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Phoenix Point, lo strategico dal creatore di X-COM è su console

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Phoenix Point è uscito nel 2019 su Pc e il suo lancio ha segnato il ritorno di Julian Gollop, creatore dell’originale X-COM. Il titolo, ovviamente di natura strategica, partiva dalla stessa formula vista con il suo predecessore spirituale e la sviluppava in maniera coerente, inserendo alcune interessanti novità e un indubbio spessore, ma al tempo stesso restando arroccato su posizioni di eccessiva rigidità, ben distanti dalle aperture e dall’accessibilità delle produzioni targate Firaxis. A due anni dal debutto su computer, il gioco è finalmente approdato anche sulle console di precedente generazione, PS4 e Xbox One e su quelle next Gen: PlayStation 5 e Xbox Series X/S, con un’interfaccia adattata per quanto possibile ai controller e l’inclusione di quattro DLC (Fastering Skies, Legacy of the Ancients, Blood and Titanium e il recentissimo Corrupted Horizons) che aumentano ancor di più il corpo dell’esperienza. Per chi non avesse mai provato la versione PC, sappiate che la storia di Phoenix Point inizia da una catastrofe. A causa dello scioglimento dei ghiacciai in Antartide, un virus rimasto dormiente per migliaia di anni si espande per l’intero globo terrestre uccidendo i primi ospiti colpiti dal contagio. Entrando in contatto con l’acqua, il virus muta inaspettatamente trasformando le persone in orrendi mostri marini. Dopo aver appreso lo scenario, aver superato l’introduzione e appreso le nozioni del tutorial, il mondo di gioco si apre in una una mappa globale piena di punti d’interesse da esplorare e basi da gestire. E proprio da questo mappamondo virtuale i giocvatori potranno e dovranno entrare in contatto con diverse comunità sempre in conflitto tra di loro, che è meglio non inimicarsi. Alcune fazioni vedono il “Pandoravirus” come un’opportunità da cogliere per un nuovo stadio umano, mentre altre sono convinte di doverlo debellare a ogni costo prima che si diffonda totalmente. Insomma, anche in questo mondo apocalittico l’umanità che è riuscita a sopravvivere si fa guerra piuttosto che far fronte comune. Ma procediamo con ordine: in questo mondo completamente in rovina, i giocatori vestono i panni di una squadriglia di soldati d’élite fondata subito dopo la Seconda Guerra Mondiale: i Phoenix. Nel gioco bisognerà decidere come muoversi, quali attività seguire e in quale modo combattere. Insomma, si potrà scegliere se essere dei razziatori o i nuovi salvatori dell’umanità. Questo RPG tattico è riuscito a proporre una trama stimolante e coinvolgente, in grado non soltanto di catturare gli appassionati, ma anche di accompagnarli in un vasto mondo post-apocalittico strutturato fin nei minimi dettagli. Anche se la linearità della storia si avverte dopo le prima 10/12 ore di gioco, la presenza dei quattro DLC approfondiscono le varie vicende donando un senso di varietà alla produzione. Come dicevamo qualche riga più in alto, muoversi per il globo è fondamentale per raccogliere risorse, stringere alleanze ed esplorare le mappe procedurali generate automaticamente, purtroppo molto simili tra loro e poco ispirate. Facendo la conoscenza dei vari capi delle fazioni, si possono avviare scambi commerciali, reclutare nuovi soldati per la squadra e utilizzare le risorse per costruire alloggi, generatori d’energia elettrica e tante altre piccole chicche in grado di rafforzare il quartier generale dei Phoenix.

