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Editoriali

Vittorio Sgarbi: la lista Rinascimento partirà dalla Sicilia

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Tempo di lettura 2 minuti "Una lista autonoma che stiamo iniziando ad annunciare"

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di Silvio Rossi

 

L’occasione è stata la rappresentazione teatrale: “Emozioni in cornice”, una traduzione delle opere di Shakespeare liberamente adattate dal critico d’arte Vittorio Sgarbi. Ieri, 14 agosto, l’istrionico personaggio ha portato la pièce al teatro sannitico di Pietrabbondante, nelle montagne isernine.

Tra i punti di forza della quarantatreesima stagione del Sannita Teatro Festival, al termine della sua performance, Sgarbi ha effettuato un giro nel paese altomolisano accompagnato dal sindaco Giovanni Tesone. Abbiamo notato la presenza del critico grazie al capannello di folla che si è creato intorno a un negozio aperto occasionalmente la sera per via di una delle sagre che nel mese di agosto rallegrano le serate di residenti e turisti. Tutti a chiedere selfie, foto, autografi, con Vittorio che scherzava affabilmente con le persone presenti, con una disponibilità che difficilmente si può riscontrare nelle sue apparizioni televisive, evidentemente l’atmosfera schietta che si trova nei borghi appenninici crea una predisposizione naturale che difficilmente si può ricostruire in uno studio televisivo.


Durante il “corteo” nel corso del paese, intervallata da qualche passo di valzer effettuato nella piazzetta dove un duo musicale rallegrava la folla, Sgarbi ci ha concesso una intervista esclusiva.

Quando si muove Sgarbi c’è un bagno di folla, è sempre così?

Sì, è così da tanti anni. Però adesso non c’è solo la notorietà, c’è anche credo una condivisione, un po’ per tanta televisione, nella quale tante cose vengono discusse. Adesso c’è Facebook, per cui la gente vede delle cose abbastanza forti che io faccio, e c’è una condivisione più ampia, oltre alla notorietà, l’idea che dura da tanti anni.

Questa esperienza del teatro, cosa porta in più rispetto alle altre esperienze come critico o personaggio televisivo?
L’ho fatto comunque da molto tempo, cominciai con il cantante Dino Sarti, che era un po’ in declino trent’anni fa. Poi ho fatto regie liriche, mille conferenze, adesso abbiamo inventato lo spettacolo su Caravaggio, quello su Michelangelo, su queste altre cose, mi fanno fare una serie di incontri che hanno più un carattere teatrale, anche nei contenuti.

Ci troviamo in Molise. Ricordo che Lei qualche anno fa ha frequentato questa regione per alcune battaglie. Come le appare questa terra?

Mi appare un po’ indifesa, malgovernata a livello regionale.

Questo, però, è un male comune a molte regioni

Sì, ma qui, essendo più piccola, avrebbe bisogno di un presidente forte, perché questa cosa della proliferazione delle pale eoliche, che stanno mettendo ancora, che sembrava fuori limite, con un presidente forte come potevo essere io, che dicesse, NO, punto. Che stai li a discutere? Non devi discutere, il paesaggio di una regione così piccola, deve essere protetto come un parco, invece hanno fatto esattamente il contrario. Adesso ricomincerò a combattere, io fra i primi, forse il primo, poi Stella e altri, per Sepino. Ma ti pare che a Sepino devono fare certi scempi? È tutto così.

Sepino è abbandonata da anni, fino a poco tempo fa ci pascolavano le pecore

Tra l’altro, dico, un Presidente della Regione, quelle poche cose che ha, le deve difendere con le unghie e con i denti.

Recitare nel teatro di Pietrabbondante, con la preziosità degli scavi, per un appassionato d’arte, è qualcosa di speciale?

Certo. È anche bello perché è quasi integro. E anche la strada per arrivarci è un’altra cosa spettacolare.

Ultima domanda. Alle prossime elezioni, cosa farà Sgarbi?
Farò una lista Rinascimento, una lista autonoma che stiamo iniziando ad annunciare, e forse partirà dalle elezioni siciliane, ci stiamo lavorando in queste ore.
 

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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