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The Crew Motorfest, Ubisoft torna in pista alla grande

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The Crew Motorfest, disponibile per Pc, Xbox e PlayStation, rappresenta un cambio di rotta vero e proprio per la serie targata Ubisoft. Questo avviene da un lato ispirandosi in maniera fin troppo esplicita alla serie Forza Horizon, dall’altro perdendo di vista gli aspetti che hanno caratterizzato questa proprietà intellettuale sin dagli esordi, finendo per sfruttarli ben poco nel corso di una campagna che rappresenta senza né se né ma la fiera delle playlist. Anche dal punto di vista prettamente strutturale il ripensamento è evidente e vede passare dall’enormità delle precedenti mappe americane ai confini di un’isola hawaiiana, O’ahu, che tuttavia si presenta come uno scenario non solo suggestivo sul piano puramente estetico, ma anche dotato di una maggiore densità e coerenza per quanto concerne i contenuti da affrontare. Così facendo gli sviluppatori di Ivory Tower hanno voluto puntare su di uno scenario in grado di regalare scorci particolarmente suggestivi, specie in alcune ore della giornata, e di confezionare questa nuova esperienza in maniera simile a Forza Horizon. In effetti le sequenze iniziali di The Crew Motorfest riprendono davvero molti degli elementi tipici della serie di Playground Games: dall’alternanza di paesaggi e musiche latineggianti dei titoli di apertura alla fase introduttiva in cui ci si mette alla guida dei tanti veicoli differenti a cui si potrà accedere nel corso della campagna, per arrivare al concetto di festival per gli appassionati di motorsport, che viene presentato poco prima di passare all’editor per la creazione del proprio alter ego virtuale. La struttura su cui si poggia The Crew Motorfest è costituita da un buon numero di Playlist, competizioni di vario tipo dedicate ad una precisa tipologia di veicoli o di gare. C’è infatti la Playlist dedicata al Tuning Giapponese, oppure, rimanendo in tema Sol Levante, quella dedicata all’auto del paese orientale, passando poi a quella dedicata alle macchine classiche dagli anni ’50 in poi, o ancora quella dedicata alle Lamborghini, quella alle gare Off Road, quella alle Motociclette arrivando a Playlist con host più o meno famosi come i folli ragazzi di Donut Media o quella dell’influencer Supercar Blondie che darà l’occasione di guidare delle avveniristiche concept car. Ognuna di queste Playlist andrà a modificare più o meno profondamente anche il panorama delle gare, mettendo i giocatori, ad esempio, in gara di notte in mezzo a sgargianti luci al neon per la Playlist dedicata alle auto Giapponesi, con tanto di enormi dragoni che decorano le strade, oppure la particolarissima saturazione dei colori più soft nelle gare dedicate alle auto storiche. Una scelta non rivoluzionaria, sia chiaro, ma decisamente di effetto e che riesce a donare un’inaspettata varietà ai panorami dell’isola. Ogni Playlist presente in questo nuovo The Crew Motorfest è composta da un certo numero di eventi che è necessario compiere in successione per portarla a termine. Alcune saranno dei veri e propri campionati con punteggio ad ogni tappa e premiazione finale sul podio, altre invece offriranno eventi in cui sarà sufficiente arrivare al traguardo, come le suggestive gare con le auto storiche in cui, non avendo in questo caso l’ausilio del GPS, bisogna raggiungere il traguardo seguendo degli indizi fotografici che appariranno su schermo di volta in volta. Altre ancora invece chiederanno di completare la gara nelle prime tre posizioni, mettendo quasi sempre in condizione di compiere i vari obiettivi senza troppi pensieri. La fase iniziale di Motorfest è abbastanza rigida, visto che oltre alle Playlist non avremo molto altro da fare se si escludono gli sporadici Autovelox, o le brevissime prove di Slalom sparse nelle strade delle Hawaii, ma basterà cominciare a completare le Playlist per sbloccare moltissime sfide secondarie che andranno a riempire la mappa di nuove prove che spaziano dal compiere determinate manovre con una precisa macchina passando per la raccolta di innumerevoli collezionabili sparsi ovunque, arricchendo di molto l’offerta proposta man mano che si va avanti nella carriera. Un aspetto comune a tutte le Playlist disponibili nel gioco è la particolare scelta di mettere i giocatori sempre alla guida di veicoli offerti dal gioco stesso che da un lato dona una varietà notevole, ma che dall’altro lato sacrifica completamente le auto presenti in garage. Una scelta ancor meno comprensibile se si prende in considerazione la gradita possibilità di importare quasi tutte le vetture possedute in The Crew 2, ma che le mette nella non troppo piacevole posizione di semplici comparse che si possono usare a piacimento nel free roaming e nelle gare multigiocatore.