Proprio come accadeva in passato, Phoenix Point dà la possibilità di fabbricare armi più potenti, corazze resistentissime, ma anche mezzi di trasporto che potranno portare le truppe da una parte all’altra del globo. Quando poi il livello d’influenza sarà a un livello più alto, sarà possibile controllare ben più di tre basi sparse per il nostro pianeta. Strutture che bisognerà necessariamente difendere dalle incursioni dei pandoriani e dalla presenza del Behemoth, un abominio che minaccia ogni insediamento umano. Il combattimento, ispirato alla serie X-COM, è la parte nevralgica della produzione. A differenza della versione originale, è stata aggiunta una novità interessante: ora si possono colpire gli arti nemici indebolendoli o distruggendoli, dissanguandoli e prendendo così del tempo per organizzare una strategia diversa. Phoenix Point offre tipologie di missioni di vario genere: si va da quelle di salvataggio a quelle di rifornimento e di difesa, oltre a quelle di attacco, davvero impegnative se le si affrontano a un livello di sfida elevato. Al netto di queste novità, il sistema di combattimento rimane invariato. La reale criticità risiede però nell’intelligenza artificiale dei nemici: oltre a essere poco realistica, non offre un reale grado di sfida che possa realmente mettere in difficoltà, almeno nella difficoltà standard. Per capirci, i nemici sul campo di battaglia non solo trovano riparo in maniera raffazzonata, ma sono sempre a portata di tiro. Un cecchino potrebbe non sbagliare un colpo ma un soldato semplice armato di un fucile d’assalto sarebbe in grado di centrare il bersaglio lo stesso nonostante la differenza di arma, la gittata e la precisione.

La struttura ludica risulta comunque divertente, se si tralasciano alcune evidenti criticità strutturali. E come non citare le battaglie a bordo del Manticora? Interessanti, certo, ma si scontrano con la natura tattica del prodotto, non intrattenendo come speravamo. Nel complesso però la direzione artistica risulta godibile. Si esplorano mappe simili tra loro, vistando agglomerati e basi, nonché luoghi ameni controllati dai pandoriani. E nonostante il loro fascino, la morte sarà sempre dietro l’angolo. Il porting su console, nonostante una semplificazione delle finestre dei vari menù, è purtroppo minato da alcuni bug che fortunatamente non rovinano l’esperienza e non impossibilitano i giocatori ad avanzare nell’avventura. Tuttavia speriamo che con il rilascio di qualche patch tali problemi possano essere risolti e Phoenix Point possa risultare perfetto anche per le piattaforme di gioco.

Prima di proseguire ci teniamo a soffermarci un momento sulle fazioni che i giocatori incontreranno durante la loro esperienza di gioco. I seguaci di New Gerico propongono l’approccio più spavaldo e militarista: il loro capo Tobias West, che si fa chiamare il re filosofo, propugna una lotta senza quartiere contro gli invasori Pandora, in cui qualsiasi sacrificio è ammesso per il bene dell’umanità. West e New Gerico rappresentano dunque la classicità, riverberano i tempi in cui l’unica reazione era quella violenta, dove l’umanità, il sacrificio e l’onore erano esaltati. Ma West, e il cognome lo lascia intendere con chiarezza, rappresenta anche l’occidente: New Gerico è infatti una gerarchia alla cui testa c’è un “self-made man” che un tempo era un miliardario proprietario d’impresa. Tobias West è ossessionato dalla purezza, è spaventato dal diverso, per cui l’unica soluzione possibile per lui e per chi lo segue è la guerra. Proprio per questo New Gerico dispone di alcune delle tecnologie più potenti: armi, elicotteri e mezzi corazzati, ma anche di tecnici che schierano sul campo di battaglia delle temibili torrette automatiche. Dalla parte opposta di New Gerico ci sono i Discepoli di Anu, una religione sincretica che raccoglie alcuni dei culti che si sono sviluppati sul pianeta dopo l’apparizione delle creature Pandora. Appaiono come un culto mistico e misterioso e credono nella perfezione dell’animo umano, in contrasto con l’imperfezione della carne. Vedono nella mutazione del virus un modo per trascendere, per migliorare come individui: per loro Pandora non è una malattia o una maledizione, ma un modo per compiere un passo in avanti nel processo evolutivo. Sebbene combattano le creature per pura sopravvivenza, hanno intenzione di diventare un tutt’uno con il nuovo ambiente naturale e quindi non cercano di evitare la diffusione della bruma infetta. Se New Gerico rappresentava il rifiuto, l’opposizione, i Discepoli di Anu raffigurano l’accettazione, la fusione: qualora il progetto Phoenix decidesse di collaborare con loro usufruirebbe di modifiche genetiche molto interessanti e sarebbe capace di reclutare con più facilita dei sacerdoti con poteri psichici. Sul piano delle meccaniche, l’alleanza con i Discepoli è forse quella più interessante. La fazione più originale delle tre presenti in Phoenix Point è però Synedrion, un gruppo esteticamente conforme ai canoni dell'”high sci-fi”(possiede armamenti laser e infiltratori equipaggiati con gadget hi-tech) che si definisce anarco-sindacalista. Dopo che il terzo conflitto mondiale ha lasciato il pianeta quasi devastato, Synedrion è nata per portare avanti il sogno di un mondo senza più gerarchie. Al suo interno convivono correnti di pensiero che sono tra loro in contrasto, ma che vengono discusse in modo democratico e mai imposte da un’autorità centrale. Gli ecologisti, alcuni di essi ispirati dal filosofo americano Murray Bookchin, credono che una convivenza con Pandora sia possibile.

