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Editoriali

Caro fratello musulmano e cara sorella Laura

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di Emanuel Galea


Il 17 ottobre 2014, paillettes dorate ai piedi e velo bianco in testa, entrava nella grande Moschea di Roma, salutando in perfetto arabo la comunità islamica, rassicurando  tutti i presenti dicendo “L’Islam è pace, qui non ho paura”. Ma la presidente della Camera non ha paura neanche fuori della grande Moschea. Quello stuolo di poliziotti di scorta che le fanno cerchio intorno non sono altro che uno status symbol del personaggio che rappresenta.

Ma poi diciamolo pure, paura di chi? Paura di cosa? La Boldrini, in Moschea si sente tranquilla e, a sua volta l’Islam in Italia si sente come a casa propria. Sorella Laura perché insisti tanto che l’Islam è pace? Forse la religione di casa tua guerrafondaia? Le altre religioni non sono anch’esse portatrici di pace? La pace, in qualsiasi religione dovrebbe essere insita e non certamente una straordinarietà da sbandierare. Tanto per fare chiarezza iniziamo con il dire che i musulmani rappresentano il 30 percento della popolazione straniera residente in Italia. Nel deplorevole vuoto normativo, stando a quanto riporta il sito internet “www.arab.it” in Italia ci sarebbero 205 tra Moschee e centri islamici. Di questi solamente 10 sono registrati come Moschee, gli altri spaziano tra centri culturali ed associazioni varie. Si apprende dalla grande stampa che la Qatar Charity avrebbe stanziato 25 milioni per costruire 43 Moschee in Italia. Caro fratello musulmano e cara sorella Laura, va benissimo che l’Islam è pace ma l’Arabia Saudita, Egitto, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Yemen, pure questi appartenenti all’Islam che è pace, hanno chiuso i rapporti diplomatici con il Qatar accusandolo di finanziare il terrorismo islamico facendo indirettamente foraggiare organizzazioni vicine ad al Qaeda che di pace non ha neanche il minimo odore. Ecco perché un serio approfondimento sulle Moschee, finanziate dal Qatar sarebbe molto utile, per poter condividere la tranquillità della Boldrini, ovviamente senza velarci e toglierci i calzari. E’ bello vivere senza le paure e non basta dire “io non ho paura”, non è un argomento perché a parità di argomentazioni si può ribattere “molti altri la paura ce l’hanno”.


Proprio in questi giorni si parla di finanza islamica in Italia e già si discute su banche islamiche sul territorio. Attenzione, non si parla di banche appartenenti a una specifica nazione come sarebbe logico, si parla di banca della religione islamica. Fratello musulmano in Italia tu vi stai come se stessi a casa tua e sorella Laura non ha paura. Ognuno di noi si sforza invano di dimenticare gli attentati dell'11 settembre 2001, macabro teatro di quattro attacchi suicidi che troncarono la vita di 2996 persone lasciando gravi ferite in altre e oltre 6.000 persone.
Forse dobbiamo nel frattempo rallegrarci, e questo lo chiediamo a chi “non ha paura” per la  neonata Costituente Islamica in Italia, senza nulla sapere al riguardo? Dobbiamo assimilare il vile attacco a Charlie Hebdò, assorbire a testa bassa gli atti disumani al Bataclan, a Parigi, Nizza, a Bruxelles, a Londra; esorcizzare i ricordi dei crudeli e bestiali attacchi al  festival di Ansbach, Wiirzburg, Monaco di Baviera e Reutlingen? Quella gioventù al festival di Ansbach o di Londra, come la cara Laura, non avevano paura. Quei ragazzi e ragazze, con tante speranze nel loro zaino non portavano esplosivi, caro fratello musulmano, anche loro credevano che tutto l’Islam è pace, stentavano a convincersi che al suo interno ci potevano essere tante mele marce. D’oggi in poi lo zaino a tracollo di un fratello musulmano che sosta innocentemente alla fermata della metropolitana, ci suscita cattivi pensieri. Le periferie, i sobborghi, le stazioni ferroviarie, i giardini e i parchi nazionali stanno gradatamente diventando dar al-islam, cioè “ spazio territoriale e politico soggetto alla legge islamica e abitato dalla umma (comunità). Non è più raro leggere di genitori musulmani rinviati a giudizio perché minacciano la figlia perché “occidentale”. Quanti altri anni si dovrà aspettare per l’integrazione? Allora ci sarà ancora l’italianità?


Caro fratello musulmano, sei fortunato ad avere trovato un‘Europa che simpatizza con te rinnegando le sue radici etiche e culturali. Ti ha spianato il letto, ti ha messo sui suoi comodi bordi, aspettando che il cadavere dell’infedele liberi lo spazio per accomodarti meglio. Intanto, cara sorella Laura continua pure a non avere paura.
 

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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