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Editoriali

L'Italia e quell'intreccio tra potere politico e potere giudiziario

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Tempo di lettura 3 minutiNon ci vogliono tante leggi di dubbia interpretazione ma poche leggi, buone,chiare e che non si prestino ad equivoca interpretazione

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di Emanuel Galea

 

Negare che in Italia ci sia un conflitto tra potere politico e quello giudiziario, significherebbe fare lo struzzo, mettere la testa nella sabbia. Non è possibile non rendersi conto delle storture e degli inciampi burocratici giornalieri.
Parto dall’ultimo incidente in cui è incorso il ministro Marianna Madia.
Il 13 agosto 2015 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la Legge 124/2915 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, meglio conosciuta come Legge Madia di Riforma della PA.
Il vice sovrintendente Vincenzo Cesetti, avverso al provvedimento ha subito impugnato “L’assorbimento dei forestali nei carabinieri o in altre forze a ordinamento militare” sostenendo che ciò sia incostituzionale.
I giudici amministrativi, sezione di Pescara del Tar dell’Abruzzo hanno accolto il ricorso del sovrintendente e hanno inviato gli atti alla Corte Costituzionale. Il ricorso si basa sul fatto che non si può imporre l’assunzione dello status di militare in modo non volontario.
Sembra cosa ovvia, invece per Madia non lo è stata affatto.

Lasciamo ogni giudizio alla Consulta ed occupiamoci di altri aspetti meno tecnici.

Come questo incidente, in cui è incorsa la ministra, ne possiamo trovare a decine .Il controllo di legittimità è effettuato dalla Corte Costituzionale in presenza dell’ordinamento giuridico a tali fini preposto. Compito di questo istituto sarebbe di :
” verificare la conformità alla costituzione delle leggi (dello Stato o di enti territoriali eventualmente dotati di potere legislativo) e degli altri atti aventi forza di legge”.
Dunque, come potrebbe succedere che la Corte costituzionale bocci la riforma del sistema idrico approvato dall’Assemblea Regionale Siciliana oppure che la Consulta bocci il Porcellum, tanto per citare qualche esempio?
E’ successo molto spesso nelle ultime legislature, che quello che fa il potere politico di giorno viene smontato dal potere giudiziario di notte e così l’Italia segna il passo.

Negli ultimi anni assistiamo ad una sempre più diffusa “decretazione d’urgenza”. Il fatto poi che diverse leggi vengano annullate dalla Corte costituzionale trova ragione nella scarsa chiarezza che spesso si riscontra nei testi legislativi. A questo proposito dovrebbe rispondere il Regolamento della Camera dei deputati, che in virtù dell’art. 16-bis , ha il compito di esprimere parere: “sulla qualità dei testi, con riguardo alla loro omogeneità, alla semplicità, chiarezza e proprietà della loro formulazione, nonché all’efficacia di essi per la semplificazione e il riordinamento della legislazione vigente”.

Tutto bello, tutto chiaro, ma allora perché spesso si inceppa?

Quella italiana è una democrazia rappresentativa, vale a dire che la volontà popolare è affidata al Parlamento ed ai suoi membri, eletti tramite elezioni politiche. Si è sempre creduto che la volontà popolare sia sovrana e quindi la voce parlamentare che rappresenta il popolo dovrebbe esserlo parimenti.
Oltre al potere politico rappresentato dal Parlamento, vigile a che le leggi siano applicate, c’è il potere giudiziario. Questo potere, seppure non eletto, si dichiara di amministrare in nome del popolo italiano.

Quanti accesi dibatti, convegni e symposium sulla indipendenza ed autonomia della magistratura! La Costituzione infatti afferma che i giudici sono soggetti soltanto alla legge e gli organi dello Stato non possono intervenire nell'azione dei magistrati.
Escludendo i casi delle leggi dichiarate “incostituzionali” dalla Consulta perché non rispettano appieno le norme contenute negli tabella della Carta Costituzionale, rimane il nodo da sciogliere dei casi, quando dei giudici entrano con prepotenza, mettendo tutto il peso della loro toga per affossare una legge che , seppure rispettosa della Carta, lascia ampio spazio all’interpretazione e quindi, de facto, molto spesso il politico si rimette alla discrezionalità del giudicante.

Questo è purtroppo un vulnus del legislatore della seconda Repubblica che lo indebolisce e sbilancia l’equilibrio tra i due poteri, il politico abdicando in parte, a favore del giudiziario.
Così il potere politico, allo stato attuale si trova disarmato e non ha che da fare “mea culpa”.
Come può il potere politico uscire dal limbo in cui si è messo?
Non ci vogliono tante leggi di dubbia interpretazione ma poche leggi, buone,chiare e che non si prestino ad equivoca interpretazione. Invece è saggio tenere sempre valido il detto . “nella semplicità sta la forza”.
Thomas Hardy, poeta e scrittore britannico (1840-1928), più di cento anni fa lanciava un monito che il legislatore farebbe bene a tenere di conto:
“Molti furono i casi in cui la giustizia poté trionfare soltanto facendosi beffe delle leggi”

Considerando che il potere giudiziario afferma di amministrare in nome del popolo italiano, la domanda che arriva dal basso, chiedendo che anche questo istituto sia assoggettato al suffragio popolare, sarebbe da prendere in seria considerazione dal legislatore.
Che farebbe?
Nel suo libro più famoso, “Philobiblon”, Richard de Bury, vescovo di Durham , Inghilterra, nato nel 1287, scrittore e bibliofilo, oltre ad essere stato un fervente cattolico, ci sono tracce di saggezza politica, tanto attuali da potere fare chiusura alla mia riflessione. Scriveva il vescovo de Bury: “….più che estinguere, la giurisprudenza porta ad alimentare il fuoco delle liti tra gli uomini, liti generate da un’infinita cupidigia, con una selva di leggi che ognuno può tirare dalla sua parte”.
Aggiungere altro alla frase citata sarebbe pura presunzione.