Dall’altra parte ci sono però i terraformatori, i quali sostengono che la tecnologia debba essere impiegata per curare la terra dal virus e creare un ambiente migliore per gli uomini. La frangia degli ecologisti che ha l’obiettivo di scardinare l’antropocentrismo è, nel suo piccolo, rivoluzionaria in un gioco come Phoenix Point, poiché spinge a mettere in dubbio tanti elementi relativi ad alcune narrazioni mainstream che oramai si sono normalizzati. Purtroppo, però, questo germe iconoclasta non sboccia. La parte finale chiarisce infatti alcuni aspetti che sarebbe stato meglio fossero rimasti misteriosi, svilendo così il significato di alcuni messaggi. In ogni caso la presenza delle tre fazioni rende l’esperienza di gioco assolutamente intrigante e più profonda.

Esteticamente parlando l’opera si presenta bene grazie al motore grafico Unity. Purtroppo, però, sono presenti sostanziali problematiche relative alle prestazioni e alla scarsa stabilità, soprattutto dal momento in cui il numero di elementi a schermo inizia ad essere importante. A livello di ambientazioni, Snapshot si è sforzata di differenziare coraggiosamente le varie location, riuscendo a fornire quella dose di novità per ogni mappa, che non guasta mai. Ogni momento di gioco, dalla gestione delle basi a quella delle missioni vere e proprie, è condito da soundtrack non troppo memorabili che, tuttavia, riescono nel loro intento di conferire un clima inquietante, sposando alla perfezione il tema dell’apocalisse aliena. Il doppiaggio in lingua inglese è ottimo e sono presenti otto lingue tra cui scegliere. Tirando le somme possiamo dire che il titolo, da molti considerato un successore spirituale del franchise di X-COM, sebbene per certi versi non riesca a raggiungerne il fascino della saga, a tratti è in grado di essere allo stesso livello del capolavoro targato Firaxis Games. In termini di gameplay, infatti, Phoenix Point riesce a distinguersi per la sua complessità e la profondità delle meccaniche, di cui X-COM ne gratta la superficie. Purtroppo, a limitare il gioco sussistono diversi elementi: una trama non proprio originale ed un comparto tecnico e di prestazioni piuttosto discutibile. Sicuramente, il prodotto di Snapshot Games e Julian Gollop risulta essere un must have per coloro che fremono dalla voglia di mettere le mani su un titolo gestionale e strategico a turni e, pertanto, ci sentiamo di consigliarlo senz’ombra di dubbio.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica:8

Longevità: 8,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise

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Nobody Wants to Die, il videogame thriller in salsa cyberpunk

