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Anguillara Sabazia, lavori in largo Mascagni: il TAR Lazio annulla il diniego del Comune e ordina il rinnovo del procedimento
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4 anni agoon
ANGUILLARA SABAZIA (RM) – Il TAR Lazio ha accolto il ricorso per motivi aggiunti proposto dalla società Domus Fenice S.r.l. contro il Comune di Anguillara Sabazia e nei confronti dei signori Alberto Ricci e Maria Teresa Bucci e ha annullato il diniego di permesso di costruire in sanatoria adottato dal Comune di Anguillara Sabazia a marzo del 2019, con conseguente obbligo per l’ente locale di rinnovare il procedimento avviato dalla Domus Fenice S.r.l con l’istanza di sanatoria presentata a dicembre del 2018.
Il TAR ha inoltre annullato il verbale di inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 97 del 13/08/2018, di cui alla nota prot. 39526 del 30 novembre 2018 nonché l’ordinanza dirigenziale n. 155 del 3 dicembre 2018, notificata in data 11 dicembre 2018, avente ad oggetto l’irrogazione della sanzione pecuniaria per l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione.
Ecco cosa scrivono i giudici amministrativi
Fatto
Con ricorso tempestivamente notificato e depositato, i ricorrenti hanno premesso di essere comproprietari di un’area sita nel territorio comunale di Anguillara Sabazia, in Catasto al foglio 6, part. nr. 715,716 e 717, sulla quale, fin dal 1950 circa, preesisteva un edificio destinato a cinema, successivamente dismesso. Con permesso di costruire n. 3321/2015/8 del 27.08.2015, il Comune Anguillara Sabazia autorizzava la Domus Fenice srl (in qualità mandataria alla progettazione, alla richiesta dei titoli edilizi ed appaltatrice dell’opera) a realizzare un intervento edilizio consistente nella demolizione e fedele ricostruzione del preesistente fabbricato destinato a cinema, con parziale cambio di destinazione d’uso e creazione di un piano interrato da destinare a parcheggi oltre alla realizzazione di un muro di contenimento in micropali della parete confinante con Largo Mascagni (detta anche Costone). Prima di iniziare gli interventi, la società ricorrente, a seguito dell’espletamento di una indagine geologica, prendeva atto dell’impossibilità di realizzare il parcheggio interrato, così determinandosi a predisporre un progetto architettonico in variante, consistente “nell’eliminazione del locale interrato ad uso autorimessa e nell’utilizzo della volumetria residua per l’ampliamento, sempre entro la sagoma di massimo ingombro, di uno dei locali commerciali” da destinare a parcheggio.
Ottenuta l’autorizzazione paesaggistica alla variante in questione (n. 43 del 27.07.2016), la società istante dava avvio ai lavori di demolizione della struttura preesistente, procedendo a realizzare i primi getti di calcestruzzo con realizzazione delle opere strutturali finalizzate alla messa in sicurezza dell’area, consistenti nel piano terra, nel muro di contenimento dell’adiacente Costone Mascagni e dei primi pilastri, il tutto in conformità al progetto assentito con l’autorizzazione paesaggistica in parola.
Fallito il tentativo di reperire gli standards relativi ai garage mediante la realizzazione di un parcheggio su suolo pubblico (Largo Mascagni), la società ricorrente presentava la SCIA prot. n. 4607 del 9.02.2018, qualificata come variante “non essenziale” ed in corso d’opera, ex art. 22, comma 2, DPR n. 380/2001, al permesso di costruire n. 3321/2015/8 del 27.08.2015, consistente nell’eliminazione del piano interrato e nel reperimento all’interno dell’edificio di aree da destinare a parcheggio ex art. 9 l. n. 122/89. Nella segnalazione certificata in parola, il progettista incaricato dichiarava che gli interventi edilizi in variante, non avrebbero comportato modifiche alla sagoma, al volume ed ai prospetti dell’edificio, pur determinando la modifica della destinazione d’uso di taluni locali commerciali ubicati al piano terra, da adibire a garage. Alla SCIA in parola venivano allegati l’autorizzazione paesaggistica n. 43 del 27.07.2016 nonché la denuncia di inizio lavori ai fini sismici ex art. 65 D.P.R. n. 380/2001 prot. n. 438393 del 30.06.2016.
Con nota del 13.02.2018, il Comune diffidava i ricorrenti dall’iniziare/proseguire i lavori di cui alla SCIA in parola, in quanto “nel calcolo per il reperimento delle superfici” da destinare a parcheggio sarebbero stati “inseriti tutti i locali (commerciale e residenziale) di tutte le proprietà” di talché sarebbe stato necessario ottenere l’assenso da parte di tutti gli interessati.
Nel marzo del 2018 si verificava un crollo del Costone posto tra Largo Mascagni ed il cantiere della ricorrente che avrebbe lasciato indenne la parte sorretta dal muro di contenimento da quest’ultima edificato in conformità al progetto assentito. Quale conseguenza di siffatto accadimento, venivano sgomberate le abitazioni dei sig.ri Bucci e Ricci, sovrastanti l’area di cantiere. Tale area veniva messa in sicurezza, giusta ordinanza dirigenziale n. 25/2018 e successiva approvazione, da parte del Comune, del relativo progetto di intervento a cura della società ricorrente.
Con nota del 23.03.2018, l’amministrazione, preso atto dell’assenso dei soggetti coinvolti dalla variante al permesso di costruire n. 3321/2015/8 del 27.08.2015, dichiarava che la SCIA prot. n. 4607 del 9.02.2018 avrebbe dovuto “considerarsi riattivata”.
In occasione di una indagine ispettiva circa la causa del crollo del Costone Mascagni successivamente disposta dal Comune, l’Ufficio Tecnico, giusta nota del 2.05.2018, si determinava a sospendere i lavori di ricostruzione dell’edificio assentito con permesso di costruire n. 3321/2015/8 e successiva SCIA in variante n. 4607 del 9.02.2018 nelle more dell’avvio, successivamente comunicato giusta nota prot. n. 25169 del 30.07.2018, di un procedimento di verifica circa la regolarità urbanistico/edilizia delle opere fino a quel momento realizzate.
Il procedimento in questione è culminato con l’adozione dell’ordinanza n. 97 del 13.08.2018 oggetto di gravame, con cui l’amministrazione ha contestato alla ricorrente:
– che le opere realizzate, consistenti in una fondazione in cemento armato e muri para terra anch’essi di cemento armato, ai sensi dell’art. 31 del DPR 380/01, sarebbero state eseguite in completa difformità dal Permesso di Costruire 3321/2015/8 del 27 agosto 2015, stante l’assenza del previsto piano interrato;
– che la SCIA in variante prot. n. 4607 del 9 febbraio 2018, avente ad oggetto il reperimento dei parcheggi all’interno del fabbricato con mutamento della destinazione d’uso di taluni locali commerciali al piano terra, sospesa da ultimo con nota del 2.05.2018, non costituiva titolo non idoneo a legittimare le opere previste oltre ad essere stata depositata al protocollo dell’Ente ad interventi già effettuati;
– che siffatti interventi, essendo stati realizzati su immobili sottoposti a vincolo paesistico e ambientale, costituivano, ex art. 32, comma 3 del DPR 380/01, opere edilizie in totale difformità dal permesso di costruire n. 3321/2015/8 del 27 agosto 2015.
Per l’effetto, il Comune ordinava, ex art. 31 DPR n. 380/2001, la demolizione delle opere edilizie consistenti nella “Realizzazione in zona vincolata dal D.lgs n. 42/04, in violazione alla normativa antisismica, per il deposito di un progetto architettonico non corrispondente a quello autorizzato ed in difformità dal permesso di costruire n. 3321/2015/8 del 26 agosto 2015, per l’assenza del piano interrato con destinazione ad uso garage del fabbricato, di scavi ed opere in cemento armato per fondazioni e muri para terra”.
Avverso l’ordinanza summenzionata sono insorti i ricorrenti, affidando il gravame principale ai motivi di diritto appresso sintetizzati e raggruppati per censure omogenee.
– “1. Violazione di legge e, nello specifico, dell’art. 3 comma 1 lett. d) e dell’art. 94 comma 1 del D.P.R. n. 380/2001; violazione e falsa applicazione della Deliberazione Giunta Regionale n. 387 del 22 maggio 2009 Nuova classificazione sismica del territorio della Regione Lazio in applicazione dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3519 del 28 aprile 2006 e della DGR Lazio 766/03; errata qualificazione dell’opera come nuova costruzione; eccesso di potere sotto il duplice profilo del travisamento dei fatti e del difetto di istruttoria”;
– “2. Violazione di legge e, nello specifico, degli artt. 31 e 32 D.P.R. n. 380/2001; eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche e, in particolare, per contraddittorietà intrinseca, violazione del principio di affidamento, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti, manifesta irragionevolezza, violazione dei principi di proporzionalità e di rispetto della buona fede”;
– “3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della L. n. 122/1989; violazione e falsa applicazione della Circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 4174 del 7 agosto 2003; eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti”.
