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Fare impresa, tasse e tributi locali: Milano meno tartassata di Roma

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Tempo di lettura 4 minuti A Milano per Imu e Tasi si paga complessivamente più di 296 euro, a Roma oltre 355 euro

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Redazione

 

Per le imprese milanesi del terziario dal 2011 al 2016 si è registrato un forte aumento della pressione fiscale. Milano, tuttavia, nel confronto sui tributi pagati, è meno penalizzata di Roma. E’ quanto emerge dalla ricerca realizzata dall’Ufficio studi di Confcommercio Milano e presentata oggi al Circolo del Commercio. "Con una crescita economica ancora incerta – afferma Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio Milano – i tributi locali rappresentano un peso rilevante per il mondo delle imprese. In particolare la pressione fiscale è sensibilmente aumentata negli ultimi anni anche a causa del taglio delle risorse alle amministrazioni comunali da parte dello Stato". "Milano tuttavia – rileva Barbieri – anche grazie al dialogo tra Confcommercio e Comune, risulta nel complesso meno cara di Roma. Si può e si deve fare di più. Occorre intervenire sui tributi locali per sostenere le imprese, rilanciare i consumi e rendere la nostra città ancora più attrattiva".
 
L’analisi dell’Ufficio studi di Confcommercio Milano rileva i principali tributi che interessano le imprese commerciali, turistiche e dei servizi. Presi in esame Imu e Tasi sugli immobili di proprietà, Tari, la tassa rifiuti, Cosap, il canone occupazione spazi ed aree pubbliche e l’imposta di soggiorno (che vede gli imprenditori della ricettività turistica come esattori). Due gli esempi: un ufficio di circa 100 metri quadrati di superficie e un negozio di 70 metri quadrati. Se per l’ufficio a Milano, nel 2011, si pagavano d’imposta poco meno di 790 euro, ora l’importo è vicino ai 2.900 euro: più di tre volte e mezzo di aumento. Nel caso del negozio di proprietà di 70 metri quadrati l’esborso passa da poco più di 96 euro ad oltre 355 euro: anche in questo caso una crescita di più di tre volte e mezzo.
 
Ma la capitale é più cara per gli immobili in locazione. La differenza emerge nei negozi dove le aliquote Imu sono diverse: 8,70 per mille a Milano sia per uso proprio dell’immobile che per locazione, 10,60 per mille a Roma per locazione e 7,60 per mille per uso proprio. A Milano per Imu eTasi si paga complessivamente più di 296 euro, a Roma oltre 355 euro. Il confronto passa poi alla tassa smaltimento rifiuti. L’Ufficio studi di Confcommercio Milano ha preso in esame cinque tipologie di attività con differenti metrature: uffici, ristoranti, pizzerie, trattorie, bar caffè pasticceria, minimarket, ambulanti con i banchi di mercato alimentari. A Milano, dal 2011 al 2016, gli aumenti maggiori hanno riguardato i pubblici esercizi: bar caffè pasticceria con più del 157% (da 443 a 1.141 euro) e ristoranti/pizzerie/trattorie con oltre il 138% (da quasi 1.383 a circa 3.294 euro). Nelle cinque tipologie messe a confronto per il 2016 l’importo medio della Tari è decisamente più alto a Roma: circa 2.778 euro contro i 1.420 euro di Milano: quasi il doppio. E il livello standard di servizio elaborato da Opencivitas (il portale d’accesso alle informazioni degli enti locali a cura del Ministero dell’Economia) è migliore a Milano rispetto a Roma.
 
Gli introiti della Cosap sono passati a Milano da 26,1 milioni di euro del 2011 a 59,9 del 2016, ma con il grande picco di 98,6 milioni di euro nell’anno di Expo 2015. Nella nostra città il balzo Cosap si è avuto tra il 2011 e il 2012 quando il gettito è cresciuto di oltre il 51% (alla fine del 2011 il Comune di Milano ha rivoluzionato il sistema di classificazione dello spazio urbano passando da 6 a 55 classi). Nell’analisi effettuata dall’Ufficio studi di Confcommercio Milano per il confronto si sono individuati due assi commerciali importanti con lo stesso posizionamento di fascia media qualità/prezzo e con numerose insegne commerciali comuni: corso Buenos Aires a Milano e via Cola di Rienzo a Roma. Per un bar con dehor di 20 metri quadrati il canone di concessione è più caro a Roma di circa il 17% (5.738 euro contro i quasi 4.917 di Milano). Attività temporanea: qui è più costosa Milano. Uno spazio pubblico di 20 metri quadrati per i tavolini e le sedie di un pubblico esercizio – occupazione di 3 giorni – a Milano costa il 68,5% in più rispetto a Roma (circa 366 euro contro i 217 euro di Roma). Un dato che penalizza la Milano attrattiva e degli eventi. Sia a Milano sia a Roma si paga l’imposta di soggiorno, ma nella capitale è più cara. Sono state prese in esame tre delle cinque categorie degli esercizi alberghieri dove maggiore è il numero di pernottamenti: due, tre, quattro stelle.
 