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Nobody Wants to Die, titolo sviluppato da Critical Hit Games disponibile su Pc, Xbox e PlayStation, è un’avventura di stampo noir ambientata nella città di New York del 2329. Protagonista dell’avventura è il detective James Karra che si trova a dover indagare su una serie di misteriosi omicidi. Il poliziotto però non è solo, ma dovrà affrontare le indagini assieme alla giovane collega Sara Kai, suo braccio destro nonché personaggio fondamentale nel corso della storia. Fin dai primi passi mossi in questo thriller decisamente molto curato per quanto riguarda l’aspetto grafico, siamo rimasti affascinati dall’atmosfera da detective story in stile Blade Runner, dove però il focus devia totalmente dalle dinamiche di combattimento che ci si aspetterebbe. Nel corso di tutta la durata di Nobody Wants to Die, infatti, non si incontrerà alcuna sequenza di combattimento. Un vero peccato perché a nostro avviso qualche sparatoria avrebbe sicuramente messo più pepe al tutto. Come si può intuire, quindi, i cardini della produzione sono racchiusi tutti in tre elementi: storia, personaggi e ambientazione. A livello narrativo l’avventura ha inizio con il detective James Karra che torna a lavorare in polizia dopo un recente incidente in seguito al quale sembra aver avuto delle conseguenze sulla sua salute psichica. Proprio nel suo giorno di riposo viene incaricato dal suo capo di indagare sul presunto suicidio di uno degli uomini più ricchi di New York, Edward Green. L’uomo si accorgerà ben presto però che il caso affidatogli non è quel che sembra e, in compagnia della sua collega, Sarah, si troverà invischiato in un intrigo politico estremamente pericoloso e complesso.

Fra livelli che si sviluppano in verticale man mano che aumenta il tenore di vita dei cittadini, auto volanti che affollano i cieli ed enormi insegne luminose a fendere l’oscura decadenza di una metropoli in cui piove sempre o quasi, l’ambientazione di Nobody Wants to Die si ispira in maniera palese a Blade Runner ed è ovviamente un peccato che la si possa solo ammirare da lontano. Sono presenti infatti sequenze in cui il protagonista si ritrova a contemplare il profilo della sua New York e il traffico che scorre fra i palazzi, magari mentre si affaccia dallo sportello aperto della sua stessa auto volante. Tuttavia, una volta messo in moto il veicolo, l’atto di viaggiare verso una qualsiasi destinazione viene rappresentato in maniera automatica, senza la possibilità di pilotare il mezzo. Di fatto i momenti in cui viene concesso di esplorare lo scenario sono pochi e limitati, a dimostrazione di come il contorno scenografico dell’avventura sia appunto questo: un semplice sfondo, pensato per arricchire e contestualizzare un gameplay che di fatto si limita all’analisi delle scene del crimine o ai puzzle che concludono un’indagine andando a sommare i vari elementi. A livello di giocabilità, una volta giunti sulla scena del crimine si può azionare un dispositivo in grado di “riavvolgere il tempo” e rivelare elementi da approfondire e visualizzare, ricorrendo anche ad apparecchi come la fotocamera, la lampada UV e il visore a raggi X per ricostruire di volta in volta ciò che è accaduto e chi ha fatto cosa. Questa parte dell’esperienza è piacevole e molto ben coreografata, ma come detto risulta parecchio guidata. L’interfaccia del gioco, infatti, dispensa suggerimenti in continuazione, al punto che la modalità di visualizzazione teoricamente deputata a fornire dei consigli si rivela inutile. Viene detto fino a dove far scorrere il tempo, che strumento utilizzare e quando, rendendo futile persino la ruota di selezione dei dispositivi; e così anche il gameplay stesso di Nobody Wants to Die si rivela semplicemente funzionale alla narrazione e nient’altro.

