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Suicide Squad: Kill the Justice League, arrivano gli antieroi per eccellenza

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Suicide Squad: Kill the Justice League è un videogame action sviluppato da Rocksteady Studios, pubblicato da Warner Bros per PlayStation 5, Xbox Series X/S e Pc. Il titolo si pone narrativamente come un seguito diretto della saga di Batman: Arkham, ma non è un nuovo episodio di quella serie. Non lo è mai stato a livello concettuale, non è nato in questo modo, non vuole ambire a confrontarsi con la quadrilogia originale, ed è proprio un’altra cosa. A livello di trama il comparto narrativo rappresenta senza alcun dubbio l’aspetto meglio riuscito del nuovo gioco di Rocksteady Studios. I presupposti parlano da soli: diversi anni dopo gli eventi di Batman: Arkham Knight, il potente Brainiac atterra con la sua Nave Teschio nel centro di Metropolis con uno scopo preciso: conquistare la Terra e trasformarla nel suo pianeta d’origine, Colu. La città scelta dal malvagio androide alieno per scatenare il suo malvagio piano di conquista non è frutto di una decisione casuale, infatti è lì che operano gli eroi più potenti, i membri della Justice League; e la prima cosa che Brainiac fa è catturarli e corromperli nel profondo, riducendoli a obbedienti soldati privi di qualsiasi inibizione, pronti a far rispettare il volere del loro nuovo padrone nella maniera più sanguinosa e violenta possibile. Una mutazione da cui non si può tornare indietro. Vista la situazione, Amanda Waller, direttrice dell’organizzazione governativa A.R.G.U.S., decide di recarsi ad Arkham e seleziona quattro criminali per formare una vera e propria squadra suicida da inviare a Metropolis per tentare il tutto e per tutto e ribaltare la situazione. La scelta della Waller ricade sulla folle Harley Quinn, il tiratore infallibile Deadshot, l’irrecuperabile Captain Boomerang e il potente mutante King Shark. Ai detenuti viene impiantata una micro-bomba nel collo che può essere azionata da remoto e dunque li obbliga a eseguire gli ordini anziché darsela a gambe una volta rimessi in libertà.

Questo allegro plotone di debosciati, protagonisti indiscussi di questo Suicide Squad: Kill the Justice League, viene così condotto a Metropolis e lo scenario che si para di fronte ai loro occhi è di quelli che restano impressi: la gigantesca Nave Teschio di Brainiac si staglia all’orizzonte, mentre i suoi titanici tentacoli lambiscono ciò che resta di una città ormai in rovina, messa a ferro e fuoco dalle truppe al servizio del conquistatore alieno. Truppe che, giusto per rendere le cose ancora più terribili, non sono altro che cittadini riconvertiti, trasformati in orribili mostri attraverso un processo spietato e irreversibile. Non che i componenti della Suicide Squad si sarebbero fatti problemi ad ammazzare persone comuni per raggiungere i propri scopi, sia chiaro, ma le circostanze implicano l’impiego di qualsiasi risorsa a disposizione; e Amanda Waller di risorse ne ha davvero moltissime. Lo scopo della missione della Suicide Squad è quello di uccidere la Justice League, dunque, ma non senza godersi il viaggio. Ottenere i mezzi e le capacità per riuscire ad ammazzare ex supereroi dai poteri straordinari come Flash, Lanterna Verde, Batman e Superman non sarà una cosa semplice e i protagonisti del gioco dovranno muovere mari e monti, persino superare i confini del loro mondo per riuscire nell’impresa, nell’ambito di un viaggio che sul piano narrativo abbiamo trovato assolutamente godibile e a tratti esaltanti. Se infatti gli ex eroi della Lega della Giustizia vengono resi nel gioco in una maniera bidimensionale, rinchiusi nei confini della loro moralità (o dell’assoluta mancanza di essa, dopo il trattamento Brainiac), i quattro protagonisti sono invece oro puro, videoludicamente parlando: caratterizzati in maniera magnifica, mai banali, sempre pronti a sorprendere chi gioca con trovate assolutamente fuori di testa, che bucano lo schermo e strappano risate. Ci sono sequenze nella campagna di Suicide Squad: Kill the Justice League che posseggono un grado di epicità estremo, ma anche gag brillanti, una scrittura solidissima, situazioni inaspettate, azzardi che non ci si aspetterebbe di vedere in un prodotto su licenza ed espedienti visivi brillantemente rielaborati che ribadiscono ancora una volta quanto voglia essere volutamente e dannatamente demenziale la storia. Nel senso buono ovviamente. Ovviamente a pesare sono anche e soprattutto le interpretazioni dei quattro protagonisti, che nella versione nostrana vantano un doppiaggio in italiano di alto livello che però non è totalmente assente da difetti. Diciamo subito che la Harley Quinn di Chiara Francese è un gioiellino, quanto di più vicino ci sia alla controparte americana di Tara Strong. Il Captain Boomerang di Francesco “Deacon” Rizzi è fantastico e subito dopo vengono le performance di King Shark, Amanda Waller, Pinguino, Gizmo, Flash e Superman, doppiato anche qui da Matteo “Nathan Drake” Zanotti. Il doppiaggio italiano si colloca all’interno di un comparto audio di ottima fattura, ricco di effetti convincenti e supportato dalla indimenticabile e assolutamente adrenalinica colonna sonora rock firmata da Rupert Cross e Nick Arundel.