A differenza di quanto sostenuto dall’amministrazione comunale, la prospettata variante al permesso di costruire n. 3321/2015/8 del 27 agosto 2015, necessaria in considerazione del sopravvenuto accertamento dell’impossibilità, dal punto di vista statico, di realizzare il piano interrato ad uso parcheggi, non avrebbe avuto ad oggetto la realizzazione né di una “nuova costruzione” né di un edificio connotato da “variazioni essenziali” rispetto a quello già assentito, sanzionabile ex art. 31 T.U.E.
Con la variante in questione, la società avrebbe piuttosto proposto l’esecuzione lavori qualificabili in termini di “ristrutturazione edilizia” ex art. 3, comma 1 lett. d) DPR n. 380/2001.
Siffatta ristrutturazione avrebbe lasciato inalterati sia la sagoma che la complessiva volumetria dell’erigendo edificio ed inoltre non avrebbe necessitato, quale condicio sine qua non, del reperimento di spazi da adibire a parcheggi, in considerazione dell’oggettiva conformazione geologica del sito oggetto di intervento, incompatibile con la realizzazione degli stessi al di sotto del piano di campagna.
Più precisamente, l’eliminazione della superficie interrata ed il previsto mutamento della destinazione d’uso di taluni locali commerciali al piano terra, da destinare a garage, avrebbero consentito di mantenere sostanzialmente inalterate le caratteristiche plano-volumetriche del fabbricato assentito con il permesso di costruire n. 3321/2015/8, addivenendo addirittura ad una riduzione della complessiva volumetria, stante non computabilità di quella fuori terra adibita a parcheggi.
Peraltro, in relazione a siffatta proposta progettuale in variante, il comune di Anguillara Sabazia, quale autorità tutoria del vincolo paesaggistico, aveva già espresso il suo nulla-osta, da ultimo con l’autorizzazione n. 43 del 27.07.2016, ed il relativo progetto, conforme a quello assentito in sede paesaggistica, era stato inoltrato alla piattaforma cd. OperGenio ai sensi dell’art. 65 T.U.E.
Al momento dell’instaurazione del giudizio, le opere sarebbero consistite nella parziale realizzazione del muro di contenimento della parete posta tra l’area di sedime e Largo Mascagni, nei lavori strutturali del piano terra e nell’apposizione dei pilastri in cemento armato della struttura. Nel complesso, sia pure allo stato embrionale, le opere de quibus svolgerebbero la duplice funzione di sostegno dei fondi soprastanti e di contenimento del costone di terra. Siffatta funzione poterebbe essere assicurata dal totale completamento dell’opera, sia nella parte del muro di contenimento, sia nella parte strutturale. Il predetto carattere necessitato della proposta variante e le finalità di contenimento e consolidamento soddisfatte dalle strutture de quibus inficerebbero l’irrogazione della più grave delle sanzioni urbanistico-edilizie irrogata dal Comune, ossia quella demolitoria/acquisitiva ex art. 31 T.U.E., anche sotto il profilo dell’eccesso di potere per violazione del principio della logicità, ragionevolezza e proporzionalità.
Inoltre, il comportamento tenuto dalla stessa amministrazione procedente nel corso degli anni sarebbe stato risultato molto contraddittorio, generando in capo alla società ricorrente un legittimo affidamento sul buon esito del procedimento amministrativo: sarebbero significativi, al riguardo, l’aver rilasciato l’autorizzazione paesaggistica n. 43 del 27 luglio 2016 alla variante presentata in data 8 febbraio 2016 – prot. n. 3138, l’aver monitorato i lavori contestati disponendo, in più di un’occasione dal mese di luglio del 2017 al mese di gennaio 2018, la modifica e/o l’interdizione della viabilità sull’area oggetto dell’intervento, l’avere inizialmente acconsentito alla riqualificazione, a cura della ricorrente, dell’area comunale Largo Mascagni, onde reperire i parcheggi venuti meno a seguito dell’eliminazione del piano interrato, giungendo finanche a rilasciare l’autorizzazione paesaggistica n. 28 del 24 luglio 2017, salvo poi non procedere all’approvazione del progetto, giusta deliberazione di Consiglio Comunale n. 14 del 29 gennaio 2018.
– “4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001; violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della L. n. 122/1989; eccesso di potere per difetto di istruttoria, per travisamento dei fatti ed errata qualificazione delle opere come variazioni essenziali”.
Le modifiche al progetto assentito con il permesso di costruire n. 3321/2015/8, consistenti nella eliminazione dell’intero piano interrato e nella modifica della destinazione d’uso di taluni locali commerciali al piano terra dell’erigendo edificio, da destinare a garage, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, ben avrebbero potuto essere realizzate, ex art. 22 comma 2 bis D.P.R. n. 380/2001, mediante la presentazione di una semplice S.C.I.A. in variante al titolo edilizio (peraltro già assentita dal punto di vista paesaggistico). Si sarebbe, infatti, trattato di una variante non “essenziale”, giacché la sagoma e la volumetria del fabbricato già assentito non avrebbero subito variazioni in aumento.
I sig.ri Maria Teresa Bucci ed Alberto Ricci – evocati in giudizio nella qualità di proprietari di fondi finitimi e pretesi “controinteressati” alla presente vicenda contenziosa – si sono costituiti sostenendo le ragioni dalla società ricorrente e, quindi, chiedendo l’accoglimento del relativo gravame.
Il Comune di Anguillara Sabazia ha resistito al gravame mediante articolate e documentate deduzioni difensive.
In particolare, l’amministrazione ha sostenuto il carattere “essenziale” delle modifiche apportate sine titulo al progetto assentito con il permesso di costruire n. 3321/2015/8, all’uopo evidenziando come l’eliminazione dell’intero piano interrato di cui al progetto in questione non fosse mai autorizzato dal punto di vista urbanistico-edilizio, bensì, esclusivamente, quanto ai relativi impatti sul vincolo paesaggistico insistente sulla zona (giusta autorizzazione n. 43 del 27.07.2016).
La società ricorrente avrebbe, in altri termini, dato inizio ai lavori, procedendo all’edificazione del piano terra ed all’apposizione dei pilastri in cemento armato della struttura, in assenza di idoneo titolo edilizio. Siffatto titolo non potrebbe, peraltro, identificarsi, per come preteso dalla società istante, nella SCIA depositata in data 9 febbraio 2018.
Ciò in quanto la stessa, oltre ad essere stata presentata in epoca successiva all’esecuzione dei lavori, avrebbe avuto ad oggetto un organismo edilizio integralmente diverso ovvero con variazioni “essenziali” rispetto a quello in precedenza assentito con conseguente necessità del preventivo rilascio di un nuovo permesso di costruire.
Ed invero, dagli elaborati allegati all’autorizzazione paesaggistica n. 43/2016 si evincerebbero le sostanziali difformità progettuali, consistenti nell’integrale eliminazione di un intero piano (ossia quello interrato), nel mutamento della destinazione d’uso dei locali commerciali al piano terra, da adibire a parcheggio, nonché nell’ampliamento del settore interessato, in origine, dal varco che consentiva, mediante la rampa, l’accesso al piano interrato (ormai eliminato, con conseguente alterazione dei prospetti e della sagoma dell’edificio).
Da qui la legittimità dell’ordine demolitorio, correttamente irrogato ai sensi dell’art. 31 DPR n. 380/2001, stante l’incidenza del vincolo paesaggistico sull’area oggetto di intervento. La ricorrente, peraltro, non avrebbe potuto nutrire alcun affidamento giuridicamente rilevante, idoneo cioè ad inficiare la legittimità dell’ordine demolitorio, essendo stata costantemente informata della valenza meramente paesaggistica e non anche urbanistico-edilizia dell’autorizzazione n. 46/2016.
All’esito della camera di consiglio del 27.11.2018, il Collegio, con ordinanza n. 7242 del 29.11.2018, ha respinto la richiesta di misura cautelare.