L’ambientazione oscura scelta dal team polacco è di certo la componente meglio riuscita dell’intera produzione perché, al netto delle sue evidentissime ispirazioni, riesce a far emergere una discreta personalità all’interno delle suggestioni cyberpunk grazie ad un retro-futurismo datato ma efficace: l’impatto scenografico prestato da Blade Runner è qui mescolato ad un’estetica anni Quaranta, generando una dose di malinconia mista a tristezza nell’osservare auto volanti e dal design antiquato sfrecciare tra le piogge acide di una notte perenne. La colonna sonora doom jazz accompagna le elucubrazioni di un protagonista costretto a vivere per sempre nonostante la mancanza di stimoli reali, tratteggiando i confini di un universo in cui l’immortalità non è un dono, ma una condanna a vivere con i propri rimorsi. L’Unreal Engine 5 è qui utilizzato per donare un elevato grado di dettaglio ad ambientazioni contenute e ben diverse tra di loro, con un preset “Qualità” che fa sfoggio di un ray tracing corposo e di un’illuminazione efficace, mentre quello “Prestazioni” – che mantiene stabilmente i 60 fps – smorza il colpo d’occhio facendo calare la definizione e riducendo i giochi di luce. Tirando le somme possiamo dire che questo Nobody Wants to Die è nel complesso un’avventura a base narrativa caratterizzata da un’affascinante ambientazione cyberpunk, che attinge a piene mani da alcune opere piuttosto celebri, come il già citato Blade Runner, per raccontare una storia interessante e coinvolgente, costruita interamente sui due protagonisti. È vero: il gameplay si limita all’analisi delle scene del crimine e gli sviluppatori non hanno osato sconfinare, infarcendo anzi le meccaniche investigative di suggerimenti contestuali che rendono l’esperienza parecchio guidata, ma non per questo meno piacevole. Se quello che si cerca è un titolo tranquillo, con un’ambientazione molto suggestiva e che sia privo di una componente action, allora Nobody Wants to Die è il titolo che fa per voi.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5
Sonoro: 8
Gameplay: 7
Longevità: 6,5

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise

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Threads in forte ascesa, superati i 200 milioni di utenti

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Threads, l’ultimo nato fra i social di Meta, ha superato il traguardo dei 200 milioni di utenti. Lo ha affermato con un post online Adam Mosseri, capo di Instagram, sulla cui rete Threads si basa. L’annuncio arriva un giorno dopo che Mark Zuckerberg aveva dichiarato durante una call sugli utili di Meta, che l’app stava per raggiungere i 200 milioni di utenti. In passato, il fondatore di Facebook ha più volte ipotizzato che Threads mira a diventare un social da un miliardo di iscritti. “La mia speranza è che Threads possa ispirare idee che uniscano le persone e che questa straordinaria comunità continui a crescere. Grazie a tutti per aver investito il vostro tempo e fornito feedback che rendono questo posto migliore per tutti” ha scritto Mosseri dal suo profilo su Threads. Come concorrente di X, l’app deve ancora risolvere alcune lacune che la differenziano ancora dal colosso guidato da Elon Musk. Come scrive Engadget, la stessa Meta è conscia del fatto che l’algoritmo che presenta i post in tempo reale di X sia molto più veloce di quello su Threads. “Non siamo ancora abbastanza veloci, e stiamo lavorando attivamente per migliorare” ha proseguito Mosseri. In ogni caso i numeri parlano chiaro, Threads in poco tempo sembra aver conquistato un elevato numero di utenti e sembra che il fenomeno sia destinato a crescere. Riuscirà a diventare la nuova punta di diamante di Meta? Lo scopriremo solo seguendo gli sviluppi e la crescita di questo giovanissimo social media.

F.P.L.

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Luigi’s Mansion 2 HD, il titolo icona del 3DS torna su Switch in alta definizione