La campagna principale di Suicide Squad: Kill the Justice League ha una durata di circa 10 ore, ma l’intera esperienza può arrivare a sfiorare le 16/17 ore grazie ad un certo quantitativo di missioni secondarie, ed è molto probabile che la longevità del titolo sia destinata ad aumentare fra le tappe del supporto post lancio. Malgrado un monte ore non certo astronomico, l’esperienza può comunque risultare piuttosto onerosa, e questo perché tutti gli incarichi sono strutturati a partire da un’esigua manciata di modelli, differenti in termini di obiettivo ma riconducibili ad una singola prassi: sparare a tutto e tutti. Che siano missioni di uccisione o di salvataggio dei civili, che sia il momento di proteggere le piante di Poison Ivy o raccogliere dati per il Giocattolaio, non c’è nessuna reale variazione sul tema del chiasso balistico. “Prendete le vostre armi e fate fuoco: non appena avrete sgomberato l’area allora potrete andare avanti” questo è il mood che accompagnerà i giocatori per tutto il tempo che si vorrà giocare. Purtroppo però tale sistema alle lunghe, per quanto si possa essere grandi fan dei personaggi Dc Comics, la monotonia prende il sopravvento. Vale la pena di precisare che, sebbene lo shooting di Suicide Squad sia di per sé piacevole, alcune costrizioni limitano di molto l’efficacia del gameplay nonché la libertà d’approccio nel corso delle missioni: la frequente presenza di precise condizioni per infliggere danni durante gli incarichi, come la necessità di utilizzare le sole granate, mettere a segno colpi critici o sfruttare alterazioni di stato, finisce infatti per svilire tanto il gunplay quanto il sistema di progressione, spingendo l’utenza a seguire forzosamente specifiche routine. In questo contesto, la varietà dell’arsenale e dei potenziamenti non riesce ad innalzare adeguatamente l’asticella della diversità ludica, e lo stesso vale per gli spettacolari attacchi speciali in dotazione ai diversi membri del team. All’aumentare di ogni livello in Suicide Squad: Kill the Justice si ottiene un punto talento da spendere una delle tre sezioni dello skilltree che Hack presenterà come la rappresentazione del cervello, nel quale si potranno dunque impiantare delle nuove abilità. La loro efficacia purtroppo però è risultata sempre impalpabile in quella che è l’economia del gioco, che tende a mettere chi gioca solo dinanzi all’esigenza di armi più potenti e basta. A tal proposito, anche il tentativo di far costruire a Pinguino attrezzi del mestiere sempre più potenti si dimostra perlopiù vano, essendo tutto legato a una mera condizione di fortuna, come d’altronde le loot box consegnate alla fine di ogni missione. La progressione e la crescita sono delle illusioni, ma vogliamo concedere a Rocksteady il beneficio del dubbio sperando che in futuro tutto questo assumerà un senso. Per ora non ce l’ha. Suicide Squad soffre, però, anche in quella che è la costruzione dell’open world: proporre nel 2024 una struttura del genere, che riduce Metropolis ad un ampio spazio vuoto da attraversare e riempire di piombo, non è proprio il massimo. Ci si trova dinanzi a una città fantasma davvero povera di stimoli, all’interno della quale non si ha mai una vera e propria spinta per andare a esplorare il mondo di gioco, che risulta effettivamente spogliato di qualsiasi attività secondaria.