Naturalmente ad ogni vittoria si guadagnano diverse ricompense: dai crediti da investire in nuovi veicoli e nella loro personalizzazione estetica, agli immancabili XP che permettono di crescere di livello sbloccando ulteriori ricompense, titoli e quant’altro, sino al particolare sistema di modifiche tecniche rappresentato in The Crew Motorfest da un originale sistema paragonabile al Loot di un gioco di ruolo. Grazie all’ottenimento di alcune carte dedicate a varie parti da modificare suddivise per rarità, Non Comune, Raro, Epico e Leggendario, e accompagnate anche da un valore numerico che ne indica l’efficacia, modificare il bolide è ancora più intrigante. Queste particolari carte sono anche suddivise per categoria: in una gara dedicata al fuoristrada si ottengono pezzi per questo tipo di veicoli, così come in una gara dedicata alle moto si conquistano parti relative solo a questa categoria e così via. Anche in questo caso però ci si scontra con la scelta di dover usare delle auto a “noleggio” nelle gare, rendendo molto meno interessante ed utile la modifica dei propri veicoli, specialmente nell’ottica del progresso in giocatore singolo. Parlando sempre di veicoli, come da tradizione per The Crew, essi non si limitano solo alle auto, ma si possono usare anche moto, aerei, motoscafi, Monster Truck, fino ad affascinanti prototipi inventati di sana pianta da Ivory Tower arrivando infine al top per quel che riguarda sia le motociclette, con alcune MotoGP disponibili, che per le auto con alcuni modelli di RedBull Formula 1. Naturalmente è possibile affrontare tutte le Playlist con la Crew per un massimo di quattro giocatori e, oltre a questo, si può prender parte anche a gare esclusivamente multiplayer. La prima è la Grand Race, una competizione per 28 giocatori in cui utilizzare tre diverse tipologie di vetture, ognuna per un terzo di gioco. Appena prima di partire si ha la possibilità di selezionare cosa utilizzare in gara. Queste competizioni saranno mediamente abbastanza lunghe e piuttosto impegnative visto anche l’elevato numero di concorrenti che non si faranno troppi problemi a giocare sporco fra tamponamenti e sportellate. Nel Demolition Royale, invece, si prende parte ad un particolare mix tra un Demolition Derby ed una Battle Royale. In questo caso i giocatori saranno un massimo di 32 suddivisi in squadre di un massimo di 4 giocatori ed l’obiettivo è ovviamente quello di eliminare gli altri concorrenti distruggendone le auto con scontri spettacolari. Una volta provocati abbastanza danni è anche possibile trasformarsi in Monster Truck aumentando a dismisura la forza distruttiva per puntare ad essere gli unici sopravvissuti e quindi vincitori. Entrambe queste tipologie di gare sono sempre disponibili e, ad ogni mezz’ora, offriranno un’ambientazione diversa e anche classi di auto coinvolte differenti di volta in volta. Un altro aspetto peculiare di The Crew Motorfest è la presenza dell’Hub, una vera e propria base operativa in cui girare a piedi in un garage virtuale in cui saranno esposte le auto di altri giocatori che si possono ammirare in ogni minimo dettaglio, votare quelle che si preferiscono per il contest mensile legato alle personalizzazioni estetiche ed anche iscrivere uno dei propri veicoli a queste particolari gare. Si può addirittura sedersi al volante di ognuna delle auto presenti, accenderne il motore per sentirlo ruggire, un piacevole extra che consente di ammirare ogni auto presente. All’entrata sarà presente anche un’auto che rappresenta il bundle principale delle auto disponibili all’acquisto. Ovviamente si possono comprare coi crediti di gioco, ma i giocatori più frettolosi e facoltosi potranno anche utilizzare soldi veri per risparmiare tempo, ma non denaro. Sempre all’interno del Hub si può partecipare al Summit Contest, ossia una specie di Playlist Mensile, suddivisa in eventi settimanali, dedicata anche in questo caso ad uno specifico tipo di vetture. Compiendo le varie prove disponibili con le auto adatte, si ottengono ricompense di ogni tipo oltre a salire di livello andando ad accumulare anche i particolari Punti Leggenda. Questi punti possono poi essere investiti per migliorare alcuni aspetti in maniera permanente. Si può ad esempio investirli per ottenere un boost ai punti esperienza guadagnati, oppure ai crediti e così via. Si possono investire fino ad un massimo di 20 punti Leggenda per ognuna delle voci disponibili e questo offre dei bonus ragguardevoli, sebbene ci vorrà molto tempo e moltissime gare per accumularne a sufficienza per ottenere i bonus maggiori. Come da nuova politica Ubisoft, il gioco è localizzato in italiano nei soli testi, mentre il parlato rimane in inglese.

