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Editoriali

Il Prefetto Tagliente: “E’ possibile ridurre i fattori di rischio che influiscono su alcuni comportamenti pericolosi di molti giovani?”

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Che sta succedendo sui social network sempre più utilizzati dai minori? E’ possibile ridurre i fattori di rischio che influiscono su alcuni comportamenti pericolosi di molti giovani? Cosa pensano gli studiosi della psicologia della comunicazione delle piattaforme digitali incontrollate e del “linguaggio della violenza” utilizzato in libertà anche nel corso di molti talk show pure in prime time?

Sono queste le domande che si pone, con un post sulla pagina FB, il Prefetto Francesco Tagliente con alle spalle 47 anni di servizio, scalando i gradini più elevati della gerarchia professionale e con una specializzazione in criminologia.

Il Prefetto Tagliente parte dalla constatazione che “sui social network utilizzati da alcuni minori privi di strumenti per decodificare gli stimoli che arrivano dai social, si stanno manifestando, con sempre maggiore frequenza, fenomeni inquietanti”.

“Ciò che inizia come un gioco si trasforma in una sfida esasperata e, attraverso un processo emulativo propagato con forza dalla rete, i casi isolati finiscono per amplificarsi provocando finanche drammi e tragedie familiari”.

“A determinate fasce di età, infatti, lo spirito di emulazione è tanto più forte quanto è più debole la capacità di selezionare, analizzare e distinguere. Basterebbe pensare al recentissimo, folle e tragico gioco hanging challenge, agli ormai non episodici casi di cutting che coinvolgono addirittura ragazzi meno che adolescenti, alle nuove forme di devianza minorile diffuse su internet attraverso forum, social, siti dedicati o altre forme di diffusione digitale come il bullismo elettronico. Ma penso anche alla diffusione di fotografie e di video in rete, alle chat con sconosciuti e ai tristi casi di pornografia e pedopornografia”.

Va premesso che il Prefetto Tagliente, anche grazie agli insegnamenti della sociologia giuridica e della criminologia applicata al controllo sociale, è riuscito, soprattutto come Autorità di Pubblica sicurezza sul territorio a Pisa, Firenze e Roma, a coniugare la necessità di adempiere ai doveri dello Stato con le esigenze di rispetto dell’individuo come persona umana, della sua individualità e delle sue legittime aspettative, non trascurando l’impegno per la promozione e la divulgazione dei principi e dei valori incarnati nei simboli della Repubblica su cui si fonda lo Stato democratico e pluralista delineato dalla Costituzione repubblicana, negli ultimi anni nella veste di Delegato alle relazioni istituzionali dell’ANCRI, L’Associazione Nazionale Insigniti dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

Con questa esperienza professionale e vocazione sociale Tagliente afferma che “Un’adeguata promozione e divulgazione dei principi e dei valori della nostra Costituzione, specialmente di quelli incarnati nei simboli nazionali, potrebbe contribuire a ridurre i fattori di rischio che influiscono su alcuni comportamenti pericolosi di molti giovani spesso vittime di persone adulte che li inducono a tenere comportamenti antisociali e delinquenziali.

“In attesa che il legislatore valuti, per i grandi gestori delle piattaforme digitali e per alcuni mezzi di comunicazione di massa, forme idonee a disciplinare la comunicazione diretta ai giovani, – prosegue l’ex Questore di Roma – intendo lanciare una proposta alternativa che presuppone l’utilizzo di un altro linguaggio, antico e attuale allo stesso tempo”.

Al linguaggio della violenza – dice Tagliente – io propongo il linguaggio del rispetto dei diritti tutelati dal nostro ordinamento attraverso la percezione e l’accoglimento dei valori e dei princìpi fondamentali della Costituzione repubblicana e dall’insieme dei suoi indirizzi e precetti come il valore del Tricolore. E lo faccio, questa volta, confidando e non temendo la forza dell’emulazione.

E pensando alla forza della emulazione e degli esempi positivi necessari a costruire la personalità dei ragazzi richiama i doveri costituzionali dei pubblici funzionari, dicendo: “Chi è chiamato ad esercitare una pubblica funzione deve mettere una particolare cura nell’adempimento della funzione loro affidata, ed essere di esempio per gli altri cittadini.”

“Il nostro agire da cittadini – prosegue – non poggia solo sui diritti ineludibili, ma prevede altrettanti doveri fondamentali. E fra i doveri – oltre a quelli di solidarietà politica, economica e sociale (difesa della Patria, concorso alle spese pubbliche, fedeltà alla Repubblica, osservanza delle leggi) e all’obbligo di esecuzione degli ordini legittimi delle pubbliche autorità – vi è una serie di prestazioni e comportamenti di notevole rilevanza sociale compreso il dovere, soprattutto per le istituzioni e i pubblici funzionari soggetti a una serie di regole che nel loro complesso costituiscono esplicazione della previsione fondamentale dell’art. 54 della Costituzione: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle, con disciplina ed onore”.

