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Editoriali

18 marzo 2020, una pagina nera della storia d’Italia: in memoria di un bacio negato

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Il 18 marzo 2020 resterà scolpito nella memoria come la giornata di inumana follia, un flash mob da balconi e terrazze con gente euforica che ballava e cantava “Canta, canta un motivo, canta perché sei vivo”, per esorcizzare la paura, dicevano loro.

A pochi chilometri, nel nord Italia, invece tanti piangevano per la perdita dei loro cari e quei canti, senza dubbio, non lenivano minimamente il dolore di queste persone.

Oggi, 18 marzo 2021, ricorre il primo anniversario di una pagina nera scolpita con dolore nella storia italiana. Una pagina che racconta di quel triste mercoledì dello scorso anno con il sole che tramontava alle 18.20 da un cielo plumbeo. In via Borgo Palazzi, a Bergamo, sostavano settanta camion militari, in fila, parcheggiati lungo il marciapiede. Per la strada non si vedeva un’anima ed il silenzio regnava sovrano. Lentamente scendeva l’oscurità e i fari dei camion illuminavano il vuoto che circondava il funebre convoglio.

Funebre e macabro era quel convoglio perché ogni camion parcheggiato custodiva a bordo la salma di un “caro” sconosciuto. Di “tanti cari e tanti ignoti” erano i settanta feretri che sostavano in via Borgo Palazzi. Vista desolante! Settanta feretri in solitudine che aspettavano il via per proseguire verso altrettante destinazioni ignote, portando “il carico” fuori dalla Regione. Finalmente il segnale arrivava ed il corteo funebre con le settanta salme procedeva lentamente verso la destinazione, un cimitero fuori dalla Regione per poi consegnare “il carico” ai forni crematori.

I camion dell’esercito attraversavano il cuore di una città deserta con le bare dei morti per l’epidemia avendo come unico accompagno la scorta dei carabinieri. Nessuna bandiera a mezz’asta, nessun rullio di tamburo, nessun suono di tromba, e quello che è più triste e doloroso, nessuna presenza di un parente, una persona cara a rendere l’ultimo saluto.

I congiunti degli occupanti degli ignoti feretri hanno dovuto rassegnarsi ad assistere da casa allo spettacolo macabro. A loro è stato negato il diritto a poter conoscere la destinazione del loro caro. A loro è stato inibito il diritto di dare degna sepoltura per avere almeno il conforto a poter restituire sulla tomba amata il bacio negato in punto di morte. Non si sa quanti dei congiunti siano stati informati che il loro caro sarebbe stato cremato anziché tumulato.

Dopo quanto riportato da Il Messaggero del 19 aprile 2020, che ha svelato lo scandalo al cimitero di Prima Porta – “Al posto delle ceneri solo terra e sassi”, con quale animo possono rimanere tranquilli i congiunti di quei settanta feretri di via Borgo Palazzi?

Settanta salme, settanta anonimi, rimangono stampati nella memoria nazionale come una macchia nera, come desolante rimarrà il triste ricordo di quell’euforia impietosa dei tanti affacciati dalle finestre, in balconi e terrazze ballando e cantando in un giorno di lutto nazionale.

Passerà alla storia come il fattaccio di via Borgo Palazzi. Il tempo guarisce tutte le ferite ma la memoria di quei settanta e prima ancora di tanti altri, gridano giustizia e si spera, vinta l’epidemia, che qualche Magistrato vorrà riprendere la storia per rendere giustizia ai tanti orfani di abbracci ed ultimi baci d’addio rubati.

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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