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Luigi’s Mansion 2 ritorna, a più di 10 anni dalla sua uscita originale su Nintendo 3DS, in versione rimasterizzata per Nintendo Switch. Questa nuova edizione in alta definizione del piccolo capolavoro del colosso nipponico offre l’opportunità di rivivere una delle avventure più amate del fratello di Mario, con una veste grafica rinnovata e alcune migliorie tecniche. Ma come si comporta questo titolo del 2013 nel panorama videoludico attuale? Analizziamo nel dettaglio questa riedizione per scoprire se il fascino di Cupavalle resiste ancora alla prova del tempo oppure è destinato a soccombere sotto il peso degli anni. Seguendo in modo abbastanza diretto dal primo episodio, uscito su Game Cube nel lontano 2001, Luigi’s Mansion 2 HD (al tempo Luigi’s Mansion 2 o Luigi’s Mansion Dark Moon negli Usa) catapulta i giocatori nuovamente nell’avventura con un incipit decisamente semplice: dopo la vittoria dell’idraulico in verde nel primo capitolo, i fantasmi si sono acquietati e vivono in serenità con gli umani, permettendo al Professor Strambic di continuare i suoi studi con grande efficienza. Un “misterioso intervento esterno”, però, distrugge e frammenta la pietra a forma di luna che teneva sotto controllo gli spiriti, mandandoli in agitazione e costringendo lo scienziato a chiedere il soccorso del miglior acchiappafantasmi in circolazione. Così in men che non si dica quel fifone di Luigi si trova nuovamente impegnato a catturare spettri con aspirapolvere alla mano e gambe tremolanti. Questa volta però non si troverà più in una sola, vasta, magione, ma dovrà spostarsi in differenti aree per recuperare i pezzi del cristallo, scoprire chi si nasconde dietro le quinte e ripristinare tutto alla normalità, assicurandosi che nessuno dei suoi amici sia finito nei guai. Il tutto è possibile grazie al genio di Strambic, che oltre a essere il massimo esperto di fantasmi è anche riuscito a sviluppare una tecnologia chiamata “pixeltrasporto”, in grado di muovere Luigi da una parte all’altra del mondo sfruttando schermi e telecamere come veicolo. Da qui inizia un’avventura tendenzialmente in linea con gli altri episodi, che vede il buon Luigi esplorare ogni angolo delle location da lui visitate alla ricerca di tesori, chiavi, fantasmi e segreti: insomma, tutto il necessario per proseguire di livello in livello e soddisfare le richieste di Strambic. Idealmente la progressione ricorda un po’ quella di un metroidvania, in quanto c’è la libertà di muoversi in aree tutto sommato limitate, da sbloccare di volta in volta, mentre vengono mostrati al tempo stesso tanti passaggi apparentemente inaccessibili, muri misteriosi che sembrano nascondere qualcosa, stanze prive di accesso o sistemi di controllo che sembrano non rispondere alle sollecitazioni di chi gioca.

Luigi questa volta avrà insomma un bel da fare dovendo ripuloire ben cinque magioni infestate nel tentativo di ricomporre la pietra a forma di Luna e domare gli ectoplasmi aiutato dal fido aspirapolvere Poltergust 5000, versione potenziata del modello 3000 comparso in Luigi’s Mansion, e da una torcia multifunzione. Sulla carta per avere la meglio basterebbe “sparaflashare” gli evanescenti invasori per poi pescarli con l’aspirapolvere assecondando i loro movimenti. Nella pratica, però, i dispettosi fantasmi faranno di tutto per vendere cara la melma ricorrendo a trucchetti, armature o alla forza bruta: tutte cose che costringeranno i giocatori a indebolirli, aggirarli o quant’altro prima di poter procedere con la cattura. Su 3DS, come accennato, queste meccaniche soffrivano un poco i limiti del sistema di controllo, ma qui sono una vera goduria e bastano davvero pochi minuti per prenderci la mano e farsi trascinare dalla moltitudine di interazioni escogitata da Next Level Games e Nintendo per spremere fino all’ultima goccia le possibilità del Poltergust 5000 e il pensiero laterale dei giocatori. Il Poltergust 5000 nasce per aspirare i fantasmi, OK, ma nulla vieta di invertire il flusso e/o sfruttarlo per sollevare tappeti, afferrare tende, tovaglie e in generale passare al setaccio le magioni infestate svelandone i vari segreti o espugnandone le ricchezze in modo da potenziare il proprio arsenale. Sempre grazie all’aspirapolvere si può, ad esempio, afferrare oggetti congelati e trasportarli fino alla fiamma più vicina, oppure gonfiare dei palloncini e creare una piccola mongolfiera per raggiungere aree altrimenti inaccessibili; e queste sono solo alcune delle tante interazioni possibili per sfruttare o aggirare i limiti fisici del gioco. La torcia a sua volta non si limita a rendere vulnerabili gli spiriti ma consente di attivare interruttori e meccanismi, mentre l’Arcobaluce – sorta di versione “mariesca” degli ultravioletti – è in grado di svelare porte e oggetti nascosti aggiungendo di fatto una dimensione extra all’avventura, obbligando così il giocatore a prestare particolare attenzione a tubi mancanti, zerbini e persino ai complementi d’arredo apparentemente asimmetrici. Attorno a queste dinamiche gli sviluppatori hanno costruito un sistema di enigmi incredibilmente sofisticato; le missioni inizialmente appaiono circoscritte, ma col procedere del gioco diventano sempre più elaborate facendo “esplodere” il level design delle singole magioni e servendo alcune delle boss fight più creative mai viste in un videogioco Nintendo. Di contro il cuore dell’esperienza resta la caccia, e anche sotto questo aspetto dopo le prime semplici battute è necessario ricorrere all’astuzia e a tutte le opportunità offerte dai propri strumenti, senza contare le occasionali disinfestazioni da ragni, piante carnivore e altre simpatiche creaturine che infestano le aree di gioco.