Tagliente ha poi voluto rimarcare il disvalore educativo e civico, per i giovani, dal mancato rispetto della Bandiera che purtroppo spesso si nota esposta anche su edifici pubblici, in pessime condizioni d’uso, strappata, lacerata, scolorita o sporca e non fanno eccezione neppure i Palazzi sede di istituzioni locali o nazionali.

“Penso al dovere di rispettare e promuovere il Tricolore, simbolo della Patria, delle libertà conquistate, dei sentimenti più nobili del popolo italiano di cui rappresenta l’unità nella Nazione e per la Nazione. Peraltro – ha proseguito – la collocazione della bandiera fra i principi fondamentali della Costituzione (art 12), non solo ne sanziona il primato gerarchico rispetto a ogni altro vessillo, ma attribuisce al Tricolore una funzione vincolante sia per le istituzioni che per incaricati di pubbliche funzioni, ai quali spetta di promuoverne il valore e verificarne il rispetto del decoro. Perché la bandiera è cucita sulla nostra pelle sin dalla nascita e si manifesta in circostanze particolari per darci forza, passione e coraggio. E lo fa nei momenti di gioia e in quelli di tristezza, proprio quando nella collettività nazionale i legami si riscoprono più saldi.

Conclude la riflessione con un invito al mondo accademico: “Mi piacerebbe veramente sentire cosa ne pensano gli studiosi delle scienze comportamentali e della comunicazione, perché sono sempre più convinto che ad alimentare tali fattori di rischio, che potrebbero tradursi in comportamenti antisociali e delinquenziali, contribuiscano alcune piattaforme digitali e il linguaggio utilizzato da alcuni ospiti di talk show”. E il mondo accademico che segue il Prefetto non si è fatto attendere.

Il Generale della Guardia di Finanza Alessandro Butticé afferma che “I giovani vanno protetti e tutelati soprattutto attraverso educazione e, se necessario, anche strumenti normativi. I social ed il web non sono buoni o cattivi. O meglio, possono essere buoni E cattivi. Come il coltello. Che é buono quando serve a tagliare il pane. Ma cattivo quando serve ad uccidere. Come le automobili. Che mai penseremmo di eliminare o vietare, anche se causano più morti del Covid. Bisogna però fare la scuola guida prima di ottenere la patente e fare campagne di informazione sulla sicurezza stradale. E, mutatis mutandis, si dovrebbe/dovrá fare la stessa cosa con social e web. Soprattutto per i giovani. E nella nostra Costituzione, ma anche nei trattati dell’Unione Europea, ci sono tutti quei valori, che dovremmo aiutare i nostri giovani a conoscere. E che il tricolore ?? e la bandiera UE ?? simbolicamente rappresentano.
La regolamentazione, che deve essere complementare e non alternativa all’educazione, dovrà colmare un evidente nuovo normativo. E, vista la portata globale dei social e del web, la portata di questa regolamentazione dovrebbe essere quanto meno a livello Ue. E non solo nazionale. Se si tende ad una concreta efficacia. Senza neppure dimenticare che solo l’Ue ha dimostrato essere capace ed avere gli strumenti necessari per negoziare in modo convincente con i giganti del web. Grazie quindi per questo tuo stimolo e sapiente contributo di pensiero”.

Lo psicologo Andrea Smorti professore onorario dell’Università di Firenze ha posto l’accento sull’età degli utilizzatori delle piattaforme e sul controllo da parte degli adulti. “Fino adesso – scrive il prof Smorti – non sono stati trasmessi dei modus operandi con cui utilizzare gli strumenti digitali: si è insegnato ad usare il casco in bicicletta o che con i coltelli taglienti ci si può far male ma pochissimo è stato insegnato su come usare e se usare questi strumenti. È necessario che vengano, a tutti i livelli, trasmesse delle regole di condotta in merito, ivi compresa l’età a partire dalla quale utilizzarli. È inoltre indispensabile che questi strumenti siamo costruiti in modo che gli adulti possano intervenire per vincolarne l’uso in modo che non sia possibile navigare liberamente”.

Lo psicologo Stefano Taddei, dell’Università di Firenze, sperando che il tema possa essere sviluppato ulteriormente, auspica un investimento in educazione e cultura. “Come non essere d’accordo! – scrive- Non solo: apprezzo tantissimo il richiamo alla costituzione e alla pratica educativa che inevitabilmente richiama. La sfida sta nel riuscire a collegare la capacità di costruire abilità di vita, di ascolto e di espressione delle emozioni e dei sentimenti con il senso personale che impernia i valori “costituzionali”. La sfida sarà rendere i social luoghi di pratica del rispetto e della libertà ma per far ciò occorre avere la forza di investire in educazione e cultura, e non sempre vedo convinzione in tal senso”