The Crew Motorfest può contare su un’enorme varietà dei mezzi disponibili. Da questo punto di vista il gioco è una festa vera e propria paragonabile al famosissimo Goodwood Festival che ogni anno fa la gioia degli appassionati di qualsiasi cosa sia mossa da un motore, a scoppio od elettrico. Avere a disposizione un parco vetture così eterogeneo porta ovviamente ad una quantità e varietà di gare davvero soddisfacente, e la scelta di modificare profondamente anche il paesaggio a seconda della Playlist in corso non fa altro che sottolineare tutte queste piacevoli sfaccettature. Peccato che in alcuni casi queste variazioni sul tema riguardano solo oggetti di contorno come enormi gonfiabili e cartelli vari, il gioco dà il meglio di sé quando modifica tutto, come nel caso delle gare dedicate alle auto Giapponesi decisamente d’impatto od anche ai particolarissimi circuiti dedicati al Drift che con le loro interminabili curve portano a decine di metri di altezza dal suolo. Le novità di The Crew Motorfest si estendono anche al gameplay, che presenta un modello di guida sostanzialmente migliorato rispetto al passato, capace di trasmettere in maniera molto più convincente il peso della vettura e di mantenere alto il coinvolgimento durante le gare nel tentativo di bilanciare accelerazione e freno, derapate e boost al fine di evitare impatti che potrebbero rallentarci parecchio. In tal senso si notano alcune importanti accortezze: la prima è l’introduzione di una funzionalità rewind che consente di riavvolgere gli ultimi quattordici secondi di azione, nel caso in cui si rimanga coinvolti in un incidente che potrebbe compromettere in maniera frustrante il piazzamento finale di una gara fino a quel momento perfetta. La seconda riguarda il design dei tracciati, quasi del tutto privi di ostacoli contro cui inchiodarsi e dotati di barriere laterali in curva che permettono di evitare scivolamenti eccessivi quando si arriva lunghi, cosa che potrebbe farci perdere il contatto con i checkpoint. Questi ultimi, peraltro, presentano una certa tolleranza al contatto, pensata per preservare quanto più possibile la fluidità della corsa ed evitare di rovinarla per qualche centimetro. Infine sono presenti diverse opzioni che consentono di scalare l’esperienza di guida sulla base delle proprie preferenze, dai banali indicatori della traiettoria al cambio automatico o manuale, passando per tutta una serie di assistenze elettroniche che possono rendere ancora più concreto e solido l’impianto messo a punto da Ivory Tower. Peccato che poi, quando ci si mette alla guida di un motoscafo o soprattutto di un aereo, questo spessore finisca per dissiparsi irrimediabilmente. Dal punto di vista tecnico The Crew Motorfest include due modalità grafiche su PS5 e Xbox Series X: una a 4K dinamici e 30 fps, l’altra a 1440p dinamici e 60 fps. Quest’ultima è ovviamente da preferire e si comporta molto bene anche sul fronte della nitidezza sugli schermi Ultra HD, sebbene soffra di qualche fastidioso calo di frame rate, di alcune mancanze e di fenomeni di pop-up abbastanza evidenti quando si corre a gran velocità. In generale, la resa visiva di The Crew Motorfest fa il possibile per avvicinarsi al suo più volte citato punto di riferimento, Forza Horizon 5, senza però raggiungere il medesimo livello qualitativo: in alcuni frangenti l’isola di O’ahu appare davvero affascinante e i suoi paesaggi regalano momenti emozionanti, ma quando il sole è alto il sistema di illuminazione tende un po’ ad appiattire gli elementi e alla fine ci si muove un po’ fra alti e bassi. Tirando le somme, il nuovo gioco di corse targato Ubisoft è sicuramente divertente, intrattiene con una rosa di veicoli davvero inimitabile, e lo fa in un panorama bellissimo e attraverso un enorme numero di gare ed eventi. La particolare progressione parte lenta, ma non bisogna temere, infatti il gioco offre moltissimi eventi proseguendo nella carriera. Peccato per alcune scelte che ne intaccano l’anima stessa, sacrificando aspetti che sarebbe stato meglio vedere sottolineati nella giusta maniera, garage personale e modifiche tecniche in primis. Lo stile di guida funziona, ma si inciampa in alcune fasi, come in partenza o quando il comportamento delle vetture cerca di essere verosimile, sbagliando clamorosamente. Fortunatamente l’utilizzo delle assistenze alla guida smussa questi angoli e ne amplifica il divertimento, ma probabilmente rinunciare a qualsiasi velleità realistica, anche la più piccola, avrebbe giovato non poco al gioco. Se siete quindi amanti dei racing games e state cercando qualcosa che affianchi Forza Horizon, allora questo The Crew Motorfest è ciò che state cercando.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 7,5