Suicide Squad: Kill the Justice League a livello grafico è un prodotto che funziona davvero bene. Il titolo gira a 60 fps su tutte le console (anche Xbox Series S), utilizzando il classico espediente della risoluzione dinamica che su PS5 punta ai 1800p ma si accontenta spesso e volentieri dei 1440p, presentando qualche singhiozzo solo in casi abbastanza rari e anomali, che speriamo verranno sistemati in fretta. Per il tipo di gioco e per le situazioni che vengono rappresentate, come detto parecchio caotiche e rumorose nelle fasi più avanzate della campagna e durante l’endgame, si tratta di risultati di tutto rispetto. Dopodiché ci sono naturalmente le scelte artistiche, e qui si può aprire senz’altro un dibattito. Come già detto, la Metropolis di Kill the Justice League non ha nulla a che vedere con la Gotham di Arkham Knight, i due scenari sono letteralmente distanti come il giorno e la notte, visto che la città di Batman veniva sempre e solo mostrata in notturna. Differenze giustificate sul piano narrativo ma che, ce ne rendiamo conto, impattano sulla resa visiva generale dello scenario, sgretolandone la personalità. La metropoli un tempo protetta dalla Justice League azzarda alcune architetture peculiari ma rimane arida e desolata, tanto esteticamente quanto contenutisticamente, e il sistema di illuminazione utilizzato dal gioco, una scelta forse obbligata al fine di rappresentare l’alternarsi del giorno e della notte, tende ad appiattire le superfici piuttosto che valorizzarle, anche in presenza di pioggia. Personaggi, nemici e animazioni, invece, sono degni di nota, ben realizzati e caratterizzati. Tirando le somme questo Suicide Squad: Kill the Justice League è un titolo che può tranquillamente divertire, a patto che si sia disposti ad accettare la sua natura volutamente iperbolica e ironica, ma anche la ripetitività delle missioni. Giocandolo il titolo è in grado di offrire un bizzarro mix di sensazioni: un gioco fantastico sul piano narrativo, pieno di personaggi scritti in maniera brillante, situazioni completamente fuori di testa e scene davvero epiche; che peraltro può contare su di un gameplay solido, frenetico e divertente anche nei momenti più incasinati e confusionari, specie laddove si affronti la cooperativa insieme agli amici. È un peccato che l’open world preparato per l’occasione non supporti questi elementi con maggiore convinzione, svolgendo il mero ruolo di sfondo rispetto a missioni un po’ troppo simili fra di loro. Cambierà qualcosa nella fase post-lancio? La nostra speranza è ovviamente sì, in quanto le basi per un prodotto fatto per durare nel tempo ci sono.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 9

Gameplay: 7

Longevità: 7

VOTO FINALE: 7,5

Francesco pellegrino Lise

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Luigi’s Mansion 2 HD, il titolo icona del 3DS torna su Switch in alta definizione