La psicologa clinico e forense e criminologo già giudice onorario minorile Silvia Calzolari ricordando il suo contributo fornito, come psicologo clinico e forense e criminologo, al Corso di Perfezionamento in “Psicologia della comunicazione e della testimonianza”, riservato a 44 poliziotti laureati, organizzato da Tagliente insieme con l’Università ricorda con orgoglio la partecipazione a quel Corso, che all’epoca rappresentò un’iniziativa originale e di speciale interesse. “Anche oggi l’importanza cruciale della comunicazione – scrive – non è mutata, anzi più che mai rappresenta uno strumento educativo e di contrasto alla povertà morale dilagante. Aggiungo alla necessità di un linguaggio dei diritti e delle regole anche quello della relazione, che esiste sempre meno perché la vera piaga è il NARCISISMO. Questo concetto apparentemente innocuo in realtà è ciò che muove la mercificazione dell’immagine, lo sprezzo di ciò che non appare ma è valoriale, la rabbia che si traduce in aggressività quando non si è al centro dell’attenzione. Più che mai urge una riflessione corale per diffondere una cultura antinarcisistica, di recupero di ciò che si sta perdendo attraverso un uso distorto della tecnologia”.

La psicoterapeuta e criminologa Virginia Ciaravolo docente di psicologia clinica a Roma concorda pienamente con il prefetto Tagliente aggiungendo che “L’agito di Tik Tok nel mettere limiti di età all’accesso ci dice che i social sono diventati terra di nessuno. Chiunque senza il minimo rispetto per l’altro posta improperi, foto forti o imbarazzanti. I minori inconsapevoli di avere tra le mani una bomba ad orologeria scimmiottano gli adulti. Occorre un’educazione digitale, un uso responsabile del web, formazione ed informazione su rischi e pericoli. Come? Da quello che hai appena scritto, cominciando dai valori”.

La psicologa Francesca Arpino afferma che “La sfida sarebbe poter comunicare garantendo sicurezza e protezione anche attraverso uno strumento elettronico. Le varie tecniche purtroppo usate dai manipolatori costituiscono le armi più diffuse utilizzate contro la nostra psiche, e a esser prese di mira sono spesso le nuove generazioni con le loro debolezze, emotività e fragilità. Delimitare attraverso regole e nuovi interventi un terreno tanto spinoso è un primo passo per lavorare sul nostro linguaggio, la nostra percezione e i nostri obiettivi. Perché il conflitto nasce dove ogni comunicazione crea un terreno di mistificazioni e disequilibri”.

Il Sociologo e Criminologo Claudio Loiodice Presidente del Dipartimento Piemonte dell’Associazione nazionale sociologi scrive che “ La società si evolve in maniera vertiginosa, molto di più della capacità della società stessa di adottare degli Istituti capaci di regolamentare i fenomeni sociali che stiamo vivendo. Non dimentichiamo però che veniamo da un’epoca che ha visto una trasformazione radicale delle abitudini e delle relazioni. Internet è un mezzo imprescindibile, ha abbattuto ogni barriera anche se nasconde delle insidie pericolose. Almeno, a differenza delle droghe, ci consente di facilitare i contatti sociali e quindi di progredire. In sintesi, credo che sia necessario ampliare lo spettro dei controlli non per il suo utilizzo, ma sui contenuti, ma ritengo che inevitabilmente questo ci costerà qualcosa in termini di rischio”

La giornalista Dania Mondini ricorda che “tutto è iniziato molto tempo prima che i nostri ragazzi avessero in mano un cellulare. Il mondo della comunicazione a cominciare da talk show in prima e seconda serata, hanno da anni permesso, quando non addirittura promosso, aggressività volgarità e disattenzione all’altro. Resto sempre dell’idea che l’esempio è fondamentale a cominciare dalla famiglia. Emulare personaggi televisivi è consuetudine. Cosa vogliamo imputare ai ragazzi? Sono vittime…che dovremo recuperare, se non vogliamo ulteriori degenerazioni. La scuola deve e può salvare il futuro…intanto forse dovrebbero esserci maggiori rigidità da parte dei grandi network e social…che sembrano ormai una terra di nessuno in nome di una libertà che spesso è confusa con violenza e prevaricazione”.

Guglielmo Puccia ex Funzionario dell’ENEA scrive: “Credo che un modo, per cercare di fermare la “catastrofe educativa” che coinvolge molti strati delle nuove generazioni, possa essere quello di dare piena attuazione alla recente legge 92/2019, che introduce l’obbligatorietà dell’insegnamento dell’Educazione Civica, come materia trasversale in tutti gli ordini scolastici. Tra gli otto moduli formativi previsti, molto spazio è dato all’insegnamento e alla conoscenza della Costituzione, del Tricolore e dell’inno Nazionale. L’insegnamento è finalizzato all’identificazione dei diritti e a promuovere il pieno sviluppo della persona e la partecipazione dei cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Un forte richiamo è rivolto alle Istituzioni scolastiche, affinché rafforzino la collaborazione con le famiglie al fine di promuovere comportamenti dei giovani non solo per quanto riguarda i diritti ma dei doveri e del rispetto delle regole di convivenza civile. Abbiamo bisogno di una nuova scuola per costruire una nuova società! L’Attuale scuola è una scuola vecchia, forma i cittadini del passato.”

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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