Gameplay:7,5

Longevità1. 8

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise

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Nobody Wants to Die, il videogame thriller in salsa cyberpunk

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Nobody Wants to Die, titolo sviluppato da Critical Hit Games disponibile su Pc, Xbox e PlayStation, è un’avventura di stampo noir ambientata nella città di New York del 2329. Protagonista dell’avventura è il detective James Karra che si trova a dover indagare su una serie di misteriosi omicidi. Il poliziotto però non è solo, ma dovrà affrontare le indagini assieme alla giovane collega Sara Kai, suo braccio destro nonché personaggio fondamentale nel corso della storia. Fin dai primi passi mossi in questo thriller decisamente molto curato per quanto riguarda l’aspetto grafico, siamo rimasti affascinati dall’atmosfera da detective story in stile Blade Runner, dove però il focus devia totalmente dalle dinamiche di combattimento che ci si aspetterebbe. Nel corso di tutta la durata di Nobody Wants to Die, infatti, non si incontrerà alcuna sequenza di combattimento. Un vero peccato perché a nostro avviso qualche sparatoria avrebbe sicuramente messo più pepe al tutto. Come si può intuire, quindi, i cardini della produzione sono racchiusi tutti in tre elementi: storia, personaggi e ambientazione. A livello narrativo l’avventura ha inizio con il detective James Karra che torna a lavorare in polizia dopo un recente incidente in seguito al quale sembra aver avuto delle conseguenze sulla sua salute psichica. Proprio nel suo giorno di riposo viene incaricato dal suo capo di indagare sul presunto suicidio di uno degli uomini più ricchi di New York, Edward Green. L’uomo si accorgerà ben presto però che il caso affidatogli non è quel che sembra e, in compagnia della sua collega, Sarah, si troverà invischiato in un intrigo politico estremamente pericoloso e complesso.

Fra livelli che si sviluppano in verticale man mano che aumenta il tenore di vita dei cittadini, auto volanti che affollano i cieli ed enormi insegne luminose a fendere l’oscura decadenza di una metropoli in cui piove sempre o quasi, l’ambientazione di Nobody Wants to Die si ispira in maniera palese a Blade Runner ed è ovviamente un peccato che la si possa solo ammirare da lontano. Sono presenti infatti sequenze in cui il protagonista si ritrova a contemplare il profilo della sua New York e il traffico che scorre fra i palazzi, magari mentre si affaccia dallo sportello aperto della sua stessa auto volante. Tuttavia, una volta messo in moto il veicolo, l’atto di viaggiare verso una qualsiasi destinazione viene rappresentato in maniera automatica, senza la possibilità di pilotare il mezzo. Di fatto i momenti in cui viene concesso di esplorare lo scenario sono pochi e limitati, a dimostrazione di come il contorno scenografico dell’avventura sia appunto questo: un semplice sfondo, pensato per arricchire e contestualizzare un gameplay che di fatto si limita all’analisi delle scene del crimine o ai puzzle che concludono un’indagine andando a sommare i vari elementi. A livello di giocabilità, una volta giunti sulla scena del crimine si può azionare un dispositivo in grado di “riavvolgere il tempo” e rivelare elementi da approfondire e visualizzare, ricorrendo anche ad apparecchi come la fotocamera, la lampada UV e il visore a raggi X per ricostruire di volta in volta ciò che è accaduto e chi ha fatto cosa. Questa parte dell’esperienza è piacevole e molto ben coreografata, ma come detto risulta parecchio guidata. L’interfaccia del gioco, infatti, dispensa suggerimenti in continuazione, al punto che la modalità di visualizzazione teoricamente deputata a fornire dei consigli si rivela inutile. Viene detto fino a dove far scorrere il tempo, che strumento utilizzare e quando, rendendo futile persino la ruota di selezione dei dispositivi; e così anche il gameplay stesso di Nobody Wants to Die si rivela semplicemente funzionale alla narrazione e nient’altro.

