro indirizzi e i nomi dei loro familiari. La precisione della tecnologia rende I-Xray uno strumento potenzialmente pericoloso nelle mani sbagliate. Gli studenti hanno dichiarato di aver creato la demo non per scopi malevoli, ma per sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi di tali oggetti. Il sito The Verge ricorda che la privacy è sempre stata una delle principali preoccupazioni per i cosiddetti “smart glass”. Al lancio della prima edizione dei Google Glass, oltre dieci anni fa, vi fu una reazione in parte negativa del pubblico proprio per la possibilità, per chi li indossava, di registrare gli altri in spazi pubblici, senza alcun consenso. L’IA aggiunge a tale scenario conseguenze critiche per la riservatezza dei dati.

F.P.L.

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