In data 30 novembre 2018, con comunicazione a mezzo pec, l’Ufficio tecnico notificava alla Domus Fenice srl la nota di trasmissione, prot. 39526 del 30 novembre 2018, del “verbale di inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 97 del 13/08/2018” redatto all’esito del sopralluogo effettuato il 20 novembre 2018 (quindi ancor prima di attendere l’esito della camera di consiglio del 27 novembre 2018).
Successivamente, in data 11 dicembre 2018 e, quindi, in epoca successiva alla presentazione dell’istanza di sanatoria ex art. 36 T.U.E., depositata dalla ricorrente in data 3 dicembre 2018, l’amministrazione notificava alla ricorrente il provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria di € 3.000,00 conseguente all’accertata inottemperanza all’ordinanza di demolizione gravata.
Avverso il summenzionato verbale di inottemperanza ed il conseguente provvedimento di irrogazione della sanzione, parte ricorrente ha proposto ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 11.02.2019, deducendo i motivi di gravame appresso sintetizzati e raggruppati per censure omogenee.
“1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 31 D.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 15 L.R. n. 15/2008 in relazione alla mancata indicazione dell’area di sedime dell’abuso ed alla mancata effettuazione del previo frazionamento catastale; difetto di istruttoria, perplessità ed indeterminatezza dell’azione amministrativa; violazione e falsa applicazione dell’art. 21 septies della L. n. 241/1990 per mancanza dei requisiti essenziali del provvedimento”.
Il provvedimento sarebbe nullo ovvero illegittimo in quanto non preceduto dal necessario frazionamento catastale dell’area da acquisire gratuitamente al patrimonio comunale, quale conseguenza immediata e diretta dell’inottemperanza alle statuizione demolitorie di cui all’ordinanza n. 97 del 13.08.2018, e, quindi, della necessaria indicazione dell’esatta consistenza dell’area in questione.
– “2. Violazione e falsa applicazione dell’ordinanza cautelare n. 7242/2018 adottata dal TAR Lazio, Roma, Sezione Seconda Quater, pubblicata il 29 novembre 2018; violazione e falsa applicazione dell’art. 36 D.P.R. n. 380/2001; mancata sospensione dell’attività sanzionatoria a seguito della richiesta di sanatoria; violazione e falsa applicazione dei fonogrammi adottati dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Roma n. 14402 del 2 marzo 2018 e n. 31273 del 31 agosto 2018;
eccesso di potere per travisamento dei fatti; violazione del principio di proporzionalità”.
Nel notificare il provvedimento di cui alla nota 39256/2018 del 30.11.2018, il Comune non avrebbe tenuto di una pluralità di circostanze ossia:
– che il TAR, in sede di adozione del provvedimento collegiale, avrebbe disposto che fosse lo stesso Comune a dover eseguire, prioritariamente, gli interventi urgenti di messa sicurezza dell’area circostante a quella oggetto del provvedimento demolitorio, opere che, alla data di proposizione del gravame, non sarebbero state ancora eseguite;
– nella stessa giornata della ricezione della nota di trasmissione del verbale di inottemperanza, la stessa Domus Fenice srl evidenziava che avrebbe potuto procedere alla demolizione dell’opera senza alcun pericolo solo dopo l’esecuzione dei lavori di messa in sicurezza dell’area circostante, di competenza del Comune. Parimenti, attesa la peculiare contingenza del cantiere e dell’area circostante (nei cui confronti le opere contestate rappresenterebbero un’effettiva opera di contenimento), invitava l’Amministrazione dall’astenersi dall’avviare il procedimento volto all’acquisizione dell’area. Al tempo stesso, la società ricorrente esprimeva l’assoluta volontà di sanare la costruzione in oggetto e richiedeva un incontro al fine di concordare con l’Ufficio tecnico la migliore soluzione;
– in data 3 dicembre 2018 veniva presentata dalla Domus Fenice srl l’istanza di sanatoria al fine di salvare le parti strutturali del piano terra ed il muro di contenimento, opere dalla indubbia finalità contenitiva e dal rilevante costo.
A fronte delle predette circostanze e richieste formali, l’ente comunale anziché procedere, per come indicato nell’ordinanza cautelare n. 07242/2018, alla realizzazione degli urgenti interventi di messa in sicurezza a tutela dell’incolumità delle persone e dei beni, ritenuti dalla società istante propedeutici al disposto ripristino dello stato dei luoghi, in data 11 dicembre 2018, ossia ad istanza di sanatoria già depositata (3 dicembre 2018), notificava, anche in spregio ad ogni principio di ragionevolezza e proporzionalità, la sanzione amministrativa pecuniaria per inottemperanza alla demolizione.
La conferma della pretesa impossibilità di procedere alla demolizione delle opere contestate, con conseguente illegittimità tanto del verbale di acquisizione delle aree al patrimonio comunale quanto dell’irrogazione della sanzione amministrativa di cui all’art. 31 commi 4 e 4 bis D.P.R. n. 380/2001, discenderebbe dai fonogrammi adottati dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Roma il 2 marzo 2018 (n. 14402) ed il 31 agosto 2018 (n. 31273), con cui si diffidava la società dal riprendere i lavori del cantiere del fabbricato fino a quando non sarebbero state “realizzate idonee strutture di contenimento del terreno circostante”, di competenza del Comune.
L’amministrazione comunale, con memoria depositata in data 9.03.2019, ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità per carenza di interesse della domanda di annullamento della nota 39256/2018 del 30.11.2018, avente ad oggetto l’accertamento dell’inottemperanza alle statuizioni demolitorie di cui all’ordinanza n. 97/2018, trattandosi di un mero atto di natura endo-procedimentale, inidoneo a ledere la sfera giuridica degli istanti.
Nel merito, il Comune ha sostenuto la complessiva legittimità dell’agere pubblico, valorizzandone la natura dovuta e vincolata a fronte del mancato ripristino dello stato dei luoghi, non subordinato all’esecuzione di alcuna preliminare attività da parte dell’ente.
In particolare, la domanda di sanatoria del 3 dicembre 2019, essendo stata presentata in epoca successiva al preteso perfezionamento della fattispecie acquisitiva al patrimonio comunale di cui all’art. 31 comma 4 T.U.E., giusto verbale di accertamento dell’inottemperanza prot. n. 39256/2018 del 30 novembre 2018, non avrebbe prodotto alcun effetto sospensivo dell’ordine demolitorio rimasto inevaso, con conseguente legittimità dell’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al comma 4 bis del citato art. 31.
In altri termini, la sanatoria sarebbe stata richiesta da un soggetto giuridico privo di legittimazione in quanto, alla data di presentazione della relativa domanda ossia il 3 dicembre 2018 – che è poi la data di irrogazione del provvedimento sanzionatorio prot. n. 155, successivamente notificato in data 11 dicembre 2018 – la società ricorrente non sarebbe stata più proprietaria né del fabbricato né della relativa area di sedime. Ne deriverebbe l’inammissibilità dell’istanza di sanatoria in parola e, quindi, l’inidoneità della stessa a sospendere le conseguenze acquisitive e sanzionatorie derivanti dal mancato adempimento spontaneo dell’ordinanza di demolizione n. 97/2018.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti depositato in data 08/05/2019, i ricorrenti hanno impugnato il provvedimento del 6 marzo 2019, notificato in pari data a mezzo pec, ed avente ad oggetto il diniego del Permesso di Costruire in sanatoria del 6.03.2019 emesso a definizione della istanza n. 09388951007-01122018-1730 Prot. REV_PROV_RM/RM-SUPRO 45226/03-12-2018.
Quale censura potenzialmente preliminare ed assorbente, i ricorrenti hanno lamentato la “1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis L. n. 241/1990; mancata corrispondenza tra i motivi ostativi all’accoglimento della domanda comunicati nel preavviso di diniego ed i motivi posti a base del provvedimento definitivo; violazione del principio del contraddittorio”.
Più precisamente, l’amministrazione comunale, con il preavviso di diniego prot. n. 41934/2018 del 24 dicembre 2018, si era limitata ad evidenziare alla ricorrente l’inammissibilità e/o improponibilità della domanda di sanatoria del 3.12.2018.
Ciò in considerazione:
a) della pretesa tardiva proposizione dell’istanza in questione rispetto al termine di cui all’art. 31 comma 3 D.P.R. n. 380/2001, ossia 90 giorni decorrenti dalla notifica dell’ordine demolitorio (16.08.2018) entro cui procedere alla demolizione spontanea;
b) della pretesa carenza di legittimazione attiva della società istante la quale, proprio in considerazione dell’infruttuosa decorrenza del termine summenzionato, per come risultante dal verbale di accertamento di inottemperanza inviato con nota prot. n. 39256/2018 del 30.11.2018, avrebbe perso ipso iure la proprietà delle opere abusive (e della relativa area di sedime) e, quindi, per l’effetto, anche la facoltà di chiederne la sanatoria.