L’ambientazione oscura scelta dal team polacco è di certo la componente meglio riuscita dell’intera produzione perché, al netto delle sue evidentissime ispirazioni, riesce a far emergere una discreta personalità all’interno delle suggestioni cyberpunk grazie ad un retro-futurismo datato ma efficace: l’impatto scenografico prestato da Blade Runner è qui mescolato ad un’estetica anni Quaranta, generando una dose di malinconia mista a tristezza nell’osservare auto volanti e dal design antiquato sfrecciare tra le piogge acide di una notte perenne. La colonna sonora doom jazz accompagna le elucubrazioni di un protagonista costretto a vivere per sempre nonostante la mancanza di stimoli reali, tratteggiando i confini di un universo in cui l’immortalità non è un dono, ma una condanna a vivere con i propri rimorsi. L’Unreal Engine 5 è qui utilizzato per donare un elevato grado di dettaglio ad ambientazioni contenute e ben diverse tra di loro, con un preset “Qualità” che fa sfoggio di un ray tracing corposo e di un’illuminazione efficace, mentre quello “Prestazioni” – che mantiene stabilmente i 60 fps – smorza il colpo d’occhio facendo calare la definizione e riducendo i giochi di luce. Tirando le somme possiamo dire che questo Nobody Wants to Die è nel complesso un’avventura a base narrativa caratterizzata da un’affascinante ambientazione cyberpunk, che attinge a piene mani da alcune opere piuttosto celebri, come il già citato Blade Runner, per raccontare una storia interessante e coinvolgente, costruita interamente sui due protagonisti. È vero: il gameplay si limita all’analisi delle scene del crimine e gli sviluppatori non hanno osato sconfinare, infarcendo anzi le meccaniche investigative di suggerimenti contestuali che rendono l’esperienza parecchio guidata, ma non per questo meno piacevole. Se quello che si cerca è un titolo tranquillo, con un’ambientazione molto suggestiva e che sia privo di una componente action, allora Nobody Wants to Die è il titolo che fa per voi.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5
Sonoro: 8
Gameplay: 7
Longevità: 6,5

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise

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Threads in forte ascesa, superati i 200 milioni di utenti

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Threads, l’ultimo nato fra i social di Meta, ha superato il traguardo dei 200 milioni di utenti. Lo ha affermato con un post online Adam Mosseri, capo di Instagram, sulla cui rete Threads si basa. L’annuncio arriva un giorno dopo che Mark Zuckerberg aveva dichiarato durante una call sugli utili di Meta, che l’app stava per raggiungere i 200 milioni di utenti. In passato, il fondatore di Facebook ha più volte ipotizzato che Threads mira a diventare un social da un miliardo di iscritti. “La mia speranza è che Threads possa ispirare idee che uniscano le persone e che questa straordinaria comunità continui a crescere. Grazie a tutti per aver investito il vostro tempo e fornito feedback che rendono questo posto migliore per tutti” ha scritto Mosseri dal suo profilo su Threads. Come concorrente di X, l’app deve ancora risolvere alcune lacune che la differenziano ancora dal colosso guidato da Elon Musk. Come scrive Engadget, la stessa Meta è conscia del fatto che l’algoritmo che presenta i post in tempo reale di X sia molto più veloce di quello su Threads. “Non siamo ancora abbastanza veloci, e stiamo lavorando attivamente per migliorare” ha proseguito Mosseri. In ogni caso i numeri parlano chiaro, Threads in poco tempo sembra aver conquistato un elevato numero di utenti e sembra che il fenomeno sia destinato a crescere. Riuscirà a diventare la nuova punta di diamante di Meta? Lo scopriremo solo seguendo gli sviluppi e la crescita di questo giovanissimo social media.

F.P.L.