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Luigi’s Mansion 2 ritorna, a più di 10 anni dalla sua uscita originale su Nintendo 3DS, in versione rimasterizzata per Nintendo Switch. Questa nuova edizione in alta definizione del piccolo capolavoro del colosso nipponico offre l’opportunità di rivivere una delle avventure più amate del fratello di Mario, con una veste grafica rinnovata e alcune migliorie tecniche. Ma come si comporta questo titolo del 2013 nel panorama videoludico attuale? Analizziamo nel dettaglio questa riedizione per scoprire se il fascino di Cupavalle resiste ancora alla prova del tempo oppure è destinato a soccombere sotto il peso degli anni. Seguendo in modo abbastanza diretto dal primo episodio, uscito su Game Cube nel lontano 2001, Luigi’s Mansion 2 HD (al tempo Luigi’s Mansion 2 o Luigi’s Mansion Dark Moon negli Usa) catapulta i giocatori nuovamente nell’avventura con un incipit decisamente semplice: dopo la vittoria dell’idraulico in verde nel primo capitolo, i fantasmi si sono acquietati e vivono in serenità con gli umani, permettendo al Professor Strambic di continuare i suoi studi con grande efficienza. Un “misterioso intervento esterno”, però, distrugge e frammenta la pietra a forma di luna che teneva sotto controllo gli spiriti, mandandoli in agitazione e costringendo lo scienziato a chiedere il soccorso del miglior acchiappafantasmi in circolazione. Così in men che non si dica quel fifone di Luigi si trova nuovamente impegnato a catturare spettri con aspirapolvere alla mano e gambe tremolanti. Questa volta però non si troverà più in una sola, vasta, magione, ma dovrà spostarsi in differenti aree per recuperare i pezzi del cristallo, scoprire chi si nasconde dietro le quinte e ripristinare tutto alla normalità, assicurandosi che nessuno dei suoi amici sia finito nei guai. Il tutto è possibile grazie al genio di Strambic, che oltre a essere il massimo esperto di fantasmi è anche riuscito a sviluppare una tecnologia chiamata “pixeltrasporto”, in grado di muovere Luigi da una parte all’altra del mondo sfruttando schermi e telecamere come veicolo. Da qui inizia un’avventura tendenzialmente in linea con gli altri episodi, che vede il buon Luigi esplorare ogni angolo delle location da lui visitate alla ricerca di tesori, chiavi, fantasmi e segreti: insomma, tutto il necessario per proseguire di livello in livello e soddisfare le richieste di Strambic. Idealmente la progressione ricorda un po’ quella di un metroidvania, in quanto c’è la libertà di muoversi in aree tutto sommato limitate, da sbloccare di volta in volta, mentre vengono mostrati al tempo stesso tanti passaggi apparentemente inaccessibili, muri misteriosi che sembrano nascondere qualcosa, stanze prive di accesso o sistemi di controllo che sembrano non rispondere alle sollecitazioni di chi gioca.

Luigi questa volta avrà insomma un bel da fare dovendo ripuloire ben cinque magioni infestate nel tentativo di ricomporre la pietra a forma di Luna e domare gli ectoplasmi aiutato dal fido aspirapolvere Poltergust 5000, versione potenziata del modello 3000 comparso in Luigi’s Mansion, e da una torcia multifunzione. Sulla carta per avere la meglio basterebbe “sparaflashare” gli evanescenti invasori per poi pescarli con l’aspirapolvere assecondando i loro movimenti. Nella pratica, però, i dispettosi fantasmi faranno di tutto per vendere cara la melma ricorrendo a trucchetti, armature o alla forza bruta: tutte cose che costringeranno i giocatori a indebolirli, aggirarli o quant’altro prima di poter procedere con la cattura. Su 3DS, come accennato, queste meccaniche soffrivano un poco i limiti del sistema di controllo, ma qui sono una vera goduria e bastano davvero pochi minuti per prenderci la mano e farsi trascinare dalla moltitudine di interazioni escogitata da Next Level Games e Nintendo per spremere fino all’ultima goccia le possibilità del Poltergust 5000 e il pensiero laterale dei giocatori. Il Poltergust 5000 nasce per aspirare i fantasmi, OK, ma nulla vieta di invertire il flusso e/o sfruttarlo per sollevare tappeti, afferrare tende, tovaglie e in generale passare al setaccio le magioni infestate svelandone i vari segreti o espugnandone le ricchezze in modo da potenziare il proprio arsenale. Sempre grazie all’aspirapolvere si può, ad esempio, afferrare oggetti congelati e trasportarli fino alla fiamma più vicina, oppure gonfiare dei palloncini e creare una piccola mongolfiera per raggiungere aree altrimenti inaccessibili; e queste sono solo alcune delle tante interazioni possibili per sfruttare o aggirare i limiti fisici del gioco. La torcia a sua volta non si limita a rendere vulnerabili gli spiriti ma consente di attivare interruttori e meccanismi, mentre l’Arcobaluce – sorta di versione “mariesca” degli ultravioletti – è in grado di svelare porte e oggetti nascosti aggiungendo di fatto una dimensione extra all’avventura, obbligando così il giocatore a prestare particolare attenzione a tubi mancanti, zerbini e persino ai complementi d’arredo apparentemente asimmetrici. Attorno a queste dinamiche gli sviluppatori hanno costruito un sistema di enigmi incredibilmente sofisticato; le missioni inizialmente appaiono circoscritte, ma col procedere del gioco diventano sempre più elaborate facendo “esplodere” il level design delle singole magioni e servendo alcune delle boss fight più creative mai viste in un videogioco Nintendo. Di contro il cuore dell’esperienza resta la caccia, e anche sotto questo aspetto dopo le prime semplici battute è necessario ricorrere all’astuzia e a tutte le opportunità offerte dai propri strumenti, senza contare le occasionali disinfestazioni da ragni, piante carnivore e altre simpatiche creaturine che infestano le aree di gioco.