Se il titolo originale ha proposto una più che discreta esperienza portatile, in questa occasione è opportuno chiedersi se e quanto abbia giovato la transizione a una nuova piattaforma. La risposta è a nostro avviso: decisamente più performante ma meno “peculiare” rispetto alla piccola console portatile della grande N. A livello puramente visivo, nulla da dire: pur non raggiungendo le vette di Luigi’s Mansion 3, questa edizione HD del secondo capitolo risulta comunque molto curata, potendo godere di modelli e texture ricreati da zero e un impatto scenico dovuto al cambio di proporzioni dello schermo decisamente più efficace. Molto bene invece per quello che concerne il lato controlli, che tornano a contemplare l’utilizzo dell’analogico destro (assente su 3DS) per rendere più agile il movimento che su portatile risultava piuttosto sacrificato. Forse il cambiamento più importante che il gioco ha vissuto in positivo. Esplorazione e combattimenti risultano quindi più fluidi e divertenti, così come tutte le prove “speciali” che vedono variare il gameplay. Dove si paga lo scotto è nella trasposizione dell’esperienza “stereoscopica” originale: in particolare basta vedere i boss, comunque tuttora apprezzabili, per cogliere come la messinscena sia frutto di un design collegato allo speciale effetto visivo offerto dallo schermo superiore di Nintendo 3DS, risultando sacrificata, se non quasi banalizzata, quando riprodotta in modo tradizionale. E’ necessario, quando si parla di Luigi’s Mansion 2 HD evidenziare due note sulla longevità e il multigiocatore. Per quanto concerne la durata, il titolo si assesta sui livelli del terzo capitolo, quindi intorno alle 10/15 ore per una partita classica, salendo se si va alla ricerca del completismo, sebbene il tutto possa risultare un po’ allungato per via del continuo “vai e vieni” dovuto alla struttura a missioni. Per quanto riguarda il multigiocatore tocca constatare come il tutto sia in linea con il titolo d’origine, mancando quindi di una modalità storia cooperativa e limitandosi invece alla Torre del Caos in cui collaborare fino a 4 giocatori, in wireless locale o online, per superare le tante e appassionanti sfide proposte. Tirando le somme, poter tornare a giocare a Luigi’s Mansion 2 HD è sempre un piacere, soprattutto perché in termini di level design, struttura degli enigmi e gestione dell’arsenale è sicuramente il capitolo più interessante della serie, persino al netto del terzo. In più il salto in avanti per quanto riguarda il sistema di controllo offerto a suo tempo da 3DS rappresenta una vera benedizione, persino più gradita del passaggio all’alta definizione. Certo, aggiornare anche il sistema dei salvataggi sarebbe stato un gradito cambiamento, ma tutto sommato non possiamo lamentarci. Tuttavia tra gioco base, contenuti extra e tutte le cose da fare per completare il titolo al cento per cento, ci sarà da spassarsela davvero per molte ore.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8,5

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise

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