In sede di conclusione del procedimento di sanatoria, invece, il Comune di Anguillara Sabazia non si sarebbe limitato a dichiarare, in rito, l’inammissibilità e/o improponibilità dell’istanza, ma avrebbe altresì addotto ragioni che afferiscono più propriamente al merito della pretesa insanabilità delle opere abusive, non esternate in sede di preavviso di rigetto prot. n. 41934/2018 del 24 dicembre 2018, sulle quali la ricorrente non avrebbe avuto modo di interloquire.
Siffatto modus operandi avrebbe gravemente vulnerato le garanzie partecipative della società interessata, con conseguente violazione del relativo diritto di difesa.
I ricorrenti hanno, inoltre, puntualmente contrastato le ragioni di rito (inammissibilità e/o improponibilità) addotte dal comune in sede di definizione del procedimento di sanatoria, all’uopo articolando i motivi di gravame appresso sintetizzati.
– “2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 36 D.P.R. n. 380/2001; eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria; errata valutazione dell’inammissibilità e/o improponibilità della domanda di sanatoria per tardiva proposizione della stessa”;
– “3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 36 D.P.R. n. 380/2001; eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria; errata valutazione dell’inammissibilità e/o improponibilità della domanda di sanatoria per carenza di legittimazione attiva dei proponenti”.
Diversamente da quanto ritenuto dall’amministrazione, l’istanza di sanatoria del 3.12.2018 non avrebbe potuto ritenersi tardiva, stante la possibilità di presentarla anche oltre il termine di 90 giorni previsto dall’art. 31, comma 3 D.P.R. n. 380/2001 per la demolizione spontanea purché in epoca antecedente al perfezionamento della fattispecie acquisitiva al patrimonio comunale, attraverso la quantificazione e perimetrazione dell’area da incamerare, ed a quella sanzionatoria pecuniaria di cui ai successivi commi 4 e 4 bis del medesimo art. 31.
Nella specie, l’istanza di sanatoria è stata presentata in data 3 dicembre 2018 e, quindi, in epoca antecedente al momento in cui il Comune si è determinato a notificare la sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’ordinanza n. 155 del 3.12.2018 la quale, essendo atto recettizio, sarebbe efficace nei confronti dei destinatari soltanto al momento dell’effettiva ricezione, avvenuta in data 11.12.2018.
Inoltre, ad avviso dei ricorrenti, il verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 97/2018, comunicato a mezzo nota prot. n. 39526 del 30.11.2018, per come già dedotto in sede ricorso per motivi aggiunti depositato in data 11.02.2019, sarebbe illegittimo stante il mancato preventivo frazionamento e conseguente mancata specificazione dei beni, della rispettiva area di sedime, nonché di “quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune”.
Siffatto verbale sarebbe, dunque, inidoneo a determinare l’effetto ablatorio ope legis al patrimonio comunale di cui all’art. 31, comma 3 T.U.E., con conseguente legittimazione dei ricorrenti, nella qualità di proprietari delle opere in contestazione, a chiederne la sanatoria, mediante la proposizione di una istanza che, per l’effetto, avrebbe dovuto essere considerata tempestiva.
Con i motivi di gravame sub 4 e 5 appresso sintetizzati, parte ricorrente ha inoltre contestato le ragioni di merito ritenute ostative alla sanatoria, addotte per la prima volta dal comune in sede di definizione del procedimento.
– “4. Violazione e falsa applicazione degli artt. 93 e 94 D.P.R. n. 380/2001; violazione e falsa applicazione della Deliberazione Giunta Regionale n. 387 del 22 maggio 2009 Nuova classificazione sismica del territorio della Regione Lazio in applicazione dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3519 del 28 aprile 2006 e della DGR Lazio 766/03; mancata valutazione della corretta presentazione dell’autorizzazione per l’inizio lavori in zone sismiche; mancata valutazione della corretta presentazione dell’autorizzazione paesaggistica; eccesso di potere del difetto di istruttoria”;
– “5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 22 D.P.R. n. 380/2001; errata qualificazione degli interventi realizzati e realizzandi; eccesso di potere per difetto di istruttoria; difetto di motivazione”.
L’amministrazione comunale ha resistito al gravame mediante articolate e documentate deduzioni difensive. In particolare, quanto al primo motivo di gravame, la difesa dell’amministrazione, oltre ad invocare la portata non invalidante dell’eventuale violazione dell’art. 10 bis l. n. 241/90, ex art. 21 octies citata legge, ha evidenziato come le motivazioni addotte in sede provvedimentale a sostegno del diniego, ulteriori e diverse rispetto a quelle “preavvisate”, si traducano nella risposta fornita dall’amministrazione alle osservazioni già autonomamente formulate dalla Domus Fenice srl in sede procedimentale (nota prot. n. 219 del 03/01/2019), con conseguente salvaguardia delle garanzie partecipative di quest’ultima, la cui frustrazione sarebbe stata a torto addotta a sostegno del gravame.
Con memoria depositata in data 7.03.2020, l’amministrazione resistente, oltre a ribadire le difese fino al quel momento articolate, ha dedotto, in via preliminare, l’improcedibilità del secondo ricorso per motivi aggiunti, avente ad oggetto il diniego di sanatoria notificato in data 6 marzo 2019, per sopravvenuta carenza di interesse.
Ciò in conseguenza della presentazione da parte della Domus Fenice srl e dei sig.ri Antonini Maria e Pietro, in data 16 luglio 2019, di una nuova domanda di sanatoria ex art. 36 DPR 380/2001 che avrebbe, conseguentemente, travolto quella precedente (3.12.2018), così privando i ricorrenti dell’interesse all’annullamento del diniego adottato nei loro confronti.
Peraltro, l’istanza da ultimo depositata si sarebbe parimenti definita in senso contrario ai ricorrenti, stante il preteso perfezionamento della fattispecie semplificativa del cd. silenzio-rigetto di cui all’art. 36, comma 3 D.P.R. n. 380/2001, oramai consolidatosi per mancata impugnazione.
L’amministrazione ha, inoltre, chiesto l’estromissione dal giudizio dei sigg.ri Bucci e Ricci, stante la pretesa insussistenza, in capo agli stessi, di qualsivoglia posizione di controinteresse, disvelata dal tenore delle rispettive difese, tese ad avvalorare le ragioni dei ricorrenti (ad adiuvandum).
In vista della trattazione della causa nel merito, tutte le parti hanno insistito nelle proprie eccezioni e difese, depositando corpose e puntuali memorie conclusive (quelle del Comune aventi dimensioni che sembrano al Collegio eccedenti rispetto ai limiti dimensionali di cui all’art. 6, DPCS 22 dicembre 2016, n. 167; ci si riferisce alla memoria del 17.03.2020 e del 12.09.2020).
In occasione della pubblica udienza del 13 ottobre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
Diritto
1. Ragioni di pregiudizialità logico-giuridica, impongono di principiare dallo scrutinio del secondo ricorso per motivi aggiunti, avente ad oggetto il diniego di sanatoria, opposto dal Comune di Anguillara Sabazia in data 6.03.2019, a definizione dell’istanza n. 09388951007-01122018-1730 Prot. REV_PROV_RM/RM-SUPRO 45226/03-12-2018 (art. 36 DPR n. 380/2001). Ed invero, ove siffatto gravame risultasse fondato e, tenuto conto dei motivi di diritto ivi articolati, si addivenisse all’accertamento dei presupposti per la sanatoria delle opere edilizie di cui all’ordinanza di demolizione n. 97 del 13.08.2018, tanto il ricorso principale quanto il primo ricorso per motivi aggiunti risulterebbero improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse.
2. Ciò premesso, occorre innanzitutto scrutinare l’eccezione formulata dall’amministrazione comunale secondo cui il ricorso per motivi aggiunti depositato in data 8.05.2009 sarebbe improcedibile, avendo i ricorrenti, nelle more del giudizio, e precisamente in data 16.07.2019, presentato una nuova istanza di sanatoria, con conseguente preteso superamento di quella precedente (3.12.2019) e, quindi, sopravvenuta carenza di interesse a contestarne gli esiti, compendiati nel diniego di sanatoria del 6.03.2019.
3. L’apprezzamento dell’infondatezza dell’eccezione de qua passa dalla preliminare ricostruzione della natura giuridica della nuova istanza di sanatoria, presentata dai ricorrenti nelle more del giudizio (16.07.2019), e dei relativi effetti.