Se il titolo originale ha proposto una più che discreta esperienza portatile, in questa occasione è opportuno chiedersi se e quanto abbia giovato la transizione a una nuova piattaforma. La risposta è a nostro avviso: decisamente più performante ma meno “peculiare” rispetto alla piccola console portatile della grande N. A livello puramente visivo, nulla da dire: pur non raggiungendo le vette di Luigi’s Mansion 3, questa edizione HD del secondo capitolo risulta comunque molto curata, potendo godere di modelli e texture ricreati da zero e un impatto scenico dovuto al cambio di proporzioni dello schermo decisamente più efficace. Molto bene invece per quello che concerne il lato controlli, che tornano a contemplare l’utilizzo dell’analogico destro (assente su 3DS) per rendere più agile il movimento che su portatile risultava piuttosto sacrificato. Forse il cambiamento più importante che il gioco ha vissuto in positivo. Esplorazione e combattimenti risultano quindi più fluidi e divertenti, così come tutte le prove “speciali” che vedono variare il gameplay. Dove si paga lo scotto è nella trasposizione dell’esperienza “stereoscopica” originale: in particolare basta vedere i boss, comunque tuttora apprezzabili, per cogliere come la messinscena sia frutto di un design collegato allo speciale effetto visivo offerto dallo schermo superiore di Nintendo 3DS, risultando sacrificata, se non quasi banalizzata, quando riprodotta in modo tradizionale. E’ necessario, quando si parla di Luigi’s Mansion 2 HD evidenziare due note sulla longevità e il multigiocatore. Per quanto concerne la durata, il titolo si assesta sui livelli del terzo capitolo, quindi intorno alle 10/15 ore per una partita classica, salendo se si va alla ricerca del completismo, sebbene il tutto possa risultare un po’ allungato per via del continuo “vai e vieni” dovuto alla struttura a missioni. Per quanto riguarda il multigiocatore tocca constatare come il tutto sia in linea con il titolo d’origine, mancando quindi di una modalità storia cooperativa e limitandosi invece alla Torre del Caos in cui collaborare fino a 4 giocatori, in wireless locale o online, per superare le tante e appassionanti sfide proposte. Tirando le somme, poter tornare a giocare a Luigi’s Mansion 2 HD è sempre un piacere, soprattutto perché in termini di level design, struttura degli enigmi e gestione dell’arsenale è sicuramente il capitolo più interessante della serie, persino al netto del terzo. In più il salto in avanti per quanto riguarda il sistema di controllo offerto a suo tempo da 3DS rappresenta una vera benedizione, persino più gradita del passaggio all’alta definizione. Certo, aggiornare anche il sistema dei salvataggi sarebbe stato un gradito cambiamento, ma tutto sommato non possiamo lamentarci. Tuttavia tra gioco base, contenuti extra e tutte le cose da fare per completare il titolo al cento per cento, ci sarà da spassarsela davvero per molte ore.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8,5

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise

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iPhone pieghevole nel 2027, un nuovo brevetto online fa esplodere i rumors