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Luigi’s Mansion 2 HD, il titolo icona del 3DS torna su Switch in alta definizione

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Luigi’s Mansion 2 ritorna, a più di 10 anni dalla sua uscita originale su Nintendo 3DS, in versione rimasterizzata per Nintendo Switch. Questa nuova edizione in alta definizione del piccolo capolavoro del colosso nipponico offre l’opportunità di rivivere una delle avventure più amate del fratello di Mario, con una veste grafica rinnovata e alcune migliorie tecniche. Ma come si comporta questo titolo del 2013 nel panorama videoludico attuale? Analizziamo nel dettaglio questa riedizione per scoprire se il fascino di Cupavalle resiste ancora alla prova del tempo oppure è destinato a soccombere sotto il peso degli anni. Seguendo in modo abbastanza diretto dal primo episodio, uscito su Game Cube nel lontano 2001, Luigi’s Mansion 2 HD (al tempo Luigi’s Mansion 2 o Luigi’s Mansion Dark Moon negli Usa) catapulta i giocatori nuovamente nell’avventura con un incipit decisamente semplice: dopo la vittoria dell’idraulico in verde nel primo capitolo, i fantasmi si sono acquietati e vivono in serenità con gli umani, permettendo al Professor Strambic di continuare i suoi studi con grande efficienza. Un “misterioso intervento esterno”, però, distrugge e frammenta la pietra a forma di luna che teneva sotto controllo gli spiriti, mandandoli in agitazione e costringendo lo scienziato a chiedere il soccorso del miglior acchiappafantasmi in circolazione. Così in men che non si dica quel fifone di Luigi si trova nuovamente impegnato a catturare spettri con aspirapolvere alla mano e gambe tremolanti. Questa volta però non si troverà più in una sola, vasta, magione, ma dovrà spostarsi in differenti aree per recuperare i pezzi del cristallo, scoprire chi si nasconde dietro le quinte e ripristinare tutto alla normalità, assicurandosi che nessuno dei suoi amici sia finito nei guai. Il tutto è possibile grazie al genio di Strambic, che oltre a essere il massimo esperto di fantasmi è anche riuscito a sviluppare una tecnologia chiamata “pixeltrasporto”, in grado di muovere Luigi da una parte all’altra del mondo sfruttando schermi e telecamere come veicolo. Da qui inizia un’avventura tendenzialmente in linea con gli altri episodi, che vede il buon Luigi esplorare ogni angolo delle location da lui visitate alla ricerca di tesori, chiavi, fantasmi e segreti: insomma, tutto il necessario per proseguire di livello in livello e soddisfare le richieste di Strambic. Idealmente la progressione ricorda un po’ quella di un metroidvania, in quanto c’è la libertà di muoversi in aree tutto sommato limitate, da sbloccare di volta in volta, mentre vengono mostrati al tempo stesso tanti passaggi apparentemente inaccessibili, muri misteriosi che sembrano nascondere qualcosa, stanze prive di accesso o sistemi di controllo che sembrano non rispondere alle sollecitazioni di chi gioca.

Luigi questa volta avrà insomma un bel da fare dovendo ripuloire ben cinque magioni infestate nel tentativo di ricomporre la pietra a forma di Luna e domare gli ectoplasmi aiutato dal fido aspirapolvere Poltergust 5000, versione potenziata del modello 3000 comparso in Luigi’s Mansion, e da una torcia multifunzione. Sulla carta per avere la meglio basterebbe “sparaflashare” gli evanescenti invasori per poi pescarli con l’aspirapolvere assecondando i loro movimenti. Nella pratica, però, i dispettosi fantasmi faranno di tutto per vendere cara la melma ricorrendo a trucchetti, armature o alla forza bruta: tutte cose che costringeranno i giocatori a indebolirli, aggirarli o quant’altro prima di poter procedere con la cattura. Su 3DS, come accennato, queste meccaniche soffrivano un poco i limiti del sistema di controllo, ma qui sono una vera goduria e bastano davvero pochi minuti per prenderci la mano e farsi trascinare dalla moltitudine di interazioni escogitata da Next Level Games e Nintendo per spremere fino all’ultima goccia le possibilità del Poltergust 5000 e il pensiero laterale dei giocatori. Il Poltergust 5000 nasce per aspirare i fantasmi, OK, ma nulla vieta di invertire il flusso e/o sfruttarlo per sollevare tappeti, afferrare tende, tovaglie e in generale passare al setaccio le magioni infestate svelandone i vari segreti o espugnandone le ricchezze in modo da potenziare il proprio arsenale. Sempre grazie all’aspirapolvere si può, ad esempio, afferrare oggetti congelati e trasportarli fino alla fiamma più vicina, oppure gonfiare dei palloncini e creare una piccola mongolfiera per raggiungere aree altrimenti inaccessibili; e queste sono solo alcune delle tante interazioni possibili per sfruttare o aggirare i limiti fisici del gioco. La torcia a sua volta non si limita a rendere vulnerabili gli spiriti ma consente di attivare interruttori e meccanismi, mentre l’Arcobaluce – sorta di versione “mariesca” degli ultravioletti – è in grado di svelare porte e oggetti nascosti aggiungendo di fatto una dimensione extra all’avventura, obbligando così il giocatore a prestare particolare attenzione a tubi mancanti, zerbini e persino ai complementi d’arredo apparentemente asimmetrici. Attorno a queste dinamiche gli sviluppatori hanno costruito un sistema di enigmi incredibilmente sofisticato; le missioni inizialmente appaiono circoscritte, ma col procedere del gioco diventano sempre più elaborate facendo “esplodere” il level design delle singole magioni e servendo alcune delle boss fight più creative mai viste in un videogioco Nintendo. Di contro il cuore dell’esperienza resta la caccia, e anche sotto questo aspetto dopo le prime semplici battute è necessario ricorrere all’astuzia e a tutte le opportunità offerte dai propri strumenti, senza contare le occasionali disinfestazioni da ragni, piante carnivore e altre simpatiche creaturine che infestano le aree di gioco.