Ritiene il Collegio che siffatta nuova istanza sia sostanzialmente strumentale a stimolare il Comune di Anguillara Sabazia a rideterminarsi in senso favorevole ai ricorrenti e, dunque, si qualifichi quale richiesta di autotutela del diniego di sanatoria già adottato nei confronti degli stessi.
Trattasi, in altri termini, di una mera richiesta di attivazione di un potere amministrativo di secondo grado rispetto a quello già esercitato con l’adozione provvedimento di rigetto del 6.03.2019 (cd. potere di autotutela), a fronte della quale l’amministrazione non ha alcun obbligo giuridico di pronunciarsi (cfr. Consiglio di Stato sez. V, 29/05/2019, n. 3576).
Rebus sic stantibus, la sostanziale richiesta di “autotutela” in parola, per un verso, non comporta alcun superamento della primigenia istanza di sanatoria avanzata in data 3.12.2018 e, per l’altro, sfugge al cono d’ombra della disposizione normativa di cui all’art. 36, comma 3 D.P.R. n. 380/2001.
Ed invero, la fattispecie semplificativa di rigetto prevista dalla disposizione in parola – secondo cui “Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata” – opera “fisiologicamente” in sede di prima attivazione, da parte degli interessati, del potere amministrativo di cui all’art. 36 comma 1 citato D.P.R. e non anche nel caso in cui questi ultimi, come nel caso in esame, a fronte di un diniego espresso – e, quindi, a potere amministrativo già esercitato – si determinino a stimolare un’incoercibile autotutela del potere medesimo.
3.1 Ne consegue, quale immediato e diretto corollario, la persistenza dell’interesse dei ricorrenti all’annullamento giurisdizionale del diniego di sanatoria del 6.03.2019, con conseguente procedibilità del relativo gravame.
4. Passando dunque al merito della vicenda contenziosa, il Collegio deve farsi carico di scrutinare le censure formulate con il ricorso in parola.
Preliminare ad ogni considerazione è l’apprezzamento della natura plurimotivata del diniego opposto dall’amministrazione comunale di Anguillara Sabazia in data 6.03.2019 a fronte della richiesta di sanatoria, avanzata dai ricorrenti in data 3.12.2018.
Dalla lettura del provvedimento impugnato si evince chiaramente come l’ente locale abbia denegato la sanatoria in questione sulla scorta di una motivazione duplice:
– la prima, di natura preliminare, afferente alla pretesa “inammissibilità e/o improponibilità” della domanda per “tardiva proposizione della stessa nonché carenza di legittimazione attiva dei proponenti”;
– la seconda, afferente più propriamente al “merito” della richiesta e, quindi, alla sussistenza dei presupposti per la sanatoria che, ad avviso dell’ente, sarebbero insussistenti. Così è, infatti, dato leggere nel corpo del provvedimento impugnato “fermo restando quanto sopra la domanda di sanatoria non può comunque trovare accoglimento anche nel merito per carenza di autorizzazione sismica in sanatoria, autorizzazione paesaggistica, in sanatoria, mancata realizzazione delle opere di contenimento e fondazione di cui al Permesso di Costruire originario n. 3321/2015/8, e per maggiorazione in termini di volumi, cubatura e superfici e modifica della sagoma rispetto al Permesso di Costruire n. 3321/2015/8” (cfr. ultima pagina del diniego di sanatoria, laddove vengono sintetizzate le ragioni del diniego).
4.1 Ci si trova dinanzi ad un segmento motivazionale che inerisce, in via preliminare, i presupposti legittimanti la presentazione della richiesta di sanatoria, e ad un ulteriore segmento, subordinato al primo, che riguarda il “merito” dell’eventuale sanabilità degli abusi.
Ciascuna delle motivazioni in questione è, dunque, autonomamente idonea a sorreggere il gravato diniego di sanatoria.
5. Chiarito quanto sopra, occorre scrutinare il primo motivo di gravame, di natura potenzialmente assorbente, coincidente con la violazione dell’art. 10 bis l. n. 241/90.
A detta dei ricorrenti l’amministrazione avrebbe denegato la sanatoria anche sulla scorta di ragioni di “merito” che sarebbero state completamente omesse in sede di preavviso di rigetto prot. n. 41934 del 24.12.2018, laddove sarebbero state prospettate esclusivamente le ragioni della pretesa “inammissibilità e/o improponibilità” della domanda per “tardiva proposizione della stessa nonché carenza di legittimazione attiva dei proponenti”.
Siffatta discrasia tra il contenuto del preavviso di rigetto e le motivazioni conclusivamente addotte a sostegno del gravato diniego avrebbe vulnerato le garanzie partecipative degli istanti, con conseguente frustrazione del loro diritto di difesa e, quindi, del contraddittorio endo-procedimentale, in spregio al disposto di cui all’art. 10 bis l. n. 241/90.
Da ciò conseguirebbe l’illegittimità del provvedimento finale che, per l’effetto, dovrebbe essere annullato.
6. La censura in questione coglie nel segno, sia pure con le precisazione e gli effetti appresso indicati.
Per come dedotto in ricorso, il Comune di Anguillara Sabazia, con la nota prot. n. 41934 del 24.12.2018, ha illustrato ai ricorrenti esclusivamente profili di inammissibilità ovvero improcedibilità della istanza che afferiscono alla legittimazione degli stessi a chiedere la sanatoria, invitandoli ad interloquire sul punto.
Più precisamente, ad avviso dell’amministrazione “in tema di abusi edilizi l’acquisizione dell’opera e della relativa area di sedime al patrimonio comunale costituisce un effetto automatico derivante dall’inottemperanza all’ordine di demolizione nel termine di legge e che con l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale il privato perde la disponibilità giuridica del bene”, con conseguente necessità che l’istanza di sanatoria venisse presentata, necessariamente, entro il termine di cui all’art. 31, comma 3 del D.P.R. n. 380/2001, “novanta giorni dall’ingiunzione”.
Considerato che “nel termine di giorni 90 dalla notificazione dell’ordinanza n° 97/2018 la Domus Fenice srl ed i sig.ri Pietro e Maria Antonini non hanno provveduto alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi come accertato con Verbale prot. n. 38150 del 21.11.2018 notificato alla Domus Fenice srl via pec in data 30/11/2018 prot. n. 39256 e mediante Messo comunale in data 5/12/2018, al sig. Pietro Antonini in data 4/12/2018 ed alla sig.ra Maria Antonini in data 4/12/2018”, gli stessi avrebbero ipso iure perso, ad avviso dell’ente, la proprietà delle opere abusive (e della relativa area di sedime) delle quali non sarebbero più stati legittimati a chiedere la sanatoria, presentata fuori termine ossia soltanto in data 3.12.2018, allorquando avevano già perso la titolarità delle opere in contestazione. In considerazione di ciò, l’ente ha preavvisato i ricorrenti esclusivamente della “inammissibilità e/o improponibilità della domanda di sanatoria presentata dalla Domus Fenice Srl in data 3.12.2018 per tardiva proposizione della stessa e carenza di legittimazione attiva”.
Nessun cenno a pretese ragioni di merito che avrebbero ostato, comunque, alla sanatoria.
Siffatte ulteriori ragioni, per come sopra trascritte, sono state esternate dal Comune soltanto in sede di conclusione del procedimento, con conseguente frustrazione delle facoltà partecipative degli interessati e, quindi, non soltanto del rispettivo diritto di difesa ma anche dei principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’agere pubblico che la disposizione di cui all’art. 10 bis l. n. 241/90 è preordinata a realizzare.
7. Le obiezioni sul punto sollevate dall’amministrazione ricorrente, tese a negare, ex art. 21 octies l. n. 241/90, efficacia invalidante all’omessa rappresentazione, in sede di preavviso di rigetto, anche delle ragioni di merito esternate soltanto in sede di conclusione del procedimento, facendo in particolare leva sulla natura vincolata del diniego di sanatoria, non meritano il positivo apprezzamento del Collegio.
7.1 La valutazione dell’inconsistenza di siffatte obiezioni passa, innanzitutto, dalla considerazione che è stata la stessa amministrazione comunale, con la notifica del preavviso di rigetto prot. n. 41934 del 24.12.2018, a valutare la necessità di attivare una parentesi endo-procedimentale, volta a stimolare il contraddittorio con gli interessati su quelle che riteneva essere le ragioni ostative alla positiva definizione dell’istanza da questi ultimi presentata.
Rebus sic stantibus, il comune non avrebbe potuto, a sostegno del diniego, addurre circostanze ulteriori e diverse rispetto a quelle “preavvisate”, così frustrando quelle stesse garanzie partecipative che aveva inteso tutelare mediante la promozione della partentesi endo-procedimentale summenzionata.
7.2 Parimenti priva di pregio si appalesa, sul punto, l’ulteriore obiezione addotta dal Comune, secondo cui le “nuove” ragioni di merito poste a base del diniego sarebbero state esternate in risposta alle deduzioni difensive, comunque, autonomamente articolate in sede di memoria versata agli atti del procedimento.
Ed invero, la ratio di cui all’art. 10 bis l. n. 241/90 è quella di stimolare, mediante la predisposizione di un preavviso di rigetto puntuale e completo, un pieno e consapevole contraddittorio endo-procedimentale su tutte le ragioni ritenute rilevanti dall’amministrazione e, quindi, da questa “selezionate” a monte, quali ostative al conseguimento del bene della vista sperato.
Diversamente opinando, si determinerebbe una traslazione in avanti, ossia in occasione dell’adozione del provvedimento finale, di quel necessario momento interlocutorio la cui sede naturale è invece il procedimento, pena l’inaccettabile frustrazione dei principi costituzionali dell’agere pubblico (art. 97 Cost.) sottesi all’art. 10 bis l. n. 241/90.
7.3 La portata invalidante del mancato rispetto di un pieno e completo contraddittorio endo-procedimentale su tutti i motivi ritenuti ostativi alla sanatoria richiesta dai ricorrenti in data 3.12.2018 non può nemmeno ritenersi azzerata, per come preteso dal Comune, alla luce dell’invocata natura vincolata del potere esercitato dall’amministrazione ai sensi dell’art. 36 D.P.R. n. 380/2001 e, quindi, del disposto di cui all’art. 21 octies l. n. 241/90.
Ed invero, la più recente e sensibile giurisprudenza, a cui il Collegio ritiene di aderire soprattutto in considerazione della peculiarità della presente fattispecie, connotata dall’invio di un preavviso di rigetto per così dire “parziale”, è concorde nel ritenere che “L’istituto del preavviso di rigetto, previsto dall’art. 10 – bis, L. 241 del 1990, si applica anche nei procedimenti di sanatoria o di condono edilizio, con la conseguenza che deve essere ritenuto illegittimo il provvedimento di diniego dell’istanza di permesso in sanatoria che non sia stato preceduto dall’invio della comunicazione, in quanto in mancanza di tale preavviso al soggetto interessato risulta preclusa la piena partecipazione al procedimento e dunque la possibilità di un apporto collaborativo” (cosi Consiglio di Stato sez. VI, 02/05/2018, n. 2615; cfr. anche Consiglio di Stato sez. VI, 18/01/2019, n. 484).
La correttezza di siffatta opzione ermeneutica trova conferma nel recente intervento del Legislatore che, in sede di riforma della legge sul procedimento amministrativo (art. 12, comma 1, lettera i), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120), ha espressamente escluso “il provvedimento adottato in violazione dell’articolo 10-bis dall’ambito di operatività del secondo comma dell’art. 21 octies l. n. 241/90 (secondo cui “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”).
8. L’accoglimento del primo motivo di gravame (sub 1), consistente nell’intervenuta violazione dell’art. 10 bis l. n. 241/90, “colpisce” esclusivamente quella parte del provvedimento di diniego motivata sulla scorta delle ragioni di merito, per così dire autosufficienti, che, pur essendo state completamente omesse in sede di preavviso di rigetto, risultano, comunque, censurate con i motivi sub 4. e 5. del ricorso.
Ne consegue, quale immediato e diretto corollario, l’impossibilità, per il Collegio, di scrutinare le censure da ultimo indicate, che risultano per l’effetto assorbite.
Ed invero siffatte censure riguardano l’esercizio di un potere che, in conformità alle statuizioni annullatorie veicolate dall’accoglimento del primo motivo di gravame (sub 1.: “violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis l. n. 241/90”), dovrà essere riesercitato dall’amministrazione, previa rinnovazione di un completo e puntuale contraddittorio endo-procedimentale su tutte le ragioni ritenute ostative alla sanatoria.
9. Spetta, invece, al Collegio scrutinare i motivi di gravame sub 2. e 3. del ricorso in quanto aventi ad oggetto gli unici motivi di diniego disvelati in sede di preavviso di rigetto ex art. 10 bis l. n. 241/90 e confermati in sede di adozione del provvedimento conclusivo, ossia quelli afferenti alla pretesa “inammissibilità e/o improponibilità” della domanda per “tardiva proposizione della stessa nonché carenza di legittimazione attiva dei proponenti”.
10. Le censure in questione risultano fondate, per le ragioni appresso indicate.
In base ad costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, condivisa dal Collegio, tenuto conto del tenore letterale dell’art. 36 D.P.R. n. 380/2001 (a mente del quale “fino alla scadenza dei termini di cui agli articolo 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”)il privato raggiunto dall’ordine di demolizione può richiedere, ai sensi dell’art. 36 D.P.R. n. 380/2001, la sanatoria delle opere abusive anche oltre il termine di 90 giorni dalla notifica del provvedimento sanzionatorio, imposto dall’art. 31, comma 3 citato D.P.R. per la demolizione spontanea, fino al momento in cui non possa dirsi attualizzata la fattispecie acquisitiva al patrimonio comunale di cui al comma 4 e non siano state comminate le sanzioni pecuniarie amministrative di cui al successivo comma 4 bis dell’art. 31 citato D.P.R. (cfr. TAR Lazio, Latina, sez. I, 11.01.2018, n. 16).
11. Quanto all’ablazione, in favore dell’ente comunale, delle opere abusive e della relativa area di sedime (oltre a quelle necessarie, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe), vero è che l’acquisizione gratuita discende ope legis dalla mancata spontanea ottemperanza, nei termini, del provvedimento sanzionatorio ma è, tuttavia, altrettanto vero, per come già affermato da questa Sezione e da conforme giurisprudenza, che l’attualizzazione di tale effetto acquisitivo necessita del perfezionamento degli adempimenti accertativi di cui al comma 4 dell’art. 31 D.P.R. n. 380/2001.
Più precisamente l’effetto ablativo della proprietà per inottemperanza all’ordine di remissione in pristino, pur se definita come una conseguenza di diritto dall’art. 31 comma 3, d.P.R. n. 380/2001, “richiede, in ogni caso, un provvedimento amministrativo che definisca l’oggetto dell’acquisizione al patrimonio comunale attraverso la quantificazione e la perimetrazione dell’area sottratta al privato” (così T.AR. Lazio, Roma, sez. II quater, 31.07.2020, n. 8906; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 29/11/2018, n. 1141).
Il perfezionamento di tale fattispecie acquisitiva – che opera “di diritto” e, quindi, ope legis – è, dunque, procedimentalizzato e, nello specifico, risulta subordinato all’apertura di una parentesi accertativa dell’eventuale spontanea ottemperanza all’ordine di demolizione da parte dell’ingiunto, i cui esiti devono, a quest’ultimo, essere comunicati.
Tale parentesi accertativa, ove negativa, legittima il comune, per un verso, a concretizzare ed attualizzare la fattispecie ipso iure acquisitiva al patrimonio pubblico dell’area di sedime degli abusi edilizi (commi 3 e 4) e, per l’altro, a comminare la sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro (commi 4 bis e 4 ter) (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II quater, 7.07.2020, n. 7771; 11/07/2019 n. 9223; TAR Campania, Salerno, sez. II, 18/07/2019, n. 01315; 11.06.2019, n. 975; 27.05.2019, n. 851; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 02/01/2018, n.1; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 25/09/2018, n.9554; 2 febbraio 2017 n. 1868).
11.1 Ne consegue che, fino a quando non sia stato adottato un valido provvedimento amministrativo avente siffatta efficacia accertativa, il privato continua a mantenere la titolarità dei beni abusivi, rispetto ai quali è, ancora, nei termini per chiedere la sanatoria (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 5.07.2017, n. 3631).
12. Orbene, nel caso in esame, il Comune di Anguillara Sabazia, all’esito del sopralluogo effettuato in data 20.11.2018, ha redatto un verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordine demolitorio n. 97 del 13.08.2018 del cui valore provvedimentale – a differenza di quanto contraddittoriamente affermato dalla difesa dell’ente onde argomentare la pretesa carenza di interesse dei ricorrenti ad impugnarlo – non è dato dubitare.
Trattasi, invero, di un atto con cui il Responsabile dell’Area Tecnica del Comune – ossia di un soggetto competente a manifestare all’esterno la volontà dell’ente, coincidente peraltro con la stessa persona fisica che ha adottato l’ordinanza di demolizione n. 97/2018 – ha dato atto della mancata demolizione spontanea imposta con il provvedimento sanzionatorio da ultimo menzionato, dichiarando che la presente relazione “tiene luogo del VERBALE DI INOTTEMPERANZA ALL’ORDINANZA DI DEMOLIZIONE n. 97 del 13/08/2018” previsto dall’art. 31 comma 4 D.P.R. n. 380/2001.
Siffatto verbale, notificato ai ricorrenti a mezzo pec del 30.11.2018 ed a mezzo messo comunale, in data 5.12.2018, coincide, quindi, con quell’”accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire” di cui al comma 4 dell’art. 31 D.P.R. n. 380/2001 che, per come sopra chiarito, ove legittimo, costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, così segnando il limite temporale oltre il quale non è più possibile per l’interessato proporre istanza ex art. 36 citato D.P.R.
13. Orbene, la legittimità di siffatto verbale di accertamento e, quindi, la sua idoneità ad attualizzare l’effetto acquisitivo al patrimonio comunale delle opere abusive di cui all’ordine demolitorio n. 97/2018, è stata tempestivamente contestata dagli odierni ricorrenti con la proposizione del secondo ricorso per motivi aggiunti, le cui doglianze sono state reiterate nel successivo gravame, al fine di contestare la statuizione di intempestività della domanda di sanatoria, contenuta nel provvedimento di diniego del 6.03.2019.
Secondo l’assunto ricorsuale, siffatto verbale, in quanto illegittimo per le ragioni esternate nei motivi aggiunti depositati in data 11.02.2019, non sarebbe idoneo ad attualizzare l’effetto traslativo della proprietà delle opere abusive in capo al Comune, con conseguente tempestività dell’istanza di sanatoria presentata dai ricorrenti in data 3.12.2018.
Lo scrutinio di siffatta censura necessita, pertanto, la preliminare valutazione di quella in proposito articolata con il gravame per motivi aggiunti dell’11.02.2019, secondo cui il verbale in questione sarebbe invalido giacché non preceduto dal necessario frazionamento catastale dell’area da acquisire gratuitamente al patrimonio comunale.
14. La censura in questione merita il positivo apprezzamento del Collegio.
Costituisce, infatti, ius receptum anche di questa Sezione, il principio secondo cui il provvedimento di natura accertativa di cui all’art. 31 comma 4 DPR n. 380/2001 intanto può dirsi legittimo, in quanto preceduto dalla necessaria identificazione, previo idoneo frazionamento catastale (art. 15 comma 3 L.R. n. 15/2008), dei beni abusivi nonché della relativa area di sedime da acquisire gratuitamente al patrimonio comunale, oltre che di quella ulteriore necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe. Il provvedimento in questione deve, peraltro, contenere, perché possa dirsi attualizzato l’effetto ablativo in capo all’ente, la puntuale indicazione, eventualmente per relationem, dei parametri in concreto applicati ai fini dell’esatta identificazione e quantificazione delle aree “ulteriori” in parola che, in ogni caso, non potranno essere superiore a dieci volte quelle abusivamente costruita (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II quater, 7.07.2020, n. 7771; 11/07/2019 n. 9223; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 18/07/2019, n. 01315; 27.05.2019, n. 851; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 02/01/2018, n.1).
14.1 Orbene, per come correttamente rilevato dai ricorrenti con la censura sub 1. dei motivi aggiunti depositati in data 11.02.2019 e reiterato con la censura sub. 3 dei successivi motivi aggiunti depositati in data 8.05.2019, il provvedimento di cui al verbale prot. n. 39526 del 30.11.2018 è illegittimo in quanto non preceduto dal necessario preventivo frazionamento e, quindi, come tale, totalmente privo della necessaria indicazione delle opere abusive ablate, della relativa area di sedime nonché delle aree ulteriori da acquisire al patrimonio del comune.
Dall’illegittimità del verbale de quo, discende, il mancato perfezionamento della fattispecie acquisitiva in favore dell’ente e, quindi, quale immediato e diretto corollario, per come dedotto con la censura sub 3. dei motivi depositati in data 8.05.2019, la tempestività dell’istanza di sanatoria depositata il 3.12.2018 da coloro i quali, a quella data, erano ancora legittimati a presentarla, non avendo ancora perso la titolarità delle opere di cui era stata ingiunta loro la demolizione.
15. Né è possibile sostenere che l’intempestività dell’istanza di sanatoria del 3.12.2018 discenda dalla coeva adozione, da parte del Comune, del provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativa prot. n. 155 del 3.12.2018 (gravata con il ricorso per motivi aggiunti depositato in data 11.02.2019).
Ed invero:
a) per come ribadito dai ricorrenti anche con la censura sub. 3 dei motivi aggiunti depositati in data 8.05.2019, il provvedimento sanzionatorio di natura pecuniaria di cui al comma 4 bis dell’art. 31 D.P.R. n. 380/2001, in quanto atto recettizio, produce effetti nella sfera giuridica dei destinatari soltanto nel momento del perfezionamento della relativa notifica, nella specie intervenuta soltanto in data 11 dicembre 2018 ossia in un momento successivo alla data – 3.12.2018 – in cui risulta depositata l’istanza di sanatoria, la quale, per l’effetto, deve ritenersi tempestiva;
b) per come dedotto dai ricorrenti con la censura sub 2. dei motivi aggiunti depositati in data 11.02.2019, una volta ricevuta l’istanza di sanatoria in questione (3.12.2018), tenuto conto degli effetti sospensivi sull’efficacia dell’ordine di demolizione n. 97/2018 che dalla stessa conseguono, il comune era obbligato, prioritariamente, a definire il relativo procedimento (eventualmente anche in termini di inammissibilità/improcedibilità/improponibilità dell’istanza in questione), rinviando all’esito ogni successiva determinazione.
A tale ultimo proposito la giurisprudenza, anche di questo Tribunale, è univoca nel ritenere che la presentazione dell’istanza di sanatoria ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001, al pari di quella di condono edilizio, determina la sospensione dei procedimenti amministrativi e penali e, di conseguenza, impone all’Amministrazione di astenersi, sino alla definizione del relativo procedimento con formale provvedimento sanante o meno, da ogni ulteriore iniziativa repressiva, non solo di carattere ripristinatorio ma anche di carattere pecuniario, che altrimenti vanificherebbe aprioristicamente il rilascio del richiesto titolo abilitativo in sanatoria (cfr., in termini, T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 04/05/2020, n.1615; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 26/06/2020, n.1530; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 11/06/2020, n. 6394; 05/10/2017, n.10066).
16. Le superiori statuizioni, enunciate dal Collegio avuto riguardo alle censure di cui motivi sub. 1, 2 e 3 del gravame per motivi aggiunti depositato in data 8.05.2019 recano in sé, per come peraltro già evidenziato, la valutazione di fondatezza delle speculari censure di cui ai motivi sub. 1 e 2 del ricorso per motivi aggiunti depositato in data 11.02.2019, che per l’effetto deve essere accolto, con gli effetti che verranno appresso evidenziati.
17. Sulla scorta di quanto premesso, il ricorso per motivi aggiunti depositato in data 8.05.2019 è fondato, in accoglimento delle censure sub. 1, 2 e 3 ivi articolate e conseguenziale assorbimento di tutte le altre, per le ragioni sopra esposte.
Ne discende l’annullamento del diniego di permesso di costruire in sanatoria adottato dal Comune di Anguillara Sabazia in data 6.03.2019 e, quale effetto conformativo, il conseguente obbligo per l’ente locale di rinnovare il procedimento avviato dai ricorrenti con l’istanza di sanatoria del 3.12.2018, garantendo un pieno e puntuale contraddittorio endo-procedimentale.
17.1 Il ricorso per motivi aggiunti depositato in data 11.02.2019 è fondato, in accoglimento delle censure sopra scrutinate.
Ne consegue l’annullamento sia del verbale di inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 97 del 13/08/2018, prot. 39526 del 30 novembre 2018 che dell’ordinanza dirigenziale n. 155 del 3 dicembre 2018, notificata in data 11 dicembre 2018, avente ad oggetto l’irrogazione della sanzione pecuniaria per l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione.
18. Non resta, dunque, al Collegio che scrutinare il ricorso principale, avente ad oggetto l’ordinanza di demolizione n. 97 del 13.08.2018.