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iPhone pieghevole? Tornano i rumors. Le ultime indiscrezioni arrivano proprio da un nuovo brevetto che Apple ha registrato negli Stati Uniti. Il lancio però dovrebbe avvenire tra qualche anno, non prima del 2027. Il nome del documento, ripreso dal sito Cnet, è “dispositivi elettronici con display pieghevoli durevoli”, depositato nel 2021 ma concesso il 16 luglio di quest’anno. Al suo interno, alcune soluzioni che la Mela potrebbe seguire per realizzare l’iPhone Flip, ossia un telefono che si chiude a conchiglia, come il recente Motorola Razr 50 Ultra. Il testo elenca in modo dettagliato la presenza delle varie componenti del prodotto, dalla batteria alla ricarica wireless, connettività Bluetooth e Wi-Fi, display led o lcd, microfoni e sensori capacitivi, tattili e così via. C’è un riferimento esplicito ad un display pieghevole di 180 gradi, o completamente piatto, in linea con le declinazioni attualmente sul mercato anche a marchio Samsung e Oppo. Se sembra alquanto certo che Apple stia esplorando la possibilità di lanciarsi nel mercato dei pieghevoli, più dubbi sussistono sulle tempistiche. L’analista Ross Young ha affermato che un modello del genere è stato posticipato ad almeno il 2025. Più o meno la stessa tempistica suggerita dall’analista esperto di Apple, Ming Chi Kuo, che ha ribadito la possibile finestra di presentazione. C’è chi va anche oltre: i ricercatori di TrendForce sottolineano che le rigorose procedure di controllo qualità di Cupertino e l’aumento nella richiesta di pannelli flessibili porterà l’azienda a concludere un primo lotto di disponibilità dell’iPhone Flip non prima del 2027, quanto Samsung sarà alla nona generazione di Galaxy Z Flip. Insomma, stando alle nuove indiscrezioni nel futuro degli smartphone della Mela il dispositivo pieghevole sembra essere presente. Non resta altro che aspettare per saperne di più.

F.P.L.

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Elden Ring: Shadow of the Erdtree, molto più che una semplice espansione

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Elden Ring: Shadow of the Erdtree è un’espansione enorme e sorprendente, che conferma la posizione di FromSoftware tra i migliori team di sviluppo in circolazione nel panorama videoludico contemporaneo. Il dlc (anche se chiamarlo così è riduttivo) è ovviamente disponibile su Pc, Xbox e PlayStation, quindi tutti coloro che hanno potuto giocare a Elden Ring (qui la nostra recensione), potranno cimentarsi in questa nuova avventura e proseguire il loro cammino. Ricordiamo a tutti coloro che sono interessati a intraprendere questo nuovo viaggio che per entrare nell’universo offerto da Shadow of the Erdtree è necessario aver ucciso Radahn e Mohg. Una volta fatto ciò si deve interagire col bozzolo di Miquella, parlando prima con un NPC che si troverà proprio lì davanti. Essendo una macro-area da visitare dopo l’endgame, il livello di difficoltà dei nemici al suo interno è piuttosto sostenuto. Questo vuol dire che provare a esplorare stando al di sotto di un livello medio che si aggira attorno al 140, o addirittura di parecchio inferiore, si va incontro alla morte anche coi nemici più insignificanti. Prendere sotto gamba il livello è un errore da non fare in quanto per chi volesse provare l’ebbrezza di addentrarsi nel “nuovo mondo”, l’impatto sarà assolutamente traumatico. Gli antagonisti sono capaci di uccidere con uno o due colpi e le zone più avanzate, assieme a quelle segrete e ai boss facoltativi, risultano quasi impossibili da completare. Eppure Elden Ring Shadow of the Erdtree, così come il gioco principale, non è mai scorretto col giocatore. Ovviamente il titolo impartirà dure lezioni ancora una volta, ma quando si inizierà a comprendere il gioco delle minacce che piagano la Terra delle Ombre, affrontare ogni ostacolo sarà fonte di assoluta soddisfazione. Differentemente da quanto i più possano pensare, l’aumento di livello non è la chiave per poter dominare sul campo di battaglia. Stavolta From Software ha applicato una sorta di sistema di potenziamento interno all’espansione che funziona grossomodo come i pezzi di maschera già visti in Sekiro. Va da sé che le reali differenze durante l’avanzamento, e soprattutto durante gli scontri coi boss, si notano solo raccogliendo i frammenti sparsi per la mappa di gioco, taluni ben nascosti o accessibili solo dopo alcune fasi di sbarramento. Una volta fermi ai Luoghi di Grazia, si potrà consultare il menù arricchito con una nuova voce che consente di migliorare in modo permanente alcune delle statistiche passive. Questa scelta adottata per Elden Ring Shadow of the Erdtree ha una duplice funzione: non rendere il contenuto troppo semplice anche per i veterani e obbligare i giocatori a esplorare davvero a fondo ogni angolo di mappa. L’esperta FromSoftware non ha però reso semplice l’accesso a tutte le aree, e in questa espansione si percepisce un senso della scoperta ancora più meraviglioso e sbalorditivo, reso tale da un design delle aree molto più articolato e complesso.