Se il titolo originale ha proposto una più che discreta esperienza portatile, in questa occasione è opportuno chiedersi se e quanto abbia giovato la transizione a una nuova piattaforma. La risposta è a nostro avviso: decisamente più performante ma meno “peculiare” rispetto alla piccola console portatile della grande N. A livello puramente visivo, nulla da dire: pur non raggiungendo le vette di Luigi’s Mansion 3, questa edizione HD del secondo capitolo risulta comunque molto curata, potendo godere di modelli e texture ricreati da zero e un impatto scenico dovuto al cambio di proporzioni dello schermo decisamente più efficace. Molto bene invece per quello che concerne il lato controlli, che tornano a contemplare l’utilizzo dell’analogico destro (assente su 3DS) per rendere più agile il movimento che su portatile risultava piuttosto sacrificato. Forse il cambiamento più importante che il gioco ha vissuto in positivo. Esplorazione e combattimenti risultano quindi più fluidi e divertenti, così come tutte le prove “speciali” che vedono variare il gameplay. Dove si paga lo scotto è nella trasposizione dell’esperienza “stereoscopica” originale: in particolare basta vedere i boss, comunque tuttora apprezzabili, per cogliere come la messinscena sia frutto di un design collegato allo speciale effetto visivo offerto dallo schermo superiore di Nintendo 3DS, risultando sacrificata, se non quasi banalizzata, quando riprodotta in modo tradizionale. E’ necessario, quando si parla di Luigi’s Mansion 2 HD evidenziare due note sulla longevità e il multigiocatore. Per quanto concerne la durata, il titolo si assesta sui livelli del terzo capitolo, quindi intorno alle 10/15 ore per una partita classica, salendo se si va alla ricerca del completismo, sebbene il tutto possa risultare un po’ allungato per via del continuo “vai e vieni” dovuto alla struttura a missioni. Per quanto riguarda il multigiocatore tocca constatare come il tutto sia in linea con il titolo d’origine, mancando quindi di una modalità storia cooperativa e limitandosi invece alla Torre del Caos in cui collaborare fino a 4 giocatori, in wireless locale o online, per superare le tante e appassionanti sfide proposte. Tirando le somme, poter tornare a giocare a Luigi’s Mansion 2 HD è sempre un piacere, soprattutto perché in termini di level design, struttura degli enigmi e gestione dell’arsenale è sicuramente il capitolo più interessante della serie, persino al netto del terzo. In più il salto in avanti per quanto riguarda il sistema di controllo offerto a suo tempo da 3DS rappresenta una vera benedizione, persino più gradita del passaggio all’alta definizione. Certo, aggiornare anche il sistema dei salvataggi sarebbe stato un gradito cambiamento, ma tutto sommato non possiamo lamentarci. Tuttavia tra gioco base, contenuti extra e tutte le cose da fare per completare il titolo al cento per cento, ci sarà da spassarsela davvero per molte ore.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8,5

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise

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