L’imposta di soggiorno media a Milano è di 3 euro, a Roma di 4,3. Dall'analisi alle proposte. Confcommercio Milano, per Imu e Tasi propone di estendere le aliquote ridotte “premiali” ai proprietari di immobili a destinazione commerciale (utilizzati direttamente o affittati) della categoria D (alberghi, medie e grandi strutture commerciali) e della categoria A/10 (uffici e studi professionali). Quanto alla Tari Confcommercio suggerisce di introdurre un abbattimento della tassa per chi produce e consente la raccolta e il riciclo di rifiuti di valore (carta, alluminio, vetro…). Quanto al Cosap, per Confcommercio il canone di occupazione del suolo pubblico va ridotto per sostenere le imprese, già in difficoltà per l’andamento dei consumi e l’abusivismo. In particolare, vanno diminuiti gli importi dell’occupazione temporanea per accrescere l’attrattività e gli eventi. Contestualmente si devono rafforzare tutte le procedure utili a reprimere la concorrenza sleale degli abusivi. Sull'imposta di soggiorno, il gettito aumenterà con l’estensione anche alle locazioni turistiche brevi. Gli introiti dell’imposta di soggiorno devono essere destinati a interventi in materia di turismo e sostegno alle strutture ricettive con vantaggi per il turista. Ad esempio: una carta gratuita del turista che offra sconti per l’accesso ai musei e per l’utilizzo della rete pubblica Atm di trasporti.

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Cronaca

Epidemia di Peste Suina, cresce la rivolta degli allevatori: il Ministro Lollobrigida nel mirino

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Il ministro dell’Agricoltura accusato di non aver saputo affrontare adeguatamente l’emergenza

L’epidemia di peste suina sta mettendo in ginocchio gli allevatori del Nord Italia, con nuovi focolai che si diffondono in Lombardia e Piemonte, alimentando rabbia e frustrazione tra i produttori. Nonostante l’adozione di nuove misure di sicurezza da parte del Commissario straordinario Giovanni Filippini, la situazione continua a peggiorare, con 26 allevamenti contaminati solo in Lombardia, coinvolgendo le province di Pavia, Milano e Lodi.

La diffusione del virus in queste aree altamente densamente popolate da suini, che contano circa 4,5 milioni di capi, ha suscitato un’ondata di proteste da parte degli allevatori, già provati da oltre due anni di gestione considerata fallimentare dell’emergenza. Assosuini, una delle principali associazioni di settore, ha espresso la propria indignazione, lamentando che gli allarmi lanciati dagli allevatori sono stati ignorati per troppo tempo, lasciandoli ora a dover affrontare costi insostenibili e una situazione sanitaria al limite.

La tensione è ulteriormente aggravata dalla critica dei vertici di Coldiretti, che chiedono l’immediata erogazione degli indennizzi alle aziende colpite e certezze sui rimborsi per chi è costretto a sospendere l’attività. Le nuove regole imposte dal commissario includono il divieto di movimentazione degli animali e l’accesso agli allevamenti nelle aree di restrizione, nonché la possibilità di abbattimenti preventivi in caso di rischio di contagio. Tuttavia, l’incertezza regna sovrana, con molti allevatori che si sentono abbandonati dalle istituzioni.

La critica si è rivolta anche verso il governo, e in particolare verso il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, accusato di non aver saputo affrontare adeguatamente l’emergenza. L’Eu Veterinary Emergency Team, gruppo di esperti della Commissione Europea, ha recentemente bocciato la strategia adottata, suggerendo che sarebbe stato più efficace un approccio basato sul monitoraggio e sul contenimento geografico dei cinghiali, piuttosto che sulla caccia.

Dichiarazioni recenti del ministro Lollobrigida, riportate dai media, sottolineano l’impegno del governo nel fronteggiare la crisi, pur ammettendo le difficoltà incontrate. Lollobrigida ha ribadito l’importanza delle nuove misure di biosicurezza e ha promesso un maggiore supporto agli allevatori, ma per molti queste rassicurazioni arrivano troppo tardi.

Con l’aumento dei focolai, l’epidemia di peste suina si sta trasformando in una catastrofe economica e sanitaria, con conseguenze che potrebbero essere devastanti non solo per il settore zootecnico, ma anche per l’intera economia delle regioni colpite.

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Ambiente

Traffico, New York la città più congestionata al mondo nel 2023, Roma al 15° posto

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Il traffico nelle grandi città è un problema sempre più pressante, e New York si conferma la città più congestionata al mondo nel 2023, secondo il Global Traffic Scorecard di Inrix, aggiornato al primo trimestre del 2024. Gli automobilisti di New York hanno trascorso ben 101 ore bloccati nel traffico durante gli orari di punta, un dato leggermente migliorato rispetto alle 105 ore del 2022, ma comunque peggiore rispetto ai tempi pre-pandemia, quando si perdevano in media 91 ore.

Lo studio ha analizzato 947 città in tutto il mondo, mettendo in luce un problema che non riguarda solo la qualità della vita, ma ha anche un impatto economico significativo. Negli Stati Uniti, ad esempio, la congestione del traffico è costata 70,4 miliardi di dollari nel 2023, un aumento del 15% rispetto all’anno precedente. Questo costo deriva dal tempo perso nel traffico, che riduce la produttività e influisce negativamente sulle economie locali.