Il Regno delle Ombre è una mappa affascinante e con un design complesso e raffinato che conquista. Tuttavia è doveroso fare una menzione speciale ai dungeon/legacy, che presentano le medesime qualità. Anche qui il team di From Software è riuscito a creare livelli pieni di anfratti, percorsi alternativi, uscite, scorciatoie e connessioni all’interno di architetture colossali e uniche. Tra quelle esplorate ce ne sono due in particolare che abbiamo apprezzato. Autentiche opere di ingegneria studiate nei minimi dettagli: dalla disposizione dei nemici a quella delle sezioni interconnesse con una naturalezza disarmante. Un altro aspetto positivo positivo di Elden Ring: Shadow of the Erdtree riguarda la significativa riduzione del numero di mini-dungeon. Ora ce ne saranno di meno, ma più interessanti, elaborati e complessi. Spesso con meccaniche uniche e con boss sempre differenti, che garantiranno uno stimolo costante per quanto concerne l’esplorazione. Altro punto di forza della produzione sono i boss. In Elden Ring: Shadow of the Erdtree ce ne sono circa una decina, e sono tutti assolutamente straordinari sia per design che per le meccaniche di combattimento. E’ davvero sorprendente vedere come il team di From Software continui a sorprendere la sua fan base con creature così imponenti e ricche di personalità, capaci di proporre battaglie uniche, intense e sempre molto complesse da affromntare. Oltre a quanto detto, quest’espansione di Elden Ring ha un altro merito, ovvero: riuscire a sorprendere anche per il numero smodato di armi, talismani e magie aggiuntive, oggetti peraltro pensati per modificare sensibilmente lo stile di qualunque giocatore. Si vede chiaramente che l’intento di FromSoftware nella Terra delle Ombre è stato chiaramente uno solo: offrire un gran quantitativo di strumenti adatti a ogni genere di build, dotati di mosse e poteri così unici da spingere i giocatori a testarli anche se non necessariamente ottimali. E se da una parte alcune combinazioni del gioco base restano spettacolarmente efficaci e difficilmente sostituibili, riteniamo che FromSoftware abbia davvero trovato la chiave di volta qui, perché è stato praticamente impossibile non cambiare varie volte specializzazioni ed equipaggiamento dinanzi a certe novità. Ci sono ben otto categorie di armi del tutto nuove, e alcune di queste coprono delle mancanze significative del gioco base. A tutto ciò va anche sommato un discreto numero di ottime nuove stregonerie e un mix incredibile di incantesimi Il risultato finale? Un vero paradiso per chi ama sperimentare con statistiche ed equipaggiamento. Tirando le somme, questo Elden Ring: Shadow of the Erdtree è un’espansione incredibile, un lavoro di grande pregio che torna in parte alle origini dei souls, senza però tradire lo spirito del gioco base né abbandonare le caratteristiche che lo hanno fatto amare da così tanti giocatori. Si tratta di un lavoro impressionante, capace di stupire sia per il suo incredibile map design sia per la varietà delle novità introdotte. Impossibile, davanti a un’opera simile, non confermare il già notevole voto del gioco base. Impossibile lasciarselo sfuggire se avete amato il titolo originale.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9,5

Sonoro: 9,5

Gameplay: 9,5

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9,5

Francesco Pellegrino Lise

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