In pendenza del procedimento di sanatoria avviato in data 3.12.2018 – che il Comune ha l’obbligo di reiterare quale effetto confermativo delle suddette statuizioni annullatorie – il provvedimento sanzionatorio n. 97/2018 si trova, infatti, in una fase di mera quiescenza e ben potrebbe essere riattivato ove, all’esito del procedimento in questione, la sanatoria venisse rigettata (cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 04/05/2020, n. 320).
Ne consegue la persistenza, in capo ai ricorrenti, dell’interesse allo scrutinio dei motivi di gravame proposti con il ricorso principale al fine di contestare la legittimità del provvedimento sanzionatorio in parola.
19. Il ricorso in esame è infondato.
L’assunto di base sul quale riposano tutte le censure articolate con il ricorso de quo consiste nella qualificazione della proposta progettuale di cui alla S.C.I.A. prot. n. 4607 del 9.02.2018, presentata in corso di esecuzione dei lavori autorizzati con il permesso di costruire n. 321/2015/8 del 27.08.2015, quale variante “non essenziale” rispetto a tale titolo abilitativo.
Tale assunto non è condivisibile, per le ragioni appresso indicate.
19.1 Pur prescindendo dalla dirimente e non contestata considerazione – pure esternata dal comune a sostegno del potere sanzionatorio – secondo cui la S.C.I.A. in questione risulta, comunque, presentata “ad interventi già effettuati” (così pag. 3, III cv. ordinanza di demolizione impugnata) e, quindi, come tali ex se abusivi, ritiene il Collegio – in linea con gli addebiti mossi dall’amministrazione – che la “variante” di cui alla S.C.I.A. in questione abbia ad oggetto un’opera edilizia essenzialmente diversa da quella di cui al permesso di costruire n. 321/2015/8 del 27.08.2015.
Con la “variante” in questione, i ricorrenti hanno, infatti, proposto di realizzare – invero avevano già iniziato, sine titulo, a realizzarlo – un edificio privo di un intero piano, quello interrato, contemplato nel progetto di cui al permesso di costruire n. 321/2015/8 del 27.08.2015.
Ne è, quindi, conseguito un radicale mutamento delle caratteristiche essenziali del fabbricato già assentito, con contestuale variazione, urbanisticamente rilevante, in quanto comportante variazione degli standards di cui al D.M. 2 aprile 1968, della destinazione d’uso di taluni locali commerciali al piano terra (art. 32, comma 1 lett. a e d D.P.R. n. 380/2001), da adibire a parcheggi.
Il nuovo progetto ha altresì determinato – per come rilevato nell’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune in data 27.07.2016 (n. 43) e non contestato dai ricorrenti – un’alterazione prospettica in corrispondenza con il settore interessato dal varco per la rampa di accesso al piano seminterrato (eliminato), con conseguente “ampliamento”, tratteggiato nella stessa pianta della variante, in corrispondenza del muro di invito della rampa in questione, non più realizzata.
Siffatto sostanziale mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio già autorizzato – si pensi, tra l’altro, alle implicazioni che ne sono derivate in termini di progettazione delle nuova fondamenta dell’edificio privato del piano seminterrato – è qualificabile, quanto meno, in termini di “variazione essenziale”, ex art. 32 D.P.R. n. 380/2001 e, quindi, attesa l’insistenza del vincolo paesaggistico sull’area oggetto di intervento, quale intervento edilizio “in totale difformità” dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44 D.P.R. n. 380/2001.
Il “nuovo” progetto in questione avrebbe, dunque, necessitato, per come correttamente rilevato dal Comune in sede di esercizio del potere sanzionatorio, del preventivo rilascio di un vero e proprio permesso di costruire, non essendo all’uopo sufficiente la mera S.C.I.A. – peraltro postuma – depositata in data 9.02.2018 in dichiarata conformità a quanto previsto dall’art. 22 comma 2 bis D.P.R. n. 380/2001, applicabile esclusivamente in caso di interventi che non configurino, come quello in esame, una variazione essenziale rispetto all’assentito.
Quanto sopra trova conferma nella giurisprudenza di questo stesso Tribunale, secondo cui “Ai sensi dell’art. 17 comma 4, l. reg. Lazio n. 15/2008, tutti gli interventi su immobili in presenza di vincolo paesaggistico – diversi da quelli indicati nel comma 1 e che sono qualificati in totale difformità dal titolo abilitativo – vanno considerati come variazioni essenziali. Nel caso in cui si tratti di richiesta di intervento in variante su fabbricato in area soggetta a vincolo paesaggistico, la variante deve considerarsi essenziale, ex art. 17 comma 4, citata l. reg. n. 15/2008, e dunque è necessario richiedere e conseguire, per la realizzazione delle opere in questione, il permesso di costruire in variante, non risultando dunque all’uopo sufficiente la presentazione di una mera SCIA” (così T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 04/09/2019, n. 10734).
20. A fronte dell’abuso edilizio in parola, l’esercizio del potere sanzionatorio da parte del Comune di Anguillara Sabazia assume connotati di doverosità e vincolatività, a fronte dei quali nessun affidamento nutrito dai ricorrenti (ed alimentato da pretesi “comportamenti contraddittori” posti in essere da esponenti dell’amministrazione che non si sono, tuttavia, tradotti in provvedimenti autorizzativi espressi) può dirsi giuridicamente rilevante ai fini di invalidare il legittimo ordine demolitorio adottato dall’ente locale.
Stante la natura dovuta e vincolata dell’ordine demolitorio in esame non vi è, dunque, spazio per i pretesi vizi di illogicità, irragionevolezza e carenza proporzionalità – di fatto inesistenti – ulteriormente invocati a sostegno del ricorso, trattandosi di disfunzioni tipiche del potere amministrativo di natura discrezionale.
La circostanza che l’intervento in parola abbia avuto il positivo apprezzamento dell’ente sotto il profilo paesaggistico (autorizzazione n. 46/2016), l’intervenuto inoltro dei relativi elaborati alla piattaforma cd. OpenGenio, ex art. 65 T.U.E., nonché l’asserito carattere necessitato dei lavori de quibus, al fine di garantire la staticità del costone di cui al sovrastante Largo Mascagni, non privano l’intervento realizzato dai ricorrenti di quei connotati di abusività sopra indicati che ne hanno necessitato la repressione, mediante l’irrogazione della sanzione demolitoria per cui è causa.
A fronte degli abusi posti in essere dai ricorrenti, il Comune di Anguillara Sabazia non avrebbe potuto non esercitare il potere sanzionatorio di cui alla gravata ordinanza n. 97/2018 che si appalesa, per l’effetto, scevra da tutti i vizi di legittimità invocati dai ricorrenti.
21. In conclusione, il ricorso principale è infondato e, come tale, deve essere rigettato.
21.1 Tenuto conto dell’obbligo di rinnovazione del procedimento di sanatoria sopra statuito, all’esito del procedimento medesimo, in caso di accoglimento dell’istanza, l’ordine di demolizione n. 97/2018 rimarrà privo di effetti con conseguente venir meno dell’originario carattere abusivo delle opere realizzate; in caso di rigetto dell’istanza, siffatto provvedimento sanzionatorio riacquisterà la sua efficacia, ma il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione dovrà decorrere, per come chiarito dalla più recente e sensibile giurisprudenza, condivisa dal Collegio, dal momento in cui il diniego di sanatoria perverrà a conoscenza degli interessati (cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 04/05/2020, n.320).
22. Quanto alla richiesta di estromissione dei sig.ri Alberto Ricci e Maria Teresa Bucci dal presente giudizio, in quanto non “controinteressati” rispetto al potere sanzionatorio esercitato dal Comune, la stessa deve essere rigettata.
Se, infatti, è vero che, per come recentemente ribadito dal Consiglio di Stato, “Nell’impugnazione di un’ordinanza di demolizione non sono configurabili controinteressati nei confronti dei quali sia necessario instaurare un contraddittorio, anche nel caso in cui sia palese la posizione di vantaggio che scaturirebbe per il terzo dall’esecuzione della misura repressiva” (così Consiglio di Stato sez. VI, 05/06/2020, n. 3581; cfr. anche Consiglio di Stato sez. II, 12/03/2020, n.1766), è altrettanto vero che la costituzione dei sig.ri Alberto Ricci e Maria Teresa Bucci può sempre valere, nei termini in cui è stata articolata, ossia quale intervento ad adiuvandum delle ragioni ricorsuali, infondate, per le motivazioni sopra illustrate.
23. Le spese di lite, tenuto conto della complessiva soccombenza reciproca, possono essere integralmente compensate tra tutte le parti.