Dietro New York, altre città con gravi problemi di traffico sono Città del Messico, Londra, Parigi, Chicago e Istanbul, tutte con oltre 90 ore perse all’anno negli ingorghi. Queste città, nonostante le loro dimensioni e infrastrutture, lottano per gestire l’afflusso di veicoli nelle ore di punta.

Roma, la Capitale italiana, si trova al 15° posto in questa classifica globale, con 69 ore perse nel traffico nel 2023, un aumento del 15% rispetto all’anno precedente. La velocità media a cui si riesce a percorrere un miglio (circa 1,6 km) nel centro di Roma è di 21 km/h, leggermente superiore a quella di New York, dove la velocità è di 17,7 km/h. In Europa, Roma è la terza città più congestionata, superata solo da Londra e Parigi.

Altre città italiane figurano nella classifica: Milano si posiziona al 25° posto, con 60 ore perse nel traffico e una velocità media di 22,5 km/h. Torino, invece, è al 94° posto, con 46 ore perse in un anno e una velocità media di 19,3 km/h.

Questi dati evidenziano come il traffico non sia solo una questione di disagi quotidiani, ma un problema globale che richiede soluzioni urgenti per migliorare la mobilità urbana e ridurre l’impatto economico e ambientale delle congestioni stradali.

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In evidenza

Emergenza Peste Suina Africana (PSA): misure stringenti per tre regioni italiane per contenere i focolai

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Il Commissario Straordinario per la peste suina africana, Dott. Giovanni Filippini, ha firmato l’Ordinanza n. 3/2024

La diffusione della peste suina africana (PSA) sta destando grande preoccupazione in Italia, con nuovi focolai individuati nelle regioni Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna. In risposta a questa emergenza sanitaria, il Commissario Straordinario per la peste suina africana, Dott. Giovanni Filippini, ha firmato l’Ordinanza n. 3/2024, che introduce misure urgenti per la gestione dei focolai negli allevamenti suini di queste regioni.

La peste suina africana è una malattia virale altamente contagiosa che colpisce i suini domestici e selvatici, causando gravi danni economici e sanitari. Sebbene non rappresenti un pericolo diretto per l’uomo, la sua diffusione può avere conseguenze devastanti per l’industria suinicola e per l’economia agricola in generale.

Le misure di prevenzione e controllo

L’Ordinanza firmata dal Dott. Filippini prevede diverse restrizioni per contenere la diffusione del virus. L’articolo 1 stabilisce i divieti principali, tra cui il blocco dei movimenti di suini in entrata o uscita dagli allevamenti situati nelle zone di restrizione delle tre regioni interessate, con eccezioni limitate per gli animali destinati al macello. Inoltre, viene imposto il divieto di accesso agli allevamenti per chiunque non sia direttamente coinvolto nella gestione quotidiana degli animali, compresi veterinari e tecnici, a meno di autorizzazioni specifiche.

Le norme sono particolarmente severe anche per quanto riguarda l’igiene e la sicurezza: i lavoratori devono utilizzare abbigliamento monouso e sono tenuti a rispettare rigidi protocolli per evitare la trasmissione del virus. Sono vietati anche eventi come fiere e mercati suinicoli nelle zone a rischio, per ridurre al minimo il rischio di ulteriori contagi.

L’articolo 2, invece, riguarda la verifica delle condizioni di biosicurezza negli allevamenti, con ispezioni mirate da parte dei servizi veterinari locali. Queste verifiche devono garantire che gli allevamenti rispettino tutti i requisiti di sicurezza per prevenire la diffusione della malattia. Se durante le ispezioni vengono rilevate carenze gravi che non possono essere risolte in tempi brevi, il provvedimento prevede lo svuotamento degli allevamenti attraverso la macellazione o l’abbattimento degli animali, senza possibilità di risarcimento per gli allevatori in caso di gravi violazioni.

Importanza della prevenzione

La peste suina africana non è pericolosa per l’uomo, ma il virus può essere trasportato da persone, mezzi di trasporto e oggetti contaminati, facilitando così la sua diffusione. Per questo motivo, la prevenzione è essenziale. Gli allevatori devono adottare tutte le precauzioni necessarie, compresa la limitazione dei contatti tra suini domestici e selvatici, che sono i principali vettori del virus.

Implicazioni per l’industria suinicola

Le misure contenute nell’ordinanza sono cruciali per evitare che la peste suina africana si diffonda ulteriormente, mettendo a rischio l’intera filiera produttiva. La chiusura degli allevamenti, il divieto di movimentazione degli animali e la sospensione di eventi zootecnici sono azioni dolorose ma necessarie per tutelare l’industria e prevenire perdite economiche su larga scala.

L’Ordinanza resterà in vigore fino al 30 settembre 2024 e rappresenta un segnale chiaro dell’importanza di agire con rapidità e determinazione per proteggere il settore agricolo e prevenire una crisi sanitaria su